di Antonella Ciaramella
La valutazione standardizzata in questo settore, che si colloca, di fatto, a cavallo tra la medicina generale e la psichiatria, necessariamente comporta, in generale, che vengano presi in considerazione elementi dei due ambiti. Una categorizzazione degli strumenti proposti per la valutazione di questi disturbi non è facile perché gli Autori hanno preso in considerazione, di volta in volta, aspetti diversi del problema: ora la misurazione dei sintomi somatici ed ora il comportamento da ammalato, ora la tendenza all’amplificazione somatica ed ora la misurazione del dolore, eccetera (Tab. 16.I).
Alexitimia
Prima di entrare nello specifico di questi problemi, ci sembra opportuno far menzione di un problema (e della sua valutazione) che ha molti punti in contatto con la somatizzazione: l’alexitimia. Il concetto di alexitimia è stato formulato per descrivere quelle persone che presentano disturbi della sfera affettivo-cognitiva che influiscono sulla capacità di comunicare i propri sentimenti (Taylor, 1984, Taylor et al., 1991). L’incapacità ad identificare e ad elaborare i propri sentimenti si associa ad una tendenza a manifestare somaticamente le emozioni ed a minimizzarne le componenti affettive. Questi soggetti, di conseguenza, tendono ad avere un’amplificazione somatosensoriale ed attribuiscono (in maniera anomala) le sensazioni somatiche a segni di una grave malattia (Kellner, 1985). La coscienza delle emozioni come segnali potenziali di accadimenti interiori, così come l’identificazione delle sensazioni somatiche come concomitanti somatiche delle emozioni, dipende, in larga misura, dal modo in cui le informazioni sono elaborate dal SNC. Diverse ipotesi (sulle quali non ci soffermeremo, peraltro, in questa sede) sono state avanzate per spiegare come, da un deficit dell’elaborazione cognitiva delle emozioni, può derivare una compromissione dell’interpretazione delle sensazioni somatiche. Diremo qui, invece, di uno strumento messo a punto per la valutazione dell’alexitimia, la Toronto Alexithymia Scale – TAS (Taylor, 1984).
La versione attualmente in uso è quella a 20 item, la TAS-20 (Parker et al., 1993; Bagby et al., 1994a,b), una scala di autovalutazione in cui ciascun item viene misurato su una scala di 5 punti dalla quale derivano 3 fattori:
• Fattore 1: difficoltà a identificare i propri sentimenti ed a distinguerli dalle sensazioni fisiche delle emozioni, costituito dagli item 1, 3, 6, 9, 13 e 14;
• Fattore 2: difficoltà ad esprimere i propri sentimenti, costituito dagli item 2, 4, 11, 12 e 17;
• Fattore 3: pensare orientato esternamente, costituito dagli item 5, 8, 10, 15, 16, 18, 19 e 20.
Lo strumento ha dimostrato una buona validità convergente, discriminante e concorrente.
Numerose ricerche condotte con questo strumento hanno messo in evidenza strette correlazioni fra l’alexitimia e numerose misure di sintomi somatici funzionali, a testimonianza di una stretta correlazione fra alexitimia e somatizzazione, anche se, verosimilmente, si tratta di costrutti separati e, quindi, indipendenti (Bach et al., 1996).
Diagnosi
Importante, in questo settore che, come abbiamo più volte sottolineato, è non solo assai complesso, ma anche di non del tutto chiara (e forse definitiva) collocazione nosografica, è l’inquadramento diagnostico. Naturalmente gli strumenti di valutazione diagnostica generali, di cui abbiamo detto al capitolo 7, sono ampiamente idonei per fornire gli elementi necessari per la formulazione della diagnosi ma, come abbiamo accennato in quella sede, si tratta di strumenti complessi che richiedono di solito molto tempo per essere applicati. Una valida alternativa a quegli strumenti è, senza dubbio, la Somatoform Disorder Schedule – SDS (Tacchini et al., 1996), un’intervista diagnostica derivata dalla Composite International Diagnostic Interview – CIDI (Robins et al., 1988) e strutturata per i disturbi somatoformi.
Alla prima versione del 1989, denominata Comprehensive International Schedule for Somatoform Disorder – CISSD, furono in seguito affiancati una screening form ed una checklist dei sintomi per il disturbo somatoforme. L’insieme di questi strumenti fu sponsorizzato dal WHO ed ulteriormente elaborato finché, nel 1996, ne è stata pubblicata la versione 2.0 che comprende l’intervista (I-SDS), uno screener (S-SDS), ed una checklist dei sintomi di disturbo somatoforme (C-SDS); una scheda di valutazione per l’intervista (SS-SDS) consente la formulazione della diagnosi in mancanza dell’apposito programma computerizzato.
L’intervista è stata concepita per probandi adulti e con livello di istruzione, provenienza culturale e capacità intellettive molto differenti. Le diagnosi dei disturbi somatoformi vengono formulate in base ai criteri sia dell’ICD-10 che del DSM-IV.
L’I-SDS, che è la form centrale del sistema, è composta da 5 sezioni (A-E): la prima sezione (A1-A9) esplora variabili demografiche; la seconda sezione (B1-B73) indaga i Disturbi Somatoformi; la terza valuta l’Ipocondria (C1-C7); la quarta la Neurastenia (D1- D10) e la quinta (E1-E8) propone un riassunto dei sintomi. Per ogni item è indicato il sistema nosografico ed il criterio a cui ogni domanda fa riferimento; un diagramma di flusso aiuta il valutatore nella formulazione delle risposte e nell’assegnazione dei punteggi.
L’S-SDS è uno strumento di autovalutazione breve (12 item), utilizzato per selezionare i pazienti con probabili disturbi da somatizzazione da inserire in specifiche ricerche su questa popolazione.
Il C-SDS, infine, è una checklist di sintomi (75) riferibili al disturbo somatoforme. La checklist è completata da alcune voci riassuntive che indagano il numero dei sintomi presenti, la loro durata, la loro natura funzionale o meno, il disagio provocato e l’eventuale rifiuto di rassicurazione.
Specificamente sviluppata per la diagnosi di ipocondria è la Structured Diagnostic Interview for Hypochondriasis – SDIH (Barskey et al., 1992), un’intervista che inizia con 4 domande introduttive:
1) hai molti problemi medici?
2) hai numerosi sintomi che ti preoccupano molto?
3) sei preoccupato per la tua salute?
4) pensi spesso alla tua salute?
TAB. 16.I – PRINCIPALI SCALE PER LA VALUTAZIONE DEI PAZIENTI CON DISTURBI SOMATOFORMI
ALEXITIMIA:
Toronto Alexithymia Scale – TAS (Taylor, 1984)
Toronto Alexithymia Scale 20 item – TAS-20 (Parker et al., 1993; Bagby et al., 1994a,b)
DIAGNOSI:
Somatoform Disorder Schedule 2.0 – SDS (Tacchini et al., 1996)
– Scheda di valutazione SDS (SS-SDS)
– Screener SDS (S-SDS)
– Checklist SDS (C-SDS)
– Intervista SDS (I-SDS)
Whiteley Index of Hypochondriasis – WIH (Pilowsky, 1967)
Structured Diagnostic Interview for Hypochondriasis – SDIH (Barskey et al., 1992)
COMPORTAMENTO ABNORME DA MALATO:
Illness Behaviour Questionnaire – IBQ (Pilowsky e Spence, 1975)
Illness Behavior Inventory -IBI (Turkat e Pettegrew, 1983)
Illness Attitude Scale – IAS (Kellner et al., 1985)
AMPLIFICAZIONE SOMATICA:
Autonomic Perception Questionnaire – APQ (Mandler et al.,1958)
Modified Somatic Perception Questionnaire – MSPQ (Main, 1983)
Somatosensory Amplification Scale – SSAS (Barskey et al., 1988)
MISURE DEL DOLORE:
McGill Pain Questionnaire – MPQ (Melzack, 1975)
Pain Disability Index – PDI (Pollard, 1984)
West Haven-Yale Multidimensional Pain Inventory – WHYMPI (Kerns et al., 1985)
Questionario Italiano del Dolore – QUID (De Benedictis et al., 1988)
DISMORFISMO CORPOREO:
Body Dysmorphic Disorder Examination – BDDE (Rosen e Reiter, 1990)
Body Dysmorphic Disorder – Yale Brown Obsessive Compulsive Scale – BDD-YBOCS (Phillips et al., 1997)
Body Uneasiness Test – BUT (Cuzzolaro et al., 1999)
DISSOCIAZIONE SOMATOFORME:
Somatoform Dissociation Questionnaire – SDQ-20 (Nijenhuis et al., 1996)
Se il soggetto risponde negativamente alle quattro domande, viene esclusa la diagnosi di ipocondria, se risponde, invece, affermativamente ad almeno una di queste domande, l’intervista prosegue con domande che fanno riferimento ai criteri del DSM-III-R per l’ipocondria e finisce per sovrapporsi alla sezione per l’ipocondria dello SCID (Spitzer et al., 1987).
L’SDIH ha mostrato un alto grado di concordanza e di validità esterna quando è stato confrontato con altri strumenti e questo ne fa una valida intervista clinica; carente è, invece, la validità divergente poiché lo strumento ha difficoltà a distinguere nosologicamente i soggetti positivi all’intervista dai soggetti con disturbi d’Ansia e dell’Umore.
Per lo screening dei soggetti ipocondriaci, per la valutazione della gravità dell’atteggiamento ipocondriaco e delle variazioni della sintomatologia sotto trattamento era stato messo a punto, in precedenza, il Whiteley Index of Hypochondriasis – WIH (Pilowsky, 1967), una scala di 14 item dicotomi (Sì/No). Il punteggio totale può andare da 0 a 14; un punteggio8 è considerato indice di probabile ipocondria. Come tutti gli strumenti in questo settore, anche il WIH deve essere accompagnato da un’accurata visita medica.
Comportamento abnorme da malato
Il comportamento abnorme da malato o disnosognosia è, come abbiamo detto, un concetto introdotto da Mechanic e Volkart (1960) e sviluppato successivamente da Pilowsky (1978) in rapporto a condizioni come isteria, ipocondria, disturbo da conversione, dolore psicogeno e, più in generale, i disturbi definiti come "funzionali". Questo comportamento si esprime con la preoccupazione o la paura di avere una grave malattia fisica, di cui sono "prova evidente", per il soggetto, i segni e, soprattutto, i sintomi fisici; questo comportamento non si associa ad attacchi di panico e persiste nonostante le rassicurazioni mediche.
Alcuni Autori hanno sviluppato strumenti di valutazione di questo tipo di comportamento e, fra questi, il più noto è, senza dubbio, l’Illness Behaviour Questionnaire – IBQ (Pilowsky e Spence, 1975). L’IBQ era composto, nella sua versione originale, da 52 item che sono stati portati a 62 nella versione definitiva (1983). È uno strumento di autovalutazione che esplora gli atteggiamenti, le idee ed i sentimenti del soggetto rispetto alla sua malattia, la sua percezione delle reazioni di persone significative nell’ambiente (compreso il medico) rispetto alla propria malattia e la visione della propria situazione sociale. L’analisi fattoriale ha messo in evidenza sette fattori (o scale):
• Ipocondria generale (GH – general hypochondriasis): misura l’atteggiamento di paura nei confronti della malattia, ma con una certa coscienza della sua eccessività;
• Convinzione di malattia (DC – disease convinction): esprime la ferma convinzione della presenza di una malattia somatica e la riluttanza ad accettare la rassicurazione;
• Percezione psicologica v.s somatica della malattia (PS – perception of illness): è una scala bipolare che esprime la tendenza del soggetto a porsi in una prospettiva psicologica del problema piuttosto che somatica o viceversa;
• Inibizione affettiva (AI – affective inhibition): grado di capacità di comunicare i sentimenti (specialmente quelli negativi);
• Disturbo affettivo (AD – affective disturbance): valuta la presenza di ansia, depressione, tensione;
• Negazione (D – denial): esprime la tendenza a negare gli stress della vita e ad attribuire a malattie fisiche i propri disturbi;
• Irritabilità (I – irritability): indica, quando ha un punteggio elevato, la presenza di attriti interpersonali.
Si possono ricavare anche due fattori di secondo ordine, l’Affermazione di Malattia, che è una combinazione delle scale DC e PS (DC+5-PS) e lo Stato Affettivo, che deriva dalla combinazione delle scale GH, AD e I (GH+AD+I).
L’IBQ è scritto in un linguaggio di facile comprensione e la valutazione è semplice essendo gli item dicotomi (Sì/No). È stato tradotto in numerose lingue; la versione italiana, curata da Fava e Bernardi (1981), deriva dall’elaborazione di una prima traduzione che Pilowsky aveva curato per poter somministrare il questionario a pazienti italiani immigrati in Australia.
La scala è un valido strumento per valutare il comportamento da ammalato in generale e per identificare quei sintomi somatici che sono espressione di disturbo psichico. Essendosi dimostrata sensibile agli effetti del trattamento, è anche usata negli studi clinici di confronto fra trattamenti diversi proposti per la cura del dolore cronico.
Un altro strumento adatto alla valutazione del comportamento da ammalato è l’Illness Attitude Scale – IAS (Kellner et al., 1985): la scala, di autovalutazione, è composta da 28 item che misurano gli atteggiamenti, le paure e le convinzioni associate con l’ipocondria ed il comportamento abnorme da ammalato. Si articola in 9 subscale composte ciascuna da tre item (gli item 15a e 25 non hanno un punteggio):
• preoccupazione per la malattia (W – worry about illness), item 1-3;
• preoccupazione per il dolore (CP – concern about pain), item 4-6;
• abitudini a controllare la salute (HH – health habits), item 7-9;
• polarizzazioni ipocondriache (HB – hypochondriacal beliefs), item 10-12;
• tanatofobia (Th – thanatophobia), item 13-15;
• paura delle malattie (DP – disease phobia), item 16-18;
• preoccupazione per il corpo (BP – bodily preoccupation), item 19-21;
• esperienza del trattamento (TE – treatment experience), item 22-24;
• effetti dei sintomi (ES – effects of symptoms), item 26-28.
L’IAS è una scala sensibile al cambiamento ed è perciò utile per monitorare gli effetti del trattamento sui comportamenti ipocondriaci e sulle paure della malattia.
Anche l’Illness Behavior Inventory – IBI (Turkat e Pettegrew, 1983) è uno strumento di autovalutazione in grado di misurare il comportamento da ammalato definito come "il comportamento di un soggetto indicante che egli ha una patologia somatica o un malessere fisico". I 20 item che lo compongono, sviluppati in base all’osservazione di pazienti ambulatoriali e ricoverati, misurano due dimensioni:
a – il comportamento di malattia in rapporto al lavoro, con item che fanno riferimento alle limitazioni dell’attività lavorativa e delle attività a causa della malattia,
b – il comportamento di malattia in rapporto al sociale, con item che fanno riferimento alle discussioni o alle lamentele circa l’essere ammalato ed il comportarsi da malato più di quello che uno si senta.
Per la sua semplicità e brevità, l’IBI rappresenta un valido strumento di screening nella pratica clinica e, essendosi mostrato sensibile al cambiamento, è anche utile per la valutazione dei risultati del trattamento. Gli item sono valutati su di una scala a 6 punti, per cui il punteggio totale è compreso fra 20 e 120, con i punteggi più elevati indicanti un più marcato comportamento da ammalato.
Amplificazione somatica
Abbiamo detto che alcuni soggetti tendono ad amplificare la percezione delle sensazioni corporee, percepiscono, cioè, sensazioni somatiche e viscerali come intense, nocive e disturbanti, grazie all’ipervigilanza nei confronti del corpo, che comporta un esame continuo ed un’aumentata attenzione alle sensazioni spiacevoli corporee, alla tendenza a selezionare e focalizzare l’attenzione su sensazioni lievi e relativamente poco frequenti ed alla tendenza a valutare sensazioni somatiche e viscerali normali come anormali, patologiche o come sintomi di una malattia. Questa tendenza può essere misurata mediante due strumenti di autovalutazione, il Modified Somatic Perception Questionnaire e la Somatosensory Amplification Scale.
Il Modified Somatic Perception Questionnaire – MSPQ (Main, 1983) è un elenco di 22 item che esplorano la percezione del corpo e le funzioni fisiologiche; deriva dall’Autonomic Perception Questionnaire – APQ (Mandler et al., 1958), il primo strumento che ha cercato di misurare la relazione tra la percezione dell’attività corporea e le funzioni fisiologiche, valutando le sensazioni positive e negative che accompagnano le percezioni fisiologiche. Dei 22 item, solo 13 vengono presi in considerazione ai fin della valutazione del punteggio, mentre gli altri 9 hanno soltanto la funzione di "mascheramento": nella tabella 16.II i 13 item "effettivi" della scala sono indicati dalla presenza del punteggio (è superfluo dire che, nella scheda su cui il paziente effettua l’autovalutazione, il punteggio non è riportato per nessuno degli item). L’MSPQ è una scala che, per la sua brevità e semplicità, è facile da utilizzare ed è ben accetta dal paziente; usata assieme a scale di valutazione della depressione, può fornire al clinico importanti informazioni alla comprensione delle conseguenze del dolore cronico ed aiutare a discriminare fra la patologia somatica ed il comportamento da ammalato.
La Somatosensory Amplification Scale – SSAS (Barsky et al., 1990) chiede di rispondere, su una scala ordinale a cinque punti (1-5), a 10 affermazioni relative ad un range di sensazioni corporee che creano disagio ma che, in generale, non connotano gravi malattie fisiche (Tab. 16.III). L’attuale versione deriva da una precedente, composta da soli cinque item (Barsky et al., 1988). La SSAS risulta strettamente correlata con i sintomi ipocondriaci, quali la preoccupazione per il corpo, il senso di affaticamento e l’astenia, ma non correla con la storia medica, nel senso che i soggetti con una lunga storia di malattia non presentano punteggi più elevati alla scala; correla significativamente, invece, con la presenza di un disturbo depressivo, d’ansia o somatoforme, ma non con la personalità antisociale o l’abuso di sostanze (Barsky et al., 1990).
TAB. 16.II – MODIFIED SOMATIC PERCEPTION QUESTIONNAIRE – MSPQ (Main, 1983).
Descriva come si è sentito nel corso dell’ultima settimana facendo una crocetta nella casella corrispondente. Per favore, risponda a tutte le domande, senza stare troppo a pensare.
Per niente / Un po’/ Lievemente / Abbastanza / Non potrebbe essere peggio / Al massimo /
Aumento della frequenza cardiaca
Sentire caldo dappertutto
Essere completamente sudati
Sudare in una particolare parte del corpo
Avere pulsazioni nel collo
Sentire colpi alla testa
Vertigini
Visione offuscata
Sensazione di svenimento
Tutto sembra irreale
Nausea
Senso di logorio allo stomaco
Crampi o dolore allo stomaco
Agitazione di stomaco
Necessità impellente di urinare
Sensazione di bocca asciutta
Difficoltà a deglutire
Dolore ai muscoli del collo
Debolezza alle gambe
Contrazioni o scosse ai muscoli
Senso di costrizione alla fronte
Senso di tensione ai muscoli della mandibola
TAB. 16.III – I 10 ITEM DELLA SOMATOSENSORY AMPLIFICATION SCALE – SSAS (Barsky et al, 1990)
1. Quando qualcuno tossisce, anche a me viene da tossire.
2. Non posso sopportare il fumo, lo smog o l’aria inquinata.
*3. Spesso sono cosciente delle varie cose che accadono nel mio corpo.
4. Quando mi faccio un livido, questo rimane visibile per molto tempo.
*5. I rumori forti e improvvisi mi disturbano veramente.
6. Talvolta posso sentire il polso o i battiti del cuore pulsare nelle mie orecchie.
*7. Mi sento veramente a disagio nei luoghi troppo caldi o troppo freddi.
*8. Sento facilmente i morsi allo stomaco per la fame.
9. Anche qualcosa di modesto, come una puntura di insetti o una spina, mi fa proprio star male.
*10. Non riesco a sopportare il dolore come fanno molte persone.
* Con l’asterisco sono indicati i 5 item della versione originale.
Misure del dolore
Il dolore è un’esperienza personale, soggettiva, influenzata dalla cultura, dal significato della situazione, dall’attenzione e da altre variabili psicologiche. Probabilmente, vista la complessità di questa esperienza, la modalità più affidabile di valutazione del dolore è l’autovalutazione. Il McGill Pain Questionnaire – MPQ (Melzack, 1975) è, certamente, lo strumento di autovalutazione del dolore più usato sia nella pratica clinica che nella ricerca.
La scala si basa su di una serie di parole (78 aggettivi), scelte tra quelle riportate nella letteratura clinica per descrivere differenti qualità del dolore, suddivise in quattro classi ed articolate in 20 sottoclassi (o item); ciascuna sottoclasse è costituita da un insieme di parole che la maggior parte dei soggetti considera qualitativamente simili: alcune sono realmente sinonimi altri lo sembrano soltanto, ma sono, in realtà, livelli diversi di gravità. Delle quattro classi:
• la prima, composta dai primi 10 item, descrive le qualità sensoriali (SQ) delle esperienze, in termini temporali, spaziali, di pressione (puntorio, penetrante, costrittivo, traente), termici, di vivacità, di ottusità eccetera;
• la seconda (item 11-15) descrive le qualità affettive (AQ) delle sensazioni in termini di tensione, paura, sintomi autonomi propri del dolore;
• la terza, di valutazione (EQ), descrive la qualità soggettiva del dolore (item 16);
• la quarta (item 17-20) prende in considerazione misure eterogenee del dolore (MP) (se è diffuso o irradiato, pressorio o lacerante, fastidioso o tormentoso, eccetera).
Il questionario contiene anche uno schema del corpo umano, sul quale il soggetto indica la localizzazione del dolore, una lista di parole che descrive le caratteristiche dell’andamento temporale del dolore (breve, momentaneo, transitorio, ritmico, periodico, intermittente, continuo, fisso, costante) ed un descrittore della gravità globale del dolore attuale (present pain intensity – PPI), l’item 21, espresso su di una scala da 0 a 5 (dove 0 = dolore assente, 1 = lieve, 2 = crea disagio, 3 = penoso, 4 = insopportabile, 5 = straziante). Il paziente è invitato a scegliere, per ogni subclasse, solo l’aggettivo che meglio descrive le sue sensazioni
relative al dolore in quel momento.
L’MPQ fornisce tre indici:
• l’indice di valutazione del dolore (pain rating index – PRI): per ognuna delle quattro classi, si sommano i punteggi assegnati (in ordine crescente di gravità) agli aggettivi che le compongono ed il totale rappresenta il PRI di quella classe;
• il numero di parole scelte (number of word choosen – NWC);
• il PPI, come indicatore generale del dolore.
Lo strumento ha mostrato delle buone caratteristiche psicometriche. Sembra che ogni tipo di dolore presenti, almeno nelle grandi linee, una costellazione caratteristica di aggettivi.
L’MPQ è stato tradotto in numerose lingue, compreso l’italiano. Maiani e Sanavio (1984) ne hanno proposto una versione strettamente aderente all’originale, mentre De Benedittis e collaboratori (1988) ne hanno proposto una versione modificata, il Questionario Italiano del Dolore – QUID. La struttura fattoriale del QUID, come quella dell’MPQ è articolata in tre dimensioni, Sensoriale, Affettiva e Valutativa, ma il numero dei descrittori è stato ridotto a 42 e le sottoclassi sono state portate a 16.
Uno strumento interessante per la misurazione del dolore è il West Haven-Yale Multidimensional Pain Inventory – WHYMPI (Kerns et al., 1985), un questionario di autovalutazione in cui viene esplorata la dinamica della relazione tra variabili psicosociali e dolore. Questo strumento è teoreticamente legato alle teorie cognitivo-comportamentali del dolore cronico e della valutazione dello stato di salute. È costituito da 52 item suddivisi in tre parti, ciascuna delle quali composta da un numero diverso di scale (in totale 12):
• la prima parte comprende 5 scale (per 20 item) che esplorano l’impatto del dolore cronico sulla vita del soggetto;
• la seconda parte è composta da 3 scale (per 14 item) e valuta la percezione del soggetto delle risposte degli altri alla comunicazione (diretta o indiretta) del suo dolore;
• la terza parte, composta da 4 scale (per 18 item), valuta la misura in cui il soggetto con dolore partecipa alle attività della vita quotidiana.
Gli item sono valutati su di una scala a 7 punti nella quale 0 corrisponde all’assenza del problema e 6 alla massima gravità; i punteggi sono riportati in modo tale da suggerire una scala analogico-visuale senza punti di ancoraggio se non i due estremi.
Sulla base dell’analisi del WHYMPI, Turk e Rudy (1990) hanno proposto una classificazione empirica del dolore denominata MAP (Multiassial Assessment of Pain), che individua tre categorie affidabili di pazienti con dolore cronico, Disfunzionali, con Stress interpersonale e Adattivi. È stata proposta anche una versione del WHYMPI per il coniuge, in modo da poter avere una conferma dell’autovalutazione del paziente e per valutare l’impatto del dolore sulle persone che vivono accanto al paziente.
Vogliamo far cenno qui di una breve scala di valutazione messa a punto per misurare le compromissioni conseguenti al dolore, il Pain Disability Index – PDI (Pollard, 1984). È composta da 7 domande che si propongono di valutare la misura in cui, secondo il paziente, la sua sintomatologia dolorosa interferisce con le sue prestazioni nelle aree della responsabilità familiare, del tempo libero, delle attività sociali e lavorative, della vita sessuale, della cura di sé e nelle attività di supporto della vita. Gli item sono valutati su di una scala da 0 a 10 (cioè dall’assenza di disabilità alla disabilità completa). Lo strumento ha mostrato buone caratteristiche psicometriche, tuttavia, l’interpretazione dei risultati deve essere molto attenta perché lo strumento si presta ad essere manipolato con l’obiettivo di ottenere dei vantaggi.
Dismorfismo corporeo
Il disturbo da dismorfismo corporeo (Body Dysmorphic Disorder – BDD) è caratterizzato dalla preoccupazione per un difetto corporeo immaginario o per una esagerata valutazione di un difetto fisico trascurabile. I soggetti che presentano questo disturbo provano generalmente un disagio molto marcato per la presunta deformità al punto di vivere le preoccupazioni ad essa relative come dolorose, tormentose, laceranti. Il BDD ha molti elementi a comune con il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) e, non di rado, i due disturbi sono in comorbidità. È stato calcolato, ad esempio, che il 14,5% dei soggetti con DOC presenta anche un disturbo da dismorfismo corporeo. In entrambi i disturbi le preoccupazioni ossessive generano un elevato livello di ansia, con pensieri ricorrenti difficilmente controllabili e sono generalmente accompagnate da comportamenti ripetitivi, spesso ritualistici; il contenuto dei due disturbi è spesso simile, essendo caratterizzato da preoccupazioni per la simmetria e per la perfezione, dalla paura che qualcosa non "sia apposto", dalla necessità di controlli e di rassicurazioni (Phillips et al., 1998).
Lo strumento di valutazione più completo per il BDD è senz’altro il Body Dysmorphic Disorder Examination – BDDE (Rosen e Reiter, 1990), un’intervista semistrutturata messa a punto per la diagnosi, per la valutazione della gravità dell’immagine negativa del corpo e per il monitoraggio della risposta al trattamento. La scala esplora sei aree:
• preoccupazione e valutazione negativa per l’aspetto fisico,
• coscienza di sé, imbarazzo, sentirsi osservati in pubblico,
• eccessiva importanza data all’aspetto fisico nella valutazione di sé,
• evitamento delle situazioni sociali o delle attività in pubblico ed evitamento del contatto fisico con gli altri,
• mascheramento del corpo,
• comportamento di controllo del corpo (auto-osservazione, cura ossessiva, ricerca di rassicurazioni, confronto con gli altri).
Il BDDE è stato accuratamente testato e le sue caratteristiche psicometriche sono risultate di ottimo livello. Cuzzolaro (che aveva curato la traduzione e l’adattamento italiano del BDDE) ed i suoi Collaboratori, avendo rilevato la bassa concordanza fra i diversi osservatori nella valutazione diagnostica dei disturbi dell’immagine del corpo e ritenendo che l’atteggiamento verso l’immagine corporea sia un concetto multidimensionale che include elementi cognitivovalutativi, emotivi e comportamentali, hanno proposto una loro scala di autovalutazione, la Body Uneasiness Test – BUT (Cuzzolaro et al., 1999). Per la costruzione dello strumento sono state isolate, sulla base dell’esperienza clinica, 34 espressioni che sono risultate più frequenti e più tipiche dei soggetti con problemi di dismorfismo corporeo e 37 parti o funzioni del corpo che più frequentemente sono oggetto di problema per questi soggetti. Il soggetto è invitato a dire in che misura ciascuna delle espressioni isolate corrisponde alla sua realtà attuale ed in che misura detesta le parti o funzioni del corpo elencate. Mediante l’analisi fattoriale sono stati isolati 5 fattori (fobia del peso, preoccupazione per l’immagine del corpo, condotte di evitamento, controlli compulsivi e depersonalizzazione). I punteggi ottenuto forniscono, oltre al punteggio totale, una serie di indici che ricalcano quelli della SCL-90-R: Global Severity Index (GSI), Positive Symptom Total – PST e Positive Symptom Distress Index (PSDI).
Sulla base delle considerazioni di cui abbiamo fatto cenno all’inizio circa la stretta correlazione tra BDD e DOC, è stato ipotizzato l’impiego, nella valutazione standardizzata del BDD, di una versione modificata della Yale-Brown Obsessive Compulsive Scale – Y-BOCS (vedi Cap. 11), il Body Dysmorphic Disorder – Yale-Brown Obsessive Compulsive Scale – BDD-Y-BOCS (Phillips et al., 1997). Gli item da 1 a 5 valutano le preoccupazioni ossessive riguardo ai difetti fisici, cioè il tempo occupato, l’interferenza con le attività del soggetto, lo stress che provocano, la resistenza alle preoccupazioni ed il loro controllo. Gli item da 6 a 10 esplorano, con le stesse modalità dei primi 5, il comportamento compulsivo. Gli item 11 e 12 esplorano l’insight e l’evitamento. Per ogni item, il punteggio può andare da 0 (assenza) a 4 (massima gravità) e quindi il punteggio totale può andare da 0 a 48. La BDD-YBOCS ha mostrato ottime caratteristiche psicometriche; i suoi punteggi correlano significativamente con la gravità globale, meno con la sintomatologia depressiva; è risultata sensibile alle modificazioni della gravità e perciò utilizzabile come strumento di valutazione del cambiamento nel corso del trattamento (Phillips et al., 1997).
Dissociazione somatoforme
Abbiamo detto che i pazienti con disturbo dissociativo manifestano spesso sintomi somatici, che il disturbo da somatizzazione comorbida frequentemente con il disturbo dissociativo (Ross et al., 1989; Saxe et al., 1994) e che i sintomi somatici possono riflettere un fenomeno dissociativo somatoforme (Kihlstrom, 1992, 1994). La maggior parte degli strumenti di valutazione di questo disturbo misurano gli aspetti psicologici della dissociazione e minore attenzione è stata rivolta agli aspetti somatoformi. Nijenhuis e collaboratori (1996) hanno cercato di colmare questa lacuna mettendo a punto il Somatoform Dissociation Questionnaire – DSQ-20, una scala di autovalutazione composta da 20 item capace di discriminare i soggetti che hanno un disturbo dissociativo da quelli che non lo hanno. Gli item del SDQ-20 esplorano la riduzione della sensibilità (compresa l’analgesia) e l’anestesia cenestesica, la riduzione del controllo motorio (inibizione), la paralisi generale ed i sintomi pseudoepilettici, le alterazioni della vista, dell’udito, del gusto, del tatto, dell’odorato ed i sintomi urogenitali. Gli item sono valutati su una scala da 1 a 5, l’indice discriminante è risultato pari a 4,0 (Nijenhuis et al., 1996). Il punteggio totale dell’SDQ-20 non si modifica in rapporto al sesso o all’età dei soggetti esaminati, mentre si correla con la presenza di eventi traumatici in anamnesi.