È facile dimostrare che i sogni rivelano spesso palesemente il loro carattere di appagamento di un desiderio, tanto che desta meraviglia il fatto che il linguaggio onirico non sia stato compreso già da molto tempo. Esiste per esempio un sogno che posso creare quando voglio, per così dire sperimentalmente. Se alla sera mangio acciughe, olive o altri cibi salati, la sete di cui soffro la notte mi sveglia. Il risveglio però è spesso preceduto da un sogno, ogni volta di identico contenuto, il sogno cioè di stare bevendo. Bevo acqua a grandi sorsate, mi piace come solo può piacere una bevanda fresca quando si muore di sete, poi mi sveglio e sono costretto effettivamente a bere.
Una delle cause di enuresi notturna per gli adulti è avere un forte desiderio di urinare: se questo desiderio è ben inserito nel sogno, c’è effettivamente rischio di urinare durante il sonno, proprio perché il soddisfacimento di tale bisogno protegge il sonno.



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Freud parla della sete, in quanto argomento più accettabile rispetto al desiderio di urinare o ad altri del genere.
Questo semplice sogno è causato dalla sete, che io sento nel momento del risveglio. Da questa sensazione nasce il desiderio di bere e il sogno a sua volta mi presenta questo desiderio esaudito. Il sogno è al servizio di una funzione che mi è facile indovinare. Dormo bene e non ho l’abitudine di essere svegliato da un bisogno. Se riesco a placare la mia sete con un sogno in cui bevo, non ho bisogno di svegliarmi per soddisfarla. Si tratta dunque di un sogno di comodità. All’agire si sostituisce il sognare, come del resto succede in altre occasioni della vita. Purtroppo la mia sete d’acqua non può essere soddisfatta da un sogno, così come la mia sete di vendetta contro l’amico Otto e il dottor M., ma vi è in entrambi i casi la stessa intenzione. Poco tempo fa, lo stesso sogno ha subito qualche variazione. Avevo sete già prima di addormentarmi e vuotai il bicchiere d’acqua posto sul comodino accanto al mio letto. Alcune ore dopo, nel corso della notte, ebbi un nuovo attacco di sete con tutti gli inconvenienti del caso. Per procurarmi l’acqua mi sarei dovuto alzare e andare a prendere il bicchiere sul comodino di mia moglie. Sognai dunque, opportunamente, che mia moglie mi offriva da bere in un vaso; il vaso era un’urna cineraria etrusca che avevo portato a casa da un viaggio in Italia e poi regalato. L’acqua che esso conteneva era così salata (evidentemente a causa della cenere) che fui costretto a svegliarmi. Si noti come il sogno disponga ogni cosa in modo conveniente. Dato che l’unica sua intenzione è l’appagamento di un desiderio, può essere perfettamente egoista. In realtà l’amore per la comodità non è compatibile con certi riguardi per altre persone. Probabilmente l’intervento dell’urna cineraria rappresenta un desiderio esaudito: mi dispiace di non possedere più il vaso, come del resto di non poter raggiungere il bicchiere di mia moglie. L’urna cineraria conviene inoltre alla sensazione, diventata ora più intensa, di sapore salino che, come so, mi costringerà al risveglio.
L’urna cineraria poterebbe significare che il desiderio non era sua moglie, ma qualcosa di archeologico, di antico, come un oggetto etrusco, con il timore antico che corrisponde alla morte: il desiderio era del seno della mamma, non del vaso della moglie. Ma a questo Freud non era ancora arrivato.
Avevo spesso simili sogni di comodità negli anni giovanili. Abituato da sempre a lavorare fino a notte tarda, svegliarmi presto mi è sempre stato difficile. Sognavo di solito di essermi alzato e di trovarmi al lavabo. Dopo un po’ di tempo non potevo non rendermi conto di non essermi ancora alzato, ma nel frattempo avevo dormito ancora un poco.
Un esempio di sogni di comodità: una paziente, che di solito si sdraia sul lettino togliendosi le scarpe, ha sognato di venire in seduta portandosi dietro le pantofole, e il giorno che doveva venire in seduta di mattina non si è poi presentata perché non si è svegliata in tempo. È chiaro che ha avuto la fantasia di avere la sua seduta dormendo, in modo da potersene restare a letto; però il senso è anche opposto: istituire con me un rapporto, del tipo “io dormo nel letto tuo, sto da te”. Sogno di comodità: ha dormito appagando due desideri: uno di non alzarsi, un desiderio comune a molti, secondo realizzando il desiderio di stare sempre con me.
Un mio giovane collega, che sembra condividere la mia inclinazione al sonno, presenta in forma particolarmente spiritosa lo stesso sogno determinato da pigrizia. La padrona di casa presso cui abitava, nei dintorni dell’ospedale, aveva l’ordine tassativo di svegliarlo in tempo ogni mattina, ma durava fatica a eseguirlo. Una mattina il sonno gli era particolarmente gradevole. La donna gridò nella stanza: “Signor Pepi si alzi, deve andare all’ospedale”. Dopodiché egli sognò una camera d’ospedale, un letto nel quale giaceva, e una tabella clinica su cui si leggeva: Pepi H., studente in medicina, anni 22. In sogno egli si disse: “Se mi trovo già all’ospedale, non occorre che ci vada”. Si girò dall’altra parte e continuò a dormire. Aveva confessato apertamente a se stesso il motivo del proprio sogno.
É vero che continua a dormire, appagando in tal modo questo suo desiderio, ma si trova tuttavia nel letto di ospedale, come malato: il desiderio è sì realizzato, ma pagando la colpa con l’essere in ospedale come paziente.
Ecco un altro sogno il cui stimolo agì parimenti durante il sonno stesso. Una mia paziente, che si era dovuta sottoporre a un’operazione alla mascella, con esito sfavorevole, avrebbe dovuto, secondo i medici, portare giorno e notte un apparecchio refrigerante sulla guancia malata. Invece, appena addormentata aveva l’abitudine di gettarlo da parte. Un giorno mi si chiese di rimproverarla per aver gettato a terra un’altra volta l’apparecchio. L’ammalata si giustificò in questo modo: “Questa volta non è colpa mia: è stato in seguito ad un sogno. Sognavo di trovarmi in un palco all’opera ed ero tutta intenta alla rappresentazione. In sanatorio si trovava invece il signor Karl Meyer e si lamentava di terribili dolori alla mascella. Mi sono detta: ‘Visto che non sono io ad avere i dolori non ho bisogno dell’apparecchio.’ E quindi l’ho buttato via”. Il sogno di questa povera martire sembra la rappresentazione di un modo di dire che ci viene spontaneo in circostanze spiacevoli: “Potrebbe andarmi meglio”. Il sogno mostra questo “andar meglio”. Il signor Karl Meyer, cui la sognatrice aveva trasferito i suoi dolori, era, nella cerchia dei suoi conoscenti, il più indifferente tra i giovani che potessero venirle in mente.
Freud morì per un carcinoma alla mascella, dopo ben 36 interventi, e dovette anche portare un apparecchio: questa descrizione fatta 40 anni prima sembra quasi divinatoria! Ma, senza ricorrere alla divinazione, si può osservare come Freud fosse già allora un fobico: era un fumatore di pipa e di sigaro, e a quei tempi era già nota la possibilità, connessa al fumo, di sviluppare un carcinoma del cavo orale: è possibile che fosse una sorta di autodiagnosi.
Altrettanto facile è scoprire l’appagamento di un desiderio in alcuni sogni che ho raccolto fra persone sane. Un amico che conosce la mia teoria sul sogno, e ne ha parlato con sua moglie, mi disse una volta: “Mia moglie m’incarica di dirti che ha sognato ieri di avere le mestruazioni. Saprai certo cosa significhi”. Lo so certo: se la giovane ha sognato di essere mestruata, vuol dire che le mestruazioni non ci sono state. Posso immaginare che vorrebbe godere della sua libertà per qualche tempo ancora, prima che incomincino i disagi della maternità. Era un modo garbato di comunicare la sua prima gravidanza. Un altro amico mi scrive che sua moglie ha sognato recentemente macchie di latte sul petto della sua camicetta. Anche questo è un annuncio di gravidanza, ma non della prima: la giovane madre desidera per il suo secondo bambino più latte di quanto abbia avuto per il primo.
Una giovane donna rimasta isolata parecchie settimane per una malattia infettiva del suo bambino sogna, a guarigione avvenuta, di trovarsi in una riunione, cui partecipano Alphonse Daudet, Paul Bourget, Marcel Prevost e altri, tutti molto gentili con lei e che la divertono moltissimo. Anche in sogno questi scrittori hanno i tratti che ella conosce dalle loro fotografie, mentre Marcel Prevost, che non ha mai visto in fotografia, somiglia all’uomo della disinfezione, che il giorno prima ha disinfettato la stanza dell’infermo, suo primo visitatore dopo molto tempo. Sembra si possa tradurre il sogno senza alcuna lacuna: “Sarebbe ora che capitasse qualche cosa di più divertente di questa eterna assistenza a un malato”.
Freud è molto attento, ha ben chiara la necessità di farsi accettare da un mondo che, se non lo accetta, rischia di irrigidirsi verso di lui.
Forse questa scelta basterà a dimostrare che, nelle più svariate condizioni, sono frequentissimi i sogni che possono essere intesi solo come appagamento di desiderio e che mostrano apertamente il loro contenuto. Si tratta per lo più di sogni brevi e semplici, che differiscono piacevolmente dalle confuse e sovraccariche composizioni oniriche che hanno maggiormente attirato l’attenzione degli studiosi (…)
Quanto meno il desiderio è conflittuale, tanto più il sogno è semplice e definito; quanto più il desiderio è conflittuale, tanto più questo non può essere accettato dalla persona, e pertanto nel sogno non può essere espresso in modo diretto, deve essere modificato e alterato, fino alla deformazione del sogno stesso.
(…) Si può presumere che le forme più semplici di sogno si trovino nei bambini, le cui facoltà psichiche sono indubbiamente meno complicate di quelle degli adulti.
Questo concetto è molto importante: il desiderio è immediato, ma non meno conflittuale; tuttavia l’Io non si è ancora formato con le sue strutture e sovrastrutture. Freud afferma a questo punto che il Superio si forma a causa dei vincoli. Per la Klein si forma invece tre anni prima: una delle caratteristiche della teoria Kleiniana è proprio l’anticipazione della formazione del Superio. Il bambino, secondo Freud, è alle prese con le sue pulsioni senza il Superio, quindi i suoi sogni sono più facili da comprendere.
Secondo me la psicologia infantile è destinata a offrire alla psicologia degli adulti contributi analoghi a quelli che lo studio della struttura o dello sviluppo degli animali inferiori ha reso all’indagine della struttura delle specie superiori. Sinora poco è stato fatto per utilizzare consapevolmente in questa direzione la psicologia infantile.
I sogni dei bambini piccoli sono spesso semplici appagamenti di desideri e quindi, in confronto a quelli degli adulti, per nulla interessanti. Non presentano enigmi da risolvere, ma sono di un estremo valore per dimostrare che il sogno, nella sua intima essenza, significa un appagamento di desiderio. Mi è stato possibile raccogliere alcuni esempi di questi sogni nel materiale fornitomi dai miei figli.
Tra questi figli c’è Anna Freud. Anna è lo “scheletro nell’armadio” della psicoanalisi: fu motivo di scandalo poiché venne analizzata dal padre, che non voleva che lei andasse in analisi da qualcun altro.
A una gita alla bella Hallstatt, fatta nell’estate del 1896 partendo da Aussee, debbo due sogni, uno di mia figlia allora di otto anni e mezzo, l’altro di mio figlio di cinque anni e tre mesi. Premetto che quell’estate abitavo su una collina, presso Aussee, da dove con il bel tempo si godeva un magnifico panorama sul Dachstein. Col cannocchiale si poteva riconoscere distintamente il Rifugio Simony. I piccoli tentavano spesse di vederlo: non so con che risultato. Prima della gita avevo detto ai bambini che Hallstatt si trova ai piedi del Dachstein. La loro attesa era grande. Da Hallstatt passammo nella valle dell’Echern, che li entusiasmò col suo mutevole paesaggio. Uno però, il bambino di cinque anni, divenne man mano di cattivo umore. Ogni volta che appariva un nuovo rilievo, chiedeva: “È il Dachstein questo?”. Al che dovevo rispondergli: “No, è solo una collina”. Dopo aver ripetuto parecchie volte la domanda, ammutolì e non volle assolutamente seguirci per il sentiero a gradini che porta alla cascata. Pensai che fosse stanco. Il mattino dopo venne da me tutto beato e mi raccontò: “Stanotte ho sognato che siamo stati al Rifugio Simony”. Ora lo capivo: quando avevo parlato del Dachstein, aveva pensato che nella gita ad Hallstatt saremmo saliti sul monte e avremmo visto da vicino il rifugio di cui si era così tanto parlato accanto al cannocchiale. Quando poi si accorse che lo si voleva accontentare con alcuni colli e una cascata, si sentì ingannato e diventò di cattivo umore. Il sogno lo ricompensò della delusione. Tentai di sapere alcuni particolari del sogno, ma erano miseri. “Si salgono scalini per sei ore”, come aveva sentito dire.
Anche nella bambina di otto anni e mezzo la gita destò desideri che il sogno fu costretto a soddisfare. Avevamo portato con noi a Hallstatt il figlio dodicenne del nostro vicino, un perfetto cavaliere che mi sembrava godere già di tutte le simpatie della signorinetta. Il mattino dopo ella mi raccontò questo sogno: “Pensa un po’, ho sognato che Emil è uno di noi, chiama voi mamma e papà e dorme con noi nella stanza grande come i ragazzi. Poi la mamma entra nella stanza e butta sotto i nostri letti una manciata di tavolette di cioccolata avvolta in carta blu e verde”. I suoi fratelli, i quali dunque, non s’intendono per trasmissione ereditaria di interpretazione dei sogni, dichiararono, proprio come i nostri studiosi: “È un sogno assurdo.” La bambina difese almeno una parte del sogno, e, per la teoria delle nevrosi, è prezioso sapere quale: “che Emil faccia parte della nostra famiglia, è una sciocchezza, ma le stecche di cioccolata no.” Per me, proprio queste erano oscure. La mamma me ne diede la spiegazione. Tornando a casa dalla stazione, i bambini si erano fermati davanti all’apparecchio automatico, desiderando appunto certe tavolette di cioccolata, avvolte in una lucente carta metallica, che l’apparecchio distribuiva, come ben sapevano per propria esperienza. La mamma però aveva giustamente ribattuto che quel giorno aveva già appagato tanti desideri e aveva rifiutato di soddisfare quest’ultimo; il piacere fu riservato al sogno. A me il piccolo episodio era sfuggito. Mi era però perfettamente chiara la parte del sogno scartata da mia figlia. Io stesso avevo udito l’ospite ben educato invitare per strada i bambini ad aspettare che mamma o papà li raggiungesse. Di questa temporanea appartenenza, il sogno della piccina fece un’adozione duratura. La sua tenerezza non conosceva altre forme di vita in comune oltre quelle riportate nel sogno, che sono tratte dal rapporto con i fratelli. Naturalmente non era possibile, senza interrogare la piccola, spiegare perché le stecche di cioccolata venissero buttate sotto il letto.
Qui il desiderio è da un lato quello di avere del cioccolato, dall’altro è quello del ragazzino, che naturalmente la bimba non è in condizioni di esprimere, e quindi lo trasforma in fratello. Freud considera ancora la bambina di 8-9-10 anni incapace di desiderio sessuale: lo comprese e descrisse nel 1905. Qui egli afferma che il desiderio è quello di avere il cioccolato e di tenere con sé il ragazzino; e, siccome il ragazzino ed i fratelli erano rivali, di gettare l’uno e l’altro sotto il letto, nascondendoli.
Un sogno molto simile a quello di mio figlio mi è stato raccontato da amici. Riguarda una bambina di otto anni. Il padre aveva fatto con molti bambini una gita a Dornbach per visitare la capanna Rohrer, ma tornò indietro perché si era fatto tardi e promise ai bambini di ripetere la gita un’altra volta. Al ritorno passarono davanti al cartello che indica la via per il Hameau. I bambini pretesero allora di esservi condotti ma anche questa gita, per lo stesso motivo, venne rimandata ad un altro giorno. Il mattino seguente la bambina di otto anni andò soddisfatta incontro al padre dicendogli: “Papà, oggi ho sognato che sei stato con noi alla capanna Rohrer e al Hameau”. La sua impazienza aveva dunque anticipato la realizzazione della promessa fattale dal padre.
Altrettanto sincero è un altro sogno, indotto in mia figlia di tre anni e tre mesi dal bel paesaggio di Aussee. La piccola aveva attraversato per la prima volta il lago, e il tempo della traversata le era passato troppo in fretta. Al ponte di sbarco non volle lasciare la barca e si mise a piangere amaramente. Il mattino dopo mi raccontò: “Stanotte sono stata sul lago.” Speriamo che la durata di questo viaggio onirico le abbia dato maggior soddisfazione. [O.S.F., Vol. 3, da pag. 122 a pag. 127]
Questo capitolo inizia con i sogni degli adulti, quali realizzazioni di desideri complessi da dimostrare, poi si sostiene che nei bambini il sogno è realizzazione diretta dei desideri. Sono portati esempi abbastanza convincenti, anche se vi si può intravedere qualcosa al di sotto, perché i bambini di cui parla Freud non sono proprio dei bambini, ma dei ragazzini di 8-12 anni. Questo è tipico della borghesia dell’800, che non dava considerazione al bambino piccolo. Freud approfondirà questi concetti illustrando il caso del piccolo Hans, un bambino di nove anni, in cui vi è un rapporto conflittuale con il padre, e Hans si comporta da ometto: l’età dell’Edipo è passata.


 

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