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La psicologia dei costrutti personali. Teoria e personalità

15 Giu 19

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LA PSICOLOGIA DEI COSTRUTTI PERSONALI DI KELLY. LE RAGIONI DI UNA RIPROPOSTA

[pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore e dell’Editore Cortina, l’introduzione al Kelly, scritta da Mario Castiglioni; abbiamo eliminato note e bibliografia, che il lettore potrà trovare nel testo stampato]

Cinquant’anni fa, nel 1955, veniva pubblicata in due poderosi volumi un’opera destinata a esercitare una notevole influenza su idee, teorie e metodi della psicologia, in particolare della psicologia clinica e della personalità: The Psychology of Personal Constructs di George Kelly.

In questo monumentale lavoro l’autore prendeva nettamente le distanze da alcuni presupposti ampiamente condivisi dalla comunità scientifica del tempo, anticipando temi, punti di vista e soluzioni che soltanto molti anni dopo avrebbero ricevuto un consenso così ampio da rendere l’opera un vero e proprio classico. Vengono qui per la prima volta pubblicati in traduzione italiana sette dei dieci capitoli del primo dei due volumi del lavoro fondamentale di Kelly. Le ragioni dell’edizione italiana stanno proprio nel suo essere un classico e insieme un’opera ricca di spunti tuttora attuali per il lettore contemporaneo.

Già al suo apparire il libro di Kelly aveva destato interesse per l’originalità delle idee in esso propugnate, come attestano le recensioni di Bruner (1956) e di Rogers (1956). Tuttavia l’humus culturale della psicologia americana degli anni Cinquanta si rivelò non ancora adatto a recepire appieno la portata radicalmente innovativa del suo pensiero, in particolar modo dei suoi assunti epistemologici costruttivisti; così per diversi anni quella di Kelly rimase voce isolata e incompresa. La psicologia dei costrutti personali ebbe miglior fortuna in Gran Bretagna dove si sviluppò a opera soprattutto di Don Bannister e Fay Fransella; di là, dopo il compimento della rivoluzione cognitiva, si diffuse pressoché in tutto il mondo.

Ma da dove nascevano idee tanto originali? Critici e biografi di Kelly (Fransella, 1995; Fransella, Neimeyer, 2003) sembrano concordi nel ritenere la sua opera frutto del lavoro di un’intera vita e le sue idee esito di un percorso biografico e professionale del tutto peculiare e in verità piuttosto anomalo. Partiamo dunque da questi dati biografici per la nostra ricognizione introduttiva.

Vita e opere di George A. Kelly

George Alexander Kelly nacque a Perth (Kansas) il 28 aprile 1905, figlio unico di Theodore Vincent Kelly e di Elfleda Merriam Kelly. Il padre, un pastore presbiteriano, aveva lasciato il suo ministero per vivere in una fattoria povera e isolata nel Kansas. In tale ambiente desolato della provincia americana, dove — come nota Bannister (1979) — se ti serve qualcosa devi costruirtela, il piccolo George trascorse buona parte dell’infanzia. Tra il 1909 e il 1913 Theodore, in cerca di fortuna, si trasferì con la famiglia nel Colorado orientale divenendo uno degli ultimi coloni della frontiera americana; le condizioni di estrema povertà e di disagio lo indussero però a porre fine a quest’avventura e a fare definitivamente ritorno alla fattoria del Kansas.

La madre era figlia di un capitano di marina, il quale, trovatosi tagliato fuori dalle rotte commerciali dell’Atlantico settentrionale a causa dell’avvento dei battelli a vapore, si era diretto verso le rotte caraibiche, stabilendo la propria base nelle isole Barbados. Delle avventure del nonno marinaio rimane una vivida traccia nell’opera di Kelly, ricca di metafore marinare e di esempi tratti dal mondo della navigazione.

Il futuro brillante accademico fondatore della psicologia dei costrutti personali ebbe un percorso formativo alquanto tortuoso. A causa delle peregrinazioni della sua famiglia e dell’isolamento nella fattoria del Kansas, Kelly non frequentò regolarmente la scuola ma venne educato dai genitori fino all’adolescenza: il primo periodo della sua educazione scolastica formale si compì infatti nel 1918 presso la scuola della città di Wichita. Come raccontò spesso con una punta di compiacimento, egli non conseguì alcun diploma di scuola superiore. A 16 anni si iscrisse alla Friend’s University Academy di Wichita, dove, nel 1926, conseguì il baccalaureate in matematica e fisica. L’interesse per le discipline matematiche lasciò cospicui riflessi nel suo modo di concepire la psicologia e nella tecnica delle griglie di repertorio da lui inventata (Fransella, 1983; 1995).

Abbandonata l’idea di diventare ingegnere, Kelly frequentò un

master in sociologia dell’educazione all’università del Kansas. Nel 1927, con la tesi ancora incompleta, si trasferì a Minneapolis dove si guadagnò da vivere insegnando alle scuole serali; si iscrisse anche ai corsi universitari di sociologia e biometria, ma ben presto fu costretto a rinunciare per motivi economici. Nell’inverno del 1927 trovò posto come insegnante di psicologia e di tecniche teatrali allo Sheldon Junior College nello Iowa: lì il ventiduenne Kelly, a contatto con classi di ragazzi problematici, cominciò a elaborare le prime idee sugli effetti terapeutici della recitazione che, tempo dopo, sfociarono nella sua "terapia del ruolo stabilito". Con una borsa di studio riuscì a trascorrere un anno all’università di Edimburgo, in Scozia, dove conseguì un bachelor in pedagogia; al suo ritorno completò la propria formazione con un PhD in psicologia, discutendo nel 1931, all’università dello Iowa, una tesi sui disturbi del linguaggio e della lettura. Nello stesso anno, nel pieno della grande depressione americana, sposò Gladys Thompson.

Sempre nel 1931 Kelly trovò il suo primo vero lavoro al Fort Hayes Kansas State College, dove rimase per dodici anni: è di questo periodo l’esperienza di una clinica psicologica itinerante, da lui ideata, diretta e gestita insieme a uno sparuto gruppo di allievi, esperienza che sarà fondamentale per la formulazione delle sue successive teorie. Di questo periodo sono anche due libri, concepiti come supporti didattici ed entrambi rimasti inediti, il primo dal titolo Understandable Psychology, il secondo Handbook of Clinical Practice (antenato dell’opera del 1955); da essi si evince tra l’altro come già negli anni Trenta Kelly utilizzasse (con oltre due decenni di anticipo rispetto al differenziale semantico di Osgood, Suci e Tannenbaum, 1957) un sistema di valutazione su scale bipolari a cinque punti.

Durante la seconda guerra mondiale Kelly, in qualità di psicologo, si occupò di selezione e formazione per l’aviazione militare. Al termine della guerra egli trascorse un anno all’università del Maryland prima di essere nominato, nel 1945, professore e successivamente direttore del servizio di psicologia clinica dell’università dell’Ohio, dove si fermò per vent’anni. Qui, oltre all’insegnamento, si dedicò per un intero decennio alla stesura dei due volumi della sua opera fondamentale, The Psychology of Personal Constructs (in totale circa 1200 pagine), pubblicati dall’editore Norton di New York nel 1955. Nel 1963 apparvero presso lo stesso editore, in edizione tascabile tuttora reperibile, i primi tre capitoli del primo volume, con il titolo A Theory of Personality; i due volumi originali andarono invece presto esauriti e per lungo tempo furono reperibili soltanto nelle biblioteche universitarie, fino a che nel 1991 l’editore Routledge, in collaborazione con il Centro inglese per la psicologia dei costrutti personali, non decise di ripubblicarli. Nel 1965, su invito di Abraham Maslow, Kelly si trasferì alla Brandeis University di Boston, dove la morte lo colse prematuramente il 6 marzo 1967, mentre stava lavorando a un’edizione critica di alcuni suoi saggi, pubblicati postumi da Maher (1969).

A parte l’opera fondamentale del 1955, Kelly nella sua vita scrisse diversi lavori destinati a rimanere inediti o a essere pubblicati postumi. Fransella (1995) riferisce dell’incertezza di Kelly rispetto alla pubblicazione delle proprie opere:

"Kelly fu certamente ambivalente circa la pubblicazione dei suoi lavori. Una volta mi disse che [l’opera del 1955] era solo uno dei cinque libri da lui scritti per essere pubblicati e che l’averla pubblicata poteva essere un errore (Kelly, 1966). Una possibile interpretazione di ciò è che egli sentisse che era troppo presto perché le sue idee radicalmente nuove fossero accettate dagli psicologi. Altri ritengono che avesse un atteggiamento sdegnoso verso il proprio lavoro. È tuttavia evidente che egli era molto legato alla propria teoria" (p. 12).

Fransella, sulla base di numerose testimonianze dirette, descrive Kelly come un tipo di notevole spessore e come un personaggio "multidimensionale", ovvero come un uomo dalle molte sfaccettature sia sul piano personale sia su quello professionale (Fransella, 1995; Fransella, Neimeyer, 2003). Della molteplicità di interessi intellettuali rimangono numerose tracce nelle sue pagine. In particolare un aspetto dello stile cognitivo e di scrittura di Kelly esprime bene la cifra peculiare della sua opera: accanto a una visione teorica molto ampia e astratta si nota un’attenzione quasi ossessiva ai dettagli. Ciò configura l’opera di Kelly come una vera miniera di scoperte e di intuizioni folgoranti, anche se ne rende la lettura non sempre agevole. Si potrebbe dire che lo stile di Kelly (specie nei primi capitoli), con l’alto livello di consapevolezza epistemologica e il continuo sforzo per definire i singoli termini utilizzati e le loro complesse relazioni, ricordi più un’opera filosofica europea che non un trattato americano di psicologia. Parlando dello stile del suo libro, Kelly stesso nell’introduzione al primo volume dichiara di avere adottato uno stile "spiraliforme", che comporta un gioco continuo di rimandi di capitolo in capitolo dalla teoria alla pratica clinica; ciò implica una sorta di ripetizione dei concetti, ogni volta ripresi però a un livello superiore di complessità.

Prima di trattare della struttura globale dell’opera, soffermiamoci però a descrivere alcuni presupposti di base della teoria.

Caratteri salienti della psicologia dei costrutti personali

La posizione teorica di Kelly, sintetizzata nell’assunto dell’alternativismo costruttivo secondo cui esistono molteplici modalità alternative ugualmente valide per interpretare la realtà, si pone a pieno titolo entro il paradigma costruttivista.

Il termine "costruttivismo" denota la posizione filosofica secondo cui la realtà conosciuta non precede la conoscenza, ma viene a qualche livello costruita (o ri-costruita) dal soggetto conoscente. La "realtà" non è qualcosa di univocamente e oggettivamente dato. Ciò che si conosce è inestricabilmente connesso al soggetto conoscente: nessuna conoscenza può pertanto considerarsi "oggettiva", nel senso di inerente alle proprietà dell’oggetto conosciuto. Il costruttivismo si oppone sotto questo profilo al realismo. In altri termini, non esiste realtà che sia indipendente da un soggetto che la conosce; il ruolo dell’osservatore, lungi dall’essere passivo e neutrale, configura la conoscenza non come un semplice rispecchiamento del mondo "oggettivo" esterno, ma come una forma attiva di costruzione.

Sostenere una simile posizione oggi può sembrare quasi ovvio, ma non così era negli Stati Uniti degli anni Cinquanta, dove il panorama della psicologia era dominato dal behaviorismo. Esso rappresentava emblematicamente la convinzione diffusa che le scienze umane, e segnatamente la psicologia, dovessero, per assurgere a una qualche dignità scientifica, mutuare il proprio statuto epistemologico e metodologico da discipline più avanzate sul piano sperimentale. Questa opzione di chiara ascendenza neopositivista aveva condotto alla famosa tesi della mente come "scatola nera", ossia a una radicale esclusione dall’ambito della scienza di tutti gli aspetti propri della sfera soggettiva non suscettibili di rigorosa indagine empirica.

Al modello comportamentista "stimolo-risposta", Kelly contrappone l’idea di "uomo-scienziato", motivato da ragioni epistemiche, in grado di adattare attivamente a sé il proprio ambiente, grazie alla capacità creativa del vivente di rappresentarsi l’ambiente e non semplicemente di rispondere a esso. Scopo precipuo dell’uomo è predire e controllare gli eventi, ossia attribuire a essi un significato. L’uomo crea a tal fine un sistema organizzato di costrutti bipolari (per esempio, bello-brutto, dipendente-autonomo, intelligente-ottuso ecc.), attraverso cui interpreta la realtà, rendendola prevedibile. Poiché non esiste un unico modo valido di costruire il mondo, l’uomo può formarsi rappresentazioni alternative della realtà: ciascuno ha cioè la propria visione del mondo (i costrutti sono detti per questo "personali"), la quale può mutare nel corso del tempo a mano a mano che viene posta a confronto con gli eventi.

Sul piano clinico Kelly sostiene la possibilità da parte del paziente di rielaborare attivamente, attraverso la relazione terapeutica, il proprio sistema di costrutti divenuto disfunzionale, sperimentando costruzioni alternative a quella che ha creato il disturbo.

La prospettiva kelliana si oppone qui alla teoria psicoanalitica classica. Questa, pur ponendosi a un livello del tutto differente rispetto al comportamentismo, giunge a conclusioni non meno deterministiche sulla natura umana. L’adozione di un paradigma costruttivista consente a Kelly di evitare sia il determinismo di tipo ambientalista (tipico del behaviorismo) sia quello di matrice storico-evolutiva (tipico della psicoanalisi).

Tale prospettiva, se contribuisce a isolare Kelly dalla comunità scientifica del suo tempo, fa di lui un anticipatore di temi, problemi e soluzioni che avranno grande rilievo scientifico soltanto molti anni dopo la sua morte. A partire dagli anni Ottanta il paradigma costruttivista si è andato affermando in diversi settori della psicologia. In primis la psicologia cognitivista, ormai emancipatasi dal comportamentismo, considera Kelly come un precursore, sia sul piano teorico sia su quello clinico (cfr. per esempio Bara, 1996). Anche sull’approccio sistemico-relazionale, impegnato a ridefinire i propri presupposti epistemologici dopo il superamento della fase pragmatica, il paradigma costruttivista e la teoria di Kelly hanno esercitato una cospicua influenza (cfr. per esempio Ugazio, 1998; Telfener, Casadio 2003). Infine, all’interno di alcune correnti della psicoanalisi contemporanea non esenti dagli influssi del costruttivismo, le idee di Kelly rappresentano un termine di confronto sempre più frequente (cfr. per esempio Wright, 1991).

In questo mutato clima culturale, la psicologia dei costrutti personali è stata riscoperta e valorizzata. Moltissimi sono gli autori e gli approcci teorico-metodologici che oggi si rifanno alla teoria di Kelly come a una pietra miliare; ancora più numerose sono le ricerche che fanno uso del Rep Test e della tecnica delle griglie di repertorio, che della psicologia dei costrutti personali rappresentano il più significativo contributo sul piano metodologico.

Va però precisato che non è del tutto corretto considerare Kelly un cognitivista ante litteram. È stato Walter Mischel, uno degli allievi di Kelly, a fare del maestro un antesignano della psicologia cognitiva: "Molto prima che la ‘psicologia cognitiva’ esistesse, Kelly creò una teoria della personalità realmente cognitiva" (Mischel, 1980, p. 86). In verità sono molti (cfr. per esempio Fransella, Neimeyer, 2003; Chiari, Nuzzo, 2003) a non condividere quest’idea: la prospettiva di Kelly non pone in linea di principio alcuna frattura tra cognition ed emotion, come accadrà invece per i cognitivisti, almeno fino a un’epoca relativamente recente. La posizione di Kelly sembra piuttosto avvicinabile a quella di Bruner (1990), il quale, in polemica con la metafora computazionale postulata dalla psicologia cognitivista, sottolinea come l’attività peculiare dell’uomo sia la "ricerca del significato". Il focus della psicologia di Kelly è infatti rappresentato dalle dimensioni semantiche peculiari con cui la persona dà senso a se stessa, alla realtà e al proprio mondo relazionale: è precisamente in quest’ottica che si esprime Bruner (1956) quando nella sua recensione definisce la psicologia dei costrutti personali "una teoria cognitiva della personalità".

In coerenza con questa attenzione ai significati personali, la psicologia di Kelly adotta un approccio credulo nei confronti del paziente. Esso consiste essenzialmente nel cercare di vedere il mondo con gli occhi del soggetto, ovvero nel tentativo di comprendere il suo sistema costruttivo, le sue modalità di anticipare gli eventi e di interpretare la realtà. In particolare la psicologia dei costrutti personali non antepone un proprio sistema di valori precostituito a quello del paziente, ma assume il sistema di valori dell’individuo. Da questo punto di vista essa si configura come value free orientation (Fransella, Neimeyer, 2003).

La psicologia dei costrutti personali si presenta inoltre come una teoria riflessiva. Con tale espressione si intende che essa, al contrario di molte altre teorie psicologiche, è in grado di comprendere se stessa tra i fatti che intende spiegare, senza porre fratture in linea di principio tra lo scienziato da una parte e i soggetti a cui la teoria si applica dall’altra. La metafora dell’uomo scienziato è in grado di spiegare tra l’altro anche il comportamento dello scienziato professionista e segnatamente dello psicologo dei costrutti personali.

La teoria dei costrutti personali è un atto di costruzione che è spiegato dalla teoria dei costrutti personali. In altri termini, essa non spiega, come la teoria dell’apprendimento, tutti i tipi di comportamento umano tranne la teoria dell’apprendimento. La teoria dei costrutti tratta gli scienziati come persone e le persone come scienziati. (Bannister, Fransella, 1971, p. 25)

Struttura originale dell’opera e scelte effettuate nell’edizione italiana

L’opera originale di Kelly è strutturata, come si è detto, in due volumi: il primo, intitolato A theory of personality, è dedicato alla fondazione della teoria e alle sue ricadute, anch’esse di carattere prevalentemente teorico, sul modo di concepire l’intervento clinico; il secondo, intitolato Clinical diagnosis and therapy, è dedicato invece alle tecniche e alle procedure di applicazione della psicologia dei costrutti personali alla pratica clinica.

Nella presente traduzione italiana sono proposti integralmente sette dei dieci capitoli del primo volume.Per comprendere le ragioni delle scelte effettuate, è opportuno descrivere la struttura globale del primo volume dell’opera originale in cui si collocano i capitoli qui tradotti.

La scelta di focalizzarsi sul primo dei due volumi è dovuta essenzialmente al fatto che, come già notava Rogers (1956), esso contiene i contributi più freschi e originali della psicologia kelliana, gli stessi che oggi risultano ancora attuali.

I primi tre capitoli, inseriti in questa edizione italiana, sono rispettivamente dedicati:

1) alla posizione filosofica dell’alternativismo costruttivo (secondo cui tutte le nostre attuali interpretazioni dell’universo sono suscettibili di essere riviste o rimpiazzate), e alla metafora dell’uomo come scienziato; esse costituiscono le basi per una nuova teoria della personalità;

2) alla struttura della teoria dei costrutti personali, articolata in un postulato fondamentale e in undici corollari, dei quali si definiscono estesamente i termini costitutivi e le loro interrelazioni;

3) alla natura dei costrutti personali, dei quali si descrivono le caratteristiche formali, le modalità di cambiamento e le relazioni con l’esperienza e la cultura.

Non è necessario soffermarsi ulteriormente a descrivere queste parti, giacché il lettore può attingere direttamente alla fonte in traduzione italiana.

Il quarto capitolo del libro originale, dedicato al setting clinico quale banco di prova primario per una teoria della personalità e omesso dall’edizione italiana, per stessa ammissione di Kelly rappresenta una sorta di pausa rispetto allo sviluppo della sua teoria. Infatti esso compie un’ampia digressione sul metodo clinico in psicologia analizzando le differenze tra discipline psicologiche e discipline fisiologiche. Senza togliere nulla alla validità di tali contenuti, che spaziano dall’epistemologia alla teoria della clinica, ci pare che essi facciano parte di un discorso a sé stante che non aggiunge molto alla teoria dei costrutti personali in quanto tale.

Il quinto capitolo dell’opera originale (qui riportato come quarto) è dedicato all’ormai diffusissimo Test di Repertorio (Rep Test), noto anche come tecnica delle griglie di repertorio. Nonostante il suo nome, non si tratta di un vero e proprio test ma di una modalità semistrutturata di conduzione di intervista, atta a fare emergere le dimensioni semantiche fondamentali (i costrutti) attraverso le quali la persona attribuisce senso a sé e al mondo. Uno dei principali vantaggi di tale strumento consiste nell’unire la possibilità di rilevazioni cliniche approfondite di carattere idiografico a quella di effettuare analisi statistiche rigorose, applicabili anche a contesti di ricerca. La tecnica delle griglie di repertorio ha avuto perciò vasta diffusione anche al di fuori della psicologia dei costrutti personali (cfr. Neimeyer, 1985b). Tuttavia tale diffusione ha talora indotto a un uso indiscriminato e strumentale delle griglie, al punto che Bannister (1985) lamenta che nel corso del tempo tale strumento si sia trasformato in una sorta di "mostro di Frankenstein", che ha dimenticato le proprie radici teoriche. Di qui il richiamo di Bell (1988) a modalità di analisi coerenti con la teoria dei costrutti personali, da cui la tecnica delle griglie di repertorio ha tratto origine. Per tale motivo si è deciso di includere in questa edizione italiana l’impianto originale del Rep Test stilato da Kelly.

Per ragioni uguali e contrarie si è invece deciso di escludere il successivo capitolo, il sesto nell’opera originale del 1955, dedicato alla "struttura matematica dello spazio psicologico". In esso l’autore si sofferma ad analizzare molto analiticamente alcune forme particolari di somministrazione del Rep Test, nonché alcune modalità di analisi fattoriale delle griglie con relative implicazioni matematiche. Questa parte risulta oggi un po’ obsoleta, poiché nel corso del tempo si sono aggiunte molte forme alternative di somministrazione dello strumento (cfr. per una rassegna Bell, 2003; Denicolo, 2003; Fransella, 2003) che si configurano come un significativo complemento del testo kelliano. D’interesse eminentemente storico risulta poi la parte sulle analisi matematiche, in considerazione dell’ampio numero dei pacchetti informatici oggi disponibili che permettono elaborazioni statistiche molto sofisticate delle griglie di repertorio e della notevole quantità di ricerche di carattere metodologico su questo tema (cfr. per una rassegna Feixas, Cornejo Alvarez, 1998; Shaw, Gaines, 2003).

Anche il settimo capitolo dell’opera originale di Kelly non è qui stato tradotto. In esso si tratta dell’analisi dell’autocaratterizzazione (Self-Characterization), una delle possibili vie preparatorie alla terapia del ruolo stabilito, oggetto del successivo capitolo qui incluso. L’autocaratterizzazione consiste essenzialmente nel chiedere al paziente di scrivere una descrizione di sé come se fosse fatta da una terza persona che lo conosce molto bene. La consegna di Kelly è particolarmente eloquente su questo punto:

"Voglio che scriva un bozzetto che descrive il carattere di Harry Brown [il nome del paziente], proprio come se fosse il personaggio principale di una commedia. Lo scriva come potrebbe farlo un amico molto benevolo che la conoscesse molto intimamente, forse meglio di chiunque altro. Presti attenzione a scriverlo in terza persona. Per esempio inizi dicendo Harry Brown è…" (Kelly, 1955, p. 523).

Si tratta di una conseguenza dell’approccio credulo tipico della psicologia dei costrutti personali, attraverso il quale il terapeuta è in grado di assumere il punto di vista del paziente. Ciò costituisce il punto di partenza per poter poi proporre al soggetto di sperimentare costruzioni della realtà alternative a quelle che gli sono proprie e che sono diventate disfunzionali.

L’autocaratterizzazione non è però una premessa indispensabile per la terapia del ruolo stabilito (Denicolo, 2003; Epting, 1984). Alcuni terapeuti utilizzano altre procedure per la raccolta delle informazioni necessarie alla definizione del "bozzetto" del ruolo stabilito. Tra questi la somministrazione di particolari tipi di griglia o, in modo più informale, l’utilizzazione di informazioni ottenute attraverso la conduzione di precedenti colloqui clinici.

L’ottavo capitolo (quinto nell’edizione italiana) è dedicato appunto alla terapia del ruolo stabilito. Si tratta di una particolare forma di role playing utilizzato a scopo psicoterapeutico. In sostanza il terapeuta, insieme a un’équipe di colleghi, stende, in base alle informazioni precedentemente raccolte sul sistema costruttivo del paziente, una sorta di copione che il paziente dovrà interpretare per un periodo limitato nel tempo (tipicamente un paio di settimane). Lo scopo è quello di far sperimentare al paziente costrutti personali parzialmente differenti dai suoi e conseguentemente le reazioni che i suoi nuovi comportamenti ottengono da parte delle persone con cui è in relazione. L’assunzione della nuova identità, lungi dall’essere connotata come cambiamento terapeutico, ha scopo dichiaratamente sperimentale ed è perciò limitata nel tempo.

Segue il capitolo nono (qui sesto) dedicato alle dimensioni diagnostiche. Riguardo a esse, particolare rilevanza rivestono i costrutti preverbali, ossia i costrutti più "arcaici", che si situano a livelli molto bassi di consapevolezza, per i quali non è disponibile un’etichetta verbale. Ciò fornisce a Kelly l’occasione di puntualizzare le differenze tra la propria posizione e quelle di stampo psicoanalitico. Altri aspetti significativi del capitolo riguardano i contenuti delle costruzioni, riguardo alle quali l’autore introduce alcune differenze utili a livello diagnostico tra costrutti stretti e allentati, costrutti incidentali e periferici, costrutti sovraordinati e subordinati, costrutti nucleari e periferici.

Il decimo capitolo (qui settimo), con cui ha termine il primo volume dell’opera originale di Kelly e anche la traduzione italiana qui proposta, è dedicato al cambiamento psicoterapeutico. Centrale in questo capitolo è la nozione di minaccia, considerata uno dei principali ostacoli al cambiamento, con le connesse emozioni di paura, ansia, colpa e ostilità. Di tali termini Kelly fornisce una definizione inedita e in larga parte dissonante rispetto al loro significato consueto, presente nelle teorie tradizionali e nel senso comune.

Come sempre, le parole stesse di Kelly — tratte dalla prefazione al primo volume — risultano illuminanti in proposito:

"In primo luogo probabilmente si troverà che qui mancano molti dei consueti paesaggi tipici dei libri di psicologia. Per esempio il termine apprendimento, che gode di così grande onore nella maggior parte dei testi psicologici, qui appare poco. Ciò è assolutamente intenzionale, dato che siamo favorevoli alla sua eliminazione. Non ci sono né ego, né emozione, né motivazione, né rinforzo, né pulsione, né inconscio, né bisogno. Ci sono invece alcune parole con definizioni psicologiche totalmente nuove, parole quali fuochi di pertinenza, prelazione, proposizionalità, terapia del ruolo stabilito, ciclo della creatività, diagnosi transitiva e approccio credulo. L’ansia è definita in modo inedito e molto sistematico. Il ruolo, la colpa, l’ostilità hanno definizioni inaspettate; e per rendere completa l’eresia, non c’è una bibliografia estesa. Sfortunatamente ciò comporterà periodi di strana e forse difficile lettura. Tuttavia, un approccio diverso richiede inevitabilmente un linguaggio diverso e, in questa prospettiva, molti vecchi termini sono sganciati dai loro significati usuali" (Kelly, 1955, pp. x-xi).

Alla luce di queste considerazioni, si comprende ancora meglio come mai l’opera di Kelly sia rimasta per tanto tempo poco conosciuta e nessuno prima d’ora abbia tentato l’ardua impresa di tradurne nella nostra lingua delle parti cospicue. Esprimiamo la speranza che lo sforzo di chi scrive e di chi ha tradotto contribuisca anche in Italia alla più approfondita conoscenza di un autentico pilastro della psicologia contemporanea.

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