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LE RADICI STANNO E POSSONO ANDARE…ANDIAMO

9 Mag 13

A cura di Giancarlo Pera

(H)ermetico tutto ciò, intendo il titolo della rubrica e il suo sottotitolo? Senza imbarazzo, si
Hermes presiede al passaggio tra la dimensione intima e quella sociale dell’òikos, tra il privato e il pubblico dell’esistenza e delle convivenze, e indica la via (odòs) per la possibilità del cambiamento che, a sua volta, non può essere percepito al di fuori della permanenza e viceversa, per cui l’Hestia del focolare, domestico o pubblico (Hestia Koinè) che sia,  è indissociabile da l’Hermes, che sia della soglia o della piazza (Hermes Agoraios)
In questo spazio-tempo intermedio e ambiguo, tra la nostalgia di ciò dal quale si teme prendere distanza perché l’infinito non ci perda (esperienza hestiaca di permanenza spaziale e d’immutabilità temporale radicata fino al limite con il mondo infero.) e la ricerca di ciò che non si lascia mai raggiungere perché l’appartenenza non l’immobilizzi (esperienza hermetica di trans-gressione del limite e di apertura all’imprevedibile, escritta(Jean-Luc Nancy) fino a alla glocalità), si manifesta l’oscillazione incessante tra dentro e fuori, sicurezza e rischio,( la ‘casa che oscilla’ nel racconto «Dismatria» di Igiaba Scego), simultaneamente[1] e reversibilmente[2] hermetica ed hestiaca
Uno spazio tempo, questo, nel quale le categorie stesse di interno e di esterno sulle quali è stata edificata l’architettura del sequestro e la gerarchia delle sue gendarmerie sociali, ma anche tanta topica psycoqualcosaltro e perfino la fortuna dei suoi doganieri, vengono messe in discussione per osare un luogo Altro, che scardini le opposizioni binarie senza per questo risolversi in un betwixt and between, (‘né…né’ e ‘sia…sia’) nè carne ne pesce,che mantenga un carattere di ambiguità creativa senza istituzionalizzarsi in bivalenze pendolari
Uno spazio tempo allora nel quale non solo l’interno incontra l’esterno in reciproca dis-continuità e molteplicità, ma anche il tempo incrocia lo spazio e gli eventi concreti, così che lo spazio sia la forma visibile del tempo e il tempo la forma visibile dello spazio.. lo spazio dia forma al tempo e il tempo allo spazio.. i connotati del tempo si manifestino nello spazio, al quale il tempo dia senso e misura
La storia della psichiatria è storia di spazi che faticano ad essere luoghi, spazi incapaci ‘di’ o inadeguati ‘a’ dare significato all'esperienza, ed è storia di tempi che faticano ad essere durata senza essere eternità e anche pausa senza essere fissità
Potremmo o (e sarebbe l’ora) provare a non utilizzare indifferentemente ed in maniera
disinvoltamente intercambiabile i termini psichiatria e salute mentale e solo allora ci accorgeremmo che troppo spesso questa presunta migrazione di senso si è risolta in un luogo irreperibile dell’immaginario amministrativo o più modestamente in un ‘frame’ della memoria computerizzata delle tipografie aziendali
Il passaggio alla salute mentale magari di comunità, al vaglio della cronaca più attuale, non ha garantito quei sostanziali cambiamenti che aveva promesso e per i quali tanti (?) di noi si sono battuti e continuano a battersi
Forse ‘tutto cambiò perché nulla cambiasse davvero’
Potremmo infatti aggirarci tra i luoghi nuovi del pensare e dell’agire psichiatrici con l’ausilio di una mappa dettagliata e di un dizionario aggiornato e ci perderemmo presto in una selva di sigle e di acronimi che nasconde l’oscena ortopedia di un universo concentrazionario che ha socchiuso le porte del manicomio solo perche tutta la società era diventata ormai tecnologicamente controllabile
 Nello scenario attuale d'invalidazione persistente, anzi immanente, del potenziale trans-formativo delle pratiche storiche e attuali (residuali e/o emulative) di de-istituzionalizzazione, il miraggio della semplificazione  concettuale, il vantaggio   della gergalità lessicale, il conforto della solubilità istantanea, esercitano un forte potere attrattivo nei confronti delle nuove generazioni di operatori.
Le culture operative e operazionali che hanno responsabilità e consapevolezza dell'utopia concreta che ci animò e potrebbe ancora ri-animare non sembrano, dal canto loro, poter o saper offrire alternative credibili o sostenibili in grado di antagonizzare la deriva dei saperi e delle pratiche, che desertifica la memoria storica, s-radica il presente dalle sue responsabilità, disciplina il futuro nei circuiti del controllo diffuso, lubrificati dall’utilità degli opportunismi premianti, dall’enfasi dell’ideologia scientista e dell’ideologia manageriale
Una deriva che deborda strumentalmente dall’ambito epistemologico a quello etico, e induce una curvatura antropologica che ha oggi l’aspetto di una vera e propria mutazione per cui criptati  in pseudo-specialismi picometrici che somigliano più a marcatori di prestigio che a organizzatori di senso, masterizzati nella serialità di concorrenze ignoranti che preludono all’incapacità di aver autentica cura di sé, cooptati a dirigere risorse e  decisioni un recinto scambiato per la realtà, con bussola smagnetizzate e mappe obsolete nuovi plotoni di portatori d’opera occupano i Servizi, addestrati ad un unico programma di ricerca che è un programma gigantesco di s-radicamento dei mondi individuali dai mondi della vita con radicalismo di modi e di toni  che stordisce le intelligenze e annichilisce le sensibilità
Potremmo certo inoltrarci nel vivaio lussureggiante delle centinaia di ‘modelli’ che sopravvivono nelle psichiatrie parallele (PF Galli), ognuno caratterizzato da elevate pretese di certezza ed immaginare che a tanta abbondanza corrisponda una pluralità di offerte ed una discrezionalità di accesso all’offertama ci accorgeremmo presto che nella quotidianità dei servizi prevalgono abitudini di pensiero, consuetudini di discorso, serialità e parcellizzazione d’intervento secondo criteri consolidati di semplificazione abusiva di ciò che è altrimenti complesso
Quale orizzonte  politico e culturale può ancora essere sfidante e aggregante  per non rassegnarsi, per non rimpiangere, per non fare 'come se' non fosse così?
Quale motivo crono topico può ospitare, a livello cognitivo,affettivo, formativo, organizzativo, operativo, la possibilità di un oikòs interiore ma  pubblico, esteriore ma personale, e la possibilità di un odòs erratico e radicale  perché capace di ‘cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio’ da calvino
    L’odòs nella soglia dell’oikos e l’ oikos della soglia nell’odos, che consenta di ‘radicitus
errare’, potrebbe offrirsi come luogo ospitale e opportuno della cura (di sé e dell'altro)[3]:
un "habitat in movimento" (I. Chambers) , che sia un movimento chiasmatico[4](M.Merleau-Ponty), di radice errante
Dal Sacro Corano: in paradiso c’è un albero molto particolare, chiamato Tuba. Si dice che questo albero cresca capovolto, con le radici rivolte in aria anziché conficcate nel terreno.
Proprio come per gli alberi, ciò che permette agli esseri umani di crescere e sopravvivere sono le radici. Ma a differenza di quelle degli alberi, le radici degli esseri umani possono viaggiare.
Siamo noi la radice e siamo noi erranti[5]
Possiamo ancora essere noi allora quella  radice errante che solleva sempre nuove soglie dalla distesa piatta, indifferenziata e indifferente del pensiero unico e delle pratiche omologate obbediente ad una logica omeostatica e a-conflittuale chiamata a mantenere l’equilibrio mediante l’espulsione della contraddizione e dell’errore
Possiamo ancora essere noi quella  radice errante che deve sollevare sempre nuove soglieperchè l’ Altro e l’ Altrove, l’Altrimenti, siano ri- scoperti ovunque in mezzo a noi e si ri-apprenda  a pensarli
È possibile in uno scenario insieme raggelato e rovente come l’attuale, nel quale il profilo dei Servizi sedicenti o cosiddetti di salute mentale si ri-vela  con l’immobilità di un fossile  e il tremolio di un miraggio, immaginare una loro abitabilità che non si riduca all’appropriazione identitaria di chi li occupa per mandato e li somministra per potestà, o all’alienità fatale di chi li subisce per soggezione o li consuma per convenzione?
Dove e quando, e soprattutto come è opportuno che la naturalizzazione dell’esistente, possa ancora essere sovvertita dall’utopia concreta di luoghi, tempi e modi in grado di ospitare l’ambiguità feconda tra pensiero sensibile e azione pensante, come le contraddizioni algiche tra intenzione di libertà e tentazione di controllo, tra inerzia della gregarietà e fatica della responsabilità?
Quale esperienza può esporre al rischio augurale della rinuncia all’assolutismo della supponenza protocollare e insieme invitare alla curiosità aurorale dell’incontro meravigliante?
Quali le condizioni antropologiche, ed est-etiche, ma anche formative e organizzative perché questo avvenga e annunci  l’insorgenza di competenze eretiche che dall’ideologia tetanizzante del ‘fare’ aziendalistico alle pratiche mitopoietiche dell’ ‘immaginare’ alternative, con erranza radicale, convertano la desertificazione (est)etica delle coscienze e culturale dei Servizi in un’opportunità permanente di trans-formazione?
 
Parliamone, qui e dovunque e comunque

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



[1] simultaneità: ‘ovunquità e sempreità dell'organo sensibile creativo’ A.Soffici; la coscienza della simultaneità è un’attenzione vigile
e insonne alle analogie e alle differenze ,è nuova coscienza che non limita il reale agli avvenimenti prevedibili e programmabili ma lo spinge a farsi progetto, utopia,costruzione di eventi da inventare e reinventare.
[2] reversibilità:.il movimento continuo che testimonia la presenza anche in termini d’assenza, ridefinita come rovescio o risvolto, latenza e possibilità; è l’annidarsi di cose dentro le cose (Escher): per cui il vuoto creato dai profili tracciati non è il residuo accidentale delle forme ‘positive’ nel campo grafico, ma reitera un ulteriore e differente motivo dotato di senso
[3] ‘la funzione di soglia di un istituzione che se deve permettere..di radunare il mondo in un luogo sufficientemente raccolto, deve allo stesso tempo tenere aperte porte e finestre che si affaccino all’esterno e con questo chiamare la realtà a testimone del proprio operare’ ( F Stoppa)
[4] irriducibile tanto a un’opposizione di interiore ed esteriore come o a una fusionale identità del medesimo con sé stesso  o una fusione intuitiva degli opposti, il chiasma si rivela come il luogo d’incontro e di con-testo tra soggetto e mondo, in cui si apre l’orizzonte dell’incontro (esser-ci) ed a carattere  erotico (eros figlio di Poros, il passaggio e Penia, la mancanza)
[5] l’ errante non è un nomade, il quale in origine richiama il capoclan che presiede alla distribuzione di pascoli. (da nemein dividere..pascolare)
 

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