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Vivere nel disagio della verità

5 Apr 15

A cura di Sarantis Thanopulos


In un editoriale del “NYTimes”, Paul Krugman, noto economista, ha stigmatizzato un repubblicano del Texas, presidente della Commissione Regolamento del Parlamento Americano, per quello che ha valutato, giustamente, come errore non perdonabile. L’incauto parlamentare, fiero avversario della riforma sanitaria di Obama, aveva sostenuto che la riforma fosse insostenibilmente iniqua e sarebbe costata, in termini di espansione della copertura medica, 5 milioni di dollari per beneficiario.
In realtà il costo è di 4 mila dollari e secondo l’Ufficio Bilancio del Congresso (dominato dai repubblicani) la riforma sanitaria costa ai contribuenti circa 20 per cento in meno di quanto previsto. Un membro del Congresso di alto grado, ha commentato Krugman, dovrebbe evitare di fare discorsi su un tema importante se non si scomoda a leggere i rapporti ufficiali di bilancio.
Sul piano dei fatti, tutti gli attacchi alla riforma sono finiti nel nulla. Tuttavia, l’opinione pubblica americana non lo sa. Secondo un recente sondaggio, solo il 5 per cento degli intervistati pensa che la riforma costi meno del previsto, mentre il 42 per cento pensa che costi di più. La conclusione di Krugman è sconsolante. Viviamo, ha scritto, in un’epoca post-verità in cui i politici, e i supposti esperti che li servono, non si sentono obbligati a riconoscere fatti scomodi, né di abbandonare un loro argomento per quanto sovrastante possa essere l’evidenza che sia sbagliato. Sono premiati perché spesso “i disastri immaginari mettono in ombra i successi reali”.
La manipolazione dei fatti è un andazzo generale, che interessa ogni spazio della vita pubblica e non risparmia certo quella privata. Nella sua forma più irresistibile, non nega l’evidenza, né contraffà i dati. Le basta inventarli. L’immaginazione è salita al potere, anche se in modo molto differente da come auspicavano i visionari del sessantotto parigino.
Compiuta la costruzione dei fatti, bisogna solo insistere nel sostenerla: il suo statuto immaginario si dimostra, se non si fa tentennare da inutili scrupoli etici, più solido di qualsiasi sua smentita sul piano reale. Contano davvero, la coerenza della costruzione con il proprio modo di vedere la realtà e la scaltrezza di impostarla in maniera tale da poter servirla agli altri in modo che semplifichi e non complichi la loro visuale.
Più importanti sono il confronto, la discussione, il dibattito, più funzionale per la conquista del consenso è non annoiare gli interlocutori, o spettatori, con argomenti complessi, difficili o con letture dei fatti ragionate che implicano dubbio. Tutto sommato la verità è il più delle volte difficile da gestire, o da digerire, e per neutralizzarla basta interrompere la sua connessione con interessi e valori importanti che ci indurrebbero ad accettarla e a difenderla, costi quel che costi. Non è un impegno proibitivo: è sufficiente rivolgersi allo stato d’animo del momento, trasformare l’attimo fuggente in emergenza emotiva da placare, sospendendo il giudizio. La ragione critica può attendere.
Il disagio della verità nei nostri tempi ha la sua ragione più importante nell’accorciamento contemporaneo della memoria storica e della progettazione del futuro. La verità è la trasformazione che la discontinuità imprime, nel momento opportuno, nella continuità della nostra esistenza. Dà un significato alle rinunce e alle perdite, ampliando la nostra prospettiva e creando nuovi orizzonti. Che ci importa di essa se non ci ricordiamo cosa è successo vent’anni fa e non ci interessa quello che accadrà tra altri venti? La deleghiamo ai defunti e ai posteri.

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