L’Occidente si è invischiato in una lotta contro i terroristi kamikaze, il cui unico risultato certo è il rischio di una lunga convivenza con un fenomeno che si cerca di arginare, ma non si riesce a estirpare. Colpisce, nel frastuono dei proclami di guerra, il silenzio totale sulle cause che lo determinano. Senza che se ne abbia piena consapevolezza, il terrorismo suicida è vissuto come parte ineliminabile del nostro “sistema”: l’equilibrio di poteri che sottende il nostro modo globalizzato di vivere. È un equilibrio che nega la vita, irragionevole. Della sua irragionevolezza i kamikaze sono uno dei sintomi. Combattere il sintomo, invece che affrontare la causa della malattia (l’equilibrio insano del sistema), dà un’apparenza di ragionevolezza, tutta centrata sul bisogno di difesa, a un modo insensato di esistere.
Eugenio Scalfari ha indicato una differenza tra i kamikaze giapponesi e quelli musulmani: i primi combattevano una guerra contro un nemico definito, mentre i secondi attaccano indiscriminatamente, non hanno un bersaglio preciso e contestualizzato. In realtà, l’omicidio suicida è, in entrambi i casi, una forma chiara di pazzia (che nega il diritto di vivere a sé e all’altro) e la mistica del sacrificio per un ideale superiore ai desideri dei singoli non annulla il carattere folle del gesto. Spiega la sua sovradeterminazione sociale: l’inquietante sopraffazione della soggettività incarnata nel corpo da parte dell’astrazione spirituale dell’essere.
Nel caso dei piloti giapponesi, la percezione chiara dell’avversario e la netta definizione del congiungersi con lui nella morte, serve inconsapevolmente la negazione radicale del desiderio erotico nei confronti del nemico, che rende umano e significativo il conflitto. Questa pazzia rispettosa delle regole del gioco, l’educatamente implacabile cancellazione della congiunzione erotica con l’altro, del rapporto sessuale come fondamento sensuale e metafora per eccellenza del legame con la vita, è più perturbante della pazzia sregolata dei fanatici assassini/suicidi dell’Isis. Che il gesto del pilota suicida, considerato nobile e coraggioso da una certa agiografia, sia più malsano del gesto feroce di chi uccide colpendo nel mucchio, senza risparmiare donne e bambini, può sembrare paradossale solo a chi pensa che l’agente patogeno sia più insidioso dove più grossolana è la manifestazione della malattia.
In realtà, nella follia disordinata, brutale di coloro che mordono come cani rabbiosi, chi, dalla nostra prospettiva, ha cercato di accoglierli -per morire, nella loro visuale, insieme ai filistei colpevoli di averli disprezzati e discriminati- si intravede un barlume di un desiderio di vivere esploso in mille frammenti. Appare fugacemente, prima di sparire per sempre. Nel buio regna compassato il fantasma dell’Uno, lo stato di un’esistenza indifferenziata, segregata dalla vita e avulsa dall’altro, la cruda vita come segno di morte psichica.
La congiunzione sessuale non è fusione di due esistenze, ma trasformazione reciproca di differenze nel più intimo coinvolgimento erotico, che di queste differenze si nutre e le mantiene vive e aperte all’inconsueto. Il totalitarismo nazista e il nichilismo giapponese hanno avuto come bersaglio la differenza (tutto ciò che si oppone all’omologazione dei vissuti) e le loro metastasi appaiono, a distanza di tempo, dove meno te l’aspetti: nel cuore dell’integralismo islamico.
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