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Io ed Annie. Woody Allen, l’anedonia e l’amore.

10 Ott 16

Di Redazione Psychiatry On Line Italia
Ho sempre trovato speciali i film di Woody Allen. In particolare le prime produzioni, così spontanee nel raccontare la psiche del regista americano. Io ed Annie è una di queste, e forse non vi saranno altre opere altrettanto sincere. Allen ci racconta la sua visione su un sentimento complesso: l’amore. Nel film ripercorriamo il travagliato percorso emotivo della star Alvy Singer, interpretata dallo stesso nevrotico e miope Woody Allen.
Io ed Annie è il primo film realmente introspettivo di Allen, dopo le classiche commedie “Prendi i soldi e scappa” ed il più fine “Provaci ancora Sam”, aprendo il largo al vero cinema di questo regista, permeato di autoanalisi, riflessione e pungente comicità, a tratti amara. Io ed Annie è stato girato nel 1977, durante la relazione con Diane Keaton, e non è un caso, dato che il titolo del film (“Annie Hall”, in lingua originale) è proprio un omaggio ad essa. Annie Hall è un’unione tra il soprannome amoroso di Diane e il suo vero cognome di battesimo, Hall. Ripercorrere la storia dei titoli pensati per questo film è molto utile a capirne la finalità artistica. Infatti, se la scelta di omaggiare la propria compagna di vita dell’epoca, costante in una vita sentimentale tumultuosa prima come compagna e poi come figura femminile sempre ricercata, ci descrive la voglia di Allen di aprirsi su come egli stesso affronta i sentimenti, i titoli che si sono succeduti sino all’ufficiale ci raccontano una storia diversa. Il film doveva chiamarsi inizialmente “Anedonia” (l’incapacità di provare piacere anche nelle attività usualmente ricercate perché trovate piacevoli) e doveva essere incentrato totalmente su Alvy Singer, allo scopo di un’analisi totale e non solo sentimentale. Allen voleva mettere in campo un progetto ambizioso, un’autoanalisi cinematografica con sullo sfondo la ricerca del piacere perduto, oggetto disperso in una generale mancanza di accettazione di se stesso, tema che ritornerà ciclicamente durante il film.
 
“C'è un'altra battuta che è importante per me; è quella che di solito viene attribuita a Groucho Marx ma credo dovuta in origine al genio di Freud e che è in relazione con l'inconscio; ecco, dice così – parafrasandola –: «Io non vorrei mai appartenere a nessun club che contasse tra i suoi membri uno come me». È la battuta chiave della mia vita di adulto in relazione alle mie relazioni con le donne.” (Alvy)
Io ed Annie si apre così, con una rottura della quarta parete e il personaggio principale che introduce alla propria visione sull’argomento. Alvy ci accoglie nella propria psiche, in una linea temporale imprevedibile poiché guidata dal ricordo, e in cui poter intervenire e interrogare se stesso, come se il film fosse una rievocazione durante una seduta analitica.
Perché Alvy ci parla di tutto questo? Alvy ed Annie “hanno rotto” e lui, sulla soglia dei 40 anni, non riesce a capirne il perché. Di qui il ricercare nella propria vita tutti gli eventi che lo hanno condotto al termine di questa importante relazione sentimentale. Dalla storia con Annie, la ricerca si espande a tutte le donne della vita di Alvy e all’inevitabile anedonia che lo coglie durante le relazioni sentimentali. Perché amare qualcuno che ci ama, se noi stessi non ci consideriamo degni di quell’amore? Questa è la domanda/risposta che il regista si da in prima battuta, prima di cominciare questa lunga seduta.
Il viaggio ha inizio nell’infanzia: compare questo divertente ricordo nello studio di un medico, dove il piccolo Alvy afferma l’inutilità del vivere a fronte di una fine certa. Il medico gli consiglia di godersela, senza considerare l’avvenire, superando il concetto del godere per un fine, e prediligendo il godere come atto a se stante, privo di funzionalità. A questo si contrappone un’educazione sessuale rigida, rappresentata da maestre castranti che pongono un’associazione tra l’essere privi di spinta sessuale e il raggiungimento di obiettivi personali, come mostrato dal composto futuro direttore di una “fruttuosa azienda di confezioni”. Infine, come ultimo tassello compare la madre di Alvy, rigida e petulante, che sommerge l’attore di commenti svalutanti che lo bloccano in una eterna condizione di inadeguatezza, anche nell’attuale celebrità. La madre di Alvy non contempla il cambiamento e questo si collega alla scena successiva, in cui viene mostrata la divertente ma esemplificativa paranoia ebrea di cui soffre il protagonista. Se ci rifacciamo alla scuola freudiana, da cui attinge Allen, la paranoia si basa sulla proiezione di sentimenti o caratteristiche propri, o parti del Sé, su altri oggetti o persone. In questo caso, Alvy scinde da se i contenuti negativi introiettati nella sua infanzia cristallizzandoli nel suo essere “ebreo” (tema caro ad Allen) e li proietta all’esterno, sentendosi minacciato in questa sua caratteristica fondante.
Il film entra quindi nel vivo della dinamica sentimentale di coppia, mostrando per la prima volta Annie, una donna sofisticata e assertiva, così diversa dalla ragazza imbranata e timida che era all’inizio, come potremo vedere più avanti nel film. Alvy ha trasformato Annie, inducendola a studiare e ad emanciparsi, vivendo poi un progressivo calo di interesse nei suoi confronti vieppiù che diventava simile a se stesso. Nella prima scena, la coppia è ormai scoppiata. Lui ha problemi a letto e come vedremo nel film, Alvy esprime il suo malessere sentimentale con l’assenza di desiderio evitando il confronto diretto delle reali cause di disagio di coppia e lo stesso avviene per Annie, che ha incorporato anche questo aspetto del suo compagno.
Segue una carrellata delle storie passate di Alvy, su cui spiccano Allison, giovane idealista impegnata nella politica dai lunghi capelli biondi e Robin, giornalista nevrotica dell’alta società newyorkese. Entrambe le relazioni hanno avuto come denominatore comune i problemi della sessualità, in maniera speculare. Nella prima storia è Alvy a non voler più fare l’amore con Allison spostando l’attenzione sull’omicidio di Kennedy, tanto da indurre la sconsolata ragazza a interpretare il suo comportamento, svelando ad Alvy la sua negazione:
Allison: “Tu adoperi questa teoria della cospirazione per evitare di fare l’amore con me”
Alvy: “O mio dio… ha ragione!”
Nel secondo matrimonio, le parti si invertono, ed è la moglie Pam a sperimentare difficoltà, questa volta anorgasmia per ogni futile motivo. Questo matrimonio fallirà sempre per la stessa ragione, cioè che la compagna entra nello stesso “club” di Alvy. Egli stesso offre un pensiero interessante in queste scene:
Alvy: “Gli intellettuali hanno una cosa, sono la prova che puoi essere coltissimo e non afferrare la realtà oggettiva”
Questa affermazione, oltre al contesto dei commenti della moglie sulla partita di basket, esprime ciò che egli pensa di se stesso. Alvy è attratto in primo luogo da donne oggettive, come era Allison e sarà poi Annie, che poi tendono ad elevarsi sino a raggiungerlo, divenendo così non più attraenti. Pam è un’eccezione, è sempre stata una intellettuale sofisticata di New York, dove lui ha sempre visto l’illusione di una oggettività mai esistita e perciò insoddisfacente.
Perché Alvy è attratto da donne spontanee e carnali se poi cerca di elevarle sempre più ad una sofisticatezza che poi diviene ingombrante? La storia con Annie ne è l’esempio lampante. Lei è inizialmente ingenua e vitale, e questo colpisce l’intellettuale e passionale attore comico. Con il tempo sarà lui stesso ad introdurla agli “studi superiori”, sino ad essere geloso di questa maggiore libertà culturale della compagna, la quale viceversa, se all’inizio provava un senso di inadeguatezza e soffocamento dovuti alla spinta di Alvy ad elevarsi, una volta preso il volo soffrirà i suoi tentativi di tarparle le ali appena spuntate.
La scena centrale del film è un meraviglioso esempio di cinema analitico. Come nella Recherche proustiana, i ricordi si susseguono senza demarcazione, mostrando finalmente i dubbi di Alvy/Allen sulle relazioni umane. Dopo un esilarante pranzo di famiglia con un Christopher Walken imberbe, una telecamera segue un furibondo litigio in cui Annie rinfaccia ad Alvy la sua asfissiante gelosia verso un professore di “Crisi contemporanea nell’uomo orientale”. Da qui ci si sposta a un mese prima, quando Annie, di ritorno da una seduta psicoanalitica, ne racconta lo svolgimento, incappando in un lapsus che metterà in luce la propria sensazione che Alvy non la consideri abbastanza intelligente. Come risposta, lo stesso Alvy le dirà che la vuole solo incoraggiare a seguire dei “corsi di cultura superiore” e di qui lo stacco sulla presente litigata in cui lo stesso Alvy grida “la cultura superiore, ma che vaccata!”. Questa volta sarà Annie a chiudere la storia.
Alvy elevava per poi distruggere le sue donne, sicuro di poterle dominare intellettualmente, con sarcasmo ed ironia, sino a stancarsene. Annie è diversa, comprende il gioco di Alvy e sicura della propria indipendenza lo affronta e non cede al ricatto emotivo. Il sogno raccontato da Annie è esemplificativo:
Annie: “Frank Sinatra mi mette un cuscino qui sulla faccia e non posso più respirare…e gli ho detto che Frank Sinatra portava gli occhiali…e io nel sogno rompevo gli occhiali a Sinatra”
Alvy: “con questo che vuoi dire, che io ti sto soffocando?”
Annie: “Alvy, rompendogli gli occhiali io gli ho fatto una cosa orrenda, perché Sinatra, quando cantava, aveva una voce stridula da eunuco”
Ricercare una donna meno intelligente di lui permette ad Alvy di sentirsi in una posizione di comando nella coppia, una condizione emotivamente sterile che lo ha sempre portato al distacco. La paura di mostrare le proprie insicurezze porta Alvy a rifuggire un coinvolgimento pieno, trincerandosi in delle relazioni prive di mordente e basate sulla manipolazione; solo con Annie egli è nudo e castrato, cioè indifeso. Ma se finalmente Alvy si innamora di Annie, questa se ne sta disinnamorando. Alvy si rende conto del paradosso, e chiede a dei passanti come fanno a far funzionare una relazione: una fredda signora di passaggio gli svela che “l’amore svanisce” e una coppia ben assortita mostra i benefici di due superficialità che si incontrano. Per Allen intelligenza vuol dire inquietudine, e tra due cuori cerebrali non può esservi tranquillità in amore, ma solo nevrosi.
La seduta prosegue, i protagonisti tornano insieme, ma per breve tempo. Annie è sempre più consapevole della personalità di Alvy privata dell’alone di superiorità che era presente all’inizio. E durante un incontro, richiesto come ultimo tentativo di avvicinamento da parte di Alvy, lei lo descrive così:
“Alvie tu sei incapace di godere la vita, lo sai questo? La tua vita è il centro di New York, sei come un’isola, sei autosufficiente.”
Questa definizione è calzante. Alvy è incapace di condividere e gioire, come in un’eterna consapevolezza di un vissuto depressivo, e l’unico modo che ha per entrare in relazione è quello di porsi in una posizione superiore per evitare di mettere in gioco i propri sentimenti. Solo con Annie riesce a far questo, poiché lei stessa lo smaschera e lo riporta sul suo stesso piano.
Infine, Allen riprende il discorso iniziale. Sin dall’inizio del film, il regista ci comunica il suo funzionamento inconscio nelle relazioni sentimentali, che ho cercato di far emergere nelle varie fasi della storia tra Alvy ed Annie. Questo funzionamento è tutto fuorché semplice e lineare: è, anzi, totalmente privo di ogni logica razionale, e lo sarebbe ancor di più se Alvy non fosse così rigido e disfunzionale nelle proprie relazioni. Il film si chiude con la voce fuori campo del protagonista, che ci offre una splendida rappresentazione di questa realtà, usando una semplicità e un’intuitività di cui solo l’arte può fruire.
“Uno va da uno psichiatra e dice: «Dottore mio fratello è pazzo, crede di essere una gallina». Il dottore gli dice: «Perché non lo interna?». E quello risponde: «E a me poi le uova chi me le fa?». Immagino che corrisponda a quello che penso dei rapporti uomo-donna… e cioè che sono assolutamente irrazionali, pazzi e assurdi, ma credo che continuino perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova.” (Alvy

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