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La signora della porta accanto ( Francoise Truffaut 1981)

3 Ott 12

Di Giacomo-Bergamino e Marcella-Senini

La "signora della porta accanto" è un film Edit Piaf, come sostiene l’autore in un intervista rilasciata a Gillain, "sulle emozioni-base, le più intense…" , "è una storia moderna di amore e passione come tante" afferma il regista "di un esaurimento nervoso dopo una delusione d’amore".

È un film semplicissimo che brilla per chiarezza, coerenza e classicismo, la cronologia viene rispettata, la narrazione è nitida come in un romanzo di Sthendal, è sempre l’autore a proporre questa analogia paragonando i suoi film ai romanzi ottocenteschi.

Tuttavia c’è qualcosa di sfuggente e sinistro che piano piano risuona nello spettatore, un malessere che cresce di scena in scena, in modo progressivo e inesorabile di fronte ad una forza selvaggia e incontrollabile, a qualcosa di disordinato, insensato e inspiegabile.

In diversi momenti del film i due amanti cercheranno di dire con le parole quello che gli sta succedendo, di utilizzare il linguaggio per dominare l’irrazionalità della loro passione, ma questi tentativi andranno sempre disattesi.

Le espressioni " ti devo parlare, non abbiamo mai il tempo di parlarci" ricorreranno più volte, ma le conversazioni tra i due si risolveranno sempre in fallimenti; proprio l’uso del telefono, a più riprese, sembra confermare la sconfitta del linguaggio articolato.

I tentativi di comunicazione e chiarimento produrranno nuovi malintesi e una maggiore conflittualità. L’ordine del linguaggio anche quando sembrerà trionfare si vedrà abolito ogni volta dal disordine della passione.

Il film sembra costantemente giocato proprio su questa tensione, tra l’ordine di una tranquilla vita di provincia (comunicata attraverso l’atmosfera di adeguatezza e bonaria socialità del circolo del tennis e della festa nel giardino dei Bouchard dove le persone seguono le "regole del gioco") e il disordine della forza distruttiva della passione dei due protagonisti (che si rende evidente nelle scene dell’incontro nel parcheggio del supermercato, della festa di prima dove i due litigano furiosamente e alla presentazione del libro di Mathilde, che segna la definitiva caduta di lei nella Depressione).

Figura centrale a rappresentare questa tensione è la narratrice, padrona del circolo del tennis, senza la quale Trouffaut non avrebbe neanche iniziato questo film, che con la sua protesi, testimonianza di un antico tentativo di suicidio per amore, sembra stridere con l’ambiente ovattato che la circonda. La scena iniziale mostra efficacemente questo contrasto.

I luoghi dell’ordine sociale, la casa e il circolo vengono via via sovvertiti mano mano che la passione tra i due si riaccende.

Le barriere vengono pericolosamente abolite, il principio sacro del cinema di finzione, dell’eterogeneità degli spazi viene a mancare, si abbattono le frontiere tra personaggi e pubblico ( nel prologo pienamente nouvelle vague)

Il passato si confonde con il presente, non esiste neanche una chiara linea di demarcazione tra mondo adulto e infantile.

A sottolineare questo processo la musica che compare solo in precisi momenti critici.

Spesso in situazioni apparentemente banali irrompe un aspetto irrazionale che cambia interamente il registro dell’intera scena.

Nelle tre scene chiave di cui abbiamo parlato prima (l’incontro al supermercato, il party dei Bouchard e il ricevimento al circolo del tennis per la presentazione del libro di Mathilde), questa dinamica si palesa e mostra allo spettatore l’evoluzione della storia verso un Edipo rovesciato.

Tutto il film segue un impulso regressivo dove Mathilde è una figura di madre arcaica e possessiva che viene a riprendere il figlio strappandolo dall’ordine sociale per ricreare un rapporto duale soffocante e simbiotico che li condurrà al tragico epilogo finale (il desiderio fusionale insoddisfacibile, l’ansia intollerabile di Winnicot).

Regressione che annulla ogni differenziazione, separati all’inizio con Mathilde più adulta e consapevole e Bernard infantile e incosciente (lavoro-gioco), i protagonisti perdono mano mano tale distinzione progredendo inesorabilmente verso una fusione mortifera.

La minaccia incestuosa sottostante rende unica alternativa alla follia la morte.

Il corpo inerte di Bernard sprofonderà letteralmente tra le gambe di Mathilde a sancire questo percorso a ritroso fino al definitivo ritorno dell’uomo al ventre materno e nel nulla.

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