Anche Cesare Lombroso parlò degli Ottentotti nel 1865 nei termini di seguito riportati:
“L’ottentotto forma una varietà ancor più singolare della razza umana: l’ottentotto è, si può dire, l’ornitorinco dell’umanità perché riunisce insieme le forme più disparate delle razze negre e gialle ad alcune sue proprie, le quali egli ha comuni con pochi animali che brulicano vicino a lui.
Al muso sporgente del negro mescola il muso allargato del cinese; i suoi denti incisivi sono foggiati a modo di incudine; l’ulna, che è un osso dell’antibraccio, conserva, come in alcuni animali, quel foro, detto foro olecranico, che presenta il nostro feto; le ossa delle dita del piede sono disposte a gradi come le cannucce di una zampogna; le apofisi spinose delle vertebre cervicali mancano della solita biforcazione; i capelli sono inseriti tutt’intorno alla testa, ed escono a fascetti, a gruppi, fuori dai tegumenti come i pennelli di una scopetta da panni, cosicché il barbiere che radesse per bene un boscimano si troverebbe dinanzi una testa marezzata qua e là come una tavola di mogano, sparsa di grani di pepe. L’organo femmineo è conformato differentemente dal nostro per lo sviluppo singolare delle grandi labbra in giù a guisa di cortina o di doppio grembiale. Dalla regione posteriore, pelvica, delle loro donne sporge un piccolo baule di grasso, sul quale comodamente s’adagia il bambino che poppa, stirando dietro le spalle le lunghissime mammelle della madre. Se dopo tutto ciò si volesse ancora fare una specie sola dell’ottentotto e del bianco converrebbe allora comprendere in una sola specie pur anche il lupo ed il cane, l’asino e il cavallo, il capro e la pecora”.
Da L’uomo bianco e l’uomo di colore, a cura di Lucia Rodler, Bologna, Archetipo libri, 2012.
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