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Un colpo al cerchio, un colpo alla botte

22 Giu 14

A cura di giformen

Ed egli imparò a volare, e non si rammaricava per il prezzo che aveva dovuto pagare.

Scoprì che erano la noia e la paura e la rabbia a rendere così breve la vita di un gabbiano.
Richard Bach  "Il gabbiano Jonathan Livingston"
 
 
 
Nel 1940 Donald Clemmer introduce il concetto di Prison Syndrome ( prisonizzazione) come uno dei fondamentali fenomeni di psicotizzazione che può colpire i detenuti. La prisonizzazione e' parte delle forme di alienazione fondate sul processo di "assimilazione" in un gruppo formato da individui all'origine differenti,  che finiscono a condividere gli elementi culturali tipici del nuovo gruppo di appartenenza, nello specifico modi di vita, costumi, cultura generale del penitenziario. 1) 
 
Fa riferimento a modificazioni della personalità del detenuto, che progressivamente assume abitudini, cultura, forme di rapporto sociale tipiche del carcere, al punto da rendere poi particolarmente difficile il reinserimento sociale. Tra le distorsioni personologiche operate dal regime carcerario, sono state per esempio osservate: la perdita di individualità, la perdita dei valori e delle capacità che il soggetto possedeva nella propria vita in libertà, l’estraniamento, inteso come incapacità di nuovamente partecipare alla realtà esterna, l’isolamento non solo con l'interazioni del mondo esterno ma anche con quelle del mondo carcerario; in sintesi, vere e proprie modificazioni del Sé osservabili in tutte le istituzioni chiuse (ospizi, manicomi, orfanotrofi, casa di correzione) e in quella carceraria in particolare (De Leo, 1987). 
In  ambito accademico, gli scritti di Donald Clemmer (1940, The Prison Community), di Gresham Sykes (1958, The Society of Captives) e le osservazioni partecipanti di John Irwin (1970, The Felon) e di James Jacobs (1977, Stateville) hanno dimostrato quanto l’istituzione carceraria potesse essere sociologicamente interessante, sia in se stessa che come rappresentazione dell’intera società e dei conflitti che in essa si agitano.
Ma nello stesso tempo sono un significativo esempio della lontananza tra le possibilità di elaborazione e la prassi nell'intervento psichiatrico carcerario, dove il trattamento dei detenuti viene monopolizzato dai saperi psicologici e socio assistenziali. 2)
 
 
Pur essendo cambiate le condizioni di vita dei detenuti con l'introduzione di diversi benefici, quali attività ricreative, utilizzo di strumenti di comunicazione di massa, licenze premio, lavoro esterno, e potendo parlare al passato di tale sindrome come " una forma morbosa di tipo deteriorativo, un tempo frequente a riscontrarsi, ed essenzialmente legata alle condizioni estremamente monotone e prive di stimoli che caratterizzavano negli anni passati, il regime carcerario, quando la routine quotidiana strettamente regolamentata, l’isolamento assoluto protratto per anni, la mancanza di attività, di informazioni e di interessi, potevano talora condurre all’impoverimento intellettivo, affettivo ed emotivo; tali individui apparivano totalmente plasmati dalla istituzione, cui si erano adattati senza più alcuna capacità di resistenza e di reazione, fino a giungere a condizioni di tipo demenziale"( PONTI GIANLUIGI, Disturbi mentali carcerari, in Compendio di criminologia, Raffaello Cortina Editore, Milano, IV edizione, 1999, pagg. 486 – 491) , rimane il dato incontrovertibile dell'effetto patogenetico della trasformazione dell'individuo in un «detenuto», un essere la cui vita è nelle mani e nella volontà di altri”.
Trasformazione su cui si innesta la richiesta di intervento psichiatrico ad personam, teso nel migliore dei casi a valorizzare il paziente in termini di autostima personale, in combinazione con l’adeguato trattamento farmacologico.
 
L'anomalia della realtà carceraria ha portato a individuare sei campi di disagio mentale, che spesso interagiscono e si sovrappongono, e che non trovano necessariamente corrispondenza univoca nella nosografia ufficiale.  3) 
 
Le parapsicosi rappresentano poco meno della metà delle situazioni valutate: dove vengono fatte confluire tutte le forme psicopatologiche di tipo comportamentale e le diagnosi di confine.
Il termine parapsicosi e' in realtà una libera traduzione da subclinical psychosis, forma presintomatologica che colpirebbe tra l'8 ed il 20% della popolazione generale: dove la diagnosi e' data dalla presenza di un numero di criteri inferiori da quelli ritenuti necessari dal DSM per una diagnosi di psicosi. Valutazioni peraltro molto approssimative: in un recente studio dell'università di Zurigo, del luglio 2013, su un campione statisticamente rappresentativo della popolazione di Zurigo, e' stato verificato che solo il 13% era esente da almeno un sintomo della schizotipia.  4)
 
Quello che è' stato lasciato fuori dalla porta del carcere, cioè il fenomeno della psicotizzazione che colpisce indifferentemente i detenuti, rientra ampiamente dalla finestra, o meglio dalle sbarre, eliminando i confini tra le reazioni comportamentali da stress ed i disturbi di personalità. Con il rischio di amplificare lo stigma psichiatrico nei confronti degli autori di reato.
 
Ma, anche, con la costruzione di un interessante ponte tra carcere e società: scrive Alessandro Salvini, decano e professore ordinario della scuola di Psicologia clinica di Padova, che e' normale che ci siano tratti psicotici o schizoidi della personalità, che in alcuni casi alimentano la creatività, instillando il dubbio dell'eccessivo legame tra psichiatria e case farmaceutiche, nel comportarsi con le voci così come si comportavano con l’omosessualità: negli anni Settanta chi era gay veniva sottoposto a elettroshock e solo la presenza di una forte lobby permise di togliere l’omosessualità dalle malattie mentali.  5)  
 
 
 
 
2)
Teresa Degenhardt – Queen’s University, Belfast – Francesca Vianello -Università di Padova- ConvictCriminology: provocazioni da oltreoceano. La ricerca etnografica in carcere
 

https://www.academia.edu/1246881

 
 
 
5)  

http://www.centrobini.it/images/aretaeusnews_pdf/Aretaeus_News_28_DEC2011.pdf

 

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