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Il L.A.R.A. e i compiti formativi della scuola

2 Nov 18

Di maimonide@iol.it

L’approccio

Tra la posta che arriva quotidianamente all’attenzione del capo d’istituto, vi sono spesso, da parte di agenzie esterne, proposte di collaborazione sotto forma di seminari, laboratori, corsi di formazione e di aggiornamento,  e normalmente il preside, dopo una prima occhiata, ne rimanda a una fase successiva l’approfondimento, per valutare con maggiore calma se tra esse ce ne siano di utili e coerenti alla azione formativa promossa dal proprio istituto e quindi da prendere decisamente in considerazione.

Con LARA, forse per la suggestione dell’acronimo, o forse perché meno pressato da altre immediate incombenze, superai il primo riflesso di accantonare temporaneamente la documentazione e la curiosità iniziale fu premiata dall’interesse per un progetto che appariva di rilevante portata nelle sue finalità e nella sua impostazione – almeno in riferimento a un mio modo di pensare la scuola,  il suo ruolo e la sua funzione – e che sembrava presentarsi fortemente interfacciabile con l’azione formativa che io mi accingevo a promuovere nel nostro istituto.

Cosicché parlare del progetto  LARA vuol dire per me parlare anche del nuovo ruolo della scuola, di come si stia attrezzando l’IPSIA “C. CALVI” per sostenere tale ruolo, di come LARA sia funzionale a tale ruolo, di come LARA si possa inserire nei vari progetti del Piano dell’Offerta Formativa, degli ambiti nei quali il rapporto LARA – IPSIA “Calvi” potrebbe diventare più efficace e significativo, della analisi e della gestione del feedback delle esperienze degli allievi nel loro rientro a scuola.


 

 

Gli ambiti di intervento 

Ai primi di settembre del 1998,  fin dai primi giorni della mia attività di presidenza  presso l’IPSIA C. CALVI” di Voghera,  ho cercato  di  trasferire le mie competenze psicoanalitiche verso una politica scolastica che assumesse come prioritari la prevenzione e il  contenimento del disagio degli allievi, fattore primario degli insuccessi scolastici.

Ambiti di indagine e di intervento sarebbero stati:

v studenti, docenti, famiglie

v le loro relazioni

v il sistema scolastico e il sistema sociale, intesi come contesti di riferimento nei quali tali relazioni si plasmano e che essi stessi, a loro volta, vengono modificati dalla natura delle interazioni che si stabiliscono, al loro interno, tra i vari soggetti.

 

La scuola oggi: un problema d’identità 

Poiché i piani di intervento servono a modificare ciò che è in ciò che dovrebbe essere e ciò che si fa in ciò che si dovrebbe fare, diventa fondamentale rispondere ad alcune domande:

quale è il ruolo della scuola oggi? quale la sua funzione? come viene assolta tale funzione? quali sono i limiti da superare per colmare lo scarto? quali strumenti servono? quali strategie adottare?

La scuola è un sistema caratterizzato da una ecologia complessa e fatica a contenere la reale domanda dell'utenza, degli stessi operatori e del mondo esterno e non sempre riesce a trovare le risposte più coerenti alle varie richieste.

Questa difficoltà la porta ad essere percepita come un luogo di separazione:

q  separazione tra interno ed esterno 

q  separazione tra tecnico e profano

q  separazione tra conforme e non conforme.

Infatti, nonostante le opportunità offerte dall’autonomia,  in molte scuole persistono ancora parecchie resistenze e oggettive difficoltà a confrontarsi con l’esterno, mentre all’interno il rapporto insegnante – allievo è ancora basato  prevalentemente  sulla sola interazione didattica.

In altri casi, un  eccessivo spirito riformistico, non adeguatamente sostenuto da una chiarezza di idee sul ruolo della scuola, potrebbe spingere presidi e organi  collegiali a perseguire una politica che cerchi di  inglobare e/o riprodurre la realtà esterna, con il rischio molto concreto di  riproporne le  contraddizioni e le  anomalie, ma soprattutto di darne agli allievi una visione semplicistica, virtuale e distorta.

La scuola deve allora procedere a una coraggiosa autoanalisi, definire nuove regole e nuove strategie, acquisire nuove professionalità, perché  possa diventare il luogo ove sia possibile ricostruire la realtà esterna, reinterpretarla anche attraverso i codici del mondo giovanile, per poterla restituire al discente in maniera purificata, rielaborata e facilmente assimilabile.

Contenere la domanda  vuol dire quindi:

      imparare ad analizzare e a decodificare la domanda stessa

      mettersi in condizioni di fornire le risposte più efficaci

      ma vuol dire soprattutto saper orientare la domanda stessa, con una azione più attiva e propositiva verso l’esterno, attraverso la quale la scuola sappia proporsi come principale elemento di riferimento e di aggregazione di un sistema formativo complesso che, in un progetto di alleanza educativa, realizzato assieme alla famiglia, alle istituzioni e alle altre risorse sul territorio,  possa rappresentare un “ambiente facilitante” , nel quale lo studente riesca a cogliere le migliori opportunità per la sua crescita emotiva, culturale e comportamentale.

Un ambiente nel quale questi possa sperimentare la complessità del mondo esterno, ricostruito e riproposto secondo valori condivisi e che  propugnino una cultura dell’impegno e della responsabilizzazione,  attraverso la quale  la realtà venga interpretata e vissuta come una conquista personale e non come una successione di eventi fatalisticamente predeterminati e quindi da subire passivamente.

 

Gli agiti istituzionali

In questa fase di trasformazione, nella quale sono poco chiari ruoli e responsabilità individuali, presidi e docenti  possono correre due tipi di rischio:

1.    interpretare la normativa in senso restrittivo, attestandosi così su posizioni difensive, per limitare l’ansia legata al nuovo;

2.    rendere le disfunzioni della istituzione,   ancor più funzionali, (rispetto a qualche anno fa), a meccanismi di difesa quali la negazione, la scissione, la proiezione, l’aggressività, che, non venendo adeguatamente interpretati per la mancanza di una competenza psicanalitica, vengono  di conseguenza agiti.

Questo processo, la cui natura è spesso inconscia, manda in sofferenza i lavori nei consigli di classe, nei collegi docenti e nelle commissioni di lavoro, (soprattutto quando queste non si sono create spontaneamente sulla condivisione di progetti, ma in ossequio a un patto prestabilito, in rispetto di un dovere istituzionale).

Gli esiti di tali agiti sono:

Ü  la negazione di eventuali responsabilità personali nel fallimento di progetti

Ü  la scissione della classe tra “chi segue” e “chi non segue” 

Ü  la proiezione su questi ultimi  di tutta la problematicità dell’istituzione e del sistema scuola

Ü  l’aggressività, che quasi sempre si concretizza con

      il fallimento delle commissioni di lavoro e dei vari progetti

      con l’emarginazione, prima e l’espulsione, dopo, di chi, con la sua problematicità, rischia di  diventare fonte di frustrazione e di crisi di identità del corpo docente.

Ciò è purtroppo uno dei tanti fattori di una dispersione scolastica, inaccettabile sia sotto il profilo quantitativo (visti i numeri), che sotto il profilo morale, in quanto l’allievo spesso paga,  la problematicità e la inadeguatezza di  un sistema sociale, che non riesce a porre come prioritario un serio progetto educativo. 

 

L’utenza: lo studente e la famiglia

La scuola è per lo studente il luogo ansiogeno per eccellenza, quello del dramma delle verifiche, dove un  voto negativo, se non elaborato correttamente, viene spesso vissuto come una sconfitta e una squalifica di tutta la propria  persona.

E’  il luogo ove egli vive spesso in maniera drammatica la discordanza fra  il concetto di Sé, inteso come l’immagine che egli elabora per se stesso e la rappresentazione e la presentazione di Sé, intese come l’immagine che sta dando o che cerca di dare agli altri; e questa incoerenza, questa difficoltà a integrare i vari sistemi del Sé rappresentano per l’allievo la principale minaccia al proprio senso di  identità.

Diventerebbe allora necessario fare ricorso a  figure  “competenti”,  in riferimento alle quali l’adolescente possa esperire positivamente il senso della coerenza e  della integrazione dei vari sistemi del suo Sé, nonostante la necessità dei loro adattamenti in riferimento ai vari contesti e  ai loro mutamenti nella dimensione temporale: ma tali figure, i genitori, per motivi che andremo ad analizzare, rappresentano una risorsa scarsamente  utilizzabile e utilizzata, se non attraverso interventi specifici, che vadano al recupero della famiglia come contenitore delle richieste più emotivamente coinvolgenti dell’adolescente.

Il primo a negare tale ruolo di riferimento emotivo è il ragazzo stesso, che trova utile,  in questa fase della sua vita, squalificare le figure genitoriali per rendere meno doloroso il distacco, in quanto  se ciò che si  sta abbandonando  vale poco, lo svincolo sarà meno traumatico.

Questo è però un processo inconscio, mentre a livello conscio l’adolescente troverà mille motivi per delegittimare la figura del padre o della madre: portatori di una cultura e di valori ormai superati; meno colti dei professori;  meno disponibili degli amici; modelli di identificazione ormai superati e già sostituiti da figure più seduttive.

Con la psicologia del Sé di Khout potremmo affermare che il genitore è ormai inadeguato come  “oggetto –sé ”:  non rappresenta più  per l’adolescente quella figura funzionale, la cui presenza risana e consola,  convalida e premia e nella quale ci si possa rispecchiare per vederne  riflesso il proprio “Sé grandioso”.

Ora il ragazzo cerca “oggetti –  sé”  più adeguati, proiettando il suo Sé negli amici, nel partner, nel docente, nel mito, dai quali spera gli ritorni una immagine, che soddisfi l’investimento emotivo.

Ma a questo rifiuto delle figure genitoriali corrisponde la necessità inconscia di trarre ancora alimento emotivo (Blos parla di “fame di oggetto – affetto”) da tali fonti di identificazioni primarie e allora da questo conflitto, apparentemente insanabile,  attaccamentorifiuto, nascono l’angoscia esistenziale dell’adolescente, l’ambivalenza dei  comportamenti, la causa delle  depressioni.

Il genitore coglie il  rifiuto  e se non lo elabora, rischia di  agirlo con la delega agli esperti, (psicologo, docente),  perché si facciano carico del destino del figlio.

Ma i genitori oltre al rifiuto ne agiscono  anche  l’ambivalenza, e tale agito si traduce spesso nella fantasia inconscia che l’azione dell’esperto  fallisca, per non doversi confrontare, in caso di successo dell’intervento dall’esterno, con ulteriori sensi di svalutazione.

Il docente

Anche il docente è messo oggi in forte difficoltà, soprattutto dalla crisi del modello di legittimazione ancora fortemente legato alle funzioni terminali del processo insegnamento- apprendimento.

In altre parole, se prima la funzione docente veniva legittimata e riconosciuta dal solo momento valutativo a carico dell’alunno, promosso o bocciato, ora agli insegnanti viene chiesto  di:

§  innescare nel processo di insegnamento – apprendimento tutti i fattori motivazionali ed emozionali positivi che possano permettere all’allievo un corretto sviluppo cognitivo;

§  sapersi proporre all’allievo in una relazione senza chiusure, ma anche senza dinamiche collusive, in modo che questi si senta riconosciuto nella sua unicità e nella sua globalità e non come sommatoria di categorie;

§  farsi carico di tutta la problematicità dello studente, che oggi è latore di una domanda molto complessa;

§  individuare nuovi obiettivi, non più definibili e definiti come una volta; 

§  saper interagire con altre figure competenti.

Tali competenze che costituiscono oggi la nuova professionalità del docente, possono essere acquisite, non solo che con una adeguata attività formativa, ma soprattutto con la volontà di assumere anche se stessi come oggetto di trasformazione e di valutazione.

 

Il problema nel problema 

Negli istituti professionali poi, tutte queste problematiche stanno acquistando i caratteri della emergenza, in quanto l’obbligo scolastico e i notevoli flussi immigratori fanno confluire, soprattutto in tali istituti, una utenza nella quale le dinamiche sopra descritte possono essere ulteriormente aggravate dal notevole gap tra i prerequisiti cognitivi e motivazionali richiesti e quelli posseduti: la percezione di tale handicap diventa un ulteriore fattore di disagio, in quanto alimenta ancor più il senso di inadeguatezza del giovane, nei confronti del contesto rispetto al quale sarà chiamato a dare le  varie rappresentazioni di sé.

 

Considerazioni

Questi ci sembrano gli elementi di maggiore criticità, perché sono quelli che determinano lo scarto tra ciò che la scuola è e ciò che dovrebbe essere e quindi  gli interventi vanno focalizzati su di essi, ma con l’accortezza di uscire dalla autoreferenzialità, riconoscendo di conseguenza come il  ruolo della scuola possa oggi esercitarsi ed essere convalidato solo in una interazione dinamica con le altre agenzie formative, con le varie istituzioni, con le  associazioni culturali, con le realtà  produttive del territorio, con le amministrazioni locali.

Tale interazione presuppone:

      una preventiva azione di autoanalisi dei rispettivi contesti

      il riconoscimento e la condivisione dei reciproci valori di riferimento

      la possibilità di organizzare percorsi evolutivi dei soggetti in causa (allievi, docenti, genitori) nella rete dei vari contesti di riferimento

      la possibilità di controllare i processi e gli esiti

      la capacità di utilizzare i risultati come ulteriori elementi utili per correggere, eventualmente,  la natura e/o le modalità dell’intervento stesso.

Purtroppo accanto al problema della autoreferenzialità, che è sempre elevato, esiste oggi un altro rischio, legato a una sommaria e superficiale analisi della domanda o, più colpevolmente, conseguenza di atteggiamenti e di un utilitarismo a cortissimo raggio, che  spingono le varie istituzioni scolastiche a  investire e a intervenire su problemi  fittizi o marginali, solo perché si propongono con grande visibilità, suscitano entusiasmi all’interno e promettono immagine e risonanza all’esterno della scuola, anche se di fatto si rivelano incongruenti con le reali richieste dell’utenza e del territorio.

Un tale approccio alle richieste esterne, frutto dello spostamento di problemi reali,  rischia di  lasciare  rimossi o negati i problemi reali, che diventano, di conseguenza, ancora più difficili da riconoscere e da affrontare.

 

Il piano d’intervento

 

I modelli di riferimento

Le  prospettive entro le quali abbiamo cercato di inquadrare il nostro POF, sono quelle della psicanalisi e del socio – costruttivismo, avendo posto come oggetto  di studio e di intervento, oltre che gli atteggiamenti e i comportamenti degli allievi,  anche le loro storie personali, le loro relazioni e il contesto, che, fuori e dentro la scuola, rappresentano le presenze ineliminabili e determinanti della loro realtà psicologica.

Il livello e il tipo di affettività e di emozionalità che caratterizzano  la relazione e il contesto hanno infatti, per la persona, un ruolo fondamentale, in quanto rappresentano il presupposto energetico per lo sviluppo dei processi cognitivi e motivazionali.

4  Infatti è solo in ambiti connotati di emozionalità e di affettività che è possibile sperimentare la conoscenza, intesa come  conoscenza di Sé, degli altri, del mondo esterno, degli oggetti immaginari;

4  è solo nella relazione e nel contesto che scattano le dinamiche psicologiche di proiezioni, introiezioni, assimilazioni e accomodamenti, attraverso cui stabilire un corretto rapporto docente – discente, che non si risolva unicamente nella interazione asimmetrica “competente – profano”, ma che favorisca anche l’incontro simmetrico di due sistemi inconsci.

Per quel che concerne poi il contesto esterno alla scuola, anche se il giovane pensa di essere più libero, di fatto sperimenta ancora più pesantemente il controllo funzionale di una società che impone modelli emotivamente insoddisfacenti, propone pseudo – valori che sono spesso dei dis – valori, richiede comportamenti stereotipati, che alla fine riducono i gradi di libertà dell’adolescente e gli impediscono di affrontare il mondo  secondo un principio concreto di realtà.

L’impossibilità di stabilire relazioni significative può così portare il giovane alla chiusura, alla solitudine, intesa come condanna e non come scelta, come vuoto da riempire con il fumo, con le pasticche, con l’alcool, con le corse in macchina,  con l’acting out.

   Le solitudini dei giovani d’oggi non sono

4   né il frutto della  scelta di vivere e godere in pienezza la speranza di qualcosa che si  potrà avere domani, anzi spesso è proprio l’assenza di una prospettiva futura a determinare il loro isolamento, le loro chiusure;

4   né quella percezione della propria unicità e alterità rispetto agli  altri, con i quali si può, in ogni istante, ristabilire rapporti significativi.

4   né quel volontario regredire e rifugiarsi temporaneamente in vecchie relazioni oggettuali, da cui trarre alimento emotivo per affrontare le difficoltà delle relazioni attuali.

Le solitudini dei nostri giovani sono spesso, invece, assenza di persone, di oggetti, di vissuti; sono presenze persecutorie e alienanti.

“Le solitudini dei nostri ragazzi sono spesso esclusione dagli altri, dal mondo degli adulti; sono  abbandono,  nostalgia per un rapporto che è sempre più difficile  stabilire” (R. Carli;)

Qualche anno fa una ricerca riportava  che la quota dei giovani che raggiungono lo stadio delle operazioni formali è bassa, e la responsabilità veniva imputata agli adulti che  non li spingerebbero più a pensare:

forse sarebbe più corretto  ritenere che tale ritardo dello sviluppo cognitivo sia soprattutto l’esito di altri due fattori:

      la difficoltà dell’adolescente a stabilire relazioni significative in riferimento a valori condivisi,

      la mancanza di una progettualità,

che sono  per il giovane causa ed effetto di sfiducia per il mondo che lo circonda. 

 

Il processo trasformativo

 

Ecco allora che la scuola, attraverso progetti di attività scolastiche ed extrascolastiche, deve tendere a diventare e ad essere percepito dallo studente,  il luogo ove sia possibile arricchire ed esprimere tutto il proprio repertorio comportamentale, ove si possa sperimentare il proprio Sé in un campo di azione più articolato e in attività diversificate.

In tale senso, come vedremo dettagliatamente più avanti, il Progetto LARA si sta inserendo in perfetta sussidiarietà e complementarità con i progetti d’istituto, e già rappresenta per gli studenti del primo anno, un appuntamento e un riferimento irrinunciabili.

Però tutti sappiamo che spesso i migliori progetti rischiano di restare sulla carta se  l’inerzia e/o la paura del nuovo prevalgono sulla volontà e la motivazione al cambiamento: per innescare un processo di trasformazione che abbia probabilità di successo, sarà allora necessario passare attraverso una preliminare fase  di  destrutturazione di vecchie mappe concettuali e attraverso l’inibizione della memoria e della nostalgia per i vecchi schemi,  per evitare che un loro  riemergere possa condizionare negativamente le nuove motivazioni e le nuove esperienze.

Sarà necessario che  ogni soggetto del contesto sappia  mettere in discussione se stesso e le proprie relazioni, modificando, eventualmente, i propri atteggiamenti e  comportamenti.

Sarà  perciò necessario lavorare costantemente ad ogni livello del contesto intra ed extra istituzionale,  per un  progetto di ecologia scolastica, dal quale nessuno può pensare di “chiamarsi”  fuori, anche se il lavoro sarà difficile, perché, come è noto, è più facile mutare opinione, che non  atteggiamenti e comportamenti.

Utilizzando il nuovo paradigma dei saperi, potremmo sostenere che gli adulti  dovrebbero acquisire oltre a conoscenze psico – pedagogiche, anche più adeguate capacità relazionali e comportamentali.

Solo così i docenti potranno uscire dalla dinamica istituzionale duale e capire, per esempio, che la chiusura, la trasgressione, il rifiuto, i comportamenti trasgressivi  del ragazzo, sono richieste di aiuto formulate secondo azioni (qualche volta sconfinanti in veri e propri acting out) che, se valutati solo sul piano morale, ammetterebbero come unico e scontato esito la censura e pertanto non sarebbero più utilizzabili come fonte di indagine e di conoscenza.

Il docente dovrebbe  quindi imparare a usare l’empatia come strumento di indagine e di comprensione dell’allievo, avendo l’accortezza di stabilire con lui un setting che lo preservi dal rischio della collusione, che segnerebbe la fine del rapporto stesso, facendolo passare da sensi di onnipotenza a vissuti di impotenza e di frustrazione.

 

La formazione

Ma la capacità di stabilire una relazione corretta con l’allievo, si acquisisce con una adeguata formazione, partendo comunque dalla consapevolezza dei propri limiti e dalla capacità e dalla volontà di mettersi continuamente in discussione.

A fronte della necessità di tali competenze,  che presuppongono capacità di autoanalisi,  di flessibilità e di rapidi adattamenti al nuovo, viene da deprimersi se si considerano le crisi esistenziali di certi insegnanti, quando devono  dare un dieci a una prova svolta  alla perfezione da un loro allievo.

Tale difficoltà potrebbe  essere letta

Ü  come una resistenza narcisistica, che impedisce al docente di riconoscere al ragazzo un livello di competenza che pensa di poter attribuire solo a se stesso;

Ü  oppure, alla luce delle reiterate raccomandazioni del Ministero a valutare con tutta la gamma dei voti, potrebbe rappresentare una posizione depressiva del docente, che impedisce allo stesso di recepire il nuovo.

Come si vede, il cambiamento presuppone una ristrutturazione, sia cognitiva che comportamentale, di tutti gli operatori scolastici e nessuno può permettersi di cullarsi ancora nell’illusione  di rappresentare la variabile indipendente del sistema – scuola, la variabile alla quale tutti gli altri si devono adeguare.

Occorre perciò una pianificazione strategica che preveda una forte azione formativa e trasformativa nella quale siano coinvolti tutti i soggetti adulti: educatori, docenti, genitori, operatori sociali, tutti quanti cioè:

      rappresentano “l’altro  in relazione” e “il contesto” dell’adolescente,

      potrebbero diventare fonte di aspettative, di proiezioni, di identificazione,

      potrebbero favorire, all’interno della relazione, un corretto  processo per la costruzione di una sicura e stabile identità da parte dell’adolescente.

 

Progetti e finalità del piano formativo

1.    Progettare nelle attività scolastiche ed extrascolastiche molti momenti che permettano agli allievi di ampliare la possibilità di espressione dei  propri comportamenti.

2.    Introdurre nella prospettiva futura degli adolescenti elementi di fiducia e di speranza, con la consapevolezza che il comportamento del qui e ora dipendono sia dalle esperienze passate (e soprattutto del vissuto che ne conserviamo), che dalle aspettative e dalle speranze nel futuro.

3.    Introdurre nella relazione e nel contesto elementi di complessità che accrescano la possibilità di scelta.

4.    Ristabilire una gerarchia categoriale che si fondi su valori condivisi.

5.    Ricostruire in lavori di gruppo (consigli di classe specifici con la supervisione di esperti) la globalità e la complessità del ragazzo, tramite la lettura delle varie esperienze all’interno e all’esterno della scuola, per una corretta valutazione e per la eventuale progettazione di un e intervento di recupero.

6.    Dare coerenza e organizzazione alle varie esperienze, considerando anche la necessità di valutare gli esiti delle reciproche interazioni.

7.    Imparare a gestire la depressione (propri e degli altri) derivante dalla trasformazione e dall’abbandono di vecchi schemi di riferimento e di meccanismi di difesa ormai superati.

8.    Imparare a lavorare in gruppo, vivendolo come strumento di verifica, fonte di identità e luogo strutturato, che permetta l’emergere delle emozioni scisse e rimosse e la loro rielaborazione.

9.    Lavorare insieme,  genitori e docenti, con la supervisione di esperti, per imparare a gestire la domanda degli adolescenti.

10. Imparare ad attribuire gli scarti tra comportamento e profitto del soggetto epistemico e quello del soggetto reale, al tipo di contesto e di relazioni che la scuola,  la società e la famiglia propongono al ragazzo.

11. Imparare a organizzarsi in rete con le risorse sul territorio, per mettere in azione i suddetti interventi.

 

Perché un intervento di trasformazione possa dare i risultati attesi, bisogna prevedere, oltre all'azione formativa di cui si è già parlato, anche una procedura di verifica che possa documentare:

4    le modificazioni frutto dell’intervento

4    il grado di congruenza tra le modificazioni attese e quelle rilevate

4    il nesso causale tra l’intervento e le modificazioni.

Un primo bilancio di questi due anni di esperienza ci fa rilevare che:

      qualche volta i risultati deludono le aspettative;

      altre volte la mancanza di un monitoraggio impedisce di valutare la portata effettiva di un intervento;

      spesso, ad una analisi più approfondita,  emergono delle forzature, con le quali si è cercato, anche inconsciamente, di enfatizzare gli aspetti positivi di una esperienza, sottacendo contemporaneamente quelli negativi,  per poter attribuire ad essa una sua coerenza in riferimento alle aspettative di partenza e al piano generale;

      più frequentemente, per fortuna, molti progetti, soprattutto quelli più ampiamente condivisi  sia all’interno che all’esterno, riescono a produrre i risultati attesi.

 

LARA e noi

Per quanto riguarda le esperienze fatte dalle nostre classi negli stage di LARA, possiamo fare le seguenti considerazioni:

v molte finalità sopra riportate possono essere conseguite in maniera soddisfacente solo in virtù e all’interno degli stage stessi;

v altre  nella interazione tra le attività degli stage e  quelle dell’istituto e

v altre finalità saranno conseguite compiutamente solo attraverso un intervento di raccordo, di tipo psicanalitico, fatto al rientro dall’esperienza e che permetterà di analizzare il materiale emotivo emerso nelle attività degli stage e del quale non fosse stata ancora data una  esauriente lettura.

Una valutazione di questi primi due anni porta ad affermare che  gli stage di LARA sono importanti  perché:

      rappresentano quasi sempre una esperienza  che si radica in maniera molto significativa e positiva nel  vissuto del ragazzo,

      possono rappresentare una occasione di disorganizzazione di vecchi schemi,

      costituiscono  un momento in cui  l’adolescente si vede riconosciuto, rispetto alla percezione che egli ha di se stesso, in maniera più coerente di quanto gli capiti all’interno dell’ambito scolastico.

Per ciò che riguarda l’istituto che io presiedo, mi sembra che ora  ci siano le condizioni  per uscire da una fase che possiamo definire di sperimentazione, creando le premesse per una migliore  gestione del rientro dagli stage, tramite un  raccordo tra  IPSIA “C.Calvi”, Provincia e operatori del Progetto LARA, che preveda il monitoraggio del feedback, sia  nel rientro a scuola delle classi e sia nell’eventuale  replica dell’esperienza, a un anno dalla prima.

La gestione del rientro è uno degli aspetti più critici del progetto, in quanto è l’occasione per coltivare e gestire eventuali positive trasformazioni di vissuti e comportamenti dell’adolescente intravisti nello stage.

A tale proposito vorrei riportare un caso.

 

Un caso di promozione “paradossale”

Una promozione – provocazione 

Luigi, 15 anni, è iscritto alla classe prima, ma  a metà ottobre non si è ancora fatto vivo.

La sua assenza non è da imputare a un precoce e illecito inserimento nel mondo del lavoro, ma nasce da un suo rifiuto della realtà,  che lo porta  (questo è quanto mi riferisce una assistente sociale, invitata a occuparsi del caso)  a rifugiarsi in un suo mondo  virtuale fatto  di  televisione e  plystation.

La diagnosi clinico – funzionale fatta per il sostegno alla scuola media era di “soggetto  con lieve ritardo mentale e disturbo depressivo di personalità”.

Espletate, come preside le formalità di rito per “costringere” il ragazzo alla frequenza, d’accordo con il papà si attiva l’iter attraverso il quale ottenere, con le nomine di  gennaio, l’insegnante di sostegno.

Il padre si mostra molto disponibile e collaborativo e  benché  molto frustrato per l’atteggiamento del figlio che pone continue resistenze, finalmente riesce a “portarmi” il ragazzo a scuola.

Luigi è giunto  da pochi anni da un piccolo paese del sud, nel quale aveva lasciato tutto il suo mondo e cioè la campagna, un trattore con il quale lavorava la terra e il fratello maggiore.

Al nord vivono il padre, occupato a tempo pieno come operaio nell’edilizia e la madre, casalinga e anch’essa, come mi era stato riferito dall’assistente sociale, affetta da disturbo depressivo di personalità.

Dal dialogo che si svolge in presidenza tra me e Luigi, in presenza del papà, emerge una profonda nostalgia per il mondo che il ragazzo ha lasciato, anche se questo sentimento sembra sepolto e congelato nel suo profondo.

Luigi comincia a frequentare le lezioni e l’impatto è drammatico per i professori: egli ama definirsi “lo scemo del villaggio”  e su questa  definizione, supportata da un adeguato comportamento, “giocano” molto i suoi compagni  di classe per mandare in crisi i docenti più fragili. 

La gestione del ragazzo in classe si rivela molto problematica, perché si passa dai  momenti maniacali, nei quali Luigi vive il senso di onnipotenza nel creare lo scompiglio in classe con i suoi comportamenti da “scemo del villaggio”, a quelli depressivi, nei quali c’è da parte del ragazzo il rifiuto di una realtà da subire e nella quale egli non sembra trovare trova una minima coerenza, né con i suoi riferimenti emotivi e nemmeno con le sue prospettive di vita. 

Nonostante la buona disponibilità di tutti i docenti, la situazione è spesso  ingestibile: sono tantissime le volte che una bidella gli deve correre dietro per le scale, perché in un attimo di disattenzione del docente, Luigi, zaino in spalla, abbandonata l’aula, si accinge a   tornare a casa, alla sua realtà virtuale fatta di televisione e di plystation.

Gli unici momenti di attenzione li mostra nelle ore di fisica e della materia professionale, quando riesce a mostrare delle competenze specifiche nel campo della meccanica, utilizzando e raccontando le esperienze legate al suo trattore, vero oggetto transizionale.

Luigi partecipa con la classe allo stage “Il Sé Plurale”, nell’ambito del progetto LARA a Villa Fede di Rivanazzano:

sa stare con gli altri nelle varie attività e, anche mostrando qualche  problema, “riesce a mettersi in gioco senza sentirsi giocato”; si sente accettato per quello che è, per cui  non ha bisogno di fare “lo scemo del villaggio”.

Luigi e la classe sono tornati a scuola e tutti manifestano una intima soddisfazione per aver vissuto una esperienza nella quale hanno avuto tra l’altro,  l’opportunità di  rapportarsi con gli adulti, secondo il loro modo più profondo di essere, senza il timore di essere giudicati, senza mai dover ricorrere alla trasgressione, usata spesso a scuola come singolare modalità di comunicazione.

I compagni di classe forse cominciano a vedere Luigi  in modo diverso, forse egli percepisce che l’immagine che  sta dando agli altri va  man mano modificandosi e che quindi cambiano anche le aspettative nei suoi confronti.

Un giorno, durante una lezione di fisica, quando il professore chiede se qualcuno abbia capito il concetto di “coppia motrice” che ha appena finito di spiegare, l’unico a intervenire è Luigi, che afferma che la coppia motrice egli ce l’ha ben presente, in quanto la vede sprigionarsi dai cingoli del suo trattore quando questo è in movimento.

Non penso che io avrei potuto portare un esempio più significativo per la rappresentazione della coppia motrice!”, mi dice con commozione il professore di Fisica, aggiungendo che in tale occasione ha fortemente e pubblicamente elogiato Luigi. (il concetto di coppia motrice è uno dei più complessi della meccanica e attiene il moto rotatorio, di cui è  causa).

 

Considerazioni

L’importante non è che Luigi abbia dimostrato agli altri di non essere “lo scemo del villaggio”, quanto che egli sia riuscito a utilizzare concretamente una sua esperienza passata, proponendola nella realtà attuale che egli ancora rifiuta, perché la ritiene minacciosa per la vecchia, della quale ha ancora profonda nostalgia.

Luigi sta forse iniziando a  integrare i suoi mondi e i suoi Sé, che vivono ancora scissi e confusi:  quello vecchio, vissuto come  perduto e lontano, ma al quale si vuole rimanere aggrappati e quello nuovo, negato e rifiutato, perché vissuto come pericoloso e conflittuale con l’altro.

In forma letteraria e simbolica potremmo dire che Luigi sta cercando di arare, con il suo trattore, un terreno duro e ostile, che anche noi dovremmo contribuire a rendere fertile.

Siamo allo scrutinio finale, i suoi voti, nonostante il programma differenziato, sono molto negativi, eccetto che in fisica e nella materia professionale.

L’unico esito dello scrutinio sembra la bocciatura, sulla quale nessuno potrebbe eccepire: Luigi e la sua famiglia in primis, tanto l’esito è scontato.

Ma questo è proprio uno di quegli schemi da rompere e spieghiamo perché:

1.    se Luigi sarà bocciato (in verità si dovrebbe dire “Non ammesso alla classe successiva”)  molto probabilmente non ripeterà la prima classe;

2.    se Luigi sarà promosso, molto probabilmente non frequenterà la classe seconda;

ogni soluzione sembra ininfluente per il futuro scolastico di Luigi, che appare già scontato e sul piano istituzionale  la bocciatura sembra l’unica soluzione possibile (infatti a una prima  lettura –quella dei voti – l’esito è scontato).

Ma noi scuola, che siamo una istituzione formativa inserita in un  sistema formativo integrato, che ha per finalità “la crescita culturale, psicologica e comportamentale dell’adolescente”, cosa stiamo facendo per integrare le varie esperienze dei nostri allievi e per restituirle interpretate e arricchite alla luce di una certa coerenza agli stessi? E nell’integrazione delle stesse, al momento delle deduzioni e delle valutazioni, che peso dare al Luigi quale egli si è presentato e rappresentato ai docenti per gran parte dell’anno scolastico e quale a quello rappresentato allo stage di LARA?

E ancora, il vero Luigi è quello depresso che, zaino in spalla viene rincorso dalla bidella,  quello istrionico che fa lo scemo del villaggio, o forse è quello che sta cercando faticosamente e forse disperatamente di integrare i suoi Sé, i suoi mondi, le sue vecchie relazioni oggettuali fra loro, e le vecchie  con quelle attuali?

Luigi è quello che non capisce nulla o è quello che porta esempi mirabili nella lezione di fisica?

Sono domande alle quali noi dobbiamo cercare di rispondere.

Dobbiamo inoltre essere consapevoli che noi stessi rappresentiamo  le sue relazioni, siamo anche noi il suo contesto, siamo anche noi quelli che, con le nostre aspettative verso di lui, possiamo contribuire a  determinarne l’identità e forse il destino.

 

 

2     Bocciare Luigi vuol dire restituirgli e confermargli l’identità dello “scemo del villaggio”.

2     Promuoverlo vuol dire assumersi la responsabilità di destrutturarlo, di negargli una identità seppur negativa.

Penso che un sistema formativo integrato non possa decidere se non sulla base di una forte assunzione di responsabilità, che lo porterà a farsi carico di tutta la problematicità della persona.

Tale responsabilità implica anche farsi carico di un piano di ricostruzione di un contesto e di un sistema di relazioni nei quali Luigi possa sentirsi riconosciuto alla pari degli altri, senza dover ricorrere a comportamenti istrionici per far capire che c’è anche lui:

-c’è e vuol continuare ad esserci!-

Promuoviamo Luigi  non per mandarlo  a lavorare, passando la palla a un altro sistema e quindi lavandocene le mani; lo promuoviamo perché gli vogliamo fare capire che egli si deve pensare in un altro modo, lo promuoviamo per fargli capire che ci vogliamo prendere cura di lui, lo promuoviamo per lasciargli il più possibile stabile il suo contesto scolastico di riferimento (gli stessi compagni di classe), semmai volesse proseguire con gli studi.

Un sistema integrato che si definisca formativo ed educativo non può respingere un adolescente sulla via della psicosi, non può restituirlo alle sue giornate vuote di qualsiasi prospettiva di vita e piene solo di una nostalgia che divora.

La promozione è anche un messaggio di accettazione della sua persona, coerente con quello che gli è stato trasmesso a Villa Fede e che anche noi abbiamo cercato di mandargli, sia durante l’anno, che allo scrutinio finale –“tu non sei lo scemo del villaggio”-.

Con l’univocità del messaggio della scuola e di LARA  si cerca di rinforzare  in Luigi una dissonanza cognitiva,  una incoerenza tra quello che egli dice, provocatoriamente,  di essere e l’immagine che gli vogliamo rimandare noi, per impedirgli di ancorarsi a una identità negativa che gli sarebbe invece confermata con la bocciatura; con la promozione si cerca di permettergli la disaggregazione  e l’abbandono di pericolose, anche se funzionali  strutture di difesa.

Ciò provocherà un vuoto che andrà riempito con un approfondito percorso psicanalitico, che veda coinvolti anche i genitori.

Sarà necessario un lungo lavoro psico – pedagogico articolato:

      sulla storia personale del ragazzo, con il  recupero delle vecchie relazioni oggettuali

      sul contesto attuale, intervenendo sulla famiglia e sulla scuola per offrirgli   spazi di vita più adeguati  alle sue necessità evolutive.

      sulla integrazione del vecchio, analizzato e ricostruito, con il nuovo.

La promozione di Luigi diventa funzionale al recupero della persona solo se  nella scuola e in collaborazione con la scuola ci sono le competenze e le possibilità di svolgere un lavoro articolato e approfondito: d’altra parte alla complessità psicogena della società, oggi, per  poter alimentare speranze di successo, bisogna saper rispondere con specifiche competenze, strategie complesse e l’integrazione di tutte le risorse disponibili.

Per il rispetto dei tanti Luigi presenti nella scuola, bisogna cercare di sfruttare al massimo le opportunità che ci vengono offerte, cercando di interpretare al meglio lo spirito dell’autonomia, ma soprattutto organizzandosi per acquisire nuove competenze, per stabilire rapporti di collaborazione significativi con l’esterno e per utilizzare al meglio le risorse che ci sono all’interno di ogni istituto.

 

Valutazioni di una esperienza

 

LARA si è proposta al nostro Istituto in concomitanza con la mia nomina a preside incaricato:

potrei dire che è stata attrazione a prima vista, sia per me, che per quei docenti che condividono l’idea che nella scuola sia ormai improrogabile una radicale trasformazione dei ruoli, delle funzioni, delle relazioni, del contesto, attraverso rotture epistemologiche, coraggiose e intelligenti interpretazioni delle norme, progetti di interventi in rete con le migliori  risorse del territorio.

Una tale azione trasformativa sembrerebbe avere dei limiti in un contesto  normativo non ancora molto chiaro e adeguatamente consolidato da una specifica letteratura, e allora sta all’entusiasmo, al coraggio, alle motivazioni e alla fiducia dei soggetti coinvolti, cercare di utilizzare al meglio quei margini di discrezionalità che, in verità, nella scuola dell’autonomia sembrano promettere e permettere esperienze molto significative.

Una azione trasformativa che privilegi la integrità psicologica della persona, anche se è in coerenza con le aspettative di una società più giusta ed e equilibrata, spesso  potrebbe  però creare perplessità e trovare resistenze in un mondo in cui molte volte prevale la modalità economica e competitiva dei rapporti.

Ma è proprio perché siamo in un periodo storico in cui i nostri sistemi sociali spesso trasmettono una cultura cinica e corrotta, o pur proponendosi all’individuo con buoni propositi, lo fanno spesso in maniera contraddittoria, disorientante e frammentaria, diventa doveroso per un sistema formativo, che abbia a cuore l’integrità e l’equilibrio della persona, proporsi come una struttura stabile, pur nella sua evoluzione, integrata e portatrice di valori unanimemente condivisi: 

Blos sostiene che “il corso riuscito dell’adolescenza dipende intrinsecamente dal grado di integrità e di coesione delle istituzioni sociali.”-

 

Lavori di gruppo – gruppo di lavoro – gruppo classe

Mi ero ripromesso di proporre in questa relazione, una lettura psicanalitica di alcuni giochi proposti ai ragazzi nello stage, ma, rimandando questo compito a un’altra occasione, intendo ribadire la utilità di un ampliamento del progetto LARA a favore dei docenti, in modo che, coinvolgendoli in lavori di gruppo, si possa  analizzare, ad esempio,  in che maniera essi agiscano inconsciamente le dinamiche e le disfunzioni istituzionali, che diventano poi funzionali ad atteggiamenti di difesa e di distacco dai problemi e in che misura proiettino, sulla istituzione stessa, le proprie resistenze al cambiamento, determinando così una tautologia perversa.

Si potrebbero analizzare oltre a  tali resistenze,  anche le collusioni difensive e oppositive, per cui  i docenti, spesso in disaccordo su tante cose, si ritrovano  invece uniti emotivamente nel rifiuto di progetti, che mettono in discussione vecchi equilibri e vecchi schemi, anche se ormai disfunzionali (in verità, come abbiamo visto,  sono funzionali a tenere lontana l’ansia legata alla prospettiva del cambiamento).

Con LARA si potrebbe lavorare per costruire i gruppi di lavoro” per docenti, nel senso che Bion dà a questa definizione, con un addestramento specifico che spinga al controllo della frustrazione e delle emozioni – vissuti che emergono prepotentemente nelle commissioni, nei collegi docenti e nei consigli di classe, impedendo di lavorare con la necessaria professionalità -.

Ulteriore ambito di formazione per docenti, con l’utilizzo degli strumenti psicopedagogici propri del progetto LARA e di quelli più specificamente psicanalitici, sarebbe quello attinente la gestione del gruppo – classe.

La gestione delle dinamiche di gruppo è in effetti un problema egualmente rilevante come quello della relazione docente – alunno.

Nel rapporto docente – classe potrebbe  accadere che:

v il docente riproponga con il suo atteggiamento le norme istituzionali di controllo ed allora si può avere che:

1.    il gruppo – classe, inteso come sistema di relazioni nato spontaneamente sulla necessità di soddisfare i bisogni socioemotivi di ogni singolo componente, tenderà a disgregarsi sulla spinta di  posizioni competitive al suo interno;

2.    il gruppo – classe ripiegherà su posizioni difensive  e rafforzerà la propria emozionalità, che,  inizialmente repressa,  esploderà prima o poi sotto forma di trasgressione e provocazione;

v il docente non riesca a motivare e a stimolare adeguatamente il gruppo – classe e allora si assisterà, quasi certamente, alla tendenza da parte degli allievi, ad attestarsi a un livello non adeguato delle prestazioni, con conseguente tentativo di discreditare e delegittimare chiunque, all’interno del gruppo, sia motivato a fare qualcosa di più.

Poiché il gruppo è una ricchezza intrinseca per ogni suo componente, resta allora il problema di mantenerlo coeso, in modo collaborativo, per metterlo in condizione di lavorare al meglio; diventa così indispensabile, per il docente, acquisire quelle competenze che gli permetteranno di affrontare e gestire i problemi di rapporto, i conflitti e tutte quelle dinamiche connotate di emozionionalità, sia positiva, che negativa.

 

Conclusioni

Abbiamo così visto come il nostro Piano dell’Offerta Formativa sia caratterizzato da una forte azione trasformativa, che assume come oggetto di intervento non solo gli allievi, ma anche gli operatori, il contesto e le relazioni di quanti, adolescenti e adulti, si muovono al suo interno.

Riteniamo di avere anche dimostrato come il progetto LARA si collochi, all’interno di tale Piano, in maniera decisamente funzionale alla concezione di una scuola che sa di poter fare passare i contenuti disciplinari, gli apprendimenti, solo all’interno di processi relazionali carichi di simbolizzazioni affettive particolarmente significative.

In definitiva, gli stage di LARA rappresentano una notevole risorsa all’interno del POF, perché sono di fatto:

q momento di diversificazione e di ottimizzazione del contesto

q opportunità di trasformazione e di crescita seppur minima e temporanea dell’adolescente

q strumento di indagine e di  conoscenza della personalità dei ragazzi 

q elemento di valutazione in sede di consiglio di classe e di scrutinio finale

q potenziale opportunità di formazione per i docenti

q fattore di crisi, ma proprio per questo occasione di riflessione e opportunità di crescita del docente che,  prendendo atto dei diversi comportamenti dell’allievo in contesti diversi, sarà forse stimolato a porsi qualche domanda:

      Noi a scuola abbiamo fatto tutti il nostro meglio per offrire allo studente le condizioni ambientali più opportune e facilitanti?

      E a casa l’ambiente è facilitante?

      Se una persona si può modificare in riferimento al contesto, devo giudicarlo per quello che egli è o per quello che sarebbe stato, se io stesso come  docente, insieme ai miei colleghi e agli altri operatori scolastici fossi riuscito a creargli  un ambiente migliore?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia

 

Blanco M. (1981) L’inconscio come insiemi infiniti. Einaudi, Torino.

Blos P. (1988) L’adolescenza come fase di transizione. Armando, Roma.

Carli R. (1993) L’analisi della domanda in psicologia clinica. Giuffrè, Milano.

Carli R. (1987) Psicologia Clinica. UTET, Torino.

Ford D.H.   Lerner R.M. (1995) Teoria dei Sistemi Evolutivi. Cortina, Milano.

Gabbard G.O.  (1994) Psichiatria Psicodinamica. Cortina, Milano.

 

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