e ogni volta diamo l’addio a qualcosa di noi
che la nostalgia misteriosamente
ci consente di ritrovare.
Eugenio Borgna. La nostalgia ferita.
Era sempre il primo a leggermi su Pol.It. per rischiarare la mia memoria. La sua era formidabile. Pensavo non volesse esacerbare il mio stato d’animo, per la perdita di Silvia, che conosceva, alla fine di questo giugno triste 2019. O che fosse a Parigi, sua seconda patria di lavoro creativo, da una ventina d’anni. E invece se n’è andato alla chetichella, nella sua abitazione romana a Viale Giulio Cesare, senza disturbare, com’era suo costume, da gran signore, qual è sempre stato, ghermito da un infarto, sabato 3 agosto, di primo mattino. Mi ha sorpreso e addolorato, profondamente. Aveva un anno meno di me e questa sola certezza mi “garantiva” una sorta di immortalità, finché lui fosse stato in vita. Un’idea pazzesca, d’accordo, come quelle che normalmente hanno tutti quelli che fanno il nostro “mestiere”, diciamo pure così, altrimenti non lo farebbero. Ma anche una fantastica illusione di quelle che sanno suggerire le vere amicizie, nel linguaggio di Binswanger.
Era stato il mio primo amico quando, a 16 anni, emigrai a Roma da Bologna, e lo saremmo rimasti tutta la vita. Abbiamo frequentato lo stesso liceo a Via Boncompagni, ma lui, come mia moglie Silvia, faceva il turno opposto. Fu mia madre, che aveva stretto amicizia con la sua, Angela Maria, a dirmi «Perché non t’incontri con Nino, il figlio di una mia amica. Andate alla stessa scuola, avete la stessa età … vedi che andrete d’accordo … oltretutto è figlio unico, gli farà piacere!».
Mi aveva introdotto presso un gruppo di quindicenni che lui frequentava a Piazza Verbano e al Parco Nemorense. I primi rudimenti di gergo romanesco li ricevetti da loro: Bruno Posta, Sandro Urbani, ecc. “Nino” era sempre molto elegante e si distingueva per molti dettagli raffinati, fin da adolescente. Aveva una “Isomoto”, un ciclomotore particolare, dove me lo ricordo con un paio di mocassini bicolori bianchi e neri. D’estate ci andava fino a San Remo a trovare una nonna materna.
Durante le vacanze, mi recavo da lui al mattino. Partivo da Via dei Villini, dove abitavo coi miei per raggiungerlo a Via Pacini 3, Rione Ludovisi. Mi apriva premurosamente la madre, Angela Maria, perchè lui ancora dormiva. La sua camera affacciava su Via Spontini. C’era grande dimestichezza, tra noi, una specie di fratellanza, ma si vedeva che era figlio unico. Non vorrei esagerare, ma la sua vestizione mi faceva andare con l’immaginazione a “Le lever du roi” Luigi XIV a Versailles [01]. Quello che più gli invidiavo era il fatto che “Nino” potesse chiedere alla madre di portargli i calzettini lavati dalla cameriera il giorno prima, per poter scegliere il colore che meglio si adattasse ai pantaloni e alle scarpe che intendeva mettere. Sapevo già in anticipo che avrebbe scelto, inevitabilmente, quelle bianche, che allora andavano di gran moda.
D’accordo, sono dettagli, forse anche banali, ma questi piccoli frammenti del sentimento nostalgico che torna dal passato, della nostalgia-non-malattia che rammenta i vissuti remoti, sono utili a dischiudere, come ha scritto di recente Eugenio Borgna «… i vasti orizzonti tematici, e le profonde risonanze emozionali ed esistenziali, che essa [nostalgia] ridesta in noi: negli abissi della nostra interiorità» … Un amalgama sottile di sentimenti, rimpianti e ricordi che si fa strada tra cervello rettiliano, neocorteccia frontale, polo temporale, sistemi a proiezione diffusa e sostanza reticolare. Così continua Borgna con parole sempre preziose e indimenticabili «Di solito dimenticata, e banalizzata, la nostalgia ci aiuta a vivere, a ricostruire il tempo vissuto nella sua unitaria circolarità di passato, presente e futuro, e a fare sgorgare dalla memoria ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza, ma anche della giovinezza e di altre stagioni della vita, che rimuovano la ruggine lasciata dal trascorrere febbrile e fatale degli anni». [02]
Anche “Nino” s’iscrisse a Medicina e da allora divenimmo inseparabili. Andavamo a studiare anatomia da Maurizio Di Paola cha stava al piano terra di una vasto appartamento in Via Manfredi, ai Parioli. Eravamo un terzetto abbastanza ben assortito e affiatato. Io generalmente dormivo ma ascoltavo, tanto che rispondevo a tono, se interrogato di soprassalto. Maurizio faceva lunghe telefonate politiche dicendo «Voi intanto andate avanti, che io mi sbrigo subito». Votava monarchico, il padre era un generale in pensione, ma la sua improntitudine e la sua sveltezza erano eccezionali. Di lui va ricordata la risposta che dette all’esame di patologia medica. Richiesto di dire se una data malattia comportasse febbre o meno, la sua risposta fu: «Abbastanza ma non troppo». “Nino”, oltrepassava la grande porta a vetri che separava la nostra stanza da quella accanto, dove c’era Marcello, il fratello architetto, con tanto di studio e tutto l’armamentario per disegnare. Per “Nino”, qualunque occasione era buona e si prendeva lunghe pause, informandosi, dando suggerimenti e discutendo con Marcello con competenza inaspettata. Gli sarebbe tanto piaciuto fare l’architetto, nel senso di progettare e organizzare spazi esterni ed interni. Massimo, il più grande dei fratelli Di Paola, era primario di ginecologia all’Ospedale Grassi di Ostia, veniva però sempre, ma frettolosamente, a salutare i genitori. Più avanti, sarebbe divenuto il ginecologo di Silvia e di Mirella Paternò la moglie di “Nino”.
Si affacciavano spesso dei Colleghi, dalla finestra del nostro studio, che dava sul viale d’ingresso dell’edificio. Mi viene ora in mente, fra i più assidui, Carlo Silvagni, futuro cattedratico romano di ORL, morto precocemente. Venivano a misurarsi con noi, per sapere a che punto stesse la loro preparazione rispetto alla nostra. Questo sodalizio a tre, durò fino alla laurea. La nostra coppia, invece, malgrado la diversità d’indirizzo e di carattere, continuò ancora un po’ durante la specializzazione in Clinica delle Malattie Nervose e Mentali. Il fatto dirimente era che la stessa passione che io nutrivo per il teatro, “Nino” la dedicava alla psicologia e alla psicoanalisi, tanto che alla fine lui divenne il mio maestro delle seconde, come io lo sono stato per lui del primo. In proprio divenne, però, un critico cinematografico molto competente. Iniziò a frequentare il “Festival di Cannes” fin dai tempi di Buongiorno tristezza di Otto Preminger (1958). La sosta a Bordighera, dalla nonna materna, era una tappa fissa. In seguito, alla Mostra di Venezia, riusciva a visionare anche 5 film per giornata.
Inutile dire che dopo la laurea in medicina, ci rincontrammo fatalmente alla corte di Mario Gozzano presso la Clinica delle Malattie Nervose e Mentali al civico 30 di Viale dell’Università, dove entrambi avevamo vinto il concorso di selezione per l’ammissione alla specializzazione in Clinica delle Malattie Nervose e Mentali, così allora si chiamava la specialità, prima della cultrazione in Neurologia e Psichiatria (Legge n°238 del 29 aprile 1976 la cosiddetta “Legge Cazzullo”). Per dare un’idea della “Neuro”, il celebre terminal di tutte le follie e dissolutezze della prima metà del secolo passato, delle dislocazioni interne dei vari servizi che, secondo turni prefissati, dovevano frequentare gli specializzandi, e del clima che vi regnava all’epoca di cui stiamo narrando, nulla è più utile che citare qualche passo della ricostruzione storica contenuta nel saggio Storia della Clinica Psichiatrica della Sapienza Università di Roma nel Policlinico Umberto I. A Ugo Cerletti «subentra nel 1952 Mario Gozzano, proveniente dall’Università di Bologna. Con lui, dal prevalere dell’istopatologia predominante dall’epoca di Mingazzini, acquista crescente importanza l’impiego dell’elettroencefalografia. Secondo le sue direttive, la Clinica venne così organizzata: al seminterrato l’ambulatorio generale, quello di elettrodiagnostica e quello di elettroencefalografia; separato da essi tramite una vetrata, il reparto di Neuropsichiatria Infantile (trasferito nel 1967 in via dei Sabelli 108) con annessa una scuola differenziale per il ritardo mentale e un centro di rieducazione per le discinesie dell’età pediatrica. Esisteva anche il reparto di riabilitazione motoria per adulti e di rieducazione del linguaggio. Vi lavoravano fisioterapisti e terapisti occupazionali. Al piano terra, i due reparti di Psichiatria: uno maschile (Primario Sebastiano Fiume n.d.r.) e uno femminile (Primario Gian Carlo Reda, n.d.r), per un totale di 70 letti, con annesso ufficio di accettazione, per evitare l’accettazione centralizzata del Policlinico per pazienti particolari che avevano bisogno di relazione con personale specializzato e spesso di ricovero urgente. La sezione neurologica era situata al secondo piano, dove si trovava un secondo gabinetto di encefalografia. Al terzo piano erano organizzati gli ambulatori. Fu poi costruita un’altra ala di 5 piani, dove fu posto il reparto di Neurochirurgia. Nelle terrazze venivano sistemati gli animali da esperimento in ampi stabulari». [03].
“Nino” aveva già fatto la sua scelta in favore della psichiatria, infatti era difficile che si spostasse dal piano terra, ossia dal reparto psichiatrico femminile diretto da Gian Carlo Reda. C’era un nutrito gruppo di allievi molto bravi come Nora D’Agostino, Graziella Nencini, Giuseppe Donini, Mirella Mattogno, Francesco Montanari, Nicola Ciani, Paolo Aite, Paolo Perrotti, Massimo Marà. Io, invece, non mi spostavo dal primo piano, la sezione neurologica, dove c’erano fior di maestri di neurologia come Vittorio Challiol, Giorgio Spaccarelli, Giovanni Alemà, Vincenzo Floris, Raffaello Vizioli, Paolo Severini, D’Orio, Aldo Laterza, che mi ha introdotto ai segreti della neuroftalmologia.
La differenza di piano frequentato, per dovere e per scelta, non impediva l’amicizia, anzi. Ci vedevamo spesso perchè molti erano gli interessi comuni. Al primo anno di specializzazione, ero perfino riuscito a convincere “Nino” a venire con me al “Pastor Angelicus”, un anello della mitica catena di campi di calcio “Cavalieri di Colombo”, sul lungotevere Flaminio, al ponte Duca D’Aosta [04]. Vi erano cresciuti molti calciatori professionisti di Serie A, fra i quali Franco Carradori, centrocampista della Lazio e della Nazionale. Strategica fu la complicità di Massimo Marà [05], un altro coetaneo, collega di specializzazione e, maestro ribelle di psicoanalisi freudiana, un perrottiano deviante, fagioliano abiurante, tifoso laziale e fanatico per il calcio. “Nino”, che vestiva sempre secondo le circostanze, onde non mettere in imbarazzo gli ospiti, per la bisogna, si era procurato, non so come, nè dove, una divisa perfetta, “scarpini” compresi e maglietta dell’Inter di cui pare fosse tifoso, nell’eventualità glielo avessero chiesto. L’esperienza fu breve e non ebbe seguito, mai più. Qualche tempo dopo mi sono sorpreso a domandarmi se fossi mai riuscito a convincere, metti caso, Luigi Pirandello, che era andato fino a Bonn per compilare la sua tesi sui dialetti siciliani, deluso dai docenti dell’università di Roma, non dico a mettersi una maglietta da calciatore ma a tifare per una squadra di calcio.
Non era assolutamente necessario che “Nino” sapesse di calcio. Aveva molte altre virtù. Prima di tutto era spiritoso, aveva la battuta pronta, sottolineava le contraddizioni degli oratori e creava calambour divertenti. Dal punto di vista professionale è stato psichiatra e analista che ha grandemente contribuito alla nascita e allo sviluppo dell'analisi junghiana in Italia, con il suo impegno nello studio e nella pratica clinica sia nel pubblico che nel privato.
Ricordando “Nino” non potrei omettere di parlare dello zio, Gerlando Lo Cascio, allora direttore del manicomio “Santa Maria della Pietà”. Pur rispettando la parentela – Gerlando era il fratello maggiore del padre Francesco – “Nino” non ne condivideva la dottrina ed evitava di lavorare nella sua clinica privata, “Villa dei Fiori”, dove io, invece, facevo le guardie per arrotondare. Fu proprio “zio Gerlando”, il quale sapeva della mia attività teatrale semiclandestina, che tra l’altro apprezzava, a dirmi schiettamente «Ma che stai a fare li da Gozzano, senza un soldo di paga! La carriera universitaria è per figli di famiglia con beni al sole, lascia perdere, fai la domanda alla Provincia e sali su da noi all’OPP di Monte Mario. Lo stipendio mensile non sarà molto, ma è sicuro e tu hai già due figli e aspetti il quarto (in realtà era una coppia di gemelli) … dammi retta … poi ci sono le perizie …». Tranne una volta, non ho mai fatto perizie psichiatriche per il tribunale. L’eccezione fu quando accettai di battermi strenuamente per una buona causa. Si trattava di aiutare una docente universitaria, trascinata dal marito davanti al tribunale della Sacra Rota perché voleva annullare il matrimonio per “amenza” [06]. Fu lì, cioè al Palazzo della Cancelleria, che tenni testa al “Difensore del vincolo”, seriamente intenzionato a scioglierlo. Infatti, lo scioglimento avvenne, ma non per colpa della mia paziente, nè tanto meno, per infermità mentale della moglie, bensì per le stranezze del marito che fu condannato a risarcire i danni, comprandole un signorile appartamento a Piazza Bologna e al pagamento delle spese legali.
Con Mario Trevi, Nora D’Agostino, Aldo Carotenuto, Bianca Garufi, Gianfranco Draghi, Carlo Iandelli, Silvana Radogna, Claudio Modigliani, Paolo Aite, Marcello Pignatelli, Silvia Montefoschi, Hélène Erba-Tissot, e con altri intellettuali e artisti come Federico Fellini, Giorgio Manganelli, Natalia Ginzburg, “Nino”, nel 1965, anno della improvvisa scomparsa del maestro, rimase uno degli orfani prestigiosi di Ernst Bernhard (1896-1965), il pediatra berlinese, apolide, che era riuscito a fare incontrare i seguaci di Freud e quelli di Jung in quella che io chiamo “la pace di Roma”. Nel 1938, a seguito delle leggi razziali, cercò riparo in Inghilterra, come Freud, ma gli fu negato il permesso, sembra per la sua professione di astrologo e chiromante, nel senso che mise in sospetto l’Intelligence di Re Giorgio. Ripiegò su Roma che fu più generosa. Ma pur vivendo nella capitale italiana, la sua origine ebraica non gli risparmiò la deportazione in un campo di concentramento calabrese e la zelante esecuzione della polizia fascista, gli aprì le porte del soggiorno obbligato a Ferramonti di Tarsia.
Antonino Lo Cascio, ha avuto un ragguardevole cursus honorum, una prestigiosa vita accademica e ha pubblicato un importante numero di studi psichiatrici, psicologici e psicopatologici. È stato membro didatta, oltre che fondatore e segretario dell’Associazione Italiana di Psicologia Analitica (A.I.P.A.). Nel 1992 organizzò e presiedette il Congresso “C.G. Jung. La scuola di psicologia analitica in Italia 1961-1991” tenutosi a Roma congiuntamente dalle due associazioni junghiane A.I.P.A. e C.I.P.A [07], presso il Gohete-Institut in Via Savoia 15. Fu ancora “Nino” ad invitare a Roma Gaetano Benedetti, da Basilea, e a presentarmelo personalmente, per una Conferenza su La psicoterapia della schizofrenia, presso l’Istituto svizzero di cultura a Villa Maraini in via Ludovisi 48 [08].
La nostra collaborazione è stata lunghissima. Dal punto di vista pratico, fummo i primi ad aprire a Roma il primo SPDC presso l’Ospedale “Civile” di San Giovanni, nel 1978 [09]. Sul versante critico-teorico, un terzo della nostra produzione scientifica è firmata da entrambi. Abbiamo spesso riflettuto sul nostro lavoro istituzionale prima, durante e dopo la cosiddetta “Legge Basaglia”, quello che abbiamo fatto per abbattere le mura manicomiali, le manifestazioni alle quali abbiamo partecipato, i Convegni ai quali siamo andati, e come ci siamo regolati per organizzare al meglio i Servizi di Salute Mentale nel territorio dopo il 1978. La testimonianza più evidente di questi studi, sono ben 40 lavori a stampa su riviste nazionali e internazionali appositamente dedicate. Ricordo che iniziammo quest’attività di pubblicizzazione e rinforzo al movimento nazionale di contrasto al manicomio, nel 1974, andando in gruppo al Convegno di Volterra sul rivoluzionario Articolo 4, [10] che dava la possibilità al paziente psichiatrico di ricoverarsi volontariamente in manicomio presentandosi direttamente al medico di guardia e di poter essere dimesso chiedendolo semplicemente al medico di guardia. Rammento che il mezzo di locomozione era un pulmino Volkswagen, da noi ribattezzato lo “Psicobus”, sul quale prendemmo posto, con spirito goliardico, “Nino”, io (gli “Aiuti”), Giuseppe Francesconi (il nostro “Primario”), e Paolo Marino, psicologo in formazione al III Padiglione del S.M. della Pietà. Giunti a Volterra, ci fermammo a un crocicchio e, non sapendo dove fosse l’antico manicomio, per sveltire le procedure a Francesconi che guidava (allora non esisteva il ton ton), ”Nino” si finse malato agitato, strillando fuori dal finestrino «Aiutatemi, vi scongiuro, mi vogliono rinchiudere in manicomio!» e io fingendomi infermiere, mentre lo afferravo strettamente, rincaravo, concitato, «Si presto! Da che parte si fa prima? È molto pericoloso!». L’ultima volta che partì questo nostro gruppo romano fu nel 1980 per andare a Milano a rendicontare un primo bilancio delle nostre mirabolanti e difficilissime esperienze del SPDC al San Giovanni [11]. Per inciso vorrei aggiungere che leggo con grande interesse, su Pol.It.Psychiatry, le storie appassionate di Gilberto Di Petta dal pronto soccorso psichiatrico e, dopo avergli tributato tutta la solidarietà per il suo meritevole lavoro, confesso di nutrire un pizzico di nostalgia. La «nostalgia ritrovata» come scrive Eugenio Borgna [12], proprio per quel suo quotidiano incontrare il difficile mondo delle umane presenze, tentando quotidianamente di sbrogliare, con loro e per loro, la complicata matassa dell’esistenza malata, immersa per giunta nella limacciosa palude dei pregiudizi, delle finte paure e dello sfruttamento.
Terminerò questo mio nostalgico ricordo dell’amico di una vita, con un breve passo del suo pensiero, tratto da Il fascino sottile della psichiatria. «Nel mio iter professionale il primo incontro con il mondo junghiano, avvenuto attraverso il rapporto con Ernst Bernhard, aveva seguito di pochi anni l'inizio della mia pratica di psichiatra istituzionale. Ripercorrendo le tappe che hanno segnato questo iter non ho trovato, ahimé, alcun momento in cui vi fosse stata una sola reale possibilità di integrare una prassi junghiana nella realtà delle istituzioni psichiatriche nelle quali operavo. Una mia scissione risultava necessaria all'interno delle istituzioni totali, e i miei non pochi tentativi di integrazione — tutti fallimentari — lo testimoniavano: la cultura analitica poteva servire semmai ad uno smantellamento culturale delle mura manicomiali» [13].
Addio “Nino”. Non sentirò più la tua voce ricordarmi sottovoce «… Ludmila e George Pitoëff… la fol du ciel, Lenormand … la prima volta … Vieux-Colombier… Parigi 1937…» [14].
Note.
01. Il risveglio del Re come ho potuto leggerlo sul Kantorowicz, anni dopo, frequentando la Facoltà di Storia Contemporanea alla “Statale” di Milano di cui era titolare Alceo Riosa, dove questi suggerimenti preziosi me li dava Marco Gervasoni, un suo collaboratore.
02. Eugenio Borgna. La nostalgia ferita. Einaudi, Torino, 2018, p. 101.
03. Cfr. Maria Antonietta Coccanari De’ Fornari, Angela Iannitelli, Massimo Biondi. Storia della Clinica Psichiatrica della Sapienza Università di Roma nel Policlinico Umberto I. Il Pensiero Scientifico Editore Roma, Riv Psichiatr. 2017; 52(1): 1-8
04. In origine, nel 1927, era "Il Polverini", sulle rive del Tevere, fu poi trasferito al Flaminio dove divenne il “Pastor Angelicus” in onore di Pio XII, sotto la giurisdizione della Parrocchia di Santa Croce al Flaminio.
05. Massimo Marà (1933-2015), Ha sempre giocato a pallone finché è stato in vita, si può ben dire tanto da morirne. Per ironia della sorte, fu un colpo di testa, mentre giocava a pallone alla bella età di 82 anni, nella sua villa a Manziana, dove aveva costruito un campo di calcetto con una porta dipinta coi colori giallorossi ed una biancazzurri, che nell’agosto del 2015, si procurò una emorragia intracranica risultata fatale.
06. Annullamento del matrimonio per “Incapacità di natura psichica (can. 1095 n. 3 c.i.c.).
07. Nel 1966 dall’associazione iniziale A.I.P.A., si staccherà un gruppo di dissidenti che assumerà il nome di Centro italiano di psicologia analitica (C.I.P.A.).
08. La Villa Maraini, stile neo-barocco, con decorazioni di sculture antiche, venne costruita ai primi del XX secolo dall’architetto ticinese Otto Maraini per il fratello Emilio, famoso per aver inventato l’estrazione dello zucchero dalle barbabietole. L’edificio sorge su una collina di materiali di riporto ed è sormontata da una celebre “Torre-Belvedere” da cui si può ammirare uno stupendo panorama di Roma. Nel 1946 la villa fu donata da Carolina Maraini Sommaruga, vedova di Emilio, quello dello zucchero di barbabietola, alla Confederazione Svizzera. Da allora è sede dell’Istituto Svizzero di Roma, che ospita una preziosa biblioteca di libri umanistici. La curiosa particolarità della “Torre-Belvedere” è che, nel pieno rispetto delle rigidissime regole urbanistiche imposte dal Vaticano per cui nessun edificio romano può superare la cupola di San Pietro, risulta il secondo vertice dello sky line romano, inferiore di soli un paio di metri “ar Cuppolone”.
09. Questa avventura è raccontata per Pol.It.Psychiatry nei miei tre saggi: Agostino Pirella (1930+2017) psichiatra fenomenologico impegnato nel sociale. In memoriam. 2 luglio 2018; nell’altro, Ricordanze 01. 9 agosto 2018 e in un terzo Ricordanze 04. 22 ottobre, 2018.
10. Francesconi Giuseppe, Lo Cascio Antonino, Marino Paolo, Mellina Sergio. l’Art. 4, ovvero l’intruso che contraddice l’istituzione. Atti del Convegno di studio (Volterra 20-21 aprile 1974) “L’ospedale psichiatrico. Prospettive per un superamento della realtà attuale”. Pacini Editore, Pisa 1975, pp. 102-108.
11. Carfagnini Arturo, Lo Cascio Antonino, Mellina Sergio. L’impatto della psichiatria con gli Ospedali Generali dopo la Legge 180. Difficoltà di integrazione dei Servizi psichiatrici nell’area metropolitana di Roma. Intervento preordinato tenuto al Convegno Internazionale “La psichiatria nelle metropoli della Comunità Europea”, promosso dall’Amministrazione Provinciale di Milano per il 28-30 aprile 1980 Il Lav. Neuropsichiat., Roma, 1980 [67, 3] pp. 359-370.
12. Borgna E. Nostalgia ferita. Op. cit. p. 100.
13. Antonino Lo Cascio. Il fascino sottile della psichiatria. Relazione tenuta al III Convegno Nazionale C.I.P.A. (Centro Italiano di Psicologia Analitica) intitolato: “Psicologia Analitica e Servizi Psichiatrici e Sociali” – Roma, 26-27 novembre 1983, Campidoglio • Sala della Protomoteca.
14. Sergio Mellina. Perchè il teatro è anche psichiatria. La psicologia e la psicopatologia di Stanislawskij e di Brecht. Pol.It.Psychiatry 30 luglio, 2019.
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