Il recente rifiuto del sindaco di Predappio di dare un contributo minimo per il viaggio di due ragazzi del suo comune con il “treno della memoria” a Auschwitz, è stato motivato con una negazione del significato dello sterminio, camuffata sul piano formale giuridico, ma del tutto chiara sul piano della sostanza. Definire “di parte” la storia dello sterminio, contrapponendola al muro di Berlino e alla strage delle foibe, significa neutralizzarla. Si può negare la reale gravità di un fatto catastrofico non ammettendone la verità o, più vilmente, mescolandolo con altri fatti catastrofici ma di diversa portata. La strage delle Foibe, e le tante altre stragi in tutto il mondo di carattere politico o etnico, causate dall’odio, sono fatti gravissimi, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Tuttavia lo sterminio degli ebrei ha un carattere di assoluta eccezionalità: ha varcato lo spazio del crimine e ha assunto il carattere di un deliberato annientamento non dell’altro, ma dell’essere umano in quanto tale. Ridurlo a qualsiasi gioco delle parti è temerario. La democrazia dovrebbe dare risposte forti a questi superamenti del senso della misura, ma non risulta che il governo abbia preso una posizione forte nei confronti di un sindaco che disonora il paese intero.
In parallelo, il che la dice tutta sul clima della mistificazione che l’intero centrodestra italiano cerca di creare nel paese, c’è stato il rifiuto di votare per la commissione parlamentare presieduta da Liliana Segre. Ancora una volta un rigetto coperto dalla viltà che ha cercato un alibi in uno degli obiettivi della commissione: la lotta contro l’etnocentrismo. Il nostro centrodestra è etnocentrico, ma certo non si sogna di spiegare ai cittadini cosa questo significa veramente. L’etnocentrismo non ha nulla a che fare con l’amore per la patria, i suoi luoghi, le sue atmosfere, le sue molteplici culture. Né con l’unificazione di piccole entità locali in uno Stato Nazione (i cui eredi oggi, non particolarmente prosperosi, sono le Nazioni Unite e l’Unione Europea). Nulla ha a che spartire con il nazionalismo romantico: il desiderio di emanciparsi dal predominio di una nazione, e della sua cultura, compresa quella politica, su altre. L’etnocentrismo, che ha fatto diventare tutti i conflitti “guerre civili”, è la riproposizione dell’assetto psichico del clan familiare (oikos) contro la comunità politica (Polis). Con un’importante differenza: nei clan familiari c’erano legami personali forti chiusi al mondo, culturalmente endogamici, che si conservano oggi soprattutto nel modello criminale di “Cosa Nostra”. Nell’etnocentrismo i legami non esistono, sono sostituiti da forze di attrazione che tengono insieme, in modo del tutto anonimo, masse indifferenziate di individui tra loro isolati. La sua presenza, del tutto disgregante, in Europa trasformerebbe, se prevalesse, i popoli europei in mandrie impazzite di struzzi alla mercé delle potenze geopolitiche: Stati Uniti, Cina e Russia.
L’etnocentrismo è necessariamente antiebraico perché espelle ogni forma di non adesione agli assunti dogmatici, culturali e religiosi, con cui una parte degli abitanti di uno spazio geografico storicamente definito come spazio “nazionale”, autoproclamatasi, miticamente, “indigena” diventa una massa autoreferenziale, destinata a distruggere e ad essere distrutta. L’etnocentrismo si manifesta apertamente come forza di distruzione dove l’attacco agli ebrei diventa compulsivo e atemporale (l’“oggi” come ripetizione perpetua dell’“allora”). Nell’attaccarli si cerca l’attualizzazione psicologica di un annientamento già avvenuto: la messa in scena dell’azione assassina di morti viventi come se fosse sempre presente.
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