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Il masochismo. Alle radici della soggettività

13 Ott 20

A cura di vastopolis

Quando Winston Churchill disse che l’URSS era "un indovinello avvolto in un mistero all'interno di un enigma", non sapeva che c’era anche un tema in grado di inquietare ugualmente l’umano per la sua indecifrabilità e, spesso, pericolosità. Era ed è il masochismo, l’enigma della psicoanalisi, come recita l’ultimo libro di Rossella Valdrè, edito da Celid. Un po’ meno enigma, debbo dire, dopo le riflessioni tra teoria, clinica e arte.
Intanto, sono belli, belli dentro, i libri di Valdrè.
Come “Sulla sublimazione”, come “La morte dentro la vita”. Mi hanno insegnato che esistono i palinsesti televisivi e i palinsesti dei libri. Osservi l’indice e, se hai occhio, ne cogli immediatamente la struttura, il corpus, l’organizzazione e lo spirito. Ne cogli, in fondo, l’intenzione. Dove vuole andare a parare. Se poi leggi la prefazione di Antonello Correale, ne comprendi il valore, l’irrinunciabilità della lettura. Sa scrivere, questa donna, non c’è dubbio. E riesce, attraverso una capacità introspettiva non comune, a penetrare negli ambiti più profondi dell’enigma, dopo averne tentato una scomposizione rivisitando la teoria freudiana e postfreudiana, la psicoanalisi francese, il pensiero di Lacan, che da tempo intriga l’autrice. Così, ecco il masochismo “buono”, il masochismo “religioso”, il masochismo “necessario”. Ecco coloro che soccombono al successo, ecco coloro che, di fronte alla conquista, si ritirano, sembra che giochino a perdere, a non volere, a rinunciare, a farsi del male o a godere nella sofferenza, della sofferenza, poiché «il masochismo è transclinico: fenomeni, isole masochistiche possono essere presenti, secondo tutto uno spettro, in sindromi differenti, dalle più blande sfumature ai quadri clinici più devastanti e, come tutte le attività mentali complesse e multideterminate, servire a scopi ed esigenze differenti. A “economie” differenti. Di masochismo è tinto il sentimento amoroso, la generosità, l’altruismo, la religione, il naturale dono di sé che una madre fa al proprio bambino; può strutturarsi in un “carattere” ben specifico o fissarsi in una perversione. Di masochismo è fatta la sostanza stessa della Cultura, il necessario disagio della Civiltà».



Le storie cliniche di Fabio, di Chiara, di Rita e Maria sono le storie di tutti noi. Ci riguardano, ci interpellano, come ci interpella il masochismo dell’analista, non una trovata di Valdrè ma un’intuizione che meriterebbe ulteriori approfondimenti. Poi i film a dirci del masochismo perverso, pensate a “La pianista”; della rinuncia masochistica, pensate a Flaurent-Claude, a “Serotonina” e “Sottomissione”; del masochismo della ripetizione, pensate a “In cerca di Mr. Goodbar”. L’artista lo sa già. L’artista precede l’analista. Vede prima. Pre-vede. Infine, dal soggetto alla cultura, cosa può il lavoro della cultura, com’è possibile mantenersi vivi, ultimo splendido capitolo, e qual è il compito della psicoanalisi, cosa può la psicoanalisi, questa disciplina data da sempre per morta e sempre pronta non a rinascere, ma a esserci, a dimostrare che morire non potrà fino a quando ci sarà l’uomo, con i suoi limiti, le sue malattie, il suo furore, la sua disperazione, i suoi sogni di gloria, le sue depressioni, il suo masochismo.
Scrive Valdrè: «Non nasciamo con alcun bagaglio, con alcuna dotazione istintuale che ci protegga, che ci guidi, che ci determini; a determinarci, sarà la psicoanalisi a scoprirlo, l’impasto pulsionale dell’inconscio. Una prospettiva terribile, se ci soffermiamo a pensarci. Tutti gli altri animali sanno già, alla nascita, come muoversi nel mondo, come nutrirsi, scaldarsi, staccarsi dalla madre, accoppiarsi, e poi la morte sopraggiunge senza coscienza e senza dramma. L’unico animale allo sbando è l’uomo; nessuna codificazione, nessuna istruzione per l’uso su come nutrirsi, svezzarsi, muoversi, imparare, amare. Governato da un eccesso pulsionale e per di più inquinato in tale eccesso dal messaggio enigmatico dell’adulto, portatore a sua volta di un eccesso, il piccolo umano è quanto di più fragile, vulnerabile, esposto alla mercé delle intemperie, dell’altro e dei suoi capricci, di un linguaggio che gli preesiste e che non ha scelto, quanto di più tremendamente libero si possa immaginare. Dovrà per tutta la vita impegnarsi a governare questa libertà, soggettivarsi per non subire la natura, la violenza degli altri, per penetrare il linguaggio. Dovrà strutturare un sano narcisismo per non soccombere a eccessi masochistici già inscritti nella sua natura, per via del masochismo erogeno primario con cui viene al mondo, ma dovrà altresì limare, ridurre, modulare questo primo narcisismo per investire su oggetti del mondo necessari alla vita: non avrà mai pace il piccolo dell’uomo diventato uomo e cacciato dal paradiso. Dovrà abituarsi all’esilio, perché impara presto che l’oggetto, quell’oggetto traccia del godimento iniziale, non sarà mai più ritrovato, e dovrà appoggiare la sua limitata, realistica esigenza di un piacere sempre manchevole su surrogati più o meno confacenti al desiderio, al desiderio insaziabile».
Non avrei potuto né saputo dire meglio. Il libro di Valdrè, come il masochismo, è buono e necessario, anche se non religioso. E meno male.

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