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L’Eros e la dimensione tragicomica del lutto

31 Ott 20

A cura di Sarantis Thanopulos

Dialogo tra Sarantis Thanopulose Monica Ferrando

Monica Ferrando: “Caro Sarantis, mi pare che la tua visione onnicomprensiva del lutto come chiave del desiderio non richiami solo l’eccezione tragica ma anche la forma di pensiero che la lega al quotidiano comico: il dialogo platonico. Potremmo infatti leggere il Simposio,con Lacan, anche come una prassi del lutto che va oltre la tragedia per inaugurare la sfera comica di eros. Se il lutto per la condanna del filosofo (cioè del desiderio della sapienza) significa riflettere sulla disfatta politica della Città, sarà Eros il nodo politico da sciogliere: che tipo di amore è l’amore per una pienezza (illusoria) e non per una assenza (denegata)? Un amore pieno di sé: senza mancanza. Illuso di avere già tutto, non può avere il desiderio: un amato che non può farsi amante. Il bellimbusto, antesignano di una schiera ancora in vigore di dominatori (Alcibiade), ma giunto, quella sera, in ritardo –resta ignaro del pensiero femminile, che aveva allontanato l’epidemia e che fa di Eros la mancanza piena di desiderio, resta cioè escluso dal lutto– posa a detentore di tutti i beni che devono meritare amore. C’è qualcosa di più comico, e insieme di più tragico? E’ l’effetto mancato a far esplodere i generi espressivi: il dialogo del lutto interviene come unica cura possibile nell’abissale miseria dell’umano mettendone a nudo la presunzione generata da arroganza (lutto dell’hybris); da ricchezza (il dialogo la calpesta dinnanzi al pensiero: lutto della plutocrazia); da perdita di memoria (non si ricorda che la peste ad Atene era stata rimandata proprio da chi -Diotima-insegna che Eros è povertà e pensiero); e riporta alla quotidianità: le consuete abluzioni mattutine di Socrate al posto di un’emergenza tragica e spettacolare. L’umano, nel passaggio incessante da tragico a comico, torna alla sua dimensione più propria ma sempre carente: quella della parola, in cui cura e lutto per l’uso errato che se ne fa restano inseparabili.”

Sarantis Thanopulos: “L’Eros prende forma come amore di sé che si irradia nel mondo. Nell’irradiarsi, diffondersi come musica -nomos del vivere armonioso-, si fa sorprendere dall’alterità che, presenza ineludibile, sostituisce lo specchio in cui si riflette. Persa la centralità del suo legame con lo specchio (che può essere domanda di riconoscimento o fascinazione), il desiderio scopre la propria povertà: gode di ciò che desidera solo rinunciando alla sua proprietà, se non lo possiede. La scoperta avviene con gradualità, ma è ogni volta un cadere senza appigli immediati.

Il lutto è la percezione, accettazione della povertà, caduta che ci fa contemplare la realtà. Nel contemplarla, patendone la lontananza, ci accorgiamo anche della sua prossimità e ci estrovertiamo per incontrarla: il movimento psicocorporeo della nostra estroversione arresta la caduta. Questo movimento mantenendo il suo legame costitutivo con la sensorialità/sensualità, diventa azione pensata, rappresentata e rappresentante, che crea il piacere, senza possesso, della bellezza del mondo. Grazie al lutto, che crea una spinta incessante alla trasformazione della nostra esperienza, la pretesa di una nostra pienezza -che più sguazza nella certezza plutocratica, più precipita nella “mancanza di essere” (l’atroce lezione di Re Mida)- cede il posto al “vivere nella mancanza”. Dall’illusione di essere “tutto” (sferici) passiamo alla ricerca di ciò che ci manca (le variazioni infinite dell’altro complementare a noi) e espandiamo senza limiti le possibilità della nostra esperienza, di modo che pur incompiuti come esseri ci sentiamo vivi.

Il lutto interrompendo l’armonia, la lega allo sconvolgimento, fa dell’eros l’accordo continuo tra il sereno e il tumultuoso (Mahler). Verso questo accordo convergono tragedia e commedia, seppure con modalità opposte. Alludono, senza dire, rivelando. Sono cura che supera la funzione carente della parola.

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