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Il Messia calcistico dell’extrapiramidale è cessato. Epicedio a Diego Armando Maradona 1960-2020

27 Nov 20

Di Sergio-Mellina

In neurologia il “sistema extrapiramidale” è il grande servosterzo del movimento. Ciò che conferisce armonia, plasticità, grazia alla figura fisica che si muove nel mondo. Osservandola si comprende quasi tutto. Talvolta financo il pensiero, l’intenzione. Ma questo ce lo suggeriscono però altre cellule nervose particolari i “neuroni specchio”, anch’esse del sistema motorio nondimeno specializzate nel fare gli straordinari in determinati settori del cervello. Eh si! Perchè il “sistema piramidale” quello classico dei motoneuroni giganto-cellulari dell’arco riflesso, dell’attacco e fuga, che fanno scattare la gamba in avanti percuotendo la giunta rotulea col martelletto, deve essere addomesticato dall’extrapiramidale, per l’appunto. Infatti, quando esso non c’è più, si guasta o si ammala, si vede immediatamente. Dal “tremore” che non è esitazione, dalla “rigidità” che non è paralisi, dalla “diminuzione di patos” che non è latitanza dell’essere, ma disturbo della fisiognomica che uccide la mimica. Lo si vede dal “capo” che ti sgomenta, perchè la testa e quella che guardi prima delle scarpe e se ondeggia, non si capisce se acconsenta o neghi la presenza di chi gli sta davanti. Lo si sente dalla voce fievole, tremolante, incerta. Dalla parola, attività motoria complessa che necessita di muscoli altamente specializzati per controllare la respirazione, la fonazione, l'articolazione sillabica, la prosodia. Chiedo scusa per la lunga e noiosa premessa che non intende essere mera erudizione di chi tenta di spiegare cosa ha perso l’umanità intera con il fenomeno Maradona. Cosa ha significato, materialmente, metaforicamente, simbolicamente, il suo straordinario passaggio terreno negli ultimi sessantanni. Non privo certamente di coraggio, perchè oltre alla perizia di orchestrare il tutto unico delle squadre guidate, frutto abilissimo e generoso di condivisione di un progetto corale di vittoria (epica), Maradona ha saputo schierarsi col più debole, quando fu necessario farlo. Per lui sempre.

 

L’ho saputo per telefono da un amico genovese tifoso di Maradona che abita alla Foce (‘a fuge).

– Pronto? “Nu gh’è ciù ‘a Paisciun!”

– È venuta giù la chiesetta del Monte Fasce dove c’è la statuina della Vergine Maria trovata dalla Marietta, la bambina sordomuta dalla nascita miracolata con l’uso della parola?

– No! Cos’hai capito? È morto Maradona!

– Ma dai?

– Si!

 

Il 25 novembre 2020 se n’è andato Diego Armando Maradona, cittadino napoletano di Buenos Aires. Pare, stando alle prime notizie, sommarie e molto confuse, stroncato dalla marea montante dell’edema polmonare per insufficienza circolatoria. Poiché è sempre difficile adattarsi al crudo realismo della realtà col passare delle ore, c’è già chi cerca il capro espiatorio denunciando “ritardo nei soccorsi”. Un classico in circostanze del genere! Se n’è andato un “futbolista delantero”, un giocatore di centrocampo che nella complessa alchimia calcistica gioca per far giocare, «toca» ossia dà la palla giusta al compagno giusto per farlo segnare, non rinunciando ad “affondare” nelle difese avversarie, saltando tutti come birilli per andare a segnare gol strepitosi. Quello completo e Maradona lo era, dà il meglio di sé sui “calci piazzati”. Parabole “d’interno” geniali, strepitose, a girare, a sorvolare, a rientrare, a cadere come colombe subito dopo la barriera per appoggiarsi inesorabilmente oltre la linea bianca. Saette “d’esterno” (all’ungherese), di punta sapiente, di potenza micidiale a “gonfiare la rete”, nel delirio dei tifosi ebbri di felicità infantile, anche nella senilità. Insomma un grande direttore d’orchestra! Anche la voce, Maradona, aveva bellissima. Calda, scura, profonda, armoniosa. Rispettosa, fino alla timidezza. Basta riascoltare una sua intervista con uno qualsiasi dei grandi del mondo e si nota subito la differenza. Lo tsunami tragico dell’edema polmonare l’ha spenta e rispedita in paradiso da dove era scesa.

 

Memorabile il telecronista uruguagio Víctor Hugo Morales di Messico 86: “la va a tocar para Diego” – e lui naturalmente per tutti i compagni. Leggendaria la sua telecronaca di “Argentina Inghilterra 2 a 1”, 22 giugno 1986, stadio Azteca, quarti di finale, sue le iperboli: “Barrilete Cosmico” “la Mano de Dios” “el Gol del siglo”.

I giornali riferiscomo che nel quartiere Tigre alla casa di Baires dove viveva el 'Pibe de oro', si erano precipitate inutilmente ben nove ambulanze. Quello certamente acclarato e che “El pelusa“ come i tifosi del “Boca” chiamavano quel ragazzino che giocava nei campetti di periferia o intratteneva gli spettatori negli intervalli delle partite importanti, ha smesso di vivere la sua strabordante passione di vita. El mas grande campeon de fútebol, come lo ricorda intimamente anche Papa Francesco (appassionatissimo di calcio e della sua squadra rioplatense, che non vede, nemmeno in televisione da moltissimi anni per un “fioretto”, ma ci sarebbero caritatevoli gendarmi della guardia svizzera che, in tutta segretezza, lo tengono informato verbalmente) è diventato un mito perenne. Loro due, profondissimi “conocedores del fútbol”, il più giovane anche prestigiatore coi piedi della “pelota”, hanno sempre tifato squadre rioplatensi diverse. Il tifo calcistico, i colori, i cori, si succhiano da bambini come il latte materno, giocando per strada, se ami il calcio. Ti resta nel sangue tutta la vita. Basta un niente per richiamarlo, come l’antitetanica. Si dice l’uno tifasse per una squadra di ricchi l’altro per una di poveri. Dicerie di tifosi, chiacchiericcio, sfottò tra una chupada del mate e l’altra. Francesco tiene San Lorenzo de Almagro, ”el Ciclón”, uno dei club storici dell'Argentina, il “Boedo” (Mariano Boedo eroe dell’indipendenza), un barrio di Baires. Maradona tifava Boca i cui tifosi sono gli “Xeneizes” (la translitterazione ci dice che sono Genovesi di origine), assidui frequentatori de la "La Bombonera" il famoso stadio del 1940. “La Boca”, la foce, (‘a fuge) si trova sulla sponda sinistra del Riachuel e tutto profuma di genovese, perchè dalle terre della “Lanterna” approdarono al Río de la Plata i primi migranti un paio di secoli fa.

 

Maradona ha cessato di desiderare e di dare, di provare e di profondere (incommensurabilmente, esageratamente) qualunque gioia terrena, anche temeraria, pericolosa, proibita. Il popolo intero non soltanto quello napoletano, quello argentino non ha mai smesso di stupire per il suo ininterrotto “elan vital”, la sua “joi de vivre, malgré tout”, consentire a quanti lo ammirarono in campo, di respirare ondate di felicità provenienti «dalla fine del mondo», come disse Francesco Bergoglio dopo il Conclave, quella sera del 13 marzo 2013, a roma, presentandosi alla ribalta mondiale in Piazza San Pietro, «ma siamo qui». Mi si perdoni il raffronto, ma limpide foto testimoniano l’abbraccio, l’amore del pastore verso una pecora prodiga e particolare, del suo gregge. Altri grandi della terra hanno abbracciato Maradona che oggi ha preso commiato da noi, da quelli che lo hanno “visto”, lo hanno amato integralmente, com’era. Proveniva dal “Barça” e fece la sua “apparizione” al San Paolo di Napoli dove poco dopo «la cinco dela tarde» del 15 luglio 1984. La regia è di Corrado Ferlaino. Lui sale dagli spogliatoi e si affaccia nello stadio di Fuorigrotta pieno stipato all’inverosimile felice di aver pagato il biglietto di mille lire per vederlo. Lui si esibisce nei suoi palleggi antichi le sue inarrivabili magie coi piedi che hanno fatto felice la terra. Inizierà una interminabile storia d’amore con la città partenopea e vi resterà per 7 anni felici. Anche Diego Armando Maradona «è stato quì», tra noi.

 

La sua salma è stata trasportata al palazzo presidenziale di Buenos Aires, la “Casa Rosada”. La camera ardente, sarà meta di pellegrinaggio fino a sabato 28 novembre. Centinaia di persone sono già in fila per visitarlo. La gente che sfila davanti alla bara di Maradona per rendendergli omaggio, agitando un drappo, segnandosi frettolosamente, indugiando con la mano alzata nell’ultimo saluto incredulo della separazione definitiva è la stessa. Quella che passa alla “Casa Rosada” e quella che ha vegliato muta e addolorata per tutta la notte lungo le vie di Napoli. Gente comune, grande, piccola, umile, orgogliosa, che si è immedesimata, si è sentita riscattata. Non se n’è andato, come dice Lionel Messi, perchè è eterno, e Pelè ha già fatto sapere che spera un giorno di giocarci in cielo. Non sopportando gli umani – scrisse Umberto Eco – «il pensiero che il mondo sia nato per caso, per sbaglio, solo perché quattro atomi scriteriati si sono tamponati sull'autostrada bagnata […] occorre trovare un complotto cosmico, Dio, gli angeli o i diavoli». Il “complotto” è riuscito alla perfezione per Diego Armando Maradona. La sua è stata una autentica presenza “cosmica”! Tutto il mondo lo ha visto, ne è rimasto folgorato, ammaliato. Lo ha ammirato, osannato, venerato. Continuerà a farlo in eterno. Non può più rinunciarvi … liberarsene!

 

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