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Il diritto alla Salute Mentale Il diritto alla Salute Mentale di tutti i popoli degli Stati Uniti d’America come questione di Sanità Pubblica – il rapporto del Surgeon General (1)

1 Mar 21

A cura di Luigi Benevelli

Premessa
Il Surgeon General (Chirurgo Generale) è il “medico della Nazione”, l’autorità sanitaria del Governo Federale istituita  nel 1871; il Presidente USA ne nomina i vertici al suo insediamento. Dal 1953 il Surgeon General fa parte del Department of Health and Human Sciences.  Il Surgeon General degli Stati Uniti è alla guida del Servizio per la Salute Pubblica (U.S. Public Health Service Commissioned Corps)  ed  ha il mandato di proteggere, promuovere, far progredire la salute e la sicurezza della Nazione attraverso azioni quali:

  • Raggiungere i cittadini dove vivono e lavorano con l’informazione scientifica più aggiornata disponibile
  • Sollecitare Governo, Economia, Legislazione e le risorse della comunità ad affrontare problemi di salute pubblica
  • Elevare la consapevolezza che le minacce alla salute possono portare alla rapidità di risposta e alla resilienza delle comunità militari delle Forze Armate
  • Stimolare iniziative in tutta la Nazione mettendo a punto programmi di promozione della salute pubblica e di prevenzione delle malattie quali dipendenze patologiche, cancro della pelle, importanza dell’attività fisica e motoria, corretta alimentazione, violenza, suicidi
  • Sviluppare strategie per il progresso della scienza della salute pubblica
  • Fornire quadri dirigenti alla Salute Pubblica.

Quello del Surgeon General è un servizio in divisa e, per legge, il Surgeon General detiene il grado di vice – ammiraglio. La rivista ufficiale è Public Health Report (PHR) edita dal 1878.
 
Nel 1999, presidente Bill Clinton al suo secondo mandato, il Surgeon General  David Satcher (v. fotografia) presentò un rapporto nel quale, per la prima volta nella storia dell’ Ufficio, una struttura federale, si riconosceva la gravità delle disparità circa l’uso, la disponibilità, l’accesso, la qualità dei servizi per la salute mentale, la fiducia negli stessi da parte di singoli e comunità. Da tale denuncia nacque il Supplemento Mental Health: Culture, Race and ethnicity. A supplement to Mental Health: a Report of the Surgeon General, pubblicato nel 2001. È un documento di cui non conoscevo l’esistenza e che ho trovato di straordinario interesse per struttura, criteri adottati, finalità: un viaggio nel razzismo della psichiatria “bianca” nordamericana.  Il Rapporto di 203 pagine con una ricchissima bibliografia e numerose tabelle e schede si articola nei seguenti capitoli:

  1. Introduzione
  2. La cultura è importante per la salute mentale
  3. L’assistenza per la salute mentale degli Afro Americani
  4. L’assistenza per la salute mentale degli Indiani Americani e dei Nativi dell’Alaska
  5. L’assistenza per la salute mentale degli Asiatici Americani e degli Isolani del Pacifico
  6. L’assistenza per la salute mentale degli Ispanici Americani
  7. Una visione per il futuro.

Le etnie su cui si struttura il Rapporto sono quelle su cui sono strutturati, e condotti, i Censimenti nazionali della popolazione USA. 
 
Introduzione (pp. 3-22)
 
L’introduzione  si apre con l’affermazione che l’America ricava grande forza dalle sue stesse diversità, dall’essere una società aperta, multiculturale e, per questo, le sue potenzialità non potevano esprimersi pienamente finché tutti gli Americani non avessero potuto accedere ad un’assistenza sanitaria, e a servizi per la salute mentale in particolare, capaci di rispondere ai loro bisogni.  Una delle scoperte più importanti è che, rispetto ai “Bianchi”, le minoranze etniche sopportano un carico di disagio e compromissione dello stato di salute assai più pesante e per questo nelle minoranze l’impatto disabilitante dei disturbi mentali è secondo solo a quello delle malattie cardiovascolari. La gran parte dei gruppi minoritari tende a usare i servizi meno dei Bianchi, riceve un’assistenza più povera di qualità pur avendo le stesse percentuali di disturbi mentali, con la conseguenza di avere percentuali più alte di persone con disturbi mentali non riconosciuti e non trattati. Inoltre le minoranze sono sovra rappresentate nei gruppi a maggior rischio, quali i senza casa e i carcerati.
Tutto questo ha gravi conseguenze perché le persone non-bianche trovano forti impedimenti nel fruire e partecipare delle speranze e dei progressi delle scienze.
Il Supplemento si occupa delle ragioni che stanno dietro tali disparità: le barriere principali sono i costi dell’assistenza, lo stigma sociale, la frammentazione nell’organizzazione dei servizi, l’ignoranza dei professionisti e degli operatori dei codici culturali altri rispetto ai propri, la sfiducia nell’efficacia dei trattamenti. Più in generale, le disparità nascono da razzismi e discriminazioni che danneggiano la salute mentale delle minoranze e condizionano negativamente il loro status economico, sociale e politico. Le barriere operano in gradi differenti a seconda degli individui, dei gruppi, delle circostanze della vita, delle credenze religiose e dei valori spirituali, degli orientamenti sessuali, di età, sesso; va considerato anche che ciascun raggruppamento sociale è eterogeneo al suo interno, non esistono gruppi etnici sia bianchi che non-bianchi, uniformi al loro interno: vedi immigrati, rifugiati, americani da molte generazioni con storie, lingue, fedi, culture, strutture demografiche diverse.
Il Supplemento si propone 3 obiettivi:

  1. Comprendere meglio la natura e l’estensione delle disuguaglianze nella salute mentale
  2. Evidenziare il bisogno di servizi di salute mentale e programmarne l’attivazione
  3. Documentare percorsi utili all’eliminazione delle disuguaglianze e alla promozione della salute mentale.

Nel 2000 le minoranze di cui ai capitoli 3, 4, 5 e 6 costituivano il 30% della popolazione USA nella quale si prevedeva il progressivo aumento del divario fra ricchi e poveri, divario che si era ridotto fra il 1947 e il 1968 per poi crescere fra 1968 e 1993. Il dato del reddito è considerato molto importante  perché è associato alla qualità della copertura assicurativa contro le malattie e di pagare le prestazioni sanitarie.
 
I termini usati
 
“Salute mentale” e “malattia mentale” sono punti di un continuum: al termine estremo stanno le malattie mentali più disabilitanti (depressione maggiore, schizofrenia, disturbo bipolare) che non curate manifestano il massimo del loro potenziale devastante.
La “salute mentale” è importante per il benessere personale, le relazioni famigliari e interpersonali, la capacità di contribuire positivamente alla vita della comunità e della società. La “salute mentale” non è facile da definire perché i valori di riferimento differiscono fra le culture, così come fra i gruppi e anche gli individui entro una stessa cultura. Per questo non c’è una definizione ideale di “salute mentale”  accettabile e accettata da tutti.
Con  “malattia mentale” ci si riferisce a tutte le malattie diagnosticabili che colpiscono intelletto, emozioni, umore; negli USA affliggerebbero 1 adulto su 8 e un bambino su 5 (dati 1999).
Mancano studi epidemiologici sull’incidenza delle singole malattie mentali, minoranza per minoranza.
Lo studio riconosce la causalità bio-psico-sociale e adotta la classificazione dei disturbi  mentali del DSM-IV.
Il termine “razza” è usato riferito in particolare agli Afroamericani ed è specificato che non ha una connotazione biologica (citati al riguardo gli studi di genetica delle popolazioni di Luigi Cavalli Sforza), ma va inteso piuttosto come una categoria sociale.
Per “etnia”  si intende una eredità comune condivisa da un determinato gruppo per storia, lingua, riti, musica, alimentazione ecc..
Per “cultura” si intende un patrimonio comune, un insieme di credenze, norme, valori, significati condivisi; ogni cultura è dinamica, muta nel tempo. Quella dominante negli USA è centrata su credenze, norme e valori dei bianchi americani di origine giudaico-cristiana, ma è sempre più ricca di differenze al suo interno. È molto importante nel campo della salute mentale la cultura dei professionisti e degli operatori perché condiziona la qualità dell’incontro e della relazione con chi sta male.
Quanto ai rapporti fra “diagnosi” e “cultura”, i servizi professionali si basano sulla cultura medico scientifica occidentale che gode di grande prestigio perché basata sull’evidenza. La diagnosi di malattia mentale è fatta da un clinico e si fonda su tre componenti:

  • La descrizione della natura, dell’intensità, della durata dei sintomi
  • I risultati dell’esame dello stato mentale
  • L’osservazione e l’interpretazione del comportamento del paziente.

I disturbi mentali sono universali, ma possono manifestarsi in modo diverso secondo età, sesso, razza, etnia, cultura. Sono possibili quindi  errori diagnostici se il clinico non è avvertito. Qui il Supplemento rimanda all’elaborazione  del DSM IV (1994) sulle Culture Bound Syndromes.
È sottolineata l’importanza dell’approccio di “salute pubblica” per la prevenzione primaria, secondaria e terziaria delle malattie e la promozione della salute in tutta la popolazione; si citano i fattori di rischio e di protezione (biologici, psicologici, sociali), la loro varietà a seconda del sesso, dell’età, del scolarità e la loro modificabilità: povertà, condizione di migrante, violenza, razzismo, discriminazione vs spiritualità, sostegno da parte di famiglia e comunità.
Si parla di “resilienza”, intesa come capacità di riprendersi da condizioni avverse; la “resilienza” non è (solo) un tratto della persona, è frutto anche di una interazione virtuosa di fattori protettivi ambientali e sociali: famiglie e  comunità unite, forti, solidali, capaci di sostegno nelle difficoltà, spiritualità e religiosità. Fra gli Afroamericani la religiosità conosce livelli molto più alti rispetto ai Bianchi; fra i Nativi Americani ruolo importante è svolto dalla “Native American Church” che offre culti sincretici delle religioni native e cristiane.
Il Supplemento affronta poi i problemi di un’offerta adeguata di servizi di salute mentale e anche di medicine complementari, delle loro accessibilità (v. assicurazioni di malattia) e prossimità e della scarsità di ricerche  e indagini dovuta anche alla diffidenza delle minoranze nei confronti dei ricercatori sociali. 
  Luigi Benevelli
 
Mantova, 1 marzo 2021

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