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Intorno a “Le passioni fragili” di Eugenio Borgna

12 Feb 22

A cura di chiclana


 
Autore: Eugenio Borgna
Titolo: Le passioni fragili
Editore: Feltrinelli
Anno: 2021
Pagine: 191
Costo: 10 euro
 
Pubblicato una prima volta cinque anni fa nella collana “Campi del sapere”, il volume Le passioni  fragili di Eugenio Borgna viene riproposto da Feltrinelli nella collana “Universale economica”. Si tratta del quarto volume di quest’autore del quale scrivo su questa rivista, dopo L’ascolto gentile (vai al link), La nostalgia ferita (vai al link), Il fiume dell vita (vai al link).
E, come nelle altre occasioni, mi pare che ci sia più di una ragione per la quale anche questa volta il libro merita una segnalazione.
Il volume è diviso in due parti. Nella prima sono presentate alcune fondamentali comuni esperienze umane, per le quali può capitare a chiunque di trovarsi prima o poi a passare: la malattia, il dolore del corpo e dell’anima, il silenzio in rapporto alla parola. Si conclude con la fragilità, una caratteristica che si ritrova in tutte quelle che Borgna definisce le “ferite dell’anima”.
E di questa prima parte mi ha affascinato, ancora una volta, il garbo con il quale Borgna ritorna su queste esperienze fondamentali dell’umano raccogliendo le parole dei poeti, da Reiner Maria Rilke a Clemente Rebora, ad esempio.
Queste ferite sono ulteriormente indagate nellla seconda parte del volume nelle caratteristiche che assumono nell’adolescenza e nella giovinezza, un’età nella quale le passioni possono più facilmente farsi incandescenti e allora – nelle parole di Borgna – «brillano come stelle del mattino, e bruciano di ideali e di speranze che, come si spengono, lasciano dietro di sé sciami di infelicità».
Difficile, osserva Borgna, che possano il giovane possa vederle comprese e recepite in un mondo nel quale purtroppo, e lo vediamo tuti giorni, «l’indifferenza e i glaciali (egoistici) modelli di vita continuano a dilagare».




È allora, quando le passioni non trovano attenzione né ascolto, che le disillusioni possono farsi via via più «intense e laceranti, trascinando con sé domande radicali sul senso della vita e della morte, del dolore e della solitudine, della presenza di Dio e dell’assenza di Dio». È il momento nel quale, insiste Borgna, «la condizione umana, svuotata di passioni e di emozioni, diviene prigioniera, come nel discorso profetico di Leopardi, di una ragione arida e disanimata».
Vengono così approfondite le ansie e depressioni giovanili – patologiche e non patologiche, ed è una distinzione alla quale Borgna tiene e sulla quale qui ritorna più volte, che non bisognerebbe mai scordarsi – insieme alla malinconia nella sua relazione con il dolore raccontato dai poeti e fino ad arrivare al limite estremo del suicidio giovanile.
Una scelta drammatica, quest’ultima, sulla quale Borgna si sofferma per cogliere la possibilità che, a volte, possa avere a che fare con amori appassionati e traditi, impossibili, disperati che non consentono di rassegnarsi ad «aver sostato l’uno nel cammino dell’altro» solo per un tempo limitato, senza poter aspirare alla ricerca, nell’amore, di un affetto costante, fedele, stabile.
O, altre volte, quella che più spesso siano impossibili da indagare la varietà e insondabilità delle cause, il che può spingere a evocare, spesso erroneamente, la follia. Nella difficoltà di rassegnarci a pensare che, come scrive qui Borgna: «ci sono nella vita, e anche nella psichiatria, cose che sfuggono a ogni ermeneutica razionale, e che ci portano al mistero del vivere e del morire, o almeno al guazzabuglio insondabile del cuore umano».    
Troviamo parole non scontate sull’ansia, la quale veicola sì per Borgna insicurezze e tensioni emozionali ma può essere anche il segno di una disponibilità a prestare attenzione alla propria interiorità e all’immaginazione; e perciò non dovrebbe, quando si manifesta, essere subito e semplicemente tacitata e repressa. O sull’iperattività del bambino, l'approccio farmacologico alla quale può impedire di indagare i significati profondi che essa può voler veicolare.
Sono temi, come si vede, all’ordine del giorno, a proposito dei quali il clinico novarese mantiene il coraggio di continuare proporre considerazioni sempre faticosamente anticonformiste e non scontate, e rimane perciò, in tanta tendenza all’omologazione, una luce nel buio.
Contribuiscono infatti, al solito, a rendere prezioso anche questo suo testo gli «occhi che bisbigliano» nel dialogo muto tra due amiche, i «gomitoli sul pavimento sparsi» della propria anima in frantumi nelle parole delle lettere e delle poesie germogliate nell’interiorità «folgorata e scissa» di Emily Dickinson, come anche suggestive evocazioni tratte da Giacomo Leopardi, Friedrich Nietzsche, Friedrich Hölderlin, Johann Wolfgang Goethe, Georges Bernanos, George Trakl, Edith Stein, Simone Weil, Guido Gozzano – e, tra altri, meno nota Antonia Pozzi – che sono i sensibili e affascinanti compagni di viaggio ai quali Borgna ci ha abituato, e che anche nell’affrontare qui la dolce tristezza delle passioni fragili dei più giovani non lo hanno abbandonato.
Dando vita, anche in questo caso mi pare, a un intreccio affascinante tra sobrietà dei toni, eleganza dei riferimenti, profondità dei concetti che fanno di Borgna un autore che riesce sempre – e non è cosa comune di questi tempi – a far pensare.
A conferma che, come Borgna da tanto va insegnandoci, la lettura dei poeti può essere preziosa per chi deve occuparsi della mente e del cuore delle persone.
L’ultima parte del libro è dedicata alla follia e alla psichiatria, prendendo in considerazione i folli dei romanzi di Mario Tobino, un intellettuale e uno psichiatra capace di ascoltare con cuore di poeta il loro segreto ma, ricorda Borgna, incapace poi di cogliere la relazione tra la loro realtà straziata,  immiserita, esiliata, immobile, e la scelta dell’internamento.
Tobino, quindi, che, se da un lato ha avuto certo un ruolo scrivendo romanzi «bagnati dalla grazia e dalla poesia» nell’umanizzazione dello sguardo sulla follia che ha interessato la società italiana fin dagli anni ’50, dall’altro lato è stato poi portato da quello che Borgna definisce, con il consueto – e forse in questo caso persino un po’ eccessivo – garbo «l’orizzonte della sua affascinata dipendenza dall’altro mondo della follia», a una posizione di nostalgia per la sua tragica originalità e alterità, e per il contenitore destinato a preservarla.
La psichiatria della quale Borgna scrive è fatta dunque del linguaggio, il dialogo, le parole che persone sofferenti e fragili, talora smarrite – qualcuna assurta al rango di artista, qualcuna no – e psichiatri da due secoli si scambiano, dando così vita e calore a questa realtà, che è soprattutto “ascolto gentile” di «persone, giovani e non più giovani, da accompagnare, aiutandole, nel loro dialogo senza fine con le ferite dell’anima».
E si fonda su doti di sensibilità e gentilezza che difficilmente vedremo raccomandate da  manuali e trattati; mentre, qui, ritornano a esserlo in questi termini: «Il modo di parlare con i pazienti deve rifuggire dalle parole oscure e gelide, anonime e indifferenti, e servirsi invece di quelle leggere e profonde, sensibili e accoglienti, limpide e, se possibile, serene e arcane. Sì, sono di grande importanza (…) le attitudini alla introspezione e all’immedesimazione nei mondi feriti dall’angoscia, e dalla tristezza, dallo smarrimento e dalla disperazione, che sono sorgenti di ogni sofferenza psichica».
Sono parole che ci restituiscono, mi pare, insieme alla centralità della persona, di ciascuna persona, il fascino e il gusto di questo lavoro che è, e rimane nonostante tutto, fatto soprattutto di incontri con persone alle quali poter offrire un’attenzione e un ascolto che le accompagnino nella loro esperienza della vita a volte divenuta davvero faticosa, dolorosa, disperata, contribuendo così a dare a essa calore e valore. Ed è bene che qualcuno, ogni tanto, ci aiuti a ricordarlo.

Nel video: Il primo dei sei video relativi all'intervento di Eugenio Borgna a Genova il 9 maggio 2018 in occasione della manifestazione 180 x 40.

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