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“RITORNO A BASAGLIA?”. 2. Franco Basaglia e Giorgio Maria Ferlini

16 Apr 22

A cura di chiclana

È uscito ieri dalla tipografia Ritorno a Basaglia? La deistituzionalizzazione nella psichiatria di ogni giorno (Genova, Erga edizioni, 2022), ma non è ancora tempo per presentarsi in pubblico. La presentazione in anteprima per la Liguria (l’uscita ufficiale è per il 15 maggio) è prevista per giovedì 28 aprile alle ore 18 alla libreria Feltrinelli di via Ceccardo Roccatagliata Ceccardi a Genova. Introduce Lucio Ghio e intervengono Natale Calderaro, Luigi Ferrannini, Antonio Maria Ferro. Nel frattempo, approfitto di questo tempo d’attesa per un’anteprima, che non sarà però una vera e propria anteprima.
Ho tessuto nell’ultimo articolo della rubrica (vai al link) le lodi della malleabilità dei file word. Ora devo anche sottolineare gli aspetti negativi. Si può cambiare, aggiungere, certo; ma c’è sempre anche il richio nel far questo che qualcosa di importante vada perso. Rileggendo le bozze quando il libro è ormai prossimo a essere impaginato mi sono reso conto che, tra le esperienze alternative a Gorizia che vengono citate, sono saltati il riferimento e la relativa nota corposa sull’esperienza di Giorgio Maria Ferlini (1934-2017) a Trento. Deve essersi trattato di uno spostamento nel quale il “taglia” ha funzionato e l’”incolla” no,  forse perché in quel passaggio qualcosa mi ha distratto.
Temo che nelle 469 pagine del volume non si sia trattato dell’unico incidente, ma di questo mi sono reso conto prima che sia stampato e mi fa particolarmente infuriare con me stesso per l’assurdità: si trattava di fare riferimento al volume Uscire dall’insopportabile. Culture e pratiche di psichiatria. De-istituzionalizzazione nel Nord-est Italia, curato l’anno scorso da Patrizia Guarnieri per le edizioni della Fondazione Museo Storico del Trentino di Trento, che ho ben presente perché è ripreso e citato relativamente ad altri contributri nel volume in uscita, ha in me l’autore di uno dei capitoli e a Uscire… questa rubrica ha dedicato una breve recensione a caldo (vai  link).
Mi dispiace soprattutto perché questo priva Ritorno… di una notazione a cui tenevo perché arricchisce di un elemento interessante il classico elenco dei luoghi nei quali negli anni di Basaglia vennero fatte cose diverse dalle sue e da quelle del suo gruppo, e il riferimento è in particolare ai capitoli su Ferlini di Uscire…: «Trento non è come Tieste»: percorsi di formazione della nuova psichiatria» (pp. 83-116) di Patrizia Guarnieri e Giorgio Ferlini tra Ferdinando Barison e Gaetano Benedetti (pp. 117-152), di Marco Conci. Me ne scuso con loro, nonché con il coordinatore editoriale del volume Roberto Taiani e lo stesso Museo Storico, sperando nella loro comprensione. Non sarà stato, del resto temo, l'unico incidente in un testo di quasi 500 pagine; ma a questo almeno voglio rimediare prima che Ritorno… cominci a circolare. 
E approfitto però di questo secondo intervento sulla rubrica che avevo progettato di dedicare a Ritorno… aspettandone l’uscita per presentare qui quello che avevo predisposto per il volume, ampliandolo e cercando così di trasformare, per quel che ormai mi è possibile, un incidente in opportunità con il dedicare alla figura di Ferlini e agli scritti di Guarnieri e Conci un’attenzione meritatamente maggiore rispetto a quella che la recensione di Uscire… mi ha permesso finora e che nella nota andata perduta in Ritorno…. mi sarebbe stata possibile.
Anziché pubblicare, come si usa, dunque un’anticipazione di ciò che poi si troverà nel volume, presento qui qualcosa che vi si sarebbe dovuto trovare e per un errore di trascrizione non ci sarà.
 
Giorgio Maria Ferlini (1834-2017) è il protagonista del volume Uscire dall’insopportabile…, un titolo che, come Guarnieri spiega, fa riferimento alla condizione della popolazione internata negli ospedali psichiatrici italiani, una condizione che dopo la guerra viene avvertita appunto insopportabile perché ricorda, in particolare a coloro tra medici e amministratori che ne hanno fatto direttamente o tramite i propri cari esperienza, quella degli internati nei lager (a tale similitudine ricorsero tra gli anni ’50 e ’60 Ugo Cerletti, Luigi Mariotti, Angelo Del Boca e in più occasioni Basaglia e Franca Ongaro).
Ferlini è una figura interessante di psichiatra che, dopo aver subito da bambino il trauma  di veder partire il padre per la deportazione, conobbe personalmente l’esperienza della malattia mentale e la considerò fondamentale  per poter arricchire la sua formazione di psichiatra di una capacità di identificarsi con la sofferenza del malato.
Fu aiutato a superare la crisi dal direttore dell’ospedale psichiatrico padovano, il fenomenologo Ferdinando Barison (1906-1995), con il quale lavorò poi all’ospedale di Brusegana.
Scrive Guarnieri che Ferlini iniziò ad applicare la psichiatria di settore, che aveva appreso da Barison, fin dal 1964  a Padova e nella stessa pratica proseguì una volta divenuto nel 1975 direttore dell’ospedale psichiatrico trentino di Pergine, dove aveva già iniziato a lavorare in quella direzione Gian Franco Goldwuin, poi spostatosi aVoghera. Ciò che è più interessante per noi, è che Guarnieri ricostruisce nei particolari uno scontro tra Ferlini e Basaglia a metà degli anni ’70; Basaglia era contario, come è noto, alla psichiatria di settore, ma di fronte alla determinazione dei colleghi trentini accettò che proseguissero per la strada intrapresa; i due rimasero in contatto, legati da reciproca stima. Ferlini del resto non fu il solo psichiatra impegnato nel settore al quale Basaglia era legato da stima; si interessò infatti anche al lavoro di Edoardo Balduzzi (1920-2013) a Varese, e lo stesso Balduzzi è intervistato da Ernesto Venturini, senz’altro un goriziano, alla fine degli anni ’70 in un volume dedicato ai protagonisti delle esperienze di psichiatria alternativa italiane, Il giardino dei gelsi, del quaale Basaglia scrisse la prefazione.
Un tema che incuriosisce particolarmente Guarnieri, che è docente dell’Università di Firenze, è quello dei rapporti di Ferlini con l’università, che le dà l’opportunità di una panoramica sulla formazione accademica di molti protagonisti della psichiatria italiana tra gli anni ’60 e ’70 e sul cammino accidentato che l’insegnamento della psicologia ebbe in Italia. Ferlini ebbe nei rapporti con l’ambiente accademico maggiore fortuna di Basaglia, che ironizza su quello che sentiva come il suo pessimo trattamento da parte degli ambienti universitari italiani in un passaggio delle Conferenze brasiliane. Ebbe infatti l’opportunità di insegnare per quarant’anni abbinando l’attività in ospedale psichiatrico a quella didattica al Corso di laurea, poi divenuto Facoltà,  di psicologia di Padova, che chi ha almeno la mia età ricorderà che è rimasta per molti anni l’unica in Italia insieme a quella di Roma. Sono interessanti le notazioni critiche di Ferlini, che Guarnieri riprende, circa  l’insegnamento della psicologia all’università, resa dall’essere “caduta in trappola” distante dal suo approccio che era prevalentemente clinico e psicodinamico.
Un terzo settore d’interesse fu, per Ferlini, infatti la psicoanalisi, che come Guarnieri ricorda coltivò frequentando il Gruppo milanese per lo sviluppo della psicoterapia” organizzato da Pier Francesco Galli che, come Paolo Migone ricorda in un contributo contenuto in Uscire…., fu frequentato anche da membri dell’équipe goriziana.
Questo gli diede l’opportunità di avere per supervisori mestri illustri, come l’italo-svizzero Gaetano Benedetti  (1920-2013), che fu autore di fondamentali contributi nel campo della psicoanalisi delle psicosi e con Galli diresse per Feltrinelli una collana editoriale fondamentale nel dibattito di quegli anni; Johannes Cremerius (1918-2002); Paul-Claude Racamier e l’argentino Salomon Resnik (1920-2017), che visse negli ultimi anni a cavallo tra Parigi e Venezia e  fu allievo, come amava con un certo compacimento ricordare, in Argentina di Enrique Pichon Rivière e a Londra di Melanie Klein, Herbert Rosenfeld, Wilfred Bion, Esther Blick e Donald Winnicott ed ebbe importanza con le sue affascinanti supervisioni nella formazione di molti colleghi di ambiente veneto (per un ricordo di Resnik su questa rubrica segui il link). Io stesso ho avuto occasione di ascoltarlo e apprezzarlo più volte grazie ad Antonio Maria Ferro, che dal Veneto si è trasferito a Savona ma a Racamier e Resnik è rimasto legato, e che per circa un anno ha diretto, come prima per otto anni Ferlini, la clinica Villa Santa Giuliana di Verona.
È di natura più personale lo scritto che a Ferlini dedica Marco Conci, che fu suo collaboratore, e ricostruisce la fondazione da parte sua, in stretto rapporto con Benedetti e con Barison, della “Scuola di psicoterapia psicoanalitca e fenomenologica Aretusa” di Padova, riconosciuta dal MIUR nel 2003 e chiusa nel 2020. Conci coglie l’occasione della nascita della scuola per approfondire la biografia e il lavoro scientifico delle due illustri figure alle quali Ferlini si appoggiò in quell’occasione: Gaetano Benedetti, del quale ricostruisce l’attività fondamentale nel campo della psicoanalisi delle psicosi e i rapporti con la scuola fenomenologico-esistenziale; e Ferdinando Barison, del quale ricorda il duplice ruolo svolto nell’Italia di quegli anni di protagonista degli studi di fenomenologia delle psicosi e pioniere della  psichiatria di settore, apprezzato , come Conci ricorda, anche da Silvano Arieti (per la recensione alla cui biografia scritta da Roberta Passione rinvio al link) in sede internazionale.
A proposito del pensiero di questi due maestri, diversi per formazione, che Ferlini ebbe la fortuna di avere, Conci insiste sui punti d’incontro che gli consentirono d’integrarne l’insegnamento nel suo lavoro clinico e nella didattica.
Certo le strade che Ferlini e Basaglia, di dieci anni più anziano, immaginavano per il cambiamento della psichiatria in Italia partivano da impostazioni diverse: per l’uno il punto di partenza era il passaggio per il modello del settore francese, per l’altro la distruzione dell’ospedale psichiatrico realizzata attraversando la sua trasformazione comunitaria a proposito della quale guardò soprattutto a esperienze inglesi. Così come erano diverse le loro culture, in un caso volta a individuare gli elementi di convergenza tra psicoanalisi e fenomenologia; e nell’altro tutto sommato poco fiduciosa nell’utilità della tecnica psicoanalitica per il lavoro istituzionale e mirata piuttosto alla costruzione di un punto di vista originale che traesse alimento dall’approcio fenomenologico-esistenziale, l’esperienza della comunità terapeutica, gli studi sociologici di critica dell’istuzione totale e dei meccanismi di esclusione alla base dell’internamento. Conci coglie però anche profonde affinità tra il lavoro psichiatrico dell’uno e dell’altro nel riconoscimento del malato come persona, la  necessità di una relazione di cura prima di tutto rispettosa e umana, l’identificazione con la sua sofferenza, l’atteggiamento antinosografico che trova per entrambi fondamento nel concetto fenomenologico di epoché, la formazione di medici e infermieri a uno stile di lavoro opposto a quello che l’ospedale psichiatrico aveva chiesto loro fino a quel momento.
Diversi tra loro mi pare che siano stati senz’altro la scelta del metodo e della prospettiva temporale per arrivare a una nuova psichiatria in Italia: per Ferlini, e altri con lui in quegli anni, un’evoluzione sostanzialmente atraumatica basata sulla graduale diffusione di una cultura psichiatrica e psicologica rispettosa del malato e la costruzione di luoghi dove poter praticare una buona psichiatria. Per Basaglia, la contrapposizione inflessibile all’ospedale psichiatrico che diventava anche progetto politico capace di intercettare il clima di scontro sociale e le istanze di giustizia di quegli anni, per costruire il nuovo passando per la distruzione del vecchio.
E non so francamente se senza questa carica di rottura e denuncia si sarebbe potuti arrivare in Italia alla completa chiusura degli ospedali psichiatrici. Dopo l’approvazione della Legge 180, che trovò forse addirittura un’anticipazione nella legislazione locale nel caso del Trentino, Ferlini s’impegnò a fondo nella sua realizzazione.
In ogni caso, quando ho intitolato Ritorno a Basaglia? il volume uscito ieri e prossimamente disponibile nel quale ho raccolto e approfondito alcuni miei scritti su Basaglia (ma non solo su di lui) per saggiarne l’utilità per la psichiatria di oggi, non ho inteso riferirmi solo alla sua persona, ma più in generale ai suoi anni e ai fermenti critici, le sperimentazioni, i tentativi di avvicinarsi in modo diverso al malato che li hanno animati. Anni ai quali invitano a ritornare peraltro, prima di me e con voce senz’altro più autorevole, maestri come Pier Francesco Galli o Eugenio Borgna. E anni di appassionata ricerca e di cambiamento ai quali anche l’esperienza di Giorgio Maria Ferlini, riproposta da Guarnieri e da Conci, credo che  appartenga senz’altro.

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