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I “mulattini” – 1

1 Giu 22

A cura di luigi.benevelli@libero.it

Cesare Mattioli Foggia, Anna Rosa Gonnelli, Maria Antonietta Antonelli, Indagini su un gruppo di “mulattini” osservati presso il Centro Medico Psico-pedagogico di Pistoia, Boll. Acc. Med. Pistoiese “F. Pacini”, 1956, vol. XXVII, pp. 281-288, 1956.

L’articolo riporta la relazione tenuta al secondo Congresso Nazionale dei CMPP dell’ Ente Nazionale Protezione Morale del Fanciullo (ENPMF), Roma, 29 settembre- 1 ottobre 1957[1]. Gli autori, rispettivamente medico psichiatra, nonché direttore del manicomio di Pistoia, psicologa ed assistente sociale,  componevano l’equipe del medico-psico-pedagogica dell’ Ente nazionale Protezione Morale del Fanciullo di Pistoia. I “mulattini”, così erano chiamati, erano bambini  nati da madri donne italiane e padri  di colore appartenenti alle truppe alleate  che avevano risalito la penisola dopo lo sbarco in Sicilia e ad Anzio.
Così è ricostruita la vicenda dei “mulattini”:
” In genere essi erano stati male accolti, rifiutati, trascurati, nascosti, non di rado indegnamente sfruttati. Dei morti nel primo anno di vita non si potrà mai calcolare il numero. Quanti fossero i sopravvissuti non si sapeva. Dove fossero e quale trattamento fosse loro riservato, erano altri interrogativi che rimanevano senza risposta. Le istituzioni sorte a favore dei “figli della guerra” non seppero sceverare  bene gli elementi che caratterizzavano il particolare problema, così che i mulattini furono considerati come tutti gli altri bambini illegittimi.
L’esperienza dei primi anni di vita negli Istituti convinse però gli educatori più attenti che nei riguardi di questi bambini giocavano alcuni fattori (probabilmente di natura genetica – corsivo del redattore) che aggiunti a quelli di natura ambientale (abbandono totale o parziale) facevano pensare a marcate differenziazioni  che richiedevano una altrettanto diversa impostazione del problema assistenziale. Nel luglio 1955 il Ministero degli Interni   affidò al l’ENPMF l’incarico di occuparsi  dei mulattini i quali nel primo dopoguerra  risultavano circa 1500, mentre nel 1956 risultavano viventi circa 700 in Toscana, Lazio, Campania.
Quello dei mulattini costituisce un triste fenomeno proprio della seconda guerra mondiale. Sono stati reperiti mulattini anche in altre nazioni con le seguenti cifre statistiche non ufficiali: Paesi Bassi (n. 10), Austria (n. 145), Gran Bretagna (n. 775), Germania (n. 3000)”.
Il Centro di Servizio Sociale dell’ENPMF di Pistoia aveva seguito  e poi indirizzato al Centro Medico PsicoPedagogico 13 minori di colore (3 femmine e 10 maschi) di età fra 10 e 11 anni: quanto all’ambiente di provenienza, 6 erano nati da madri di “sicura condotta etica inferiore”  e mostravano segni di degenerazione familiare e neurotabe ereditaria; di queste 6 madri una seguiva negli spostamenti le truppe di colore e una  si spostava in una carovana di zingari prostituendosi. Ma, a parte queste situazioni, le altre raccontavano di verosimili inganni, ossia di promesse di matrimonio mancate. Salvo due casi, le altre madri mostravano interessamento e amore. Le 3 mulattine e i 10 mulattini furono sottoposti ad un attento esame clinico che non portò a “indurre sicure classificazioni costituzionali”; di varie sfumature e tonalità risultò il colore della pelle; non rilevati segni di compromissione nevrassica, né anomalie all’Rx del cranio; all’Eeg 5 i tracciati nel limite della norma, 4, normali, 1 caso di ipereccitabilità mediana e 1 tracciato di tipo adulto; reazioni di Wassermann negative così come negativi i test presso il Dispensari Antitubercolari di Pistoia e Pescia. Furono poi studiate l’intelligenza globale con la scala metrica Terman, l’affettività e il carattere con test Rohrscach e dell’albero evidenziando un QI nella norma, senza differenze con i minori non-mulatti cresciuti in famiglia e in Istituto, salvo due casi uno dei quali cresciuto in un ambiente particolarmente “misero” di stimoli da indurre a pensare a un “deficit pedagogico ambientale”.
I dati integrati da quelli raccolti con l’osservazione durante i colloqui e il gioco, portavano a concludere che non erano emerse “caratteristiche rilevanti di ordine generale che portino a una netta differenza dei minori suddetti dagli altri”. Tuttavia  si potevano notare una certa lentezza ideopsicomotoria, senza però far pensare a bradipsichismo, una certa lentezza nell’affettività fino a un’indolenza e ad una indifferenza. Nel complesso i mulattini  mostravano una personalità  “che ha maggior forza d’istinto che capacità di controllo”. Per alcuni casi si poteva formulare una prognosi di aggravamento fino “ad un preciso complesso di inferiorità”  e qui veniva citato un bambino che si voleva mettere calcina in faccia per diventare bianco e un altro che voleva bere  solo latte allo stesso scopo. Non furono rilevate deviazioni rispetto alla norma nel sentimento religioso, mentre non furono raccolte informazioni circa l’istinto sessuale. Quanto al profilo scolastico, salvo due casi che vivevano in famiglia ed erano del tutto normali, le rilevazioni mostravano un lieve ritardo “legato vuoi a ipobulia,  vuoi a disarmonica convivenza scolastica”. No comunque a inserimento in classi speciali, era però consigliato di portare attenzione al numero di “mulattini” per classe, per evitare che gli alunni “bianchi” considerassero l’istituto scolastico “un luogo destinato ad accogliere soggetti socialmente inferiori in quanto abbisognevoli di particolare vigilanza ed assistenza”. Era altresì calorosamente raccomandato di evitare una vita dei mulattini  in “piccole città” perché ambienti capaci di “potenziare il loro complesso di inferiorità” e di optare invece per “grandi ambienti internazionali”, metropoli che vedono la presenza di “gente di ogni razza e colore”, continuando però a seguirli uno per uno “perché non dobbiamo sottovalutare la loro prevalenza istintiva”.
Quindi meglio via da Pistoia e Pescia.

Luigi Benevelli ( a cura di)

Mantova, 1 giugno  2022



[1] L’ENPMF fondato a Roma nel 1945 da Beniamino di Tullio, ottenne nel 1949 il riconoscimento a Ente Morale, diventando una istituzione pubblica di assistenza e beneficenza, con proprie sedi provinciali nelle quali operava una equipe composta da medico psichiatra, psicologa ed assistente sociale che, in particolare, si occupava  di minori con disturbi psichici e irregolarità nello sviluppo psichico” del comportamento, disabilità. 
 

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