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La follia ebraica: le patologie mentali degli Ebrei nella psichiatria europea nella ricostruzione di Vinzia Fiorino (I)

1 Mar 23

A cura di luigi.benevelli@libero.it

 

Nella seconda metà dell’Ottocento, in Europa, antichi stereotipi di ordine religioso riferiti ad una inferiorità inscritta nei corpi degli ebrei e nell’essere ebreo furono riproposti nella psichiatria del tempo. In Italia, questo filone di ricerca dialogò con la cultura nazionalista proponendo gli stereotipi dell’inferiorità razziale ebraica in contrapposizione all’uomo “nuovo, virile, forte, patriota”.

Vinzia Fiorino ha indagato sul come una parte della psichiatria italiana si collocò in questo filone antisemita razzista tra Ottocento e primo Novecento1; dopo il primo Novecento il dibattito tra gli psichiatri italiani sulle patologie mentali dell’ebreo si affievolì.

L’idea che talune “razze umane” fossero più a rischio di specifiche patologie — mentali e non — maturò in Europa attorno alla metà del XIX secolo nel contesto del dibattito che si collocava all’incrocio tra il moderno razzismo e l’affermazione delle categorie di “ereditarietà” e di “degenerazione”. Fiorino elenca al riguardo alcune acquisizioni proprie dalla scienza dell’epoca:

– un determinato canone di bellezza esteriore — basato su una certa simmetria dei tratti somatici, su una figura armonica, su una robusta prestanza fisica — come indice e prova di rettitudine morale

– l’esistenza di una gerarchia tra le confessioni religiose: quella cattolica, fortemente dogmatica, non consentendo ai suoi seguaci alcuna discussione, forgerebbe anime deboli, a rischio di eccessi di pratiche religiose. Invece, il credo protestante, consentendo la libera discussione sui fondamenti teologici, darebbe più facilmente luogo a incessanti controversie teologiche che potrebbero degenerare in alterazioni psichiche. Gli ebrei risulterebbero i più esposti alla follia “per una maggiore tendenza all’ascetismo religioso”

– il rapporto tra l’incidenza delle forme morbose e il grado di civilizzazione raggiunto da un popolo: la patologia mentale è tra i frutti dello sviluppo della civiltà e gli ebrei, in quanto gruppo molto civilizzato, sarebbero stati più a rischio anche in ragione di altri aspetti quali l’essere poco attivi nelle arti meccaniche e, invece, molto presenti nelle attività commerciali, pertanto più soggetti a dissesti finanziari, che favoriscono l’insorgere di psicopatologie.

Dopo la metà del XIX secolo le leggi dell’ereditarietà e il tema della degenerazione acquisirono centralità assoluta. Dalle leggi dell’ereditarietà, emersero due assiomi: per un verso i matrimoni interrazziali sono responsabili di discendenze degenerate, per un altro i matrimoni tra consanguinei causano varie malattie.

 

Charcot studiò una famiglia ebrea affetta da paralisi facciale e poi una comunità in Marocco di circa sei mila ebrei: dalla sua indagine dedusse che essi, a causa della diffusa consanguineità e di una naturale predisposizione, erano più esposti alle malattie nervose e in modo particolare all’isteria

e alla nevrastenia. Inoltre, la vita nei ghetti comportava un accumulo di influenze ereditarie per cui gli “accidenti nervosi di ogni genere” risultavano più frequenti.

Henry Meige, allievo di Charcot, nel 1893 discusse cinque casi di ebrei erranti affetti da nevropatia (contratture, anestesie, cefalee, insonnia, ecc.) per concludere che l’ebreo errante della leggenda non era altro che il prototipo dell’ebreo nevropatico e che gli ebrei non erano stati condannati a errare nel mondo per una punizione divina, ma per una patologia che rendeva incontenibile l’esigenza di spostarsi continuamente.

Anche il medico e politico Armand Béraud, dopo Charcot e di Meige, giunse a concludere che la nevrosi era la cifra generale dello status dell’ebreo e che le nevrosi e le affezioni organiche davano luogo a una catena nevropatica ereditaria. Béraud fece dell’ebreo quasi un essere effeminato, preferibilmente isterico rimandando a un’appartenenza di genere quanto meno dubbia. Inoltre, sottolineava la diffusione della diatesi artritica e nervosa, e del diabete, individuandone le cause nella vita urbana, nel lavoro intellettuale, nella dieta a base di buona carne.

Tale codificazione dell’identità ebraica si collocava negli orizzonti di un nazionalismo che promuoveva una nuova antropologia, un nuovo ideale di mascolinità, una nuova concezione dei corpi e dei generi sessuali proiettati in un rinnovato spazio pubblico: l’ebreo è poco virile,

portatore di una malattia comunemente identificata come patologia femminile, non è il cittadino del nuovo stato nazionale, non è il soldato della milizia popolare, non è il difensore della patria. Come dimostrava il fatto che gli ebrei non avevano una loro patria.

Emil Kraepelin apportò il suo contributo nel suo Trattato: ragionando sulle cause delle malattie mentali, introdusse il paragrafo “Razza e Clima”. Kraepelin dichiarava la difficoltà a giungere a conclusioni certe a causa di statistiche approssimative ed esprimeva l’urgenza di intersecare la variabile razza con quelle di sesso, età, condizioni sociali concludendo:

 

Sembra però che i disturbi mentali siano più rari nei popoli che vivono in condizioni semplici che non da noi. Che veramente l’origine stessa dei popoli possa avere una parte nella produzione della pazzia è provato dall’esempio degli ebrei, di cui si può senza errori grossolani fare un confronto col popolo che li circonda. Da questo confronto si rivela che, per lo meno in Germania e in Inghilterra, gli ebrei sono predisposti alle malattie mentali e nervose in misura molto maggiore dei Tedeschi. Vero è che in essi sono molto rare le forme alcooliche della pazzia; al contrario sono straordinariamente pronunciati quei disturbi che si sogliono riportare generalmente a degenerazione ereditaria. Forse ha una certa parte per questo fatto la preferenza degli ebrei a matrimoni tra congiunti per il quale fatto noi sappiamo che si può sviluppare considerevolmente una esistente predisposizione morbosa .

 

Georg Buschan, medico con interessi etnografici chiariva ulteriormente che le cause del fatto che “i giudei sono molto soggetti alle malattie mentali” risiedono nella loro disposizione razziale; ovunque infatti — tra il popolo minuto come tra le donne ebree della Palestina — si ammalano e le donne sono particolarmente esposte all’isteria. Quest’ultima annotazione, l’isteria tra le donne povere, prova che la loro malattia non dipende da una “esagerata attività del cervello”. Secondo Buschan ogni razza ha la sua patologia mentale: la nevrosi risparmia la razza nera, che però è più a rischio di idiotismo e mania; le forme depressive prevalgono invece tra i grandi gruppi indo-germanici; i celti-iberi-liguri sono invece i più disposti alle forme di esaltazione psichica.

 

Un altro autorevolissimo intervento sul tema giunse da Alexander Pilcz, medico che operava in una clinica di Vienna che curava pazienti delle varie nazionalità dell’Impero austro-ungarico. Dopo aver notato la particolare diffusione, tra gli ebrei, della follia periodica ed essersi interrogato sul ruolo giocato dalla religione nell’eziologia delle psicopatologie, avviò un’indagine sui malati suddivisi in base al credo confessionale. Plicz arrivò alle conclusioni che le psicosi constatate tra gli ebrei erano da attribuire alla disposizione ereditario-degenerativa, escludendo l’elemento religioso.

 

Anche il mondo anglosassone fu coinvolto nel dibattito sulle origini razziali delle patologie psichiatriche. Cecil F. Beadles intervenne al meeting annuale della Medico-Psychological Association di Londra nel 1900 offrendo una prima conclusione delle ricerche condotte sui ricoveri effettuati in vari ospedali: la patologia più diffusa degli ebrei era la nevrastenia, che li colpiva più precocemente ed era causata dall’ereditarietà, dallo zelo per acquisire ricchezze, dalle numerose gravidanze, spesso avviate in tenera età. Il quadro sociale che descriveva era sconfortante: alla miseria economica si aggiungeva una bassa vitalità, una degradazione morale.

The forms of moral depravity common among Jews are very marked and disproportionate, and perhaps that is not altogether surprising, considering the history of the race .

 

Luigi Benevelli

Mantova, 1 marzo 2023

 

1Vinzia Fiorino, Gli ebrei, un popolo di neurastenici: una costruzione culturale della psichiatria europea fra Otto e Novecento, “Italia contemporanea”, aprile 2018, n. 286, pp. 209-237.

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