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Ritratto di un seduttore e “peccatore” impenitente: il Sonetto XCV di Shakespeare

1 Mar 24

A cura di Sabino Nanni

Nel Sonetto XCV, Shakespeare dipinge, con grande vivacità, il ritratto di un seduttore che, a dispetto dei suoi comportamenti “peccaminosi” e trasgressivi, riesce a sottrarsi all’autocritica ed alla riprovazione altrui. Si tratta di un tipo di persona il cui stile di vita, ad un certo punto, entra in crisi. Il che, diciamo oggi, può diventare motivo di richiesta d’aiuto allo psichiatra. Ecco il sonetto:


How sweet and lovely dost thou make the shame,
Which like a canker in the fragrant rose,
Doth spot the beauty of the budding name!
Oh in what sweets dost thou thy sins enclose!
That tongue that tells the story of thy days
(Making lascivious comments of thy sport),
Cannot dispraise, but in a kind of praise,
Naming thy name, blesses an ill report.
Oh what a mansion have those vices got,
Which for their habitation chose out thee,
Where beauty’s veil doth cover every blot,
And all things turns to fair, that eyes can see!
Take heed (dear heart) of this large privilege,
The hardest knife ill-used doth lose his edge.

[Come dolce e attraente rendi tu la colpa / che come il cancro nella rosa fragrante / corrompe la bellezza della tua fama emergente! / Oh! In quali delizie racchiudi i tuoi peccati! / La lingua che narra la storia dei tuoi giorni / (facendo lascivi commenti dei tuoi diletti) / non può esprimere il biasimo che in forma di lode: / il tuo nome pronunciato cancella la cattiva diceria. / Oh! Che splendida dimora hanno acuistato quei vizi / che scelsero te come loro abitazione, / in cui il velo della bellezza copre ogni macchia / e rende bello quel che l’occhio può vedere! / Fa’ attenzione, tenero cuore, a questo grande privilegio: / il coltello meglio temprato, usato male, perde il taglio.]

 

        Individui particolarmente seduttivi riescono per lungo tempo ad evitare di mettersi in discussione senza creare contrasti coi propri simili o con sé stessi. Riescono a rendere “dolce e amabile” quel che in altri è motivo di vergogna e guasta la loro reputazione. I loro “peccati” sono come racchiusi e protetti da un involucro di piacevolezza. Succede, perciò, che quando gli altri parlano di loro, commentando il carattere lascivo di ciò che fanno, quel che normalmente viene disprezzato diviene oggetto di una sorta di lode. In gran parte, quel che queste persone riescono ad ottenere è in virtù della loro bellezza che, come un “velo”, ricopre ogni “macchia”.
        Tuttavia ciò non è una spiegazione sufficiente: anche se bella, una persona spudorata che non nasconde le proprie condotte immorali, diviene l’oggetto della riprovazione e dell’ostilità altrui. Una persona bella e dotata di qualità desiderabili, se ostenta di possedere quel che agli altri manca, diviene oggetto di malvolere e invidia. L’individuo di cui il Poeta parla in questo sonetto non solo evita l’ostilità altrui, ma riesce anche a risultare simpatico.
        Questo può avvenire perché riesce a presentarsi agli altri come possibile fonte di un godimento “per procura”. Riesce a cogliere negli altri quelle tentazioni cui essi non cedono per pura mancanza di coraggio; persone che, nel loro comportamento, si conformano “obtorto collo” alla moralità corrente. È come se questo seduttore, rendendo noti i suoi comportamenti trasgressivi, ammiccasse a chi lo guarda; come se dicesse: “vedi che faccio quel che vorresti fare anche tu!? Mettiti nei miei panni, e godrai del mio stesso piacere!”. Vedendo con simpatia e con un sentimento di complicità chi lo guarda, questo individuo finisce per risultare simpatico anche lui. Il fascino ed i modi di questo seduttore sono come un coltello affilato capace di penetrare in profondità nell’animo altrui. Però, ammonisce il Poeta, faccia attenzione: usato male, anche un coltello affilato può spuntarsi.
        Un uso sbagliato, ad esempio, è quello che non riesce ad adeguarsi al tempo che passa: con la vecchiaia, sparisce la bellezza. Inoltre, in un vecchio, le stesse “gesta” trasgressive che un tempo affascinavano suscitano ora perplessità, se non risa di scherno; si spezza il legame di reciproca simpatia fra l’individuo e chi lo guarda. Infine, c’è nello stile di vita di questo seduttore un elemento di fragilità: il sentirsi esonerato dall’autocritica si basa, essenzialmente, sulla capacità di conquistarsi il benvolere altrui. Quando questo viene a mancare, quando l’individuo si trova solo con sé stesso, è inevitabile che debba confrontarsi con la propria coscienza: come giudicare la propria vita? Ecco che l’autocritica, finora evitata, arriva tutta insieme. Ecco che la riprovazione da parte degli altri, cui finora si era sottratto, ora è lui che la rivolge a sé stesso. Ed è una auto-riprovazione che, ormai, sembra non concedere più alcuna possibilità di rimedio: a questo punto, la sofferenza emotiva e (se l’individuo è ancora abbastanza sano) la richiesta d’aiuto diventano inevitabili.

 

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