PSICHIATRIA E RAZZISMI
Storie e documenti
di Luigi Benevelli

Politiche eugenetiche ed eutanasiche nella Germania fra le due guerre mondiali nel XX° secolo (3)

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1 agosto, 2024 - 09:22
di Luigi Benevelli

Le origini del programma di eutanasia Nazista furono almeno in parte anche legate alla domanda di “uccisioni pietose”. La ragione, infatti, per cui Hitler decise di assegnare la questione alla sua Cancelleria  non stava solo nel fatto che questa agenzia   poteva operare in modo riservato, fuori dai canali ufficiali del governo, ma anche perché alla Cancelleria erano pervenute già richieste di eutanasia da parte di cittadini tedeschi: il caso di una donna che stava morendo di cancro, quello di un uomo diventato cieco e gravemente ferito    dopo essere caduto nel cemento, dai genitori di un bambino handicappato di nome Knauer ricoverato in una clinica di Lipsia, cieco, senza una gamba e parte di un braccio.

Hitler  aveva inviato a Lipsia Karl Brandt, il chirurgo che faceva parte della sua scorta, per autorizzare l’uccisione del bambino. Poi affidò a Brandt e Philipp Bouhler, capo della Cancelleria,  il compito di autorizzare nel futuro tali provvedimenti. Un elenco di specialisti pediatri – ciascuno dei quali credeva    fosse giunta l’ora di liberarsi dall’eredità dell’etica giudaico-cristiana basata sulla dottrina della sacralità della persona umana – prese le decisioni    riguardo ai bambini    che venivano inviati ad una delle cliniche “speciali” per l’uccisione.   Ai famigliari    si promettevano le cure più avanzate insieme all’informazione che le stesse avrebbero potuto comportare gravi rischi per la vita.    I genitori che avevano battuto tutte le strade o che erano logorati dal dover provvedere anche ad altri figli, o che più semplicemente non registravano alcuna tara genetica  in famiglia,  consegnavano i loro figli, spesso sapendo che non sarebbero sopravvissuti al trattamento. In altri casi agenzie di welfare usarono poteri di coercizione per obbligare singoli genitori a consegnare loro i bambini. L’ultimo fu ucciso con una combinazione di  affamamento e farmaci letali. Alcune infermiere    impegnate nel progetto, pur turbate , pensavano anche che era giusto liberare    creature sfortunate dalla  sofferenza. I medici impegnati erano tutti volontari. Era  infatti anche possibile dire di no come nel caso del dr. Friedrich Hőlzel, che  scrisse a Pfanmmūller    di voler rinunciare all’incarico di dirigere la clinica pediatrica di Eglfing.    Pur approvando le politiche Höltzel sentiva che bisognava tenere distinto l’essere giudice dall’essere esecutore; riferiva inoltre di essere troppo  impegnato  nel sostegno ai genitori per essere in grado di    portare avanti in modo sistematico provvedimenti presi  dopo deliberazioni    “a cuore freddo”. Pfanmmūller    non gli fece pressione. Nell’insieme programma 6.000 furono i bambini uccisi in un arco di età  dalla nascita all’adolescenza.

L’autorizzazione di Hitler al programma di eutanasia degli adulti  invece era intesa come una misura di ordine economico, come uno dei modi per creare spazi per letti di emergenza e accogliere le minoranze tedesche rimpatriate da Russia ed Europa Orientale, il che anticipava e rispecchiava  il raccordo fra “ricollocamento” e sterminio, come poi nell’Olocausto.   

 

Non si trattò di chimere, fini impossibili, propaganda ma di una serie di compiti cui adempiere definiti con freddezza. Nelle aree orientali esterne del Reich, unità SS    comandate da Eimann e Lange    furono ingaggiate per sparare a pazienti psichiatrici e la Cancelleria del Fūhrer elaborò il programma riservato T4    ( da cui il nome Aktion T 4) col compito di registrare, selezionare, trasferire e uccidere un numero calcolato in 70.000 persone, schizofrenici cronici, epilettici, lungodegenti.    Il gruppo di lavoro che se ne occupava era composto da economisti, agronomi, avvocati, uomini d’affari e, intorno, da un insieme di accademici e psichiatri, sotto la guida di Werner Heyde e, dal 1941, di Paul Nitsche, con il compito    di occuparsi della parte medica dell’omicidio di massa.

Insieme, questo bizzarro assortimento di umanità con raffinati livelli di istruzione e    senza scrupoli morali, si accinse a registrare e selezionare    vittime,    trovare istituti da adibire a    centri dello sterminio, mettere a punto metodi efficaci e, non da ultimo, selezionare staff di persone    disponibili e capaci    di compiere assassini di massa.    Herbert Linden, responsabile dei manicomi di Stato presso il Ministero dell’Interno, e i suoi equivalenti regionali, come Walter Schultze a Monaco o Ludwig Sprauer    a Stoccarda collaborarono    dal momento che avevano    propugnato tali politiche    da molti anni; scelsero i manicomi    idonei, come quello di Grafeneck, segnalarono medici, infermieri i cui riscontri professionali e la cui affidabilità ideologica    li faceva selezionare come soggetti idonei a operare in Aktion T4. Le SS, che per varie ragioni rimasero a una certa distanza    da questa operazione, fornirono comunque    ai 6 centri di morte persone temprate che potevano    reggere l’esperienza di massacri di massa. I medici che si erano candidati a operare in T4    fruirono di brevi sessioni    di istruzione a Berlino per poi essere gradualmente    avviati al lavoro di assassinio. Molti di loro erano giovani alquanto insicuri, molto impressionati dai nomi dei professori universitari e dalle sedi di grande prestigio (la cancelleria del Fűrher),    una caratteristica delle ambizioni piccolo-borghesi.    La loro limitata formazione professionale    non    contribuì ad aggiungere inibizione    morale: le infermiere e gli inservienti    erano prodotti della cultura    dell’obbedienza, e , in aggiunta, giudicavano moralmente accettabile l’eutanasia, in particolare a fronte degli eccessi e degli sprechi che si verificavano nel trattamento dei folli nei manicomi di lusso.

Le schede di ogni paziente candidato furono raccolte e inviate ai funzionari che operavano in T4. Molti direttori di manicomio che non avevano chiara la destinazione d’uso finale di questi documenti, per continuare a contare sulla presenza e l’opera nei loro istituti dei malati lavoratori più capaci, fecero la scelta di    sottolineare l’incapacità al lavoro dei pazienti segnalati. La bassa capacità produttiva, la malattia    inguaribile o la durata dell’internamento erano sufficienti    a giustificare    la morte di una persona.    In altri termini, il complesso delle vittime fu individuato fra le sotto-classi create dai riformatori della terapia occupazionale in ambito psichiatrico.    I funzionari del programma T4, come l’onnipresente Pfannenmüller    ricevevano infornate da 200 a 300    schede per volta ed erano remunerati    a numero di pratiche evase. Questo probabilmente    spiega    il virtuosismo    diagnostico di psichiatri stacanovisti come il dottor Josef Shreck, che completò    15.000 schede in un mese, una per una.   

In base ai referti di tali schede, gruppi di pazienti erano trasferiti dal loro manicomio dal Servizio per il trasporto dei pazienti o in uno dei 6 istituti deputati, a morire subito nella camera a gas, o collocati temporaneamente in un manicomio di    transito. Questo aveva lo scopo di mettere confusione nei famigliari, che non sapevano più dov’erano finiti i loro congiunti,    ed anche di scaglionare    il rifornimento ai crematori.    Un elaborato sistema di inganni    era attivo ad ogni passaggio, dalla falsificazione della causa di morte, a quella del dove e quando la morte era avvenuta.   

Queste uccisioni comportarono inevitabilmente contatti fra T4 e    ospiti di manicomi privati, di Stato o religiosi. Metà delle vittime di Aktion T4 proveniva da asili e residenze gestite    dalle due più importanti reti assistenziali religiose: la Missione Protestante Interna e l’Associazione Cattolica Romana Caritas.    Anche qui si discuteva di provvedimenti eugenetici e di eutanasia: nel 1937 il direttore medico Rudolph Boeckh    del manicomio    di Neuendettelsau in Franconia aveva affermato in una conferenza della locale sezione NSDAP che gli “idioti” erano parodie dell’umanità che meritavano di essere fatti    “ritornare al Creatore”. Alcuni asili della Missione Protestante Interna, come quelli di Scheurn in Hesse-Nassau, operarono    come centri di transito sulla via di Hadamar; infermiere sorelle protestanti    lavorarono a Bernburg    nel periodo in cui circa 20.000 persone vi furono uccise.

Ma in alcuni manicomi, una volta giunte notizie di quanto accadeva, si tentò di    sabotare l’operazione T4, ad esempio ritardando il completamento e la consegna delle schede. É il caso del    dr. Karsten Jaspersen di Bethel Sarepta che si prese tutto il tempo per modificare le diagnosi    in modo meno pericoloso per i pazienti: il fatto che egli fosse un vecchio militante Nazista ci dice che l’affiliazione politica poteva non essere necessariamente    un vincolo assoluto    per le scelte individuali.

Ma effettivamente    furono pochi i manicomi che tentarono di nascondere i soggetti più vulnerabili o di fare in modo che le famiglie li riprendessero a casa. Ovviamente la dimissione dipendeva dalla disponibilità delle famiglie, essendo talvolta la risposta che non c’erano più stanze disponibili in casa.    Nel caso della rete dei    manicomi    di Bodelschwingh    di Bielefeld. la fama del direttore    e di alcuni pazienti, incluso il cognato di Goering (secondo Heyde fu un chiaro caso di eutanasia), T4 autorizzava l’uso di propri criteri    per la selezione.

Il fatto che uomini di Chiesa , in specie il Vescovo di Münster van Galen, avessero pubblicamente protestato contro Aktion T4 (un anno dopo esserne stato informato dal dottor Karsten Jaspersen) ha ricevuto più attenzione    del fatto che T4, prima di dare avvio al progetto, interpellò un teologo accademico cattolico per ottenere un memorandum giustificativo. La gerarchia cattolica romana    avviò negoziati, poi interrotti, con T4 per garantire agli staff    dei manicomi di essere esonerati dal partecipare al progetto; la preoccupazione della Chiesa cattolica circa la somministrazione dei sacramenti si accompagnava spesso col rifiuto dei preti di dare sepoltura cristiana alle ceneri delle    vittime del programma di eutanasia, in quanto erano stati cremate.

Nel complesso T4 uccise 70.000 persone, molte delle quali entravano nelle camere a gas con uno spazzolino da denti e un asciugamano.    Un rapporto finale    trasferì su un grafico    l’andamento mensile delle uccisioni, insieme all’elenco di quanto denaro, merci quali burro, pane, caffè o marmellata erano stati salvati con la “disinfestazione” di 70.273 persone, conteggiando i corrispettivi monetari con proiezioni fino al 1951.

Dopo la cessazione    nell’agosto 1941, i funzionari    medici di T4    si dedicarono agli internati dei campi di concentramento dove,    in quella che divenne “Aktion 14fl3”, si dedicarono alla selezione di persone che le SS    giudicavano “malate”    o di persone di razzialmente inferiori    o con precedenti negativi.    Nello stesso autunno    Viktor Brack, l’economista che guidò l’operazione T4, incontrò Himmler che una volta lo aveva impiegato come autista. Himmler, secondo quanto si racconta disse che Hitler    gli aveva dato qualche tempo prima l’ordine di sterminare gli ebrei. Egli aveva risposto che tutto era stato preparato, ma che si sarebbe dovuto lavorare il più rapidamente possibile.    Gli staff T4 dovevano diventare uno dei gruppi    impegnati    a definire i progetti    ancora quasi sperimentali per risolvere la “Questione Ebraica” e    come esperti    di gassificazione di massa, ebbero    il ruolo più grande:

circa    92    quadri dell’operazione T4 furono messi a disposizione    di Odilo Globocnik, ufficiale    superiore SS , capo della polizia di Lublino da Bouhler; con Herbert Lange, il veterano    dell’operazione SS eutanasia, si formò il gruppo T4 responsabile del programma “Aktion Reinhard”.    Un variegato insieme di gente che aveva fatto il macellaio, il cuoco, il camionista, il poliziotto comprendente Erich Bauer, Kurt Franz, Lorenz Hackenholt, Joseph Oberhauser, Franz Stangl e Christian Wirth salì la scala gerarchica per presiedere all’assassinio di massa degli Ebrei dell’Europa Orientale e della borghesia ebraica di quella occidentale    a Belzec, Sobibor, Treblinka.

 

La rassegna statistica finale redatta da    Globocnik nel dicembre 1943 enumerava l’entità delle somme raccolte, il corrispondente di circa 2000 carichi    di vagoni ferroviari di effetti letterecci, abiti e    asciugamani, e oggetti di uso quotidiano come lenti d’occhiale,    piumini da cipria, portasigarette. Dopo lo smantellamento di questi campi di sterminio, gli uomini del progetto T4    diedero il via a centri di sterminio sulla costa dalmata, a Trieste (Risiera di San Sabba) che usarono per torturare e uccidere ebrei    sul percorso verso Auschwitz e sospetti partigiani. Vi morirono 5.000 persone.

Nel territorio del vecchio Reich, le uccisioni eutanasiche    proseguirono più decentrate in una vasta rete di istituti dove i pazienti furono uccisi per fame e con iniezioni letali. Si tennero incontri presso le autorità sanitarie regionali    per scegliere fra le diete di affamamento con psichiatri che si scambiavano menù di radici vegetali    bollite in acqua. Si consideri che non c’era scarsità di cibo nei manicomi    dal momento che in molti di loro le terapie occupazionali continuavano a produrre eccedenze che gli amministratori vendevano realizzando    considerevoli profitti.

Sia il programma adulti che l’uccisione di bambini proseguirono fino agli ultimi giorni di guerra. La morte fu di routine decisa per chiunque fosse giudicato incapace di produrre o il cui comportamento avesse infastidito il personale, con pazienti talvolta coinvolti nell’uccisione di persone con loro ricoverate.    Tentativi di fuga    o reati    comportavano iniezioni letali    o    manciate di sedativi    cacciate in gola a forza    nel cuore della notte. Molte vittime erano lavoratori coatti stranieri malati di tubercolosi, così come di disturbi mentali    contratti    per le condizioni inumane    in cui vivevano e lavoravano.    Ucciderli sul posto    era ritenuto meno costoso del rimpatrio. Poiché la gran parte di loro    non sapeva comunicare in tedesco, non    si tentava    di cercare di capire che cosa non funzionasse. Nelle    loro ultime stagioni    i programmi di eutanasia riguardarono vecchi e    nomadi, nonché persone rese folli dai bombardamenti alleati.     

Relazioni  del SD scoperte negli archivi russi hanno documentato l’esistenza di diffusi timori e diffidenze fra la popolazione tedesca più anziana riguardo al ricovero in strutture geriatriche, sanatori o anche le visite di routine dal medico: questo a evidenziare che era stato impossibile tenere nascoste operazioni descritte, anche perché i manicomi, e le parti di manicomi che erano state svuotate erano state adibite a finalità non-mediche.

Alcuni    psichiatri che lavoravano nel programma T4 come Paul Nitsche o Carl Schneider, per contrastare la perdita di prestigio dell’assistenza psichiatrica    avanzarono proposte    di modernizzazione della psichiatria, attraverso l’uso delle risorse risparmiate per mettere a punto nuove terapie per i casi acuti.      L’agenda più o meno esplicita prevedeva    la costruzione di programmi di ricerca nelle Università da sostenere con il materiale “neurologico” messo a disposizione    dai programmi di eutanasia. In questo modo ci si      proponeva di riaffermare  il controllo della psichiatria su politiche guidate dalle esigenze della guerra e dell’economia, politiche la cui logica minacciava l’esistenza e la credibilità di un’intera branca della medicina; una specie di razionalizzazione ex post facto, un modo per    allontanare da sé le responsabilità    di chi aveva creato condizioni disumane nei manicomi      con    pazienti ridotti a scheletri e abbandonati a se’, nudi nei loro escrementi ed urine su    pagliericci, e persone chiuse    da sole    in    bunker infestati da parassiti: medici che operavano nei reparti come soldati per i quali i pazienti, specie quelli che non parlavano una parola di tedesco,    erano diventati letteralmente “il nemico”.

 

Ma fu la decisione di Hitler di entrare in guerra a proporre in termini nuovi e più radicali la questione dei costi e della sopportabilità dei costi dell’assistenza ai pazienti psichiatrici: la scelta di uccidere i disabili fisici e psichici fu giustificata dalle necessità della guerra stessa, in particolare quelle di liberare posti letto per i soldati del Reich bisognosi di cure, nonché spazi di accoglienza per i profughi.

 

Luigi Benevelli ( a cura di)

 

Mantova, 1 agosto 2024

 

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