I Peter Pan della globalizzazione
Dall'adolescenza all'età adulta oggi, nell'epoca del precariato e della globalizzazione
Sulle orme di ‘Pollicino’. Bambini e società in Emilia Romagna
Neuropsichiatra Infantile, Responsabile del
Gruppo Infanzia del Centro di Igiene Mentale di Reggio E.
‘Pollicino. Bambini e società in Emilia Romagna’ è stata una rivista semestrale uscita a Reggio Emilia ad opera di operatori e operatrici del welfare emiliano-romagnolo nel triennio che va dall’84 all’86. Una rivista rivolta ai loro pari che, come loro, lavoravano sull’età evolutiva.
In quella quindicina d’anni che vanno all’inizio dal ‘68 alla metà degli anni ‘80 il welfare a Reggio -come in tutta la regione- aveva già cumulato una serie di esperienze, che poi in vari campi assumeranno le caratteristiche dell’esemplarità[1].
Si parte dappertutto da un momento iniziale contrassegnato da una critica destruens alle vecchie istituzioni psichiatriche, sanitarie, educative, assistenziali ad opera degli studenti e soprattutto delle studentesse[2].
E, grazie ad una decisiva alleanza fra questi movimenti giovanili e amministratori e amministratrici ‘accorte’[3] che presto li cooptarono nelle neonate istituzioni del welfare, si passa ad una fase di sperimentalismo, che aveva terremotato dall’interno le vecchie istituzioni (scuola, materne, manicomi, etc.) e temprato quelle nuove, nate sempre in base alla spinta del ’68 (medicina del lavoro, asili nido, Centri d’igiene mentale, consultori). Per approdare in entrambi i casi alla definizione di nuovi profili istituzionali, accomunati da una pratica, e soprattutto da una riflessione sulla pratica, che è uno degli aspetti peculiari di quell’esperienza.
Al di là delle specificità di ciascun ambito istituzionale, apparivano sempre più chiari agli operatori gli stretti legami parentali esistenti nei vari comparti del welfare. E fu proprio da questa constatazione che prese avvio “Pollicino”. Riportiamo integralmente la “Presentazione” degli obiettivi della redazione della rivista, perché pensiamo che ciò permetta la comprensione del tipo di riflessioni allora prevalenti fra noi operatori e operatrici di frontiera[4]:
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Presentazione[5]
Noi, le persone che hanno fatto il primo numero di questa rivista, per mestiere “stiamo con i bambini”: insegnanti, educatori, riabilitatori, terapeuti, medici. Il nostro luogo di lavoro può essere definito, con una parola chiave, il “territorio”: i servizi educativi di ogni grado e quelli sociali e sanitari fuori dell'ospedale.
Ciascuno di noi è passato, immergendovisi, per i processi storici e politici che nell'ultimo ventennio hanno cambiato il volto dell'Italia nelle sue molte sfaccettature locali. Prima del ‘68, i nostri mestieri erano ben definiti e precisamente collocati nella realtà sociale risultata dal passaggio dalla fase di ricostruzione del Paese a quella del boom economico e dominata da criteri – la meritocrazia, la selezione e l'emarginazione, l'etnocentrismo culturale - funzionali ai processi di rapida industrializzazione e di completa disponibilità della forza lavoro non solo nella fabbrica, ma anche nei momenti di formazione e di dislocazione sul territorio e tra i settori produttivi.
Queste identità professionali non potevano resistere al terremoto del ‘68; non solo per la scelta ideale, personale, ma molto diffusa, di mettersi in discussione negando il proprio ruolo tradizionale, ma soprattutto perché era concretamente molto difficile sottrarsi all'imperioso affermarsi di nuovi valori sociali: l'egualitarismo, il policentrismo culturale, l'abbattimento di ogni esclusione. In quel crogiuolo di nuove idee e di ‘sperimentazione i contorni dei nostri mestieri si sono fatti inafferrabili perché appena venivano delineandosi subito si frastagliavano in un gioco di interscambio e di polivalenza. Di quel periodo possiamo ormai ragionare col senno di poi; ciò malgrado una questione rimane ancora senza risposta: quali sono i tratti della nostra professionalità che, assunti in quella fase di rivoluzione delle coscienze, si sono rivelati
non caduchi e ancora caratterizzano il nostro stile di lavoro?
Questione tanto più importante quanto più la tendenza prevalente attuale è quella di ridefinire la nostra identità professionale per reazione, accumulando incessantemente ed ansiosamente conoscenze tecniche di intervento e di manipolazione sul bambino; senza riflettere che l'assunzione acritica del contesto sociale e culturale ci rigetta nel ruolo di tecnici delegati, incapaci di capire e svelare la funzione ed il significato di ogni spinta tecnicistica.
L'ambizioso obiettivo del nostro progetto è quello di sfuggire al disperato oscillare del pendolo tra il simbolo della gabbia dorata del tecnico e quello del rifiuto aprioristico delle tecniche.
Il titolo della rivista, “Pollicino”, sta a significare che il recupero della dimensione critica del nostro mestiere inizia col considerare il bambino come soggetto in evoluzione ed il nostro rapporto con lui, provocato dai suoi bisogni reali ed indotti, come un processo dialettico pieno di contraddizioni e di antitesi: quella per cui la società e le istituzioni richiedono in cambio del diritto all'esistenza la rinuncia della propria individualità; quella per cui il professionista “pubblico dipendente” non può esplicare il proprio lavoro senza i connotati istituzionali più attenti alla necessità di un controllo sociale che a quella del rispetto dell'individuo; quella ‘ancora per cui quantità e generalizzazione della prestazione ne debbono determinare la qualità; quella infine per cui la rinuncia alla propria professionalità per non essere complici delle ingiustizie sociali, non risponde di per sé a chi schiavo del bisogno ha “bisogno” di qualcuno che “sappia fare”.
Vorremmo essere in grado di interessare alla rivista quella parte di colleghi che vive con disagio il momento attuale perché, sentendo il bisogno di cambiare e di definire una nuova professionalità, comprende che è inutile e dannoso chiudersi nell'isolamento dello specialismo il cui risultato non può che essere lo spezzettamento del bambino. A questi nostri colleghi vogliamo offrire uno spazio per riflettere insieme sulla teoria, sulla metodologia, sulla pratica quotidiana del loro lavoro perché siamo convinti che iniziare a costruire insieme una “scienza dei servizi territoriali per l'infanzia” è l'antidoto più potente contro lo specialismo e contro l'empirismo.
Noi cominciamo con questo numero il discorso, rivolgendo la nostra attenzione al senso del nostro lavoro passato e presente e secondo quattro linee tematiche generali: la fascia prescolare; il rapporto tra scuola, handicap e devianza; riabilitazione e psicoterapia; i modelli organizzativi, le informazioni ed i servizi.
Già in questo numero vi sono articoli, però, esterni a queste tematiche sia perché di per sé contribuiscono a comprendere meglio il senso del nostro lavoro, sia perché la definizione delle quattro linee risulta più dalla nostra modestia che dalla volontà di operare delle scelte.
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La vita breve della rivista non tragga in inganno! molto profonde erano le basi comuni che spingevano quegli operatori e quelle operatrici ad operare nelle nuove istituzioni del welfare emiliano-romagnolo: tanto da permettere loro di resistere poi alle mille torsioni cui quei progetti furono sottoposti nel tempo, e di averli saputo vivificare finché è stato possibile.
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I tre numeri della Rivista, liberamente scaricabili, sono qui sotto:
Pollicino. Infanzia e società in Emilia Romagna – N.1
Pollicino. Bambini e società in Emilia e Romagna – N.2
Pollicino. Bambini e società in Emilia e Romagna – N.3
Direttore responsabile a termini di legge: Piergiorgio Paterlini
[2] vedi: 1. Dalla casa dei matti alla Stanza di Dante, Intervista a Deliana Bertani, in: Mara Pellegrino, Dimma Spaggiari, Rina Spagni (a cura di), Reggio Emilia: femminile plurale. Storie di donne che fanno e organizzano, che creano e inventano, Diabasis – Istoreco, Reggio Emilia, 2010, pp.19 \ 34; e 2. : Gabriele Vezzani, Leggevamo Gramsci e Marcuse, in "Psicoterapia e scienze umane", 3/2010, pp 377-392