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INTERVISTA A EUGENIO AGUGLIA… i prossimi tre anni della SIP

18 Set 12

Di FRANCESCO BOLLORINO

FOTO INTERVISTATOSi pone, in questo momento, il problema di capire in che direzione si muoveranno la SIP e la psichiatria nei prossimi tre anni. Vi sono in effetti diverse questioni ancora aperte. Prima di affrontare questo argomento e di ascoltare le Sue opinioni al riguardo, vorremmo avere un Suo parere riguardo una caratteristica che rende diversa la SIP rispetto ad altre societa' scientifiche, vale a dire questa unione storica molto forte tra una componente universitaria ed una componente territoriale ospedaliera. Quale universitario e membro della componente universitaria, come pensa Lei di favorire questa unione e come crede che possa procedere in Italia l'integrazione, auspicata ed anche voluta dal Ministero stesso, fra la componente ospedaliera territoriale e la componente universitaria della psichiatria italiana?

Ritengo che questa unione fra la componente universitaria e la componente territoriale ospedaliera – che appunto si rappresenta come una realta' assolutamente unica nel panorama delle societa' scientifiche italiane, credo anche nelle realta' europee ed americane – possa trovare una giusta collocazione nella valorizzazione delle funzioni istituzionali che ha l'universita' e fare in modo che questa valorizzazione trovi una giusta applicazione ed un giusto soddisfacimento nella realta' del territorio. Le funzioni dell'Universita' sono istituzionalmente la funzione didattica, la funzione scientifica e la funzione assistenziale. Devo dire che nel corso di questi ultimi anni l'Universita' sta cercando, a pieno titolo, non solo di fortificare quello che e' il compito della ricerca e della didattica, ma anche ' cosa che credo sia in effetti molto piu' importante, ed in questo l'unione di queste due componenti trova giusta fortificazione e convergenza – di potenziare la realta' della sua presenza nel contesto territoriale.
Penso che questo sia un aspetto innovativo, che si rappresenta come un cammino avviato ma non certamente concluso, come un percorso obbligato attraverso il quale ottimizzare le nostre componenti universitarie e gli altri compiti. Dico questo perche' in una prima fase, la realta' un po' solitaria delle cliniche universitarie rispetto a questo sconvolgimento positivo della innovazione della riforma psichiatrica, ha determinato un apparente iniziale temporaneo scollamento fra quelle che erano le reali esigenze delle nuove leve che andavano ad operare in un contesto diverso e quelli che invece erano ancora dei programmi che l'Universita' non aveva avuto il tempo di modernizzare, di attualizzare e di rendere fruibili anche rispetto alla realta' del territorio. Sulla base di questo, l'Universita' si e' posta tale interrogativo e si e' ridefinita in funzione non solo della ottimizzazione delle esigenze che scaturivano nel rinnovato modulo assistenziale territoriale, ma anche ' e questo e' un obbligo a cui non poteva delegare l'Universita' ' armonizzandole con la realta' europea. L'avvento della Comunita' Europea ha imposto anche un allineamento delle realta' e dei contenuti delle Scuole di Specializzazione a quelli delle altre Scuole di Specializzazione europee, proprio per garantire che il nostro specialista potesse avere la garanzia della circolarita' nel contesto della Comunita' Europea.
Questo e' stato un grosso passo avanti che ha permesso all'universita' di aprirsi al territorio e di poter veramente sperimentare in prima fila quelle che erano le realta' assistenziali; queste ultime non si limitavano alla clinica universitaria in vecchio stile solo con i posti letto, ma una clinica universitaria che a pieno titolo avesse diritto ad uno spazio di tipo dipartimentale, quindi che avesse nel contesto della clinica universitaria tutte quelle opzioni assistenziali che caratterizzano il percorso terapeutico nell'ambito del DSM, tenuto conto che lo specializzando non deve solo acquisire la teorizzazione dei contenuti di base della clinica psichiatrica, ma deve invece, forte di questi contenuti di base, essere nelle condizioni di trasferirli, attraverso la sua professionalita', nel campo della psichiatria, che a mio avviso non puo' limitarsi in maniera prioritaria alla psichiatria del Dipartimento di Salute Mentale.
Il compito delle cliniche universitarie e' quello di formare il professionista psichiatra e renderlo tale, si' da poter operare nel DSM, come libero professionista se compie questa scelta, anche nell'ambito del privato imprenditoriale, proprio perche' la formazione che noi dobbiamo dare a questi giovani deve essere a mio avviso una formazione completa, una formazione che dia la possibilita' attraverso proprio l'esperienze che il giovane psichiatra fa nel DSM, o universitario o, nelle sedi in cui questo ancora non si e' venuto a determinare, mediante convenzioni che possono armonizzare. Ecco che di nuovo ritorna il progetto presentato in occasione della nostra candidatura durante l'assemblea, ecco che ritorna l'armonia indispensabile che si deve venire a determinare tra questi due elementi, i quali non sono scissi, ma devono necessariamente convergere, perche', nel momento in cui la situazione di una sede universitaria determina, crea, una convenzione con il dipartimento, e' chiaro che questa convenzione non puo' essere solo un atto formale, ma deve essere un atto di condivisione di intenti, di contenuti e di modalita' anche espressive di un certo percorso terapeutico ed esperienzale, il quale porti lo specializzando ad acquisire tutte le conoscenze delle quali ha realmente bisogno al fine di essere poi autonomo nella sua operosita', dopo che avra' conseguito il titolo di specialista.

In questi prossimi tre anni sicuramente verra' in qualche modo modificata la normativa, piu' che la legge, riguardante l'assistenza psichiatrica. E' scritto oramai nel tempo che siamo maturi per addivenire ad un qualcosa di positivo. Munizza ha detto, ed e' condivisibile, che in realta' il percorso dovrebbe avvenire all'interno dell'attuale normativa, modificandola, piuttosto che immaginare una nuova legge, sottolineando appunto che la grande forza della 180 e' stata quella di dare una dignita' medica alla psichiatria, che prima, invece, con la precedente legge, viveva una vita separata. Secondo la SIP, su cosa si dovra' intervenire, in tutta onesta', per migliorare l'assistenza dal punto di vista delle leggi proposte dallo Stato, non tanto della buona volonta' degli operatori? Secondo Lei, dove si dovra' intervenire, e dove la SIP dovra' dare il suo contributo per far si' che queste modifiche avvengano all'interno di parametri condivisi ed accettabili?

Io credo che la normativa vigente non vada messa in discussione, nel senso di una abrogazione per una ricostituzione di una successiva normativa, perche' mi sembrerebbe un percorso farraginoso e che porterebbe solo ad uno scompaginamento di quelli che invece sono i punti saldi che determinano l'attuale normativa dell'assistenza psichiatrica.
Sono convinto che uno dei punti nodali su cui la SIP deve assolutamente scommettersi e' la reale garanzia che intanto la realta' della legge 180 sia una realta' ben distribuita e, ottimizzando quelle che sono le premesse contenute nella normativa vigente, sia presente su tutto il territorio nazionale. Questo puo' sembrare un po' ridondante, visto che sono trascorsi venticinque anni, ma di fatto in alcune sedi nazionali paradossalmente ancora non si e' andati a regime tenuto conto di quello che e' nella 180.
Pertanto, prima di pensare ad un cambiamento, ritengo che alcune sedi dovrebbero sperimentare la 180 cosi' come e' stata scritta, in quanto sono ancora li' a discutere se alcune cose vadano bene o meno, se debbano essere fatte o meno, e si trovano quindi in una fase direi molto iniziale. Sono convinto che il ruolo della SIP diventi veramente importante nel momento in cui la delega viene data alle regioni. E' una questione delicata, perche' sappiamo bene come la SIP puo' in qualche modo dare delle linee guida generali, ma – questo naturalmente puo' essere anche un dato che viene assorbito a livello ministeriale – come ormai e' prassi consolidata, sono le regioni che decidono, regioni che si fanno carico poi della programmazione dell'assistenza psichiatrica in quella particolare regione, e si potrebbe quindi poi creare uno scollamento tra il messaggio della SIP condiviso ed accettato ed elaborato come Ministero della Salute rispetto invece ad un messaggio che poi non viene recepito a livello delle regioni. Questo creerebbe uno scollamento che farebbe dell'Italia tante piccole mini repubbliche dove ogni assessorato decide secondo le convenienze, le opportunita', le risorse che possiede, una sua assistenza psichiatrica, cosa che sarebbe la fine non della 180 bensi' del benessere psichico che noi auspichiamo per il nostro paziente. Se ogni regione andasse secondo schemi assolutamente autonomi, perderemmo questa opportunita', che invece dobbiamo fortificare, di una assistenza psichiatrica che, a pioggia, con un modello unitario, possa essere proposta in tutte le sedi.
Pertanto la SIP deve in tal senso vigilare affinche', proprio nell'ambito delle competenze di stato-regione, si addivenga ad un modello che le regioni devono fare proprio e che non possono cambiare in funzione delle esigenze specifiche e della particolare sede. Credo poi che un aspetto che forse andrebbe molto valorizzato, e noi lo abbiamo fatto nostro nel documento presentato all'assemblea, e' la rivisitazione dei trattamenti senza consenso, dando al trattamento senza consenso quello che, a mio avviso, e' il significato prioritario, ossia il fatto che deve intendersi un atto medico e non un atto di tutela sociale.
Questo e' fondamentale, perche' se questo discorso veramente poi trascina tutta la problematica della pericolosita' sociale, della tutela degli altri rispetto al paziente, insomma io credo che la componente prioritaria sia quella di enfatizzare il fatto che il TSO e' un atto medico ed in quanto tale deve essere gestito da persone che abbiano la competenza per farlo, dev'essere finalizzato alla saluta del soggetto che riceve questo tipo di trattamento e dev'essere naturalmente adeguato alle esigenze specifiche dell'emergenza. Un aspetto che a mio avviso ancora non e' stato forse eccessivamente valorizzato, e che invece adesso sta diventando una realta' incombente, e' il trattamento di degenza a lungo termine, perche' intorno a tali questioni la 180 non aveva fatto chiarezza in assoluto.
Di conseguenza noi ci ritroviamo di fronte alla difficolta' di dare una risposta adeguata ad una serie di situazioni bibliche e, nonostante l'ottimo intervento maturato da parte di ciascun operatore che si e' fatto carico di quel paziente, non tiene conto di una realta' che e' una realta' clinica che si chiama cronicita'. Essa non e' la conseguenza di una difettualita' d'intervento in quel particolare dipartimento, ma e' l'epifenomeno di una realta' clinica che nel tempo va verso una situazione di franca cronicita', la quale rientra nell'ambito del percorso di qualunque patologia medica; anche il diabete e' cronico e questo non significa che i diabetologi non lo sappiano curare.
Su questa base, dobbiamo anche fare i conti con questa evenienza la quale deve essere gestita in sedi adeguate, appropriate, che abbiano comunque una componente prioritaria di tipo sanitario, di presa in carico, ma che siano anche certamente orientate ad un percorso che valorizzi l'aspetto riabilitativo e, perche' no, in primis l'aspetto risocializzante, secondo una tempistica che naturalmente non puo' essere la tempistica del SPDC, ne' dell'ambulatorio, ma una tempistica sicuramente piu' ampia. Quest'ultima dev'essere concordata secondo un progetto prestabilito, precostituito, e monitorato nel tempo, al fine di valutare in che misura tale progetto abbia senso nell'ambito del percorso che noi abbiamo individuato per il paziente.

Lei pensa che la sensibilita' dei politici sara' tale per cui, anziche' ' e lo dico con molto dolore ' ascoltare soltanto le associazioni dei familiari, verranno ascoltati i tecnici con uguale attenzione? Perche' la sensazione che noi abbiamo seguendo un po' da diverso tempo, anche come rivista, le avventure della riforma, la cosiddetta legge 180, che il politico, proprio perche' non tecnico, dia piu' voce a chi urla di piu' – magari anche per ragioni rispettabilissime, intendiamoci, non sto criticando – e non ascolti chi probabilmente invece in merito e' piu' competente e forse meno coinvolto nel problema, e quindi come tale forse in grado di restituire al politico delle informazioni corrette. In altre parole, noi siamo la societa' scientifica piu' grande d'Italia, come numero di associati, riusciremo a far sentire la nostra voce, Professore?

Io credo che anche in questo ambito la SIP stia cambiando. Sta cambiando nel senso di una rinnovata e diversa contrattualita', proprio con le Istituzioni. E' vero che sino a qualche tempo addietro c'erano altri che decidevano per noi e noi tecnici avevamo questo dictat senza avere avuto la possibilita' di un confronto costruttivo, portando la nostra esperienza.
Adesso io credo, invece, che la situazione stia cambiando, e la prova di cio' sta nel fatto che, proprio in occasione dell'ultimo progetto obiettivo di salute mentale, stranamente i tecnici sono stati ascoltati e quello che hanno portato come bagaglio di esperienze e' stato traslato in toto nel progetto obiettivo. Allora questo io lo vedo come un cambiamento, e lo vedo come una maggiore attenzione ed una maggiore disponibilita' da parte dell'interfaccia politica di valorizzare queste competenze; attraverso questa valorizzazione, l'auspicio e' che si possa veramente iniziare un percorso che non sia solo il percorso ideologico o politico in funzione della componente che in quel momento convoca o decide di fare dei cambiamenti, ma al contrario sia invece la valorizzazione di una competenza, acquisita sul campo, quindi scientifica, che poi porti veramente alla ottimizzazione di una normativa che, a mio avviso come dicevo prima, va bene, ma che puo' e deve essere migliorata.

Un'ultima domanda, Professore. Dovendo esprimere una speranza, in questo triennio che la vedra' impegnata insieme con Carmine Munizza in un impegno importante, che cosa spera di poter dire, nel 2006, agli psichiatri, di positivo di questo lavoro che vi aspetta? Qual e' la speranza piu' grande per Lei in questo triennio di presidenza?

La speranza piu' importante che io porto con me e' quella di poter comunicare ai miei colleghi che effettivamente il nostro paziente abbia sancito il suo diritto alla cittadinanza ed abbia definitivamente superato lo stigma.

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