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L’EVOLUZIONE DELLA PROFESSIONALITA’ DELL’INFERMIERE PSICHIATRICO

9 Gen 13

Di FRANCESCO BOLLORINO

di Vera Bondi', Centro Salute Mentale, A.S.L. n.8, Siracusa, Italia

 

E' con molta soddisfazione che presento il primo articolo sul “sapere” infermieristico, nella sezione Formazione. L'articolo è essenzialmente costruito attraverso il racconto dell'esperienza professionale vissuta. L'autrice descrive, insieme alle molte difficoltà incontrate nel suo lavoro, il fondamentale ruolo dell'infermiere psichiatrico nell'assistenza. La dimensione emozionale dell'attività svolta viene espressa con aneddoti ed esempi, senza nascondere l' incertezza e l'ansia esperite così come la soddisfazione di avere spesso trovato la via “ giusta” per costruire con l'utente una relazione terapeuticamente adeguata.
Insieme all'evoluzione del ruolo dell'infermiere psichiatrico, sono riferiti alcuni dei cambiamenti legati allo svilupparsi del lavoro in équipe.
Sono, infine, indicate le prospettive per il futuro, nella logica della assunzione, da parte dell'infermiere, di un ruolo sempre più efficace nella gestione del paziente psichiatrico. 



Liria Grimaldi di Terresena

 

1 – Quel posto dalle ”alte mura”.

Dopo aver conseguito il diploma di Infermiere Professionale ho ricevuto presso l'Ospedale Neuro-Psichiatrico di Siracusa (O.N.P.) il mio primo incarico in una struttura pubblica: era il 1985.

Confesso che ero un po' spaventata all'idea di varcare le “alte mura” di quel posto, dal quale provenivano storie incredibili, “pazzesche”, riguardanti persone lì ricoverate che mi mettevano ansia e preoccupazione.

Infatti, se da un punto di vista teorico quanto mi era stato spiegato mi risultava chiaro, dal punto di vista pratico, invece non lo era affatto. Se da una parte di sembrava “normale” occuparmi delle pratiche sanitarie quotidiane, quali prelievi, trascrizione della terapia su apposito quaderno, ritiro della farmacia, collaborare con la caposala all'inventario, dall'altra parte entravo in uno stato d'ansia quando mi trovavo di fronte ai pazienti psichiatrici.

Sul piano emotivo, infatti, provavo un enorme imbarazzo nell'instaurare un dialogo con loro. Non capivo cosa mi dicessero, sia perché parlavano uno stretto dialetto sia perché si esprimevano in maniera confusa (scoprii in seguito che la maggior parte di loro era analfabeta).

Quando chiedevo ai colleghi come dovevo comportarmi, li sentivo rispondere: “lascia perdere, sta delirando; stai attenta che nessuna faccia male a se stesso ed agli altri; controlla i loro indumenti e che non abbiano nascosto corde, posate, penne o altri oggetti pericolosi… in questo caso chiamaci”.

In realtà, i colleghi più anziani, “addestrati” quasi esclusivamente alla cura materiale dei pazienti – funzione che era a loro stata attribuita dalla vecchia scuola psichiatrica – facevano del loro meglio per prendersi cura dei degenti; si avvalevano dell'aiuto di quelli più tranquilli e meno disturbati sul piano psicopatologico per preparare la tavola per i pasti, lavare i piatti, riordinare le stanze ecc.

Il confrontarmi con i colleghi ed averli vicini mi consentiva comunque di sentire meno ansia nell'approccio con il paziente.

 

1 – Amalia, ”di tutte le pazze, la più pazza ”.

Dopo aver conseguito il diploma di Infermiere Professionale ho ricevuto presso l'Ospedale Neuro-Psichiatrico di Siracusa (O.N.P.) il mio primo incarico in una struttura pubblica: era il 1985.

Confesso che ero un po' spaventata all'idea di varcare le “alte mura” di quel posto, dal quale provenivano storie incredibili, “pazzesche”, riguardanti persone lì ricoverate che mi mettevano ansia e preoccupazione.

Infatti, se da un punto di vista teorico quanto mi era stato spiegato mi risultava chiaro, dal punto di vista pratico, invece non lo era affatto. Se da una parte di sembrava “normale” occuparmi delle pratiche sanitarie quotidiane, quali prelievi, trascrizione della terapia su apposito quaderno, ritiro della farmacia, collaborare con la caposala all'inventario, dall'altra parte entravo in uno stato d'ansia quando mi trovavo di fronte ai pazienti psichiatrici.

Sul piano emotivo, infatti, provavo un enorme imbarazzo nell'instaurare un dialogo con loro. Non capivo cosa mi dicessero, sia perché parlavano uno stretto dialetto sia perché si esprimevano in maniera confusa (scoprii in seguito che la maggior parte di loro era analfabeta).

Quando chiedevo ai colleghi come dovevo comportarmi, li sentivo rispondere: “lascia perdere, sta delirando; stai attenta che nessuna faccia male a se stesso ed agli altri; controlla i loro indumenti e che non abbiano nascosto corde, posate, penne o altri oggetti pericolosi… in questo caso chiamaci”.

In realtà, i colleghi più anziani, “addestrati” quasi esclusivamente alla cura materiale dei pazienti – funzione che era a loro stata attribuita dalla vecchia scuola psichiatrica – facevano del loro meglio per prendersi cura dei degenti; si avvalevano dell'aiuto di quelli più tranquilli e meno disturbati sul piano psicopatologico per preparare la tavola per i pasti, lavare i piatti, riordinare le stanze ecc.

Il confrontarmi con i colleghi ed averli vicini mi consentiva comunque di sentire meno ansia nell'approccio con il paziente.

 

3 – L'infermiere psichiatrico da ”custode ” a professionista .

Da questa e da altre esperienze emerge come l'infermiere psichiatrico sia più “esposto” rispetto ad altre figure professionali, perché passa molto tempo a stretto contatto con il paziente. Tuttavia, proprio perché più esposto, egli risulta più idoneo ad assumere svariati ruoli, funzioni terapeutiche e riabilitative che non si limitano alle pure funzioni di accudimento o di sorveglianza, ma che comprendono una vasta gamma di interventi mirati al soddisfacimento dei bisogni del paziente.

E' compito dell'infermiere psichiatrico assumere, quando necessario, un ruolo finalizzato al contenimento della aggressività del paziente, ma anche di intermediario tra le diverse figure professionali che concorrono alla sua cura ed anche tra i familiari.

L'infermiere, inoltre, offre la sua presenza di soggetto capace di cogliere i bisogni del paziente, senza rifiutarsi di accettarne la parte delirante perché anch'essa contiene elementi utili per instaurare la relazione e per il trattamento sia assistenziale che riabilitativo.

Negli ultimi anni progressivamente si è passati da una psichiatria di tipo “custodialistico” ad una di tipo “territoriale” che persegue lo scopo di prevenire e curare il disturbo psichico nel territorio e cioè nel luogo dove esso ha origine.

Tutto ciò ha significato una crescita di esigenza di formazione per tutti gli operatori del settore, in particolare per gli infermieri, che in più di un'occasione sono stati purtroppo costretti ad inventarsi le loro competenze.

Una delle difficoltà che l'infermiere professionale riscontra lavorando in psichiatria è quella di non sapere uscire dallo schematismo e dall'impersonalità dei ruoli professionali fissi, cui viene iniziato nel corso della sua formazione.

Il paziente psichiatrico non è come il classico paziente ospedaliero che viene sottoposto ad esami specialistici, ematochimici, ecc.: talora è lì, innanzi all'infermiere con le sue parole confuse o con i suoi lunghi silenzi che vanno rispettati.

L'infermiere deve ancora trasformarsi, adeguarsi al cambiamento. Altre parole si sostituiscono a termini medici comuni: non pazienti ma “disabili”, non più “custodi” ma parte attiva di una “équipe” al fine di realizzare un progetto individualizzato anche attraverso la compilazione di schede di valutazione.

L'infermiere si avvale di un nuovo strumento, il lavoro di équipe e nel rapportarsi alle figure professionali, il conflitto talora è inevitabile. Perché da un rapporto gerarchico strettamente medico si passa ad un confronto con più categorie in cui ciascuno da una sua lettura del problema.

Dal manicomio si passa a nuovi servizi e strutture intermedie come le C.T.A., le C.T.R., le Comunità Alloggio o le Case Famiglia, i Centri Diurni e il Day-Hospital ove il paziente non è più “rinchiuso” ma si cerca di farlo integrare nel tessuto sociale con progetti socio-riabilitativi individualizzati.

Si guarda al paziente non più con l'ottica di lavarlo e di vestirlo, garantendogli i bisogni basilari, ma si parla di migliorargli la qualità della vita, attraverso un progetto individualizzato che lo vede riappropriarsi dei suoi diritti (la pensione, un posto di lavoro, il conseguimento di un titolo di studio, il rapporto con la famiglia, ecc.).

L'infermiere psichiatrico inserito in queste nuove strutture e servizi compie un salto di qualità: si spoglia del suo passato nel quale veniva identificato come ”carceriere” amato ma temuto dai pazienti, esecutore inflessibile di severe punizioni, per divenire, invece un professionista che collabora in équipe per la realizzazione di un progetto che riguarda la vita futura del paziente.

Del resto il tempo è trascorso da quando certi settori della psichiatria raffiguravano il paziente psichiatrico come una “non “ persona da tenere lontano dalla società. Adesso l'infermiere, come l'ammalato, sono liberi di vivere un rapporto più disteso, senza che nessuno assuma i ruoli di vittima e di carnefice.

La “riqualificazione” del paziente psichiatrico ha di conseguenza rivalutato anche la figura dell'infermiere il quale, non essendo più considerato come “custode” passivo quasi senza dignità e personalità, bensì come figura propositiva e centrale di un percorso terapeutico, ha visto aumentare la considerazione verso di sé anche da parte dei colleghi impegnati in altre attività ospedaliere.

 

4 – Considerazioni finali.

Con gli occhi di oggi, guardando anche ieri, mi sembra opportuno sottolineare alcuni punti che spero possano essere oggetto di riflessione tra colleghi:

– in quegli anni nessuno di noi infermieri aveva accettato volentieri di andare a lavorare in psichiatria e ricordo, all'inizio, la vergogna di alcuni colleghi: io personalmente, per tanto tempo, ho nascosto a molte persone la mia reale attività lavorativa;

– molti di noi hanno provato, soprattutto in quegli anni, un senso di impotenza nel vedere “cronicizzare” i pazienti psichiatrici, nonostante le cure mediche, l'uso dei farmaci e l'impegno del personale;

abbiamo compreso progressivamente l'importanza, anche terapeutica, del rapporto infermiere – paziente: essere in grado di costruire, saper gestire la relazione è fondamentale ed infatti prima di essere infermieri o malati si è persone; nessuna scuola o corso di formazione ci ha insegnato questo; abbiamo imparato, il più delle volte da autodidatti, sul campo rischiando grosso e pagando spesso a caro prezzo; sicuramente il bagaglio teorico e didattico fornitoci all'epoca era scadente, insufficiente e nozionistico; il Corso di studi per il Diploma di Infermiere Professionale solo negli ultimi anni ha iniziato ad occuparsi seriamente di psichiatria: la possibilità di poter frequentare, sin dal primo anno di Corso, strutture psichiatriche e inoltre l'inserimento nel piano di studi di diverse discipline afferenti alla salute mentale, rappresentano un primo passo importante per una buona formazione.

 

 

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