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RIFLESSIONI SU UN APPROCCIO INTEGRATO NELLA PRASSI RIABILITATIVA DELLE COMUNITA’ ALLOGGIO

9 Gen 13

Di FRANCESCO BOLLORINO

di Lorenzo Filippone AUSL 8, SIRACUSA, ITALIA; tratto dalla Rivista Complessità & Cambiamento,vol° VIII, num°1, 1999.

 

 

Ritengo che un elemento di interesse in questo articolo, sia costituto dalla descrizione di alcuni aspetti inerenti l'applicazione della legge 180 in Sicilia, una delle regioni d'Italia dove la transizione, rispetto al vecchio modello manicomialista, è stata ed è, particolarmente complessa e spesso drammatica.
Vorrei sottolineare come l'Autore, pur trattando di strutture riabilitative, e quindi del trattamento di patologie gravi come la schizofrenia, presenti una strategia di intervento di cui è evidente l'aspetto complesso ed in particolare la dimensione psicoterapica.
L'organizzazione di un intervento di questo genere, oltre che di per sé impegnativo, come qualsiasi psichiatra competente ed esperiente può comprendere, è frequentemente l'espressione di un coinvolgimento personale estremamente intenso. Infatti appare abbastanza evidente quanto spesso, in area psichiatrica, sia difficile combattere vecchi modelli clinici e costruire strategie terapeutiche all'insegna del cambiamento e dell'evoluzione.

Liria Grimaldi di Terresena

 

1 – Riassunto e Introduzione.

RIASSUNTO

L'autore focalizza le problematiche relative al lavoro riabilitativo in strutture intermedie quali le comunita' alloggio. Preliminarmente vengono illustrate le tematiche relative al fatto che la recente costituzione di tali strutture intermedie spesso istituite al solo fine di ricoverare i pazienti dimessi per la chiusura dei manicomi, rende ancora problematica la loro conduzione. Successivamente vengono illustrate le linee direttive del processo riabilitativo programmato ed attuato presso tre strutture nelle quali l'Autore ha attuato un approccio riabilitativo di tipo cognitivista e complesso. In fine vengono riportati i risultati conseguiti in alcuni anni di lavoro.

ABSTRACT

The Author focuses specific topics concerning the psychiatric rehabilitation carried out in some Community Services such as sheltered houses. Preliminary the Author underlines that this kind of Community Service are just in a pionieristic era because they host many patients who previously were hosted in asylums which are recentely closed.After this the Author illustrate the protocol he applied in this Community Service in the light of a cognitive and complex point of view. To conclude the Author reports the results he obtained in some years of work he estabilished and managed in Siracusa.

INTRODUZIONE

Venti anni sono passati dalla legge 180 ed innumerevoli sono le esperienze riguardanti il modo di intendere e lavorare nelle cosiddette strutture intermedie psichiatriche come le Case Famiglia e/o Comunità Alloggio.

Le riflessioni che seguono non rappresentano certo per noi naviganti alla ricerca del senno di Orlando un punto darrivo, ma fanno il punto sulla carta tracciando una rotta già percorsa, segnalandone i pericoli di secche e tempeste, mentre in équipe interroghiamo il cielo stellato per raggiungere nuovi lidi.

La C.A. può presentarsi come opportunità nelliter clinico-vitale dei nostri pazienti in diversi momenti.

Può essere infatti il rifugio-rimedio temporaneo a situazioni esistenziali di estrema precarietà per giovani psicotici che non possono contare su un "adeguato" supporto familiare, o rappresentare "lultima chance" di esistenza-residenza extramanicomiale per pazienti che hanno alle spalle una vita trascorsa in Ospedale Psichiatrico.

Seguiamo come équipe del DSM1 Siracusa da circa tre anni i nostri assistiti in quattro Comunità Alloggio di dieci posti ciascuna, sul territorio della AUSL 8.

Alcune delle considerazioni che seguono sottolineano i punti di forza del nostro tipo di intervento, ma "stressano" esasperandole certe incongruenze, che spesso si vorrebbero coprire dando per scontata una automatica corrispondenza tra psicopatologia ed intenti terapeutici, interventi riabilitativi possibili, libero arbitrio, scelte consapevoli di assistiti e loro familiari..

La C.A. porta in sé le potenzialità terapeutiche della "milieutherapy" (37,38) o terapia ambientale, con le possibilità di intervento riabilitativo individuale e gruppale mediante lattribuzione di ruoli e mansioni allinterno del gruppo abitativo e/o trainings specifici.

 

2 – Il valore funzionale delle CC.AA..

Ovvero in queste strutture si fa terapia, si fa riabilitazione, o si fa soltanto assistenza e risocializzazione?

Quanto ciò che si può fare dipende dalla struttura, dalla sua collocazione geografica, dalle risorse di personale e dalla tipologia dellutenza ricoverata ?

Per rispondere a queste domande dobbiamo necessariamente superare le esemplificazioni didattiche e/o burocratiche che troppo spesso forzano la realtà clinica psichiatrica e leggono i contesti sociali in schematizzazioni dogmatiche di comodo.

Ciò che è possibile o fare o lecito attendersi che accada in una C.A. dipende innanzitutto dalla tipologia dellutenza ricoverata e dalle sue caratteristiche.

Sappiamo infatti che al di là della diagnosi psichiatrica i fattori di significato prognostico prevalente per la riuscita di un progetto riabilitativo sono: letà del soggetto, il suo grado di scolarizzazione, la capacità lavorativa residua, gli anni di pregressa istituzionalizzazione in Ospedale Psichiatrico o in CTA-CTR, la rete familiare e/o amicale di riferimento.

Il fatto che nella nostra realtà le CC.AA. sono state repentinamente create, ed utilizzate soprattutto per svuotare e chiudere legalmente lOspedale Psichiatrico, chiarisce il perché si trovino in tali strutture ospiti con 20-30 anni di "manicomio" nel loro vissuto personale accanto a giovani che tale esperienza non lhanno mai fatta. O ancora soggetti con disturbi nerologici (es. epilessia, oligofrenia, cerebropatia neonatale) che hanno avuto la sventura di essere ricoverati in ONP per tanti anni, e che adesso si trovano temporaneamente in C.A. in attesa di miglior vita o ulteriore trasloco in altra struttura più idonea alle loro esigenze.

Abbiamo riscontrato nella nostra esperienza CC.AA. con punti di partenza diversi a livello organizzativo e manageriale, che rispecchiavano ovviamente il non detto delle premesse di base e delle aspettative di intervento-assistenza dei gruppi gestori. Questa diversità di percorso iniziale è stata comunque fonte stimolante di riflessioni ed aggiustamenti tattici nellapplicazione del nostro modello di intervento per le CC.AA.

 

3 – L'ambiente (urbi et orbi)

 

La collocazione nel contesto urbano della C.A. favorisce senzaltro la possibilità di scambi relazionali degli ospiti con lesterno, ma sappiamo anche che di per sé non è la risposta alla chiusura autistica di un soggetto psicotico che si rifiuta di uscire e di esporsi ai maligni sguardi altrui.

Sappiamo che lavere a che fare con dei condomini "intolleranti" ed i loro esposti di protesta non sia il massimo delle aspettative del sereno convivere, né la cosa più giusta terapeuticamente per alcuni ospiti.

La nostra esperienza sia con comunità allocate nel centro urbano che in periferia ci ha permesso di riconsiderare aspetti positivi e negativi degli assiomi quasi dogmatici della "tradizione" in campo riabilitativo.

Quello che è riabilitante per il soggetto, a nostro parere, è sapere di essere in grado di vedere chi vuole, quando lo desidera o è il momento di farlo; da solo o in rassicurante compagnia, con i mezzi messi a disposizione dalla struttura o meglio usando alloccorrenza quelli pubblici.

 

4 – Riabilitazione e/o risocializzazione

 

Condividiamo lopinione che in psichiatria terapia e riabilitazione di un soggetto psicotico sono due concetti che arrivano a coincidere temporalmente nella prassi(24,56), dal momento che la disabilità risultante dal disturbo psicopatologico in fase acuta, sub-acuta e cronica può e deve essere corretta tramite interventi terapeutico-riabilitativi attivati tempestivamente e proseguiti nel tempo, che presuppongano una visione dinsieme, integrante il punto di vista clinico individuale sia con la valutazione del nucleo familiare che del contesto socio-ambientale.

Per lavorare in senso terapeutico-riabilitativo utilizzando elementi utili a costruire una tale visione dinsieme è necessario un costante esercizio dintegrazione di punti di vista e di professionalità diverse (45,46)(psichiatra, psicologo, assistente sociale, pedagogista, infermiere, terapista della riabilitazione, animatore, volontari, etc.) coordinate in qualche modo da un referente dellequipe, per la realizzazione del programma individualizzato (es. terapia farmacologica, psicoterapia, gruppi, laboratori, formazione professionale, incontri con i familiari, collocamento lavorativo, social skills training) e la sua successiva attuazione .

La risocializzazione del paziente, si presenta quindi come un aspetto particolare del percorso riabilitativo, e a nostro parere, non precede né segue necessariamente altri interventi terapeutici in un iter temporale già dato.

Attuare un programma terapeutico significa per noi orientare e supportare il paziente psicotico in un percorso evolutivo che comporta, attraverso fasi alterne di compenso e recrudescenza clinica, una nuova e maggiore responsabilità personale, una modulazione diversa del rapporto con i familiari, lacquisizione di nuove abilità ( quindi abilitazione ad un migliore livello di performances vitali, con relativo cambiamento e crescita in senso terapeutico delle opzioni esistenziali dellassistito), la gestione più accorta delle sue risorse economiche, la ricerca o il mantenimento di unoccupazione, la riscoperta di legami affettivi amicali e di coppia o la capacità di crearne di nuovi. E chiara in questo senso la necessità di coordinare reciprocamente e consolidare la rete di interventi in favore dei nostri assistiti, delle équipes ed operatori di strutture ed enti sul territorio (es. CTA, centri diurni, istituti scolastici, cooperative, centri di formazione professionale, volontariato).

 

5- L'inserimento dell'assistito e l'assunzione del ruolo di ospite

Nel nostro modello operativo servono in una prima fase a presentare gli ospiti e le loro problematiche , in una seconda fase a trasmettere e spiegare i progetti terapeutico-riabilitativi formulati dallequipe curante per ciascun ospite; successivamente a supervisionare, pianificare e correggere nel loro concreto svolgimento gli interventi programmati.

Gli incontri con gli operatori delle CC.AA., inizialmente a cadenza settimanale, divenuti dopo un anno quindicinali, sono indispensabili per affrontare e chiarire le domande poste dagli operatori riguardanti il loro rapporto quotidiano con i nostri assistiti.

Questi incontri servono a ciascuno, vuoi membro dellequipe terapeutica o operatore, come occasione per presentare in riunione dequipe il suo punto di vista, i dubbi e le ansie che vanno tempestivamente affrontati e ridefiniti perchè non degenerino in comportamenti antiterapeutici.

Le riunioni dequipe allargata con gli operatori ed i dirigenti delle strutture vorrebbero raggiungere lo scopo di una "formazione permanente sul campo"; laddove nella maggioranza dei casi gli operatori delle comunità non hanno mai avuto a che fare con soggetti sofferenti di disturbi mentali, né con gli esperti della cura di tali disturbi e le loro ipotesi esplicative della psicopatologia.

Nella nostra esperienza abbiamo riscontrato infatti la necessità di accrescere il livello di conoscenze specifiche degli operatori suddetti; superando gli stereotipi culturali di questi ultimi a volte mutuati più dal "buon senso comune" che da sapere tecnico, abbiamo cominciato a migliorare la loro sicurezza personale, ma soprattutto costruire una base operativa di "linguaggio comune" condivisibile ed efficace.

Precisiamo comunque che non riteniamo di dover lavorare un domani con degli operatori di comunità con un background da psicoterapeuti, né che si atteggino in tal senso; riconoscendo il grande valore per lospite di potersi rapportare nel quotidiano a figure che non considera i suoi infermieri né i suoi terapeuti ( sia psicologi, che tantomeno medici).

 

6 – La libertà di scegliere ciò che è stato ipotizzato da altri

Potremmo dire con Donabedian : "La ricerca di ciò che è meglio per il paziente differisce dal fare ciò che il paziente desidera. Noi dobbiamo prendere in considerazione ciò che una persona vuole o desidera, ma abbiamo delle limitazioni nel lavoro con i pazienti e, se ciò è necessario, siamo obbligati a modificare quei desideri affinchè essi siano maggiormente in linea con gli interessi a lungo termine dellindividuo."(11).

Cè un quid di incolmabile nellasimmetria del rapporto tra il medico che sa ed il suo paziente che apprende le "spiegazioni scientifiche" del suo disturbo e le relative cure in auge; anche se il tentativo in campo sanitario è quello di rendere questa relazione il più possibile paritaria e responsabile in favore dellassistito.

Lottica aziendal-commerciale che utilizza malamente le dottrine economiche, vorrebbe considerare il mercato sanitario come un qualunque mercato. Ma se già questo passaggio non funziona sic et simpliciter applicato alla sanità (come ammettono gli stessi economisti), lo fa ancor meno applicato alla salute mentale.

Sarebbe ingenuo cambiando semplicemente lappellativo di paziente con quello di cliente dare per scontata la corretta informazione e libertà di scelta dei nostri assistiti. E noto infatti che in termini economici che il medico si comporta nei confronti del cliente-paziente come unagenzia che orienta le scelte facendo già informazione di parte. Cadere nel nostro caso nella arida e formale ricerca di un semplice consenso informato (es: decisione di andare a vivere in C.A o uscirne), scambiando corretta informazione con chiarezza d'intenti vitali del soggetto affetto da psicosi, è un rischio per i terapeuti e per il paziente in questione. Daltra parte sappiamo dalla prassi clinica di interventi di terapia sistemica di tipo strategico, che si possono indurre cambiamenti comportamentali nellinteresse del paziente, ma al di là della sua piena consapevolezza ( cioè in vista di un obiettivo chiaro solo al terapeuta ), ridefinendo via via la cornice di riferimento semantica per ottenere la sua adesione partecipe ad obiettivi parziali. Ciò dovrebbe renderci consapevolmente instancabili in un continuo lavoro di orientamento-convincimento dei nostri assistiti e dei loro familiari verso ciò che in scienza e coscienza riteniamo il meglio.

Se guardiamo con realismo al problema quindi, al di là della formale e personale presentazione di istanza di ricovero in C.A. da parte dellassistito dobbiamo chiederci quanti hanno lavorato e scelto per lui? E quanti ancora lo seguiranno e sosterranno nel suo percorso vitale?

Lipotesi di ricovero in C.A è da considerare quindi come una neo-verità condivisa scaturente dallinterazione terapeutica tra assistito ed équipe curante.

Questo non significa che il destino del nostro assistito è segnato dal momento in cui lequipe curante ha formulato un progetto per lui, né che i curanti abbiano potere di vita o di morte; ma neanche che ci possiamo quotidianamente aspettare da un soggetto affetto da patologia psicotica cronica una automatica perseveranza ed incrollabile fiducia nel futuro che noi gli prospettiamo.

 

7 – Vivere insieme è riabilitante?

Una domanda si aggira per i sotterranei delle menti di terapeuti ed operatori, qualcosa che suona come :"il semplice stare in Comunità è terapeutico ?". Ovvero si possono attendere dei risultati clinici significativi mediati dalla semplice novità di ambienti ed occasioni di convivenza con persone diverse; confidando che comunque sia tale processo sarà terapeutico e riabilitante? O bisogna intervenire in ogni caso a livello individuale e gruppale per aumentare le probabilità che tale divenire complesso di relazioni sia di giovamento ai singoli ospiti? E ancora potremmo chiederci se lo "stare bene insieme" in casa con i "compagni di sventura" o peggio "di patologia" sia lobiettivo comunitario da raggiungere; o se la C.A. è solo una tappa intermedia e forse non "indispensabile" nella specifica evoluzione di percorsi di vita differenti. Aggiungeremo a questo proposito la nostra riflessione, facendo riferimento allesperienza sul campo.

Non abbiamo mai avuto la presunzione di voler deterministicamente conoscere in anticipo quale potesse essere il prodotto ad un dato tempo di un "mix" di relazioni umane in un contesto residenziale evolutivo di otto o dieci persone, che utilizzano le proprie diverse organizzazioni cognitive, manifestanti in vario modo disturbi psichiatrici, che interagiscono tra loro quotidianamente con circa una mezza dozzina di operatori, oltre che con il mondo esterno.

In una visione smaliziata della complessità potremmo dire che le variabili in gioco sono tante quante lacume di operatori e terapeuti riesce ad individuarne, avere la pretesa di descriverle o peggio controllarle tutte significa ritrovarsi in équipe a fare delle meditazioni trascendentali nella "posizione del loto".

Sappiamo comunque, grazie alla precedente conoscenza delle caratteristiche e delle modalità di rapporto dei nostri assistiti, nonché scoprendo via via le nostre carte e quelle degli operatori della C.A., quali "imput ambientali" con molta probabilità genereranno dei cambiamenti significativi in alcuni ospiti. Naturalmente saremo costretti nel tempo a mettere a fuoco in progressione aspetti del "caso" prima lasciati in secondo piano diventati poi di scottante attualità.

La rinuncia alla fede nel determinismo ed allonnipotenza da parte dellequipe, non significa però fatalistica attesa degli eventi futuri.

Riteniamo che inizialmente sia possibile orientare gli atteggiamenti dei singoli allinterno delle CC.AA. utilizzando le aspettative di funzione-ruolo di ciascuno, facendo ricorso quindi alla strutturazione delle "regole della casa" o regolamenti interni discussi tra équipe ed ospiti ed approvati collegialmente(44,45).Tali regolamenti contengono in partenza le fondamentali norme di sicurezza ed igiene ambientale suggerite dalléquipe, mentre per tutto il resto sono frutto della capacità di auto-organizzazione ed auto-determinazione del gruppo di ospiti ed operatori.

La presenza di regole inerenti la conduzione della casa (es. pulizia e riordino della propria stanza, dei locali comuni, preparazione dei pasti, acquisto di alimentari, utilizzo di radio e televisione, orario di sveglia e di rientro notturno), anche se talvolta contestate e accettate controvoglia dal singolo, è rassicurante per tutti.

Questo nella nostra esperienza il punto di partenza da cui cominciare a sperimentare sia le abilità personali che le capacità di convivenza di ciascun ospite.

Una volta avviato tale processo liter temporale che seguirà sarà sicuramente denso di scoperte entusiasmanti, di blocchi improvvisi, di reazioni catastrofiche, di repentini "amori" ed abbandoni; ed anche di dimissioni volontarie o forzate.

 

8 – "La forza sia con voi", ovvero l'operatore di comunità tra desiderio e realtà

Fondamentale è la funzione delloperatore di comunità (15;25), che deve tradurre in comportamenti coerenti nel tempo le istanze terapeutico-riabilitative sottese dal vivere insieme in tali strutture; come il contenimento-elaborazione dei conflitti nellhic et nunc e leducazione al comportamento secondo le norme sociali. Nello stare insieme allospite deve continuamente saper affrontare e risolvere problemi e conflittualità piccoli e grandi. Deve essere in grado di insegnare agli ospiti le abilità personali e sociali previste dal progetto riabilitativo utilizzando alloccorrenza il role playing.

Deve saper sostenere emotivamente gli assistiti di fronte a performances deficitarie, modulare sapientemente i "rinforzi" e valutare via via i risultati parziali ottenuti.

Deve sapersi destreggiare con la tecnica del problem-solving o qualcosa di simile nellaffrontare discussioni con gli ospiti. Ma non deve essere mai lasciato da solo in turno a gestire lintero gruppo della C.A.

Deve cercare di mantenere con "naturalezza" il rapporto entro i limiti consentiti dal suo ruolo evitando segrete alleanze con lospite nei confronti dei terapeuti e/o coperture di comodo in merito a trasgressioni delle regole delle casa.

Deve sempre ricordarsi di "essere terapeuticamente daiuto" immerso in un medium di relazioni che lo mette costantemente alla prova persino nei "turni" di notte; e per dirla con Whithely: "tutto ciò è molto faticoso, quando va bene, e molto traumatizzante quando va male"(58).

La particolarità di tale rapporto con gli ospiti espone a volte loperatore di comunità al rischio di prendere troppo sul serio le ipotesi esplicative su di sé che il paziente psicotico gli espone, ed anche di considerare questultimo un "partner paritetico" con cui stringere unalleanza. Abbiamo anche noi riscontrato ciò che viene chiaramente descritto da Montinari quando dice che ci potrebbero essere atteggiamenti-situazioni : "che egli (loperatore) non potrà vedere come patologiche tout court e che sarà invece costretto a considerare, per esempio, dei messaggi da decrittare, mal espressi, ma provenienti da un adulto e fondamentalmente corretti, ecc. In sintesi tenderà a seguire i pazienti più che a dirigerli, accreditandoli di una soggettività adulta più forte di quella reale."(31).

Si potrebbe verificare inoltre che nelle aspettative tacite degli operatori la C.A. diventi la casa per antonomasia; il luogo idealizzato e sognato dai singoli come Eden in cui ricreare le istanze personali del vivere familiare e sociale che non si sono mai potute pienamente sperimentare nella propria vita.

Il fatto è che gli stessi operatori scopriranno che è già una grossa sfida chiedere a dei soggetti psicotici di vivere insieme sotto lo stesso tetto secondo le vetuste abitudini- norme sociali che sono concretamente riscontrabili in quellInferno dantesco che è la vita allesterno della C.A.

La supervisione déquipe, o meglio dovremmo dire tra gruppo del DSM e Comune e gruppo della C.A., viene allora in soccorso degli operatori perché non sviluppino qualche forma di psicosi indotta dal loro rapporto di lavoro istituzionale, portando alla luce molto spesso le "trappole relazionali" e le "missioni impossibili" in cui agendo in buona fede e con molto entusiasmo loperatore di comunità può trovarsi coinvolto. Daltra parte non dimentichiamo che una sicura fonte di stress per gli operatori di comunità nei rapporti di lavoro dipendente è la attribuzione di ruoli poco chiara e mal definita, che potrebbe manifestarsi al momento opportuno come conflittualità interna al gruppo, e con alta emotività espressa nel rapporto con lequipe curante.

Tra le doti personali delloperatore di comunità, a nostro parere, dovrebbero esserci una sufficiente sicurezza personale, una buona capacità empatica e stabilità emotiva, la capacità di rapportarsi in gruppo, la capacità di esercitare lautorità, nonché unincrollabile dose di entusiasmo vitale.

In realtà i dati forniti da indagini in tal senso non sembrano confermare le nostre aspettative per tali peculiari caratteristiche di personalità(25).

Per quanto riguarda la formazione (15) particolare di tali operatori riteniamo che, indipendentemente dalla qualifica professionale, dovrebbe poter essere in sintonia, con gli altri colleghi di lavoro e con i modelli teorico operativi utilizzati dalléquipe curante del DSM, onde evitare reciproche incomprensioni o peggio "squalifiche"sul campo per non condivisione d'intenti.

 

9 – Del tracciare rotte in mare in tempesta ovvero il progetto riabilitativo e di reinserimento sociale

Nella nostra esperienza la stesura del progetto riabilitativo individuale in équipe può fare seguito ad uno o più incontri del futuro ospite con gli operatori, che annoteranno le valutazioni iniziali su apposite schede(v. appendice 1). Il futuro ospite può tuttavia essere inviato da altra equipe curante (es. ONP, CTA, CTR) con un progetto già definito; ed allora pur procedendo comunque alla valutazione generale, si metterà alla prova il soggetto riservandosi di modificare gli obiettivi parziali successivamente. Il progetto prevede in molti casi dei trainings specifici riguardanti proprio il potenziamento o lacquisizione ex novo delle abilità necessarie alla vita comunitaria e/o autonoma, con leventuale specificazione del o degli operatori della struttura coinvolti per ciascun ospite.(6;26;38)

La registrazione finale del progetto riabilitativo avviene mediante una scheda che prevede una annotazione diversificata tra obiettivi a breve ed a lungo termine, nonché una pagina per la verifica globale dei risultati (in genere ad un anno). (55;59)

Va ricordato infine il coinvolgimento per quanto riguarda il progetto riabilitativo e di reinserimento sociale della Assistente Sociale del Comune che è in ultima analisi responsabile ultima dellinserimento in C.A. di ogni assistito.

Nel nostro modello operativo la A.S. del Servizio Sociale del Comune partecipa alle riunioni programmate dalléquipe curante con le AA.SS. referenti e gli operatori delle Comunità, nonché agli incontri con il gruppo degli ospiti; riservandosi di convocare le famiglie e/o i tutori per discutere problematiche riguardanti lassistenza allutente le sue risorse economiche e le spese in senso globale.

La verifica annuale del progetto riabilitativo viene fatta in équipe, alla presenza degli operatori della C.A. e della A.S. del Comune; in tal modo si discutono i risultati raggiunti e si programmano insieme i nuovi obiettivi, distribuendo il carico di lavoro.

 

10 – Il nostro modello operativo di équipé curante per le CC.AA.

 

Lequipe ristretta di cui chi scrive (Filippone L.) è lo psichiatra referente segue quattro Comunità Alloggio convenzionate ed è composta da una psicologa (Bianca M.), una assistente sociale (Giaquinta V.), un pedagogista (Fiondini U.), ed una infermiera professionale (Bondì V.). Il nostro modello operativo ha preso il via da quello portato avanti dai colleghi dellequipe del CSM del DSM1 di Siracusa (citiamo per tutti Sgarlata G. e Gionfriddo R.).

Per quanto riguarda lo specifico percorso di graduale assemblaggio di intenti e lintroduzione di nuovi elementi di valutazione nel modello operativo preesistente da parte del nostro gruppo, possiamo dire che la posizione epistemologica costruttivista viene utilizzata come sfondo integratore delle diverse tecniche utilizzate. (4,27,46).

Gli operatori dellequipe pur proveniendo da diverse esperienze formative personali (es. Cognitivismo, Analisi Transazionale, Terapia Familiare Sistemica, etc.) hanno privilegiato il modello cognitivo-comportamentale nella valutazione-registrazione dei dati e nella formulazione dei trainings e progetti individuali; senza comunque rinunciare quando necessario al confronto ed apporto conoscitivo di letture della realtà clinica a vari livelli di contesto (familiare, gruppale, lavorativo) provenienti da altri modelli teorici.

Siamo consapevoli infatti della iniziale irrinunciabile evidenza di "verità affidabile" o "ancora di salvezza", che per ciascun operatore dellequipe, in un confronto aperto, rappresenta la lettura della realtà secondo gli "schemi" della propria formazione personale, sia teorica che strutturata automaticamente in anni di pratica clinica, ma anche di quanto sia importante nel lavoro dequipe trovare un punto di vista comune centrato sul problema da affrontare. Citando a sproposito Keeney potremmo dire che ciò che appare gradevolmente credibile in équipe al momento della discussione del caso, ha molte più probabilità di essere ritenuto vero e viabile per tutti i costruttori del problema presenti e diventare così ipotesi terapeutica condivisa da portare avanti. Riconosciamo in tal senso inoltre quanto siano importanti nel lavoro terapeutico-riabilitativo lentusiasmo e le aspettative dei curanti (20)

La nostra capacità di lettura e definizione dei problemi infatti continua ad evolversi insieme con la consapevolezza di essere persone appartenenti ad un gruppo di lavoro con i suoi obiettivi e le sue singolari ed irripetibili peculiarità(43). In tal senso siamo sempre pronti a raccogliere i feedbacks di ciò che di imprevisto e nuovo emerge dalla nostra operatività.

La possibilità di discutere frequentemente insieme le novità emergenti e pianificare via via le strategie di intervento consente di attingere al massimo al bagaglio di esperienza personale integrandola con quella di ogni membro dellequipe, mettendo così ciascuno in condizioni di essere, indipendentemente dalla sua qualifica professionale, un uomo-squadra, cioè portatore del know-how necessario per dare delle risposte in sintonia con il progetto terapeutico, anche in "situazioni demergenza" in cui non ha il tempo o la possibilità di consultarsi col resto dellequipe.

 

11 – Le riunioni dell'équipé e tra L'équipe ed il gruppo di operatori e dirigenti della C.A.

 

Servono inizialmente ad operare una selezione per lammissione in C.A. delle persone segnalate dai vari terapeuti del DSM. quando è possibile ( la pioggia di assistiti che seguono percorsi diversi non è occasionale), In ogni caso quando può farlo preventivamente léquipe valuta i singoli pazienti, non solo come requisiti di base (es. comune di residenza, livello socio-economico, tipo di patologia e fase della stessa, rapporti con il nucleo familiare, precedenti esperienze di istituzionalizzazione in ONP e CTA, etc.), ma soprattutto in riferimento al gruppo di altri ospiti presenti in C.A.

In seguito in queste riunioni léquipe formula i singoli progetti terapeutico-riabilitativi, viste le relazioni dei terapeuti invianti, dopo aver valutato con apposite schede il livello delle abilità personali e sociali posseduto da ciascun paziente.

Le riunioni dellequipe curante del DSM servono altresì a valutare insieme le dinamiche relazionali di quello che possiamo chiamare "gruppo residenziale" formato cioè dagli ospiti e dagli operatori della Comunità Alloggio. Servono a monitorizzare levolversi del rapporto tra léquipe curante ed il "gruppo residenziale" e le reciproche attribuzioni di significato derivanti dal tipo di risposte ed interventi messi in atto agendo per la soluzione dei problemi presentati. A dare un nome quindi agli eventuali sentimenti di rabbia-frustrazione, o di illuminata incomprensione ed isolamento, che possono portare alla rottura di un rapporto di collaborazione costruttivo tra gli operatori se non riconosciuti ed affrontati adeguatamente.

L Œorientare terapeuticamente nel tempo il clima relazionale-emotivo della C.A., tenuto conto dei bisogni e delle potenzialità dei singoli pazienti nonchè delle peculiarità e risorse della struttura , è a nostro parere un momento di alta responsabilità terapeutica progettuale dellequipe referente del DSM insieme al gruppo degli operatori della C.A..

Se restiamo infatti consapevoli di aver creato artificialmente a scopo terapeutico un gruppo residenziale, per far sperimentare ai singoli membri (affetti da una patologia di tipo psicotico che per antonomasia porta allisolamento ed alla deriva sociale) come si può vivere normalmente la propria vita; non possiamo certo poi stare alla finestra a vedere quanti saranno in grado di reggere tale prova, aspettandoci che le cose in C.A. vadano automaticamente bene.

 

12 – Il "gruppo" con gli ospiti e gli operatori della C.A.

 

Nel nostro modello operativo servono in una prima fase a presentare gli ospiti e le loro problematiche , in una seconda fase a trasmettere e spiegare i progetti terapeutico-riabilitativi formulati dallequipe curante per ciascun ospite; successivamente a supervisionare, pianificare e correggere nel loro concreto svolgimento gli interventi programmati.

Gli incontri con gli operatori delle CC.AA., inizialmente a cadenza settimanale, divenuti dopo un anno quindicinali, sono indispensabili per affrontare e chiarire le domande poste dagli operatori riguardanti il loro rapporto quotidiano con i nostri assistiti.

Questi incontri servono a ciascuno, vuoi membro dellequipe terapeutica o operatore, come occasione per presentare in riunione dequipe il suo punto di vista, i dubbi e le ansie che vanno tempestivamente affrontati e ridefiniti perchè non degenerino in comportamenti antiterapeutici.

Le riunioni dequipe allargata con gli operatori ed i dirigenti delle strutture vorrebbero raggiungere lo scopo di una "formazione permanente sul campo"; laddove nella maggioranza dei casi gli operatori delle comunità non hanno mai avuto a che fare con soggetti sofferenti di disturbi mentali, né con gli esperti della cura di tali disturbi e le loro ipotesi esplicative della psicopatologia.

Nella nostra esperienza abbiamo riscontrato infatti la necessità di accrescere il livello di conoscenze specifiche degli operatori suddetti; superando gli stereotipi culturali di questi ultimi a volte mutuati più dal "buon senso comune" che da sapere tecnico, abbiamo cominciato a migliorare la loro sicurezza personale, ma soprattutto costruire una base operativa di "linguaggio comune" condivisibile ed efficace.

Precisiamo comunque che non riteniamo di dover lavorare un domani con degli operatori di comunità con un background da psicoterapeuti, né che si atteggino in tal senso; riconoscendo il grande valore per lospite di potersi rapportare nel quotidiano a figure che non considera i suoi infermieri né i suoi terapeuti ( sia psicologi, che tantomeno medici).

 

13 – Strumenti di assessment e valutazione

 

Questi incontri si svolgono con frequenza regolare (per il primo anno settimanali, poi divenute quindicinali) al domicilio dei nostri assistiti, cioè nel soggiorno-salotto delle comunità, dove ci sediamo tutti insieme per discutere delle novità.

Ogni ospite è chiamato a dire la sua, se disposto in tal senso, ricevendo inizialmente attenzione ed ascolto, anche quando si tratti di frasi poco comprensibili dal costrutto sconnesso o di contenuto delirante. Si cerca comunque sempre di mantenere la discussione sul quotidiano, alternando battute di spirito ad eventuali inevitabili momenti di alta tensione emotiva.

Gli incontri in gruppo sono quindi mirati principalmente alla creazione di un clima di serena e reciproca accettazione tra gli ospiti e tra questi e gli operatori, mettendo a fuoco in primo piano i loro rapporti giornalieri giudicandoli alla luce delle norme di comportamento concordate tra persone che vivono sotto lo stesso tetto.

Ciò che si fa spesso di fronte ai problemi presentati da operatori ed ospiti è ridefinire il problema cambiando la punteggiatura della sequenza incriminata di comportamenti e spiegazioni a senso unico fornita dagli ospiti.

Tentiamo inoltre il più possibile di evitare di discutere argomenti riguardanti la terapia farmacologica individuale o problemi personali più delicati, che a giudizio delléquipe curante vanno discussi nelle sedi opportune (ambulatorio dello psichiatra, setting psicoterapeutico individuale, incontro di orientamento-avviamento lavorativo con lassistente sociale, etc.). Si cerca di strutturare così nellospite una percezione più chiara di ciò che è più intimamente personale da discutere in privato, da ciò che può essere condiviso in gruppo, favorendo una visione il più possibile "demedicalizzata" ed anche "depsicologizzata" del contesto in cui si trova. Nella discussione di gruppo si dà maggiore risalto allattualità delle problematiche individuali connesse alle nuove richieste comportamentali del vivere comunitario, cioè della autonomia personale, della coabitazione, del lavoro, del tempo libero, del rapporto il più possibile chiaro e responsabile con familiari parenti ed amici.

Tutti i componenti delléquipe cercano di essere presenti a questi incontri col gruppo degli ospiti, in quanto con tale modalità si acquisisce una visione simultanea delle condizioni cliniche di tutti gli assistiti, nonché dei loro problemi ed esigenze più urgenti.

La scelta di presentarsi insieme da parte dei membri dellequipe trasmette inoltre al gruppo di operatori ed ospiti il senso di un pensare ed agire comune, riducendo così gli effetti della polarizzazione dei conflitti, della tendenza alla manipolazione o dellescalation simmetrica-oppositiva o squalifica nei confronti di una sola persona.

 

14 – L'insostenibile leggerezza dell'essere, ovvero il rapporto con i familiari

 

Avendo a che fare con la cronicità psichiatrica, si comprende che la cronicità dei disturbi dellindividuo è parte di una rete di relazioni disturbate con i familiari, di cronicità di terapie farmacologiche, di cronicità di terapeuti, di pensioni a volte cronicamente "rubate", di manovre subdolamente o chiaramente espulsive e ricatti morali, di ricorso ai ricoveri a fronte di disperate richieste daiuto. Abbiamo pertanto sentito lesigenza di monitorizzare levoluzione del rapporto con i familiari in riferimento alladesione al programma riabilitativo-residenziale, come avviene da più parti (47) strutturando una scheda per tale scopo.

I rapporti di routine con i familiari degli ospiti, dopo lammissione in Comunità Alloggio, vengono tenuti di norma dalla assistente sociale-direttrice delle CC.AA. supportata secondo necessità dalla A.S. dellequipe del DSM.

La nostra équipe si riserva comunque di incontrare i familiari per conoscerli e spiegare, laddove ce ne fosse bisogno, gli scopi del programma riabilitativo ed il significato stesso della permanenza del loro congiunto in C.A.; suggerendo modalità di rapporto più valide e meno conflittuali delle passate, e fissando degli obiettivi comuni per il futuro.

 

15 – Terapia farmacologica

 

Per quanto riguarda questo aspetto, riscontriamo che quasi tutti gli ospiti delle CC.AA. da noi seguite assumono regolarmente psicofarmaci.

Anche se riconosciamo che il trattamento farmacologico a lungo termine rappresenta una risorsa (3,52,53) sicuramente necessaria per la conduzione di un intervento riabilitativo con soggetti psicotici cronici (20); a nostro parere non è certo laspetto peculiare più rilevante da valutare per la verifica del livello di riabilitazione-risocializzazione raggiunto.

In questottica sostituiamo la convenzionale associazione tipica della tradizione medica tra assunzione di farmaci = malattia e quindi "non-guarigione" clinica; con una più centrata sul livello di autodeterminazione e funzionamento sociale, e cioè assunzione di farmaci = possibilità di migliore funzionamento sociale = guarigione sociale intesa come migliore capacità di assunzione di ruoli sociali (57).

La riduzione al minimum efficace della terapia farmacologica è da noi comunque considerata un obiettivo, in pazienti cronici come quelli delle CC.AA, ma solo nel lungo periodo (es. tre anni)(24,12).

Teniamo conto che se da un lato spesso i soggetti psicotici vengono allontanati da nuclei familiari ad alta emotività espressa, riducendo quindi la necessità del ricorso massivo alleffetto "stabilizzante" dei neurolettici; è pur vero che la novità di rapporti di convivenza, le nuove richieste di performances del vivere quotidiano in C.A., come anche nuovi rapporti di studio (es. corsi di formazione professionale) o impegni lavorativi esterni possono comportare un carico eccessivo sia come richieste attentivo-mnemoniche che emotivo-relazionali, tale da favorire recrudescenze sintomatologiche temporanee.

 

16 – Portami al mare, fammi sognare…e dimmi che non vuoi morire. Ovvero la qualità della vita secondo ospiti, operatori e familiari

 

Per quanto riguarda questo aspetto, riscontriamo che quasi tutti gli ospiti delle CC.AA. da noi seguite assumono regolarmente psicofarmaci.

Anche se riconosciamo che il trattamento farmacologico a lungo termine rappresenta una risorsa (3,52,53) sicuramente necessaria per la conduzione di un intervento riabilitativo con soggetti psicotici cronici (20); a nostro parere non è certo laspetto peculiare più rilevante da valutare per la verifica del livello di riabilitazione-risocializzazione raggiunto.

In questottica sostituiamo la convenzionale associazione tipica della tradizione medica tra assunzione di farmaci = malattia e quindi "non-guarigione" clinica; con una più centrata sul livello di autodeterminazione e funzionamento sociale, e cioè assunzione di farmaci = possibilità di migliore funzionamento sociale = guarigione sociale intesa come migliore capacità di assunzione di ruoli sociali (57).

La riduzione al minimum efficace della terapia farmacologica è da noi comunque considerata un obiettivo, in pazienti cronici come quelli delle CC.AA., ma solo nel lungo periodo (es. tre anni)(24,12).

Teniamo conto che se da un lato spesso i soggetti psicotici vengono allontanati da nuclei familiari ad alta emotività espressa, riducendo quindi la necessità del ricorso massivo alleffetto "stabilizzante" dei neurolettici; è pur vero che la novità di rapporti di convivenza, le nuove richieste di performances del vivere quotidiano in C.A., come anche nuovi rapporti di studio (es. corsi di formazione professionale) o impegni lavorativi esterni possono comportare un carico eccessivo sia come richieste attentivo-mnemoniche che emotivo-relazionali, tale da favorire recrudescenze sintomatologiche temporanee.

17- Modellare i modelli. Le organizzazioni che apprendono…ciò che vorrebbero sapere

 

La duttilità di impiego, e la facilità di apprendimento delle tecniche di matrice cognitivo-comportamentale hanno fatto sì che questapproccio fosse utilizzato dalla nostra équipe in questi anni a vari livelli di integrazione con interventi di altro orientamento,

Sappiamo che utilizzare giustapponendoli buoni strumenti in modo ortodosso e/o eclettico non garantisce di per sè una buona sinfonia; nel nostro caso lepistemologia costruttivista ha fatto da sfondo connettivo alle tecniche utilizzate. Stiamo cercando col tempo, come abbiamo fatto fino ad ora del resto, di calibrare al meglio gli interventi con le peculiari "verità" apprese sul campo che costituiscono nel bene e nel male la nostra matrice di gruppo con storia.(13,14).

Operare delle valutazioni di economia sanitaria nel campo della salute mentale esula dallo scopo del presente lavoro. Siamo consapevoli di unampia varietà e difformità di opinioni di esperti in merito a nodi di tipo epistemologico nonché valutativo da sciogliere allinterno dello stesso operare interventi di tipo medico, psicoterapeutico e/o riabilitativo propri dellagire psichiatrico.(1,7,11,12,17,23,30,32,34,35,47,50,51)

Assistiamo da un lato alla realizzazione di interessanti esperienze pilota che interpretano una moderna concezione della organizzazione aziendale dei Servizi di Salute Mentale secondo una logica dellutilizzo di risorse limitate, con modelli informatizzati per la raccolta e la elaborazione statistica dei dati di tipo epidemiologico integrati ad indicatori di struttura, processo ed esiti dellagire territoriale (12); mentre dallaltro ci troviamo a considerare che da circa quindici anni nella teoria delle organizzazioni è in corso un processo di rivisitazione critica della logica lineare che ipotizzava una corrispondenza necessaria, programmabile e prevedibile tra strategie aziendali impiegate ed obiettivi da raggiungere (5). Cominciano inoltre ad apparire in letteratura ricerche effettuate nei servizi di salute mentale per monitorare le modalità operative e la qualità dellintervento, come quella svolta qualche anno fa nei servizi territoriali del Piemonte che cerca di dare risalto sia a "sguardi interni", raccolti attraverso interviste agli operatori che "sguardi esterni" allistituzione con descrizione e discussione di vissuti soggettivi in riferimento a modalità organizzativo-strutturali.(5).

Interpretare correttamente il concetto di learning organization di Senge (54), o organizzazione che apprende e cambia mutuando elementi informativi interni ed esterni, richiederebbe oltre ad uno sforzo conoscitivo ed organizzativo anche una particolare attenzione alle risorse ed agli aspetti culturali e sociali di contesto, nonché la partecipazione intellettuale ed emotiva degli operatori agli obiettivi sanitario-aziendali comuni.

Tale sforzo di continua rivalutazione di risorse ed efficienza non possiamo immaginarlo comunque scisso da una strategia globale di una comunità civile che porti ad integrare in modo evolutivo loperare programmatico dei vari enti coinvolti nel campo della tutela della salute mentale intesa non in senso solamente riparativo, ma per la irrisolta particolarità del nostro campo dintervento, nellaccezione "creativa" di invenzione della salute mentale.(42).

Questultima osservazione appare ancora più importante se ci riferiamo alle particolari condizioni di lavoro ed al clima emotivo vissuto quotidianamente dagli operatori della salute mentale, esposti nella pratica clinica alla continua "corrosione" delle loro pregresse certezze vitali ed al rischio di burn-out portato dallimpatto costante tra la cronicità dei problemi psichiatrici ed i vincoli dellagire spesso secondo una istituzionalizzata cronicità terapeutica.

Questi uomini necessitano più che di una attestazione della bontà del loro approccio teorico rispetto ad altri, di un periodico reciproco confronto-conforto per scaricare dubbi angoscianti ed aspettative frustrate; hanno inoltre un assoluto bisogno di autoironia, entusiasmo vitale e fiducia nel futuro per poter reggere nel tempo una prova corale di routinaria creatività giocata fianco a fianco, giorno dopo giorno nei servizi territoriali, cioè il loro essere terapeutici.

Dice il "libro dei mutamenti" ovvero lI KING al segno TUI "il sereno"- "il lago":

"Un lago evapora verso lalto e così pian piano si esaurisce. Ma quando due laghi sono collegati luno con laltro essi non si esauriscono così facilmente, perché luno arricchisce laltro. Così avviene anche nel campo della scienza. La scienza deve essere una forza che rinfresca e vivifica. E questo può diventare solo nella vivificante compagnia di amici della medesima mentalità, con i quali si discute e ci si esercita nellapplicazione delle verità della vita. Così il sapere diventa più universale ed acquista una serena facilità, mentre il sapere di un autodidatta conserva sempre un certo che di pesante e di unilaterale."(22)

 

 

 

 

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