TRATTAMENTO FARMACOLOGICO DELLE RICADUTE NELLA DIPENDENZA DA ALCOL

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13 dicembre, 2012 - 17:37

 

INTRODUZIONE

I disturbi organici e psichici legati all'abuso di bevande alcoliche rappresentano un problema medico e sociale di ampia portata e di complesso approccio. Si stima che circa il trenta per cento dei ricoveri negli ospedali generali sia causato da patologie alcol-correlate e che in circa un terzo dei ricoveri in ambiente psichiatrico ci siano problemi da abuso di alcol (Mauri e Pezzica, 1993). In una recente stima si e' calcolato che il 13,8 % degli abitanti degli Stati Uniti incorreranno almeno una volta nella vita un disturbo da dipendenza alcolica (American Psychiatric Association, 1995). Anche in Italia si calcola che il 20% circa della popolazione consumi bevande alcoliche in maniera smodata e che circa un terzo di essi soffra di un vero e proprio disturbo di dipendenza (Mauri e Pezzica, 1993). 
I Disturbi da abuso di alcol hanno un decorso variabile che e' frequentemente caratterizzato da periodi di remissione e di ricadute. E sebbene molti individui raggiungono uno stato di sobrietà senza trattamenti attivi la maggior parte di essi necessitano di trattamenti che mettano fine ai cicli di remissioni e di ricadute. La relazione tra abuso di alcol e alcol-dipendenza e' anch'essa variabile: in un o studio e' stato calcolato che solo il 30 % dei pazienti affetti da disturbo da uso di alcol (DSM IV) soddisfacevano anche i criteri della dipendenza alcolica (Hasin D.S. et al., 1990).
Lo scopo del trattamento a lungo termine dei pazienti alcol-dipendenti e' identico a quello degli altri casi di dipendenza da sostanze: astinenza (o forte riduzione del consumo e degli effetti), prevenzione delle ricadute, riabilitazione. Ci sono alcune controversie circa l'opportunità o meno di arrivare ad una astinenza assoluta o piuttosto ad una forte riduzione. Alcuni Autori a conclusione di una ampia rassegna sull'argomento hanno sostenuto che sia possibile un uso controllato di bevande alcoliche nei casi di minore gravità e che il raggiungimento di una moderata assunzione di alcolici sia un risultato accettabile in casi particolari di bassa gravità (Rosenberg H, 1993).
Per la maggior parte dei pazienti tuttavia, la completa astinenza e' l'unico risultato soddisfacente. Sono numerosi gli studi che documentano l'efficacia del trattamento della dipendenza alcolica: si calcola che circa il 70% di tutti i pazienti manifesta una riduzione dei giorni di consumo di alcol ed un miglioramento delle condizioni di salute generale in sei mesi (American Psychiatric Association, 1995). 
Sebbene la maggior parte dei pazienti trattati per disturbo da uso di alcol mostrano almeno un episodio di ricaduta durante l'anno le evidenze cliniche e sperimentali non lasciano dubbi sull'opportunità di attuare questi trattamenti. Per esempio: in una popolazione di forti bevitori che bevevano grosse quantità di bevande alcoliche nel 75 % dei giorni dell'anno, dopo il trattamento limitavano il bere ad un 10-30% dei giorni in cui solo il 5-10% dei giorni bevevano quantità di alcol paragonabili al periodo pre-trattamento (McKay J.R., 1992).
Il trattamento della dipendenza alcolica ha mostrato anche di poter migliorare la funzionalità familiare, coniugale, e i disturbi psichici eventualmente collegati (American Psychiatric Association, 1995). E' importante in fine sottolineare che problemi medici, diagnosi psichiatriche addizionali e familiarità per alcolismo diminuiscono significativamente la percentuale di successo dei trattamenti (Janiri et al., 1996).

 

Modalità del trattamento per l'alcol-dipendenza

Come e' evidente il primo passo di un trattamento che abbia lo scopo della cura della dipendenza alcolica e' il raggiungimento dello stato di astinenza senza sintomi. Il trattamento della sindrome astinenziale e delle sue complicanze non rientra nei limiti di questo lavoro ma può essere detto, per inciso, che questo primo progetto terapeutico presenta usualmente un grado minore di problematiche (Zimberg S., 1982). 
Il focus del trattamento dell'alcolismo e' invece proprio incentrato sul mantenimento a lungo termine dell'astinenza o, come abbiamo precedentemente discusso, il raggiungimento, in alcuni casi, di un potus controllato. 
Anche se la maggior parte dei pazienti possono essere trattati ambulatoriamente esistono alcune evidenza sperimentali che sottolineano, specialmente nei casi gravi, la necessità di un primo breve periodo di ricovero ospedaliero: per superare le prime fasi astinenziali e per impostare e calibrare la terapia farmacologica anticraving (Walsh D.C. et al., 1991).
E' comunque necessaria una attenta valutazione diagnostica iniziale per comprendere le modalità di trattamento di cui necessita ciascun singolo paziente; la verifica quindi del tipo di alcolismo presente, della compliance farmacologica, della rete sociale e familiare del paziente (alla quale eventualmente chiedere una collaborazione), delle motivazioni al trattamento, della comorbilità psichiatrica (Janiri et al., 1996). 
Pur essendo questo lavoro incentrato sul trattamento farmacologico e' utile ricordare che esso non e' lo strumento esclusivo per ottenere uno stato prolungato di astinenza. Tra le numerose strategie terapeutiche ricordiamo quelle più impiegate nel trattamento dell'alcol-dipendenza: la psicoterapia cognitiva e quelle comportamentali, quelle psicodinamicamente orientate, individuali, di coppia o di gruppo, le terapie familiari, i gruppi di autoaiuto come gli alcolisti anonimi. Sarebbe complesso articolare la discussione sulla scelta del trattamento psicoterapeutico ed andrebbe comunque al di là delle intenzioni di questo lavoro e' tuttavia bene precisare che la vasta letteratura sull'argomento e' concorde nell'affermare almeno un punto: la combinazione dei trattamenti, farmacologico e psicoterapico, garantiscono migliori risultati a medio e lungo termine (American Psychiatric Association, 1995).

 

L'alcol etilico e' una sostanza psicotropa che a differenza delle altre sostanze che producono dipendenza non agisce su recettori specifici bensi alterando la normale funzionalità delle membrane neuronali e delle comunicazioni sinaptiche. Esso sembra agire sulle membrane lipidiche dei neuroni modificando la trasmissione dei principali sistemi neurotrasmettitoriali come quelli GABAergico, serotoninergico, dopaminergico, noradrenergico e colinergico. Inoltre l'alcol etilico sembra avere determinanti effetti sulla psicomodulazione dei sistemi oppioidi endogeni e sui sistemi neuroendocrini (Marino e Costa, 1993).
La prescrizione di una terapia farmacologica e', nella maggior parte dei casi, preceduta usualmente da una ipotesi sulla base fisiopatogenetica del disturbo da trattare. Per l'alcol dipendeneza come per molte altre patologie ciò non e' ancora del tutto possibile. Come vedremo in seguito, nonostante lo sforzo della ricerca soprattutto negli ultimi anni, e' ancora difficile costruire una ipotesi unica sui meccanismi fisiopatologici che determinano o mantengono uno disturbo da abuso d'alcol: sarà utile pertanto seguire un elenco dei trattamenti attualmente più in uso cercando di focalizzarne i razionali fisiopatogenetici.

 

SSRI

La compulsione a bere e' considerato il problema centrale dell'alcolismo: dei nove criteri del DSM III-R per la diagnosi di Dipendenza da Sostanza Psicoattiva (per fare diagnosi ne bastano solo 3) almeno cinque sono associati alla compulsività (Janiri L. et al., 1996). L'evidenza che la compulsività del potus sia la causa di frequenti ricadute ha aperto la strada alla ricerca di farmacoterapie anticompulsive (Tempesta E. et al., 1991). Tra di esse la più battuta e' stata quella che riguarda i farmaci inibitori del reuptake della serotonina (SSRI). 
Un ampio numero di studi ha dimostrato l'efficacia degli inibitori del reuptake della serotonina nell'attenuare l'assunzione di alcol in ratti resi alcol-dipendenti (Amit e Smith, 1992; Larwin et al., 1986). Inoltre altri studi condotti su pazienti alcolisti non astinenti hanno dimostrato che la fluoxetina e' in grado di diminuire il potus sin dalle prime fasi di trattamento (Naranjo et al., 1990; Naranjo et al., 1994). In uno studio condotto nel 1991 e' stato dimostrato che un trattamento di due mesi con fluoxetina pari a venti milligrammi al giorno era stato capace di ridurre significativamente la compulsività a bere bevande alcoliche riducendo sia la condotta potatoria sia il craving e che ciò era indipendente dagli effetti antidepressivo, ansiolitico ed antiastinenziale di questi farmaci (Tempesta E. et al., 1991). 
Janiri e collaboratori hanno recentemente valutato l'effetto di una terapia con venti milligrammi di fluoxetina al giorno in cinquanta alcolisti che non bevevano bevande alcoliche da almeno sette giorni. Gli Autori della ricerca, pur non considerando il tasso di abbassamento del potus (i pazienti erano astinenti), hanno potuto realisticamente misurare una significativa diminuzione delle ricadute in una popolazione di alcolisti astinenti (Janiri et al., 1996).
In un altro studio e' stata testata l'efficacia del citalopram nel trattare pazienti con abuso d'alcol senza una vera e propria dipendenza: il citalopram si e' dimostrato in grado di diminuire la percentuale di giorni di potus e di incidere sulla quantità di alcol ingerito (Naranjo, 1987). Anche il buspirone, un parziale agonista della serotonina, si e' rivelato capace di ridurre il consumo di alcol, tuttavia i ricercatori che lo avevano testato erano giunti alla conclusione che il farmaco avesse avuto solo un effetto ansiolitico e che questo aveva inciso rimpiazzando l'effetto ansiolitico dell'alcol ma senza avere effetti sul craving, considerando anche che nella popolazione di alcolisti esaminata vi erano molti che assumevano alcol a scopo autoterapeutico (Kranzler et al., 1994). E proprio da queste ultime conclusioni traggono spunti alcuni ricercatori scettici sui reali benefici dell'uso di farmaci serotoninergici nell'alcol dipendenza: essi sostengono che i risultati incoraggianti delle molte ricerche condotte in queso campo sono da imputare agli effetti antidepressivo ed ansiolitico di questi farmaci, ma non ad una effettiva riduzione del craving (Volpicelli et al., 1995).

 

GHB

Alla luce delle ipotesi fisiopatogenetiche sulla dipendenza da alcol prima citate, ovvero di un complesso squilibrio che investe le strutture del rewarding dopaminergiche e della mediazione dei sistemi serotoninergici, ed in seguito a sperimentazioni su animali e alle osservazioni cliniche, alcuni autori hanno suggerito l'uso dell'acido gamma-idrossibutirrico (GHB) nella terapia dell'alcolismo (Gallimberti et al., 1989).
Il GHB produce nei roditori un aumento dell'attività dopaminergica aumentano la concentrazione di questo neurotrasmettitore in maniera dose-dipendente, inoltre esso incrementa, sempre nei ratti, i livelli di serotonina e di acetilcolina nello striato e nell'ippocampo e nella corteccia cerebrale (Gallimberti et al., 1992). Ciò ha indotto alcuni ricercatori a sperimentare l'uso della molecola, vs placebo, su una popolazioni di animali da laboratorio alcol-preferenti (Fadda et al., 1989). Dai risultati della ricerca si e' appreso che mentre nella popolazione di controllo non vi erano state modificazione del potus nel gruppo dei ratti trattati con GHB si assisteva ad una diminuzione significativa dell'assunzione di alcol ed un parallelo aumento dell'assunzione di acqua. Questi risultati hanno aperto la strada alla sperimentazione clinica del GHB in pazienti alcolisti. 
Gallimberti e collaboratori hanno selezionato settantuno pazienti affetti da dipendenza da alcol etilico casualmente divisi in due gruppi risultati omogenei per le variabili sociodemografiche e cliniche. Il primo gruppo, di trentasei soggetti, e' stato trattato con cinquanta milligrammi di GHB al giorno, mentre il secondo gruppo (trentacinque soggetti) con un placebo. Lo studio e' stato eseguito in doppio cieco. L'elaborazione dei punteggi della scala impiegata per la valutazione del craving (Alcohol Craving Scale) ha dimostrato differenze statisticamente significative tra i due gruppi. Inoltre, dai risultati ottenuti da questa e da ulteriori ricerche, il GHB si ha rivelato possedere una buona tollerabilità e compatibilità con altri trattamenti come il disulfiram ed altri farmaci psicotropi suggerendo una buona efficacia nel trattamento della prevenzione delle ricadute nella dipendenza alcolica (Gallimberti et al., 1992). 
Sarà interessante in futuro poter sperimentare l'efficacia del GHB in confronto ed in associazione con altri trattamenti farmacologici. 

NALTREXONE

Alcune ricercatori hanno ipotizzato che gli oppioidi endogeni possano giocare un ruolo molto importante nella patogenesi dell'alcolismo. I risultati di alcune sperimentazioni hanno suggerito infatti che l'alcol, gli oppioidi endogeni e la dopamina interagiscano tra di loro nel cervello umano e che la somministrazione di antagonisti degli oppiodi come il naltrexone possa modificare questi equilibri producendo effetti vantaggiosi nella cura dell'alcolismo (Swift 1995). Come le anfetamine, la cocaina e gli oppiacei, l'alcol stimola l'attività motoria attivando i circuiti dopaminergici che, come e' noto, sono coinvolti anche nel determinare le risposte di gratificazione e piacere (il rewarding system degli autori anglosassoni). Attraverso studi di laboratorio e' stato possibile confermare questa ipotesi: la somministrazione acuta di alcol produce un aumento dell'attività delle vie dopaminergiche (Imperato e Di Chiara, 1986).
Inoltre altri esperimenti hanno evidenziato una iperattività del locus coeruelus in concomitanza con la comparsa dei sintomi da astinenza in pazienti affetti da dipendenza da sostanze (Aghajanian G., 1978; Olpe h. et al., 1983). L'alcol si dimostra dunque avere proprietà simili agli oppioidi endogeni e i ricercatori hanno ipotizzato che eventuali disregolazioni della produzione di oppioidi possa favorire l'instaurazione di una dipendenza dalle bevande con contenuto alcolico (Swift R.M., 1995).
Poiché e' stata osservato in laboratorio che l'aumento di oppioidi in concomitanza con l'assunzione di alcol e' di breve durata alcuni autori hanno considerato l'ipotesi che l'assunzione di alcol, provocando un aumento seppur breve e temporaneo di oppioidi, induca un rinforzo positivo e di fatto possa così instaurare una condizionamento (Swift R.M., 1995). 
Tutte queste supposizioni hanno guidato la ricerca a provare farmaci antagonisti degli oppiacei. Volpicelli e collaboratori in uno studio in doppio cieco hanno testato l'efficacia del naltrexone versus placebo. Essi hanno trattato pazienti con dipendenza da alcol disintossicati con cinquanta milligrammi al giorno di naltrexone per via orale per un periodo di dodici settimane. Il naltrexone si e' rivelato capace di ridurre il tasso di ricadute (p=0.032) , di diminuire i giorni di potus (p=0.04) ed il craving (p=0.0127) (Volpicelli et al., 1992). In un altro studio O'Malley e collaboratori hanno sostanzialmente confermato i risultati di Volpicelli valutando l'efficacia di una terapia combinata con naltrexone e una psicoterapia supportiva (O'Malley et al., 1992).
Sempre Volpicelli e collaboratori in un recente esperimento hanno valutato l'efficacia della terapia farmacologica a base di naltrexone rispetto alle terapie psicosociali. Essi hanno potuto concludere che i pazienti che traevano maggior giovamento dalla somministrazione di naltrexone erano quelli con alti livelli di craving mentre a coloro i quali avevano maggiori problemi sociali (non coniugati, senza famiglia, disoccupati) ricevevano maggior beneficio dal trattamento psicosociale (Volpicelli et al., 1995).

 

Alla luce delle ipotesi fisiopatogenetiche sulla dipendenza da alcol prima citate, ovvero di un complesso squilibrio che investe le strutture del rewarding dopaminergiche e della mediazione dei sistemi serotoninergici, ed in seguito a sperimentazioni su animali e alle osservazioni cliniche, alcuni autori hanno suggerito l'uso dell'acido gamma-idrossibutirrico (GHB) nella terapia dell'alcolismo (Gallimberti et al., 1989).
Il GHB produce nei roditori un aumento dell'attività dopaminergica aumentano la concentrazione di questo neurotrasmettitore in maniera dose-dipendente, inoltre esso incrementa, sempre nei ratti, i livelli di serotonina e di acetilcolina nello striato e nell'ippocampo e nella corteccia cerebrale (Gallimberti et al., 1992). Ciò ha indotto alcuni ricercatori a sperimentare l'uso della molecola, vs placebo, su una popolazioni di animali da laboratorio alcol-preferenti (Fadda et al., 1989). Dai risultati della ricerca si e' appreso che mentre nella popolazione di controllo non vi erano state modificazione del potus nel gruppo dei ratti trattati con GHB si assisteva ad una diminuzione significativa dell'assunzione di alcol ed un parallelo aumento dell'assunzione di acqua. Questi risultati hanno aperto la strada alla sperimentazione clinica del GHB in pazienti alcolisti. 
Gallimberti e collaboratori hanno selezionato settantuno pazienti affetti da dipendenza da alcol etilico casualmente divisi in due gruppi risultati omogenei per le variabili sociodemografiche e cliniche. Il primo gruppo, di trentasei soggetti, e' stato trattato con cinquanta milligrammi di GHB al giorno, mentre il secondo gruppo (trentacinque soggetti) con un placebo. Lo studio e' stato eseguito in doppio cieco. L'elaborazione dei punteggi della scala impiegata per la valutazione del craving (Alcohol Craving Scale) ha dimostrato differenze statisticamente significative tra i due gruppi. Inoltre, dai risultati ottenuti da questa e da ulteriori ricerche, il GHB si ha rivelato possedere una buona tollerabilità e compatibilità con altri trattamenti come il disulfiram ed altri farmaci psicotropi suggerendo una buona efficacia nel trattamento della prevenzione delle ricadute nella dipendenza alcolica (Gallimberti et al., 1992). 
Sarà interessante in futuro poter sperimentare l'efficacia del GHB in confronto ed in associazione con altri trattamenti farmacologici.

 

ACAMPROSATO

L'acamprosato, chimicamente conosciuto come calcio acetil-omotaurinato, e' una molecola con azione sul sistema nervoso centrale recentemente utilizzata nel trattamento della dipendenza da alcol ed in particolar modo nella cura al lungo termine delle ricadute. Sebbene non sia conosciuto esattamente il suo meccanismo d'azione, alcuni recenti studi sembrano rivelarne diverse azioni su differenti strutture cerebrali e sulle vie di neurotrasmissione.
Dalle conclusioni di diversi studi condotti sull'argomento sembra che l'acamprosato interferisca primariamente con la trasmissione glutamatergica a livello sinaptico e moduli il trasporto del GABA. Altre ricerche hanno dimostrato inoltre che l'acamprosato aumenta lievemente i livelli sinaptici di serotonina ed ha alcune azioni come antagonista oppioide (Daoust et al., 1989; Daoust et al., 1992). Queste premesse sono state comparate ad alcuni studi che suggerivano un'azione facilitante dell'etanolo nelle vie gluatammatergiche delle regioni mesolimbiche, ippocampali e dell'amigdala (Rassnick et al., 1992). L'acamprosato avrebbe quindi, a giudicare dai risultati degli studi sopra citati, una azione alcol-mimetica che lo renderebbe utile per il trattamento della dipendenza.
Un considerevole numero di ricercatori a partire dalla seconda metà degli anni ottanta sino ad oggi si e' impegnata nel valutare in una serie di studi preclinici la capacità dell'acamprosato di ridurre l'assunzione di alcol in cavie da laboratorio. Boismare e collaboratori nel 1988, dopo una ricerca condotta su ratti alcol-preferring, conclusero che l'acamprosato, alla stregua delle molecole gabaergiche, riduceva in maniera significativa il potus alcolico (Boismare et al., 1988). 
Un'ampia ricerca clinica su circa quattromila pazienti inclusi in una serie di dodici studi a doppio cieco contro placebo ha dimostrato che il trattamento da sei mesi ad un anno con l'acamprosato raddoppia il tasso di astinenza negli alcolisti (Paille et al., 1993). 
Molto interessanti si sono rivelati i risultati di una ricerca condotta da Gerra e collaboratori nel 1992 al fine della scelta del trattamento più adeguato in diversi gruppi di alcolisti. Questi ricercatori hanno studiato gli effetti del trattamento con fluoxetina, placebo e acamprosato su due gruppi di alcolisti, un gruppo con familiarità per alcolismo ed un gruppo senza familiarità. 
Ai soggetti sono state praticate le tre forme di trattamento in maniera randomizzata, per circa un mese. E' stato quindi valutato il potus alcolico due settimane circa prima del trattamento e durante i tre mesi di trattamento. Nel gruppo degli alcolisti senza familiarità e' stata rilevata una lieve e non significativa riduzione del potus durante trattamento con fluoxetina e placebo mentre il potus era diminuito in maniera statisticamente significativa durante il trattamento con acamprosato (p<0.05).
Di contro nel gruppo di pazienti con familiarità avevano mostrato un significativo decremento dell'assunzione di alcol con la fluoxetina ma non con l'acamprosato. Gli autori concludevano affermando che: mentre nel caso del gruppo della familiarità aveva prevalso l'effetto monoaminergico del SSRI sottolineando l'esistenza di una possibile personalità premorbosa tipica, nel secondo gruppo era prevalso l'effetto alcol-mimetico dell'acamprosato (Gerra et al., 1992).

 

Conclusioni

La dipendenza da bevande alcoliche e' un disturbo eterogeneo nel quale molti fattori contribuiscono allo smodato consumo di bevande alcoliche. E' fortemente improbabile, quindi, che un unico tipo di farmaco possa essere il miglior trattamento per tutti i tipi di alcolismo. E' invece più probabile che i pazienti rispondano a trattamenti preceduti da una diagnosi accurata che tenga conto delle diverse forme del disturbo e delle eventuali diagnosi psichiatriche concomitanti. E' in fine importante ricordare che il supporto psicosociale aumenta la compliance farmacologica e riduce il rischio di ricadute.

 

 

 

 

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