Dopo tanti anni di ricerca nel campo della psiconeuroimmunologia, qual è il bilancio e quali i filoni di ricerca più promettenti?
Il bilancio è quello di una passione che si è sviluppata ed è cresciuta progressivamente, in modo molto forte sul piano delle discipline di base. La psiconeuroimmunologia è un modo moderno di vedere il rapporto fra la mente e il corpo, che ovviamente è un artefatto linguistico. Oggi ci sono grossi finanziamenti per diversi filoni di ricerca, ad esempio per lo studio della modulazione cellulare e immunitaria da parte del sistema nervoso e per lo studio di tutti gli immunopeptidi, anche se per lo più questo riguarda i paesi stranieri mentre in Italia non avviene ancora in modo così consistente. Le ricadute cliniche dell'ormai nota interazione fra il sistema nervoso centrale e quello immunitario probabilmente sono ancora modeste rispetto alle conoscenze attuali, così come sono ancora scarse le ricadute sull'applicazione terapeutica. Si sa che lo stress emozionale può facilitare la manifestazione di una data malattia (ad esempio influenza o raffreddore), si sa che alcuni tipi di stress particolari quasi sicuramente influenzano la suscettibilità alle neoplasie, cosa che quasi sempre lascia interdetti e stupiti gli interlocutori, anche se in realtà ci sono studi che vanno avanti ormai da vent'anni su modelli sperimentali animali che forniscono evidenze impressionanti. Purtroppo sono ancora poco note le modalità di possibili interventi e i risultati che sarebbe possibile ottenere con interventi messi in atto sia a scopo preventivo che terapeutico.
Quali sono i gruppi di ricerca più attivi nel campo della psiconeuroimmunologiae i loro ambiti di ricerca?
L'unità più forte è sicuramente negli Stati Uniti e fa capo a Robert Ader e alla "International Society of Psychoneuroimmunology", piccola, ma molto attiva. L'iniziativa più grande fino ad oggi è quella del trattato "Psychoneuroimmunology" che è uscito nel 2001 per l'Accademic Press, è un opera voluminosa con contenuti molto dettagliati, è la terza edizione di questo libro storico, la cui prima edizione risale al 1981 e ci rende testimonianza di come la psiconeuroimmunologia non sia più una disciplina nuova e curiosa, ma un dato di fatto imponente che ha permesso di abbattere le mura divisionali fra immunologia, endocrinologia, reumatologia, infettivologia, psichiatria, neurologia e così via.
Purtroppo è scomparso da poco J. Solomon, uno degli iniziatori della psiconeuroimmunologia. Esiste una rivista specifica molto interessante che si chiama "Brain Behavior and Immunity" che raccoglie sia contributi clinici che animali. Esiste il gruppo di Janis Kiecolt-Glaser in Ohio (lei è psichiatra e il marito è immunologo): stanno portando avanti eleganti studi clinici di psiconeuroimmunologia umana, ad esempio su persone divorziate e separate. Le difficoltà in Italia sono legate alla scarsità dei finanziamenti e alla difficoltà nell'ottenerli dal momento che questo campo di ricerca costa moltissimo. Per questo spesso è necessario rivolgersi all'estero, ad esempio noi abbiamo un progetto lavorativo con l'università di Maastricht per studiare i meccanismi che mediano la depressione indotta da immunopeptidi (ad esempio l'interferone), con l'idea di indagare il legame fra meccanismi centrali serotonergici e gli immunopeptidi come uno dei possibili modelli della depressione. Vengono portati avanti vari studi in campo umano, ad esempio abbiamo fatto alcuni studi sulle modificazioni dei parametri immunitari e sulla suscettibilità a malattie infettive e infiammatorie in rapporto a stress esistenziali, altri sono stati condotti in collaborazione con l'Istituto Superiore di Sanità per l'aeronautica su piloti e personale di volo con risultati interessanti. Un filone di indagine ancora aperto è quello relativo alla componente depressiva delle malattie infettive, basti pensare alle modificazioni comportamentali presenti nella fase iniziale e prodromica delle malattie infettive che probabilmente sono mediate da citochine, in particolare dall'interleuchina 1 (nella prima fase dell'influenza molte persone sono stanche, affaticate, con difficoltà nella concentrazione e fastidi somatici di vario tipo, non una vera depressione, ma una sorta di pseudodepressione di difficile collocamento). D'altro canto nelle depressioni c'è spesso una modificazione delle citochine e in generale una significativa alterazione dell'assetto immunitario in vivo e in vitro. Del resto esistono anche evidenze del fatto che la terapia antidepressiva ristabilisca il network neuroendocrino e immunitario. Ci sono anche alcune sindromi reumatologiche di incerta classificazione dove si pensa che alterazioni immunitarie possano essere la base sia di sintomi psichici che di sintomi infiammatori di tipo reumatico. Recentemente c'è stata un evidenza curiosa sul ruolo delle tossine streptococciche negli ossessivi, un settore ancora tutto da scoprire. La cosa sorprendente è che la maggior parte delle citochine ha effetti comportamentali, quindi probabilmente in futuro ci aspettano tutta una serie di novità in tal senso.
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