Psichiatria e media: come la TV italiana trasforma lo scienziato (A. Grasso)
Nella sua ricca ed articolata relazione Grasso ha analizzato la nuova figura pubblica dello psichiatra di pronto intervento, interprete della psiche e dispensatore della sua dose di saggezza, chiamato a partecipare a trasmissioni televisive di diversa natura e ad indicare ai telespettatori i comportamenti da seguire o da evitare.
Ma quali sono realmente le aspettative del pubblico “a casa”? Forse si potrebbe dire che dall' “interprete della psiche” ci si aspettano risposte precise, definitorie, semplici che appaiano risolutive per lo spettatore: in somma, il cosiddetto “consiglio dell'esperto”, potenzialmente in grado però di indurre in chi ascolta una speranza magica con l'ovvio e l'inevitabile rischio di ricadere nella banalità e nel pettegolezzo. All'interno dello spirito del talk-shaw, per il quale ben si addice lo slogan “parliamone!”, lo psichiatra rischia di assumere la figura carismatica della “vecchia zia” che incita a sfogarsi, a parlarne perché in fondo fa bene!
La psichiatria tende pertanto a confluire in un confuso e magmatico ambito di scienze psicologiche, venendo di volta in volta ad essere affiancata alla sociologia, alla pedagogia, alla sessuologia e persino alla pedagogia e ad essere sottoposta a costanti, errate attribuzioni di ruoli, competenze e significati.
Due sembrano essere le tipologie prevalenti: lo psichiatra come interprete di sogni, una sorta di oniromante e lo psichiatra come consulente, lo psichiatra da salotto, talvolta ascoltato come se si trattasse di un oracolo o di un mago guaritore.
E quale poteva essere miglior conclusione della splendida analisi dei perversi rapporti tra psichiatria e massmedia che Grasso ha compiuto questa mattina se non l'affermazione che alla TV, alla fin fine, ciò che serve non sembra essere altro che l'assodata competenza degli incompetenti!
Simposi Paralleli
A.Berti: Un film come mezzo di prova
F.Scarsi: Blade Runner:psicodinamica di un replicante
M.Biondi: i confini della normalita' nella fantascienza
C.Vecchiato: Il Caravaggio nel '900
Ad aprire il simposio e' il chairman R. Rossi che mette in evidenza come la fiction possa entrare in relazione con la psichiatria sia in quanto narrativa, sia come mezzo per meglio comprendere.
Attraverso l'analisi di alcuni passi dell'opera di Freud il relatore dimostra come, tramite il narrare e inventare racconti, sia possibile ottenere una verita', intesa come verita' scientifica, creare, cioe', un modello cui fare riferimento. Si parla della creazione metaforica di un paradigma scientifico necessario per pensare; come per l'idea dell'atomo tridimensionale o la teoria evoluzionistica, nata dal concetto di un “genitore comune”, cosi' la psicanalisi costruisce racconti per la teoria della mente.
Freud e' descritto come un grande scrittore di fantascienza che riesce ad inventare storie, al di la' della scienza, per arrivare al fuoco dell'idea che vuole dimostrare. Viene citata la sua interpretazione del Mose' di Michelangelo, della Gradiva di Jansen, nonche' dell'opera di Leonardo. Inoltre viene fatto riferimento ad altri scritti come “Totem e Tabu' “, “Mose' e il monoteismo” e all'importanza, per la psichiatria, di opere prettamente letterarie, di grandi scrittori, a partire da Dostoevskij
Il titolo della relazione di A. Berti, “Un film come mezzo di prova”, riporta alla memoria lo scritto freudiano “Un sogno come mezzo di prova” del 1913 in cui Freud con il sogno dell'infermiera di una sua paziente dimostra alcuni movimenti psichici della paziente stessa.
La relatrice utilizza un caso clinico e un film anche perché l'utilizzo di un sogno sarebbe stato troppo complesso.
Il caso clinico utilizzato riguarda una donna di quaranta anni, sposata con un figlio che durante l'adolescenza inizia ad avere degli episodi depressivi curati con triciclici e a ventiquattro anni fa un tentativo di suicidio. Dopo una serie di peripezie la paziente entra in un grave episodio melanconico resistente ai farmaci e con alcune note atipiche in quanto la paziente sviluppa la convinzione che la madre ed il fratello le stiano somministrando di nascosto dei farmaci e non siano la madre ed il fratello, bensì delle persone estranee, diverse da quelle che lei conosceva pur avendone le stesse sembianze.
Lo psichiatra che l'aveva in cura non crede al delirio e anche lui viene sospettato di essere un alieno. Poi è lei stessa che diventa qualcun altro: evidentemente nel sonno qualcuno l'ha cambiata. A questo punto la relatrice propone alcuni spezzoni del film: “Invasione degli ultracorpi” del 1956. I protagonisti del film non sono sicuri che i membri della loro stessa famiglia, i colleghi e le persone amate siano quelli che dicono di essere. Qui c'è il chiaro riferimento alla sindrome di Capgras descritta nel 1923 e di cui Freud ha cercato di specificare i meccanismi psicodinamici che la sottendono. Nel film emerge quello che Freud nel 1917 descrive in “Lutto e Melanconia”: perdita dell'oggetto, recupero dell'oggetto per via narcisistica per cui l'ostilità che è sull'oggetto viene ad essere sull'Io.
Nel film il medico vede il suo clone e lo uccide, il che ci riporta a M. Klein (1930) quando dice : “l'Io scinde se stesso e proietta fuori quella parte di sé che contiene l'istinto di morte così che l'oggetto esterno è sentito come cattivo e minaccioso per l'Io e dà luogo a un sentimento di persecuzione”.
Tornando alla paziente, la relatrice conclude sottolineando come essa vada sicuramente inquadrata non solo in relazione al suo delirio, ma anche e soprattutto in relazione al suo elevato rischio suicidario.
Scarsi F. ci propone il film di Blade Runner il cui rapporto con la dottrina psicoanalitica non è da ricercarsi sul piano più strettamente teorico; quel tipo di legame è forse maggiormente implicato in altri esempi di opere filmiche più chiaramente didascaliche, votate alla divulgazione e forse più ossequiose rispetto alla ortodossia delle teorie e modalità terapeutiche.
Il punto focale è l'influenza psicologica esercitata all'interno di un rapporto significativo, concetto che sta alla base di ogni trattamento di psicoterapia analitica.
Blade Runner contiene una tematica che non può non risultare gradita agli occhi dello psicoterapeuta, quella del Working Through”, che riprende con efficacia l'exemplum fictum che è il nonno della fiction della letteratura antica.
Ed è la vicenda dei replicanti, nel loro rapporto con le componenti essenziali della Humanitas, a configurare una sorta di Working Through, affine a quello che si usa portare avanti nel setting psioterapeutico.
All'inizio del film emergono considerazioni quantitative sul quanto resta da vivere, oltre all'ansia rabbiosa che pervade i quattro androidi ricercati, ma ad un certo punto vengono fuori soprattutto in alcuni di loro i ricordi e le emozioni.
Per il cacciatore di androidi i ricordi e le emozioni hanno all'inizio esclusivamente significato diagnostico, evidence based, e mirano all'individuazione ed alla successiva eliminazione dei soggetti che sbagliano il test, ma poi anche lui seguirà un proprio percorso evolutivo e non si può dimenticare che anche la psichiatria ha vissuto le sue fasi storiche di caccia di alieni ed all'eliminazione di alcuni di essi. L'agire di Blade Runner ci orienta verso una visione ottimistica rispetto ai rischi che comporta per il destino dell' Humanitas un mondo dominato dalle tecnologie e condizionato sempre di più dal modo in cui le stesse potranno essere gestite. Il dilagare delle tecnologie, i condizionamenti che ne derivano, il perdurare di elevati livelli di ingiustizia sociale, emarginazione, competitività esasperata stanno già rischiando di far tornare attuale il concetto marxiano di alienazione e di moltiplicare le condizioni di disumanizzazione. L'ottica psichiatrica-psicodinamica e psiciatrico-culturale non può non contenere implicitamente il disegno di favorire l'evoluzione dell'individuo e della società verso forme più mature, costruttive ed equilibrate più consapevoli del rapporto con se stessi e con l'esterno. Quella su cui il relatore ha voluto soffermarsi è solo una delle anime della cultura psicoanalitica e cioè l'anima più comprensiva, rispetto a quella più naturalistica ed esplicativa, anch'essa importante.
La prima è sicuramente quella che è più urgente difendere in questa fase storica.
M. Biondi con una relazione dal titolo “Confini della normalità nella fantascienza” ha messo in risalto come i racconti brevi di fantascienza possono rappresentare meccanismi meravigliosi perché si giocano su uno sfondo che viola i confini della normalità e tutto ciò è ricco di fascino. I confini tra normalità e fantascienza sono poco definiti. La normalità, soprattutto, e in psichiatria lo sappiamo bene, è molto poco studiata. Esistono numerosi criteri per la valutazione e la definizione di normalità, uno dei più interessanti è quello antropologico-culturale, che dipende sì alla cultura, ma anche da ciò che ci appartiene nel tempo (muoversi, mangiare, comunicare, ecc). Tale normalità è rappresentata nella nostra cultura e nei racconti. Nella fantascienza tale normalità viene destrutturata, producendo, in tal modo aggressività, distruttività, angoscia, accettabili perché si stagliano su uno sfondo destrutturato che sappiamo finto. La relazione è terminata con una carrellata di diapositive di films rappresentanti queste angosce accettabili nel mondo cinematografico.
C. Vecchiato ha riferito un lavoro che aveva come tema centrale la controversa figura del Caravaggio uomo ed artista, facendo riferimento all'ultimo lavoro pubblicato da Freud “Costruzioni nell'analisi” nel 1937 e riprendendone i concetti dell'esattezza della costruzione analitica, della narrazione e della ricerca di una trama narrativa, per i quali il convincimento della narrazione ha la stessa funzione di un ricordo recuperato. La relatrice cita quindi un recente saggio sul Caravaggio di P. Robb il quale propone il tema dell'enigma in quanto rimangono pochi elementi riguardo la vita dell'artista, attorno al quale tuttavia si è costruita una storia. Viene quindi proiettato un frammento del film di Barman di alcuni anni fa.
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