INTERVISTA A M. NARDINI
Rispetto all'interessante intervento concernente lo studio tramite Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI) sull'effetto della terapia con Olanzapina sul network corticale motorio, durante il dibattito è stato mosso il dubbio se la maggiore efficienza del network, in seguito all'aumento della Dopamina promosso dalla terapia neurolettica atipica, a fronte di una pressochè invariata performance motoria, sia derivata da una reale esigenza di minore attivazione per lo svolgimento della stessa funzione o non sia piuttosto il risultato di una nostra incapacità di cogliere modificazioni nelle performances motorie…
Lei che cosa pensa riguardo alle reali possibilità d'acquisizione di nuove conoscenze in ambito diagnostico-clinico, tramite queste promettenti tecnologie in continua evoluzione ed espansione?
Io penso che sicuramente lo sviluppo tecnologico va avanti, e quindi questi strumenti che oggi son qui presentati, quali appunto la fMRI, hanno subito degli sviluppi che hanno permesso loro d'acquisire capacità di riconoscimento dei singoli neuroni molto alte. Adesso noi lavoriamo con 3 TESLA, una macchina molto potente, a San Giovanni Rotondo, ma è già in progettazione il 7 TESLA, che è un qualche cosa che si può ipotizzare che venga applicato al ratto, e al gatto; se poi applicato all'uomo si può ipotizzare che le informazioni sul funzionamento dei singoli neuroni e neural systems saranno altissime, molto più alte di quelle che possiamo vedere adesso. Il problema ovviamente è la clinica. Accanto a questo ci vuole una ricerca, che io chiamo un po' neuropsicologica o psicopatologica o clinica – che sia altrettanto tecnologica - che vada ad individuare e a definire delle dimensioni cliniche, quelli che noi chiamiamo i “fenotipi intermedi”, per cui si possa andare a fare la correlazione. Perché con una tecnologia così amplia, così fine, raffinata, non possiamo dire: “Abbiamo trovato questo nei Depressi…”, poiché si tratta di una categoria talmente dispersa che dentro ci può essere di tutto, quindi sono problemi di ricerca clinica applicata. Più va avanti la tecnologia, più dobbiamo raffinare le tecniche di conoscenza del fenomeno ed andare sempre più al molare. Credo che questi diversi tipi di ricerche debbano stare all'interno dei singoli gruppi oppure utilizzare interazioni di gruppi multidisciplinari, che devono lavorare su certi obiettivi e condividere determinati progetti. Dentro un gruppo di ricerca di Neuroimaging, a parte che nel nostro gruppo siamo psichiatri e lavoriamo su questo ed su altre cose, o esistono delle competenze neuropsicologiche molto raffinate oppure bisogna trovare rapporti coi nessi clinici tutti uguali. In realtà è quello che abbiamo cominciato a fare noi.
Quindi, sì, è possibile che in realtà noi andiamo a vedere un fenomeno biologico, su di una cellula, che in realtà non ci riusciamo a spiegare fino in fondo perché non lo sappiamo leggere nelle prospettive cliniche; questo che cosa vuol dire, che bisogna rifare la clinica, ma non dire che abbiamo sbagliato fino ad adesso, bensì diventare più raffinati.
Per il vostro lavoro è prevista la pubblicazione in uno dei prossimi numeri di Noòs…
Penso che entro l'anno uno dei volumi di Noòs sarà dedicato a queste tematiche, di cui presenterò in collaborazione l'editor, cui parteciperanno il gruppo di Milano (fra cui Vita), Napoli (maj, Galderisi, Bucci, etc.), L'Aquila (A. Rossi), il nostro gruppo di Bari ed in più il gruppo dell'NYC; quindi è un po' una panoramica resa più facile, diciamo meno tecnologica, meno specifica nell'informazione, ma molto accurata su queste tematiche ad alta specificità.