Quinta giornata - Sabato 1 marzo
La sessione plenaria si è tenuta in una Sala Cavalieri molto gremita nonostante il fatto che il congresso fosse ormai giunto al termine, segno tangibile dell'interesse per l'argomento.
Nel primo intervento il prof. Fiori ha esordito ricordando che la dimensione del fenomeno del contenzioso giudiziario nei confronti della classe medica è in continua crescita. Lo spartiacque sembrerebbe essere stata la legge 180, prima della quale era progressivamente aumentato lo sfavore sociale, e quindi della magistratura, per il regime custodialistico degli OP. Subito dopo l'entrata in vigore di tale legge si è assistito ad un alleggerimento della pressione giudiziaria contro gli psichiatri, ma tale trend è oggi nuovamente in crescita. Il punto centrale del problema consiste nella doverosità del medico di controllare il paziente, almeno secondo l'opinione pubblica corrente, in particolar modo “a distanza”, cioè dopo la dimissione dal reparto psichiatrico di cura, non essendo più previsto ovviamente il regime custodialistico. A differenza della responsabilità del medico non-psichiatra, infatti, lo psichiatra avrebbe l'obbligo della protezione del paziente all'interno dell'istituzione e, ancor più, quando egli è all'esterno, anche in relazione al problema della pericolosità del paziente affetto da malattia mentale.
Il relatore ha concluso il suo intervento accennando all'ineliminabile tasso di rischiosità della medicina, per cui è necessario il consenso sociale attraverso l'informazione e l'accettazione da parte
dell'opinione pubblica.
Il prof. Bandini ha affrontato il tema del consenso del minore. Secondo quanto previsto dalla legge, il soggetto infradiciottenne è in stato di incapacità legale. In realtà le cose si complicano perché le norme in materia fanno riferimento anche ad altri testi di legge, quali il Codice Deontologico, le norme dei comitati etici ed infine le interpretazioni giurisprudenziali.
Si possono pertanto differenziare tre diverse fasce di età: il soggetto con età inferiore ai 14 anni che deve essere informato (obbligo di informazione) se possiede la capacità naturale di comprendere il significato di quanto gli viene comunicato, fermo restando l'obbligo di ottenere il consenso da parte dei genitori o degli aventi diritto; il soggetto con età compresa tra i 14 ed i 16 anni, che deve essere sempre interpellato prioritariamente, sebbene l'obbligo sia comunque ricercare la volontà congiunta di genitori e figlio; nel soggetto di età superiore ai 16 anni l'iniziale e necessario coinvolgimento del minore diventa molto importante ed assume massimo rilievo. Relativamente alle indagini psicologiche sul minore in campo forense, alcuni autori sostengono una partecipazione attiva del bambino al proprio affidamento, sino alla possibilità di nominare un avvocato personale del bambino, rilievo importante anche perché sottolinea che i diritti essenziali del bambino non vanno dimenticati.
Il prof. Fornari, infine, ha trattato del problema dell'autore di reato malato di mente all'interno della struttura carceraria italiana. Il paziente in questione non è trattato come un altro malato di mente non autore di reato, nonostante per legge costituzionale dovrebbero essere garantiti i suoi diritti alle cure. La concessione dei benefici è subordinata all'accertamento della pericolosità sociale e al mantenimento dell'ordine e della disciplina, con la neutralizzazione dei comportamenti che possono creare disordine nella struttura piuttosto che comprendere la sintomatologia sottostante. Si tratta di un doppio stigma: “delinquente e per di più pazzo”. Nell'approccio con questo tipo di pazienti occorre sempre tenere a mente le possibile differenze individuali a seconda del quadro sindromico, della compromissione o meno del funzionamento psichico, dell'eventuale patologia internistica o chirurgica, della terapia pregressa o in atto, del contesto, della posizione giuridica, del fatto che si tratti di una prima detenzione o meno e del tipo di reato commesso. Da ultimo il relatore ha fatto riferimento agli articoli 19 e 32 della Costituzione sottolineando come la salute sia un diritto assolutamente personale e non un dovere.
SIMPOSIO TEMATICO PARALLELO — SU UNA PALLA DI CANNONE: I DISTURBI FITTIZI
Moderatori: R. Rossi — F. Gabrielli
Il prof. Rossi ha aperto la discussione del simposio con la propria relazione dal titolo "Disturbo fittizio: su una palla di cannone", titolo non casuale visto che una delle definizioni storiche del disturbo è S. Di Munchausen. Il barone, infatti, "cavalcava una palla di cannone per raggiungere la luna". Il tema affrontato è quello dell’elemento menzognero, della pseudologia fantastica, della mitomania. Non tanto inteso come malattia, bensì come un problema gnerale della relazione paziente psichiatra. La menzogna in questo senso diviene strutturale, non connotabile secondo crismi moralistici. Infatti è noto come il pz si presenti al terapeuta nella doppia veste Dr. Jekill e Mr. Heyde. Il relatore illustra come tale situazione sia estremanente frequente nella pratica clinica e come sia necessario, senza peraltro uscire allo scoperto, che lo psichiatra riesca a leggere il significato profondo della "menzogna", che altrimenti non verrebbe colto. Occorre relazionarsi come se il problema fosse quello portato dalpz, ma bisogna cogliere quello che sta sotto. D’altra parte anche lo psichiatra è talvolta costretto a mentire, si pensi a Platone e alla tecnica della maieutica; si pensi alle vicende personali del terapeuta che non possono uscire durante la relazione col pz; ancora si pensi come talvolta appaia necessario rifugiarsi dietro la teoria quando il pz non risponde al trattamento. Il Prof. Rossi riporta come esempio clinico un caso letterario: i sogni di Zeno del romanzo di Svevo per illustrare come l’"understatement" sia utile per non cadre nela reciproca trappola della menzogna strutturale, che invece va riconosciuta ed accettata.
Il Prof. Gabrielli ha presentato la relazione "Disturbo fittizio nella pratica clinica", facendo il punto dela definizione, della clasificazione, della diagnosi differenziale e della letteratura degli ultimi dieci anni. Sottolineando come il disturbo fittizio sia una malattia, ma rappresenti anche il segno di una sofferenza personale, il relatore spiega le difficolta di diagnosi e trattamento di pazienti simili. Riporta quindi sorprendenti casi clinici attinenti la propria esperienza personale, illustrando come il riconoscimento tardivo di queste forme morbose possa comportare un grave rischio di cronicizzazione e addirittura decesso del paziente.
La Prof. Berti ha infine presentato la relazione dal titolo "Mobbing e dintorni", per delineare le caratteristiche di una patologia, il mobbing appunto, che in realta tanto nuova non è, se non nella sua dimensione di riconoscimento e assegnazione ad una categoria diagnostica peraltro non ancora precisamente sistematizzata. Un esempio fu infatti D. Buzzati, come è riscontrabile nel romanzo Il deserto dei Tartari. La relatrice espone le caratteristiche della forma morbosa, specificando come si possa parlare di mobbing solo se sussistono aspetti di intenzionalità, relazione temporale, di contenuto e di durata. Oggi il Mobbing è inserito, negli articoli presenti in letteratura, nell’ambito del PTSD, ma la sua esistenza non dipende dal peso del trauma. Vengonoproposti un esempio clinico e un filmato per meglio spiegare come tale patologia rappresenti spesso la riedizione di un trauma antico, con connotazioni di "nostalgia" ed un guadagno secondario (la ricompensa). La conclusione molto suggestiva propone il quesito sulla psicopatologia del mobbizzato, ma anche del mobber: chi è il paziente dei due?