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Quarta giornata – Venerdì 28 febbraio

28 Nov 12

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PREMIAZIONE POSTER
 

In una sala insolitamente poco gremita si è consumata questa mattina la premiazione dei migliori poster presentati al Congresso. La sessione è stata presentata dal Prof. Pancheri che ha poi passato la mano ai due chairman ufficiali, il Prof. Casacchia ed il Prof. Rapisarda.
I numeri parlano da soli, circa 400 i lavori presentati, tutti di buon valore scientifico, dieci dei quali spiccavano per qualità e serietà dei metodi di indagine. Spiace solo notare che alcuni dei vincitori non erano presenti alla premiazione e francamente non se ne capisce il motivo.
Il primo premio è stato assegnato al lavoro sui “Fattori predittivi di compliance dietologica in pazienti affetti da Anoressia Nervosa” di Abbate e Daga; il secondo allo studio “Differenza di genere nel sistema serotoninergico nel tronco encefalico di pazienti suicidi” di Martini; il terzo è andato a Caredda per uno studio multicentrico sull'efficacia di quattro neurolettici su dimensioni diverse della schizofrenia.
Ancora degni di menzione il poster di Soreca sull' “Epidemiologia dei Disturbi psichiatrici in pazienti affetti da Diabete tipo II” e quello di Giosuè sui “Fattori predittivi di resistenza al trattamento cognitivo comportamentale in pazienti affetti da Disturbo della Condotta Alimentare”.
La passione per la ricerca e la curiosità scientifica sono stati gli elementi maggiormente valorizzati e riconosciuti nel corso della mattinata, qualità ineludibili per i colleghi giovani, ma non solo.

 

PSICOANALISI-PSICOFARMACOLOGIA:L'INTEGRAZIONE DINAMICA NELLA CURA CON IL PAZIENTE

Apre i lavori del simposio il Prof. Rossi con una panoramica storica del rapporto tra la psicoanalisi e la psichiatria. Freud era preoccupato che la psicoanalisi non divenisse un capitolo in un trattato di psichiatria. Il professore sottolinea due funzioni definite e distinte all' interno della psicoanalisi: quella terapeutica e quella ermeneutica,ed è quest' ultima, con il suo studio del senso della vita e del modo di rapportarsi ad essa da parte dell' individuo che costituisce forse l' apporto più significativo che la psicoanalisi offre alla psichiatria.
Il Prof. Rossi sottolinea come all' inizio della sua carriera scientifica la psicoanalisi si presentava come un potente strumento di costruzione di teorie su cui poi poter lavorare nella clinica e inoltre forniva un modello teorico con cui cercare un'autonomizzazione della psichiatria rispetto alla neurologia, era in sintesi la possibilità per lo psichiatra di uscire dall' inerzia teorica in un cui si trovava relegato in un cantuccio delle cliniche neurologiche.
Il Professore prosegue poi con un excursus relativo alla psicoanalisi: gli antecedenti degli anni '60, le evoluzioni del pensiero psicodinamico, l'evoluzione problematica e contaminata da elementi di onnipotenza negli anni '70,la crisi dei primi anni '80 con l'avvento degli psicofarmaci e lo spostamento verso gli interventi sulle psicosi. 
Nonostante la crisi però, il Prof. Rossi sottolinea come all' interno della dicotomia biologico-relazionale della psichiatria la psicoanalisi offre per ora l' unica possibilità di costruire un modello di funzionamento della mente ed ha infine definito come “paradosso odierno” la terapia integrata, sicuramente in molti casi unica e necessaria possibilità di cura ma di per sé elemento fortemente disintegrante del setting psicoanalitico.
La seconda relazione del Prof Gillieron illustra una personale applicazione del pensiero psicoanalitico in medicina e la sua possibilità di diventare strumento di risoluzione per problemi di compliance.
Il “pensare psicoanalitico” può essere l'elemento più favorevole per la cura del paziente- persona.
Il Prof. Gillieron definisce “investigazione psicodinamica breve” la tecnica relazionale a favore dell'alleanza terapeutica e della diagnosi psicodinamica, valutazione organizzazione tra loro di elementi di sensorialità, sociali e fisici costitutivi dell' individuo.
La terza relazione del Prof. Lago propone un intervento integrato da parte di un unico curante che tenda al superamento di posizioni dicotomiche fra modelli psicodinamici e psicofarmacologici.
Tale tema viene successivamente ripreso dal Prof. Janiri il quale mette in evidenza la differenza tra tra il concetto e l' applicazione di terapie combinate ( uno psicoanalista e uno psicofarmacologo che si occupano di uno stesso paziente) e di terapia integrata.
A suo parere il modello integrato biopsicosociale applicato alla realtà psichiatrica, di per sé fondamentalmente composta da tali tre elementi, non è stato in realtà fino ad oggi sufficientemente applicato. 

 


SIMPOSI PARALLELI  

DISTURBI DISSOCIATIVI


Il simposio intitolto “Psicoptologia dei Disturbi Dissociativi: gloria, caduta e nascita”. È stato aperto dal moderatore, Prof. Roccatagliata, con un excursus storico sul concetto di Isteria, partendo da Charcot e passando per Janet, Bleuler e Fourel e terminando con una gustosa citazione dei poeti Aragon e Breton a proposito dell'Isteria come piu grande invenzione poetica degli psichiatri del XIX secolo. 
Il Prof. Rossi ha presentato una relazione sulle amnesie e fughe dissociative, definendole come uno degli aspetti più “leggeri” della psicopatologia, attraverso due vignette cliniche. La prima riferita alla vicenda personale di Aghata Christie e la seconda ad un caso clinico della propria esperienza. Questi casi fanno luce sul principio organizzatore del quadro clinico: l'amnesia psicogena tipicamente isterica rappresenta una soluzione di fronte al conflitto insostenibile con alterazione della coscienza dell'io e conseguente amnesia: la mano destra non sa cosa fa la mano sinistra. Tuttavia tale principio organizzatore non è sufficient a spiegare un comportamento così complesso. Nei casi clinici esposti si nota come siano saltate le cognizioni spaziali, con la formazione di un altrove che risolve il conflitto. Ciò rappresenta un guadagnopimario con un ritorno al punto di partenza (Aghata Christie ritorna nei luoghi dell'infanzia, il paziente si rifugia nel lettino dell'analista). Per la scrittrice, inoltre, si delinea anche un cambiamento stilistico, in quanto da quell'episodio ha iniziato a centrare le proprie oper in tempi antichi: archeologia come prototipo di vita infantile. Se poi, in conclusione, qualcuno domandasse se questo comportamento dissociativo sia consapevole o meno, ebbene non si può dare risposta, ritenendo che probabilmente ci troviamo al confine tra la coscienzadell'io e la non coscienza dell'io. Non riusciremo mai a capire quanto c'è di consapevole.
Il Prof. Volterra ha presentato la relazione “Realtà clinica e aspetti misteriosi dei disturbi mnesici dissociativi avvalendosi anche di un contributo cinematografico tratto dal film “Memento” esemplificativo di quanto precedentemente esposto. Definizione (DSM IV – ICD 10) e fattori eziologici (Dist. Dissociativo di Identità, Fuga dissociativa, stress acuti, traumi, intossicazioni acute, delirium, crisi emozionali, azioni dissociali gravi) sono stati l'inizio di un percorso attraverso le alterazioni della coscienza di tipo quantitativo (stati crepuscolari), o qualitativo (stati confusionali od onirici), o misto. Possono inoltre essere transitorie, oppure stabili, isolate od inserite in quadri complessi pseudodemenziali, come quello della sindrome di Ganser. Ad aumentare la problematicità di tali argomenti vi è poi la questione inerente l'identificazione di un cut of point tra simulazione e dissimulazione, autentico e falso che porta come conseguenza ad inevitabili controversie in campo psichiatrico forense.
La dott.ssa Toni infine ha presentato la relazione: “La depersonalizzazione:stato dell'arte” descrivendone gli aspetti sintomatologici, la classificazione nosografica e le varie definizioni che da Janet a Freud l'hanno connotata. Ha posto l'enfasi di manifestazione aspecifica comune a molte patologie psichiatriche e ha riportato i dati di uno studio fatto dalla sua equipe i cui risultati hanno confermato quanto riportato in letteratura.
Nella relazione del Prof. Maggini viene affrontato il difficile argomento della personalita' multipla, disturbo cosi' spesso presente nella narrativa psichiatrica e frequente per alcuni ed invece mai incontrato, seppure in lunghi anni di professione, e non riconosciuto da altri.
Viene sottolineata la dicotomia esistente tra i cosiddetti iconoclasti che lo considerano un disturbo estremamente raro o addirittura un artefatto e gli iconoblasti per i quali e' un disturbo genuino e frequente nella clinica.
Il relatore procede esponendo quelli che sono i problemi ancora aperti, come la scelta tra la teoria traumatogenetica e quella iatrogenetica; il dubbio se sia un entita' a se stante o un sintomo di altri disturbi; la riflessione sul fatto che se prima era un'entita' letteraria potrebbe essere considerato oggi una metafora di stati emozionali.
Infine conclude elencando i diversi modelli teorici con cui il disturbo e' stato affrontato: a partire de quello di Janet, poi quello analitico che lo vede come difesa postraumatica, quello neurocognitivo che lo descrive come risultante di un processo di attaccamento compromesso ed, infine il modello neurobiologico. 

 

LA PASSIONE AMOROSA: DALLA NORMALITA' ALLA PATOLOGIA

Il simposio è stato molto frequentato e interessante anche grazie all'eterogeneità degli interventi. Il tema della passione amorosa è stato infatti trattato da molteplici punti di vista, puramente neurobiologico, clinico, psicodinamico e infine anche con accenni letterari e inerenti la mitologia.
D. Marazziti, la prima relatrice, nel suo intervento (Neurobiologia della passione amorosa) ha illustrato con chiarezza e sinteticità i principali orientamenti ed ipotesi neurobiologiche relative alla “passione amorosa”. Nella fase dell'innamoramento sarebbe l'amigdala a svolgere il ruolo principale attivando tutta una serie di risposte nel sistema nervoso in risposta agli stimoli arrivati, prima dell'intervento della corteccia che viene raggiunta attraverso una via più lenta. I principali neurotrasmettitori coinvolti sarebbero noradrenalina, dopamina, oppiodi e feniletilamina. La polarizzazione di pensieri e interessi sull'amato “di stampo ossessivo-compulsivo”, come risulta da uno studio eseguito dalla relatrice, è associato ad abbassmento del tono serotoninergico. Tale modificazione risulta stato dipendente (viene misurato tramite la riduzione del trasportatore delle serotonina) e si normalizza dopo 12-18 mesi, quando cioè la coppia è ancora unita, ma è passata la prima fase di innamoramento. Cosa succede allora? L'innamoramento si trasforma in qualcos'altro, nella relazione affettuosa e unita di attaccamento (switch monogamico), che dal punto di vista biologico sembra essere caratterizzata dall'aumento della vasopressina e dell'ossitocina che è in grado di inibire il sistema dello stress.
G. Maina (Affetti, sessualità e disturbo ossessivo-compulsivo) si chiede se i pazienti con disturbo ossessivo-compulsivo incontrino specificamente maggiori difficoltà nel costruire rapporti affettivi stabili. In base al suo studio, illustrato con chiarezza e rigore, emerge che la compromissione della vita affettiva di tali pazienti non è specifica del disturbo ossessivo-compulsivo, ma piuttosto risulta direttamente proporzionale alla precocità dell'esordio, è più frequente nei pazienti con sintomatologia tipo “hoarding” ed è infine legata anche agli effetti collaterali dei farmaci.
V. Volterra (ll dramma delle passioni: la gelosia morbosa) ha illustrato con magistrale precisione e lucidità il concetto di gelosia nel suo continuum, come aspetto della normale relazione amorosa, come idea prevalente, nei suoi aspetti ossessivo-compulsivi patologici, fino al vero e proprio delirio paranoico. Ha sottolineato la sottesa insicurezza “infantile” o possessività di marca narcisistica ed infine ha mostrato ad esemplificazione di quanto detto alcuni spezzoni di un film di Bunuel, che narrava l'evoluzione di una vicenda di un marito geloso fino all'evoluzione in un quadro delirante ben mostrata nella memorabile scena finale.
I. Senatori (Freud, Himeros e Mr. Hire) ha affrontato il discorso della passione amorosa con un intervento eclettico e di alto interesse culturale con molteplici punti di vista. Ha parlato della passione dal punto di vista etimologico, in cui la radice di amore, kam significa desiderare, e passione dal greco pascheia e latino pati come patire e nella mitologia (Eros dio dell'amore e del desiderio e Afrodite dea della passione sessuale, in cui esiste sempre il rimando all'aspirazione, alla mancanza , al desiderio e al mistero). Ha parlato della passione come malattia, follia e rapimento, come sacrificio e autodistruzione, come qualcosa di indicibile, della passione nella psicoanalisi e infine nei film e nel melodramma. . 

 

DISTURBI ALIMENTARI: ASPETTI PSICOPATOLOGICI E PROBLEMI CLINICI

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Il primo intervento condotto dal Prof. Callieri dal titolo “Problematiche psicosomatiche della corporeità.” pone l'interessante dilemma tra i due concetti di “mio corpo” e “Io corpo”, dilemma che può essere superato attraverso il concetto di corpo proprio, sempre intermediario nel rapporto con il corpo altrui. E' proprio l'altrui che rivela a me il mio corpo: il mio volto che posso vedere solo nello sguardo dell'altro. 
Nella depersonalizzazione il corpo è esperito “come se” diversamente dal corpo dello schizofrenico che “è”. In questa dimensione di estrema importanza del corpo si può collocare il fastidio del pensiero di sentirsi saturo, o meglio satura, di corporeità, di sentirsi “troppa” (il riferimento alla magrezza assoluta dell'anoressica non sembra essere lontano.
Il corpo nell'abitudinarietà della “sana” quotidianità è “adombrato”, di contro si rivela in presenza di stimolazioni sensoriali intense sia positive sia negative.
Infine citando Paul Ricoeur afferma che il corpo si esprime in quella regione intermedia tra il fisico e il mentale che è il desiderio.
L'intervento del Dott. Cuzzolaro “Disordini alimentari e identità di genere. Uno studio condotto con il Bern Sex Role Inventory (BSRI) in 72 soggetti con diagnosi di anoressia nervosa, bulimia nervosa e sindrome parziale.”. L'intento dello studio era quello di tipizzare gli individui affetti dalle tre suddette maggiori diagnosi in base al loro rapporto con l'identità di genere prevedendo quattro categorie: maschile, femminile, androgeno (il modello più maturo, prevede l'avvenuta accettazione degli aspetti femminili e maschili della personalità) e indifferenziato (il meno evoluto). I risultati dello studio propongono un'alta frequenza del tipo femminile nella patologia bulimia e un'elevata frequenza del tipo indifferenziato nelle anoressiche.
Il terzo intervento, presentato dalla Dott.ssa Di Caprio, trattava la valutazione di outcome nella terapia familiare dei DCA. Riferendosi allo studio di Russell del 1987 afferma che nelle pazienti anoressiche la terapia familiare è più efficace, rispetto alla terapia di supporto individuale, mentre nelle pazienti bulimiche non ci sono differenze significative tra i due approcci. Secondo la loro esperienza la terapia familiare è in grado di migliorare specificatamente i risultati degli interventi farmacoterapici e di ridurre nettamente il numero dei ricoveri. Risulta inoltre che tale terapia sia ottima come strategia preparatoria ad una successiva psicoterapia individuale.
Il penultimo intervento “Fattori prognostici e predittivi di comportamenti autolesivi nei disturbi dell'alimentazione” del Dott. Loriedo ha operato una ricca e didattica analisi riguardo le motivazioni, le spiegazioni (attraverso diversi modelli: ambientale, pulsionale, di regolazione degli affetti, dissociativo e interpersonale), il significato attribuito all'atto dei comportamenti autolesivi che, spesso si esauriscono in se stessi, ma che si collocano in un continuum (spesso nascosto) con i comportamenti suicidari. La stretta correlazione tra i comportamenti autolesivi ed i DCA ci spinge a non sottovalutare i TS in tali pazienti.
In conclusione il Prof. Reda nel suo intervento dal titolo “Narrativa ed emozioni nei disturbi alimentari psicogeni” ha dimostrato la difficoltà e la confusione nel riconoscimento dei propri stati interni e nella lettura delle proprie emozioni. Attraverso l'ausilio di uno strumento elettromiografico ha reso evidente alla paziente l'incapacità di collegare le presenti manifestazioni fisiche rilevate con le emozioni corrispondenti.

 


REGIME CARCERARIO E TOSSICODIPENDENZA

Nel primo degli interventi previsti, la Prof.ssa Scioli (PV) ha presentato uno studio descrittivo sulla consulenza psichiatrica nel carcere maschile di Pavia, Torre del Gallo. Dopo una breve rassegna sul fenomeno, dalla quale si può evincere ad esempio che la prevalenza dei disturbi psichiatrici nella popolazione carceraria si aggira intorno al 10–15%, la relatrice ha presentato i dati della ricerca, cominciando dalla descrizione degli operatori socio-sanitari coinvolti nella gestione dei pazienti.
È quindi stata presa in esame nel dettaglio la composizione della stessa popolazione carceraria nel periodo compreso tra l'aprile del 2000 ed il dicembre del 2002: numero dei detenuti, attività socio-educative e lavorative svolte, nazionalità, età, stato civile, scolarità, condizione lavorativa, HIV-positività. Il 13% circa del totale dei detenuti è risultato affetto da patologia mentale, mentre la percentuale di soggetti che usano sostanze stupefacenti si aggira intorno all'8%. Tra le patologie psichiatriche più rappresentate vi sono i disturbi di personalità ed i disturbi dell'umore, mentre i disturbi psicotici sono poco frequenti. Sono stati quindi presi in esame il cosiddetto “volume di trattamento”, cioè il numero di visite effettuate, e le classi di farmaci somministrati ai pazienti. A questo riguardo sono emerse alcune considerazioni degne di nota: la classe di farmaci psicotropi più utilizzata è quella delle benzodiazepine, seguono poi gli antidepressivi, gli stabilizzatori dell'umore e gli antipsicotici. Prendendo in esame il rapporto farmaco-patologia per la quale viene somministrato si osserva poi che l'uso dei farmaci antipsicotici (tipici ed atipici) non è riservato ai soli casi di diagnosi di disturbo psicotico, ma riguarda anche pazienti con diagnosi di disturbi dell'umore, disturbi di personalità e disturbi dell'adattamento specie per la gestione dei comportamenti violenti, quale misura sedativa e di controllo degli impulsi. Il volume di trattamento è risultato proporzionale alla gravità della patologia.
La Prof.ssa Loi (MI) ha quindi presentato una relazione nella quale ha preso in esame i limiti attualmente presenti nella collaborazione tra DSM, SerT e Ministero della Giustzia nell'assistenza ai detenuti della Casa Circondariale San Vittore. In questa realtà l'intervento psichiatrico è svolto dal servizio psichiatrico propriamente detto (DSM e psichiatra ministeriale) e dall'UOC (unità operativa carceri), servizi che non solo non sono coordinati e funzionano separatamente ed auonomamente, ma dimostrano anche gravi difetti di comunicazione. Dopo avere esaminato nel dettaglio la composizione di ciascun “gruppo di lavoro” ed averne descritto i campi di intervento, la relatrice ha quindi proposto un progetto di lavoro volto a superare la rigida divisione di competenze e l'insfficiente formazione degli operatori. 
La prof.ssa Lorettu (SS) ha parlato della psicopatologia nell'ambiente carcerario in relazione a tre diversi contenitori dimensionali: l'ambiente, il detenuto, lo psichiatra. Il carcere comporta, ovviamente, la restrizione della libertà personale dell'individuo e spesso funziona come slatentizzatore della patologia psichiatrica. Il detenuto può rivelare il proprio disagio attraverso condotte quali il parasuicidio, l'autolesionismo, il panico omosessuale e quello pseudo-omosessuale, il trauma dell'ingresso e la vertigine dell'uscita, l'isteria, l'irradicamento, la sindrome di inanizione e la sindrome delirante. Lo psichiatra, infine, sempre e comunque primo strumento diagnostico e terapeutico, si confronta con individui che presentano sia disturbi mentali sia comportamenti violenti, potendo quindi variamente fare ricorso a meccanismi di difesa più o meno adattivi (miimizzazione, passaggio all'azione, razionalizzazione, etc.).
Il prof. Peloso (GE) ha poi presentato uno studio di confronto tra i dati relativi alla popolazione carceraria di Marassi, quelli di un SPDC del centro genovese, quelli di un CSM e di un CD dello stesso quartiere di Genova, precisando inoltre la definizione di “doppia diagnosi” e l'accezione più comune del termine nell'utilizzo corrente da parte degi operatori.
Nell'ultimo intervento il prof. Clerici (MI), dopo aver motivato l'attuale maggiore coinvolgimento dello psichiata nel trattamento dei soggetti con disturbi mentali nel sistema giudiziario, ha presentato i dati di uno studio effettuato nel carcere di Milano Opera dal 1998 al 2002. Nelle considerazioni conclusive il relatore ha sottolinato l'uso talora eccessivo di alcune classi di psicofarmaci (prime tra tutte le BDZ) e l'insufficiente monte-ore a disposizione degli operatori psichiatrici, cui consegue la difficoltà di gestione, specie nei casi dei pazienti più gravi, soprattutto psicotici.

 

INCONTRO SU INTELLIGENZA ARTIFICIALE:
L'ANDROIDE TRA SOGNO E REALTA'

In una sala piuttosto gremita inizia una serata un po' diversa dagli abituali incontri accademici delle giornate SOPSI. 
Sono presenti a commentare le tre sequenze cinematografiche il Prof. Pancheri, organizzatore della serata, il Prof. Rossi, il Prof. Volterra, professori ordinari di psichiatria rispettivamente a Roma, Genova e Bologna, e la Prof.ssa Aiello, ordinaria di Intelligenza Artificiale a Roma. 
Il primo film presentato è “2001 Odissea nello Spazio” di Stanley Kubrick, 1968. 
Nel suo commento il Prof. Pancheri sottolinea come, guardando il film, venga da domandarsi se il computer HAL non abbia oltre ad una sua coscienza una ricca psicopatologia, fino a ricordare nelle sequenze finali la paura di HAL di fronte alla perdita della memoria, quasi a mimare la malattia di Alzheimer.
Segue, quindi, la proiezione di alcune scene tratte dal film “Blade Runner” di Ridley Scott, 1982.
Il Prof. Rossi osserva come in questo film il focus non sia tanto sull'intelligenza artificiale quanto sul problema di avere l'uomo creato un clone di se stesso, clone però invidioso del suo creatore che tanto lo ha limitato nella durata di vita.
Emerge dal film il fantasma edipico nella scena in cui Roy il replicante uccide, tra le lacrime, il padre che lo ha creato. 
Importante, infine, il tema dell'accettazione della perdita che permette al replicante, dopo la morte dell'amata, il superamento dell'invidia; con l'accettazione del lutto per Roy diventa possibile la riparazione fino a salvare il nemico Blade Runner. 
Il Prof. Sottolinea come, dunque, l'evoluzione dell'uomo avvenga grazie alla nostalgia: Roy sarebbe infatti un personaggio inizialmente di Shakespeare che ricorda alla fine del percorso del film il tema proustiano della nostalgia.
Come ultimo contributo cinematografico il Prof. Volterra commenta “A.I. Intelligenza Artificiale” di Steven Spielberg, 2001.
Si sottolinea da subito l'importanza della domanda che viene posta all'inizio del film: sarà in grado un uomo di saper accogliere l'amore incondizionato del bambino meccanico?
Bambino peraltro fin troppo umano, tanto che il Prof. cita il test di Turing per cui una macchina può essere definita intelligente se un essere umano che si confronta con essa non può capire se si trova di fronte ad una macchina o ad un altro essere umano.
Chiude la serata la Prof.ssa Aiello che di fronte al quesito, inquietante, se ci sarà nel prossimo futuro un HAL nella nostra vita risponde che per il momento possiamo dormire sonni tranquilli, non è dunque solo questione di costi, il problema attuale è che è relativamente facile creare un robot che sappia vincere a scacchi ma impossibile farne uno che sappia andare a prendere una scacchiera e portarcela. 

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