la perdita di coscienza transitoria: inquadramento diagnostico di un sintomo comune.
Nel primo intervento tenuto dal prof P Cortelli viene definito il concetto di sincope rispetto alle altre condizioni di perdita di coscienza transitoria.
Studi condotti negli ultimi 20 anni hanno portato alla formulazione di linee guida per la diagnosi e il trattamento della sincope.
La definizione di sincope della Task Force on Sincope della ESC è: "una transitoria, autolimitata perdita di coscienza, che di solito provoca caduta a terra. L'esordio della sincope è relativamente rapido, il successivo recupero è spontaneo, completo e rapido. Il meccanismo sottostante è un'ipoperfusione transitoria globale cerebrale".
Oltre alla perdita di coscienza vi sono altre quattro caratteristiche cliniche tipiche che descrivono la modalità comune di presentazione di un fenomeno sincopale: la transitorietà; la natura auto-limitante; la breve durata (minuti); l'assenza di cause esterne (traumi).
Altre forme di perdita di coscienza transitoria non sincopali sono: l'accesso ischemico transitorio e sindrome da furto, malattie psicogene o psichiatriche, cataplessia, malattie metaboliche. Il relatore conclude l'intervento proponendo la seguente classificazione fisiopatologica della sincope.
Insufficiente azione della pompa cardiaca
-Aritmia (parossistica sopraventricolare, tachicardia ventricolare, Q-T lungo)
-Malattia cardiaca strutturale (valvulopatia, cardiomiopatia ostruttiva)
Insufficiente tono vascolare, ipotensione ortostatica
-Primaria (atrofia multisistemica, malattia di Parkinson, insufficienza vegetativa idiopatica)
-Secondaria (diabetica, neuropatie vegetative)
-Farmaci (antidepressivi, beta-bloccanti, antiipertensivi)
Insufficiente volume circolante
-Ipovolemia (Addison, diuretici, emorragici)
Inappropriato controllo nervoso del circolo
-Sincope riflessa = neuromediata (sincope vaso-vagale, sindrome del seno carotideo, sincope da minzione)
Segue l'intervento del prof. Micieli, che parla degli aspetti diagnostici sia clinici che strumentali. La sincope, definita come improvvisa e transitoria perdita di coscienza secondaria ad una significativa riduzione della perfusione cerebrale, rappresenta non solo un problema clinico rilevante in termini di prevalenza e di utilizzo delle risorse sanitarie, ma richiede anche un'accurata e non sempre facile diagnosi fisiopatogenetica al fine di identificare cause potenzialmente pericolose per la sopravvivenza e di prevenire possibili recidive degli episodi stessi.
Nello stesso tempo, è indispensabile evitare di sottoporre il paziente ad accertamenti inutili con un significativo aggravio dei costi sanitari sia in termini di procedure diagnostiche che di ricoveri ospedalieri ripetuti Il primo e imprescindibile approccio clinico al paziente con sincope è rappresentato dalla raccolta di un'accurata anamnesi che valuti approfonditamente la storia familiare, le patologie pregresse e le caratteristiche della fase prodromica, critica e post-critica dell'evento stesso, insieme ai possibili fattori predisponenti/precipitanti In tutti i casi di sincope devono essere effettuati uno screening ematologico e biochimico e un esame urine completo per escludere la presenza di ipoglicemia, anemia, ipossia, squilibri elettrolitici. Anche un ECG a 12 derivazioni deve essere sempre effettuato al fine di identificare una possibile causa cardiaca, anche se si è dimostrato diagnostico in meno del 5% dei casi.
La valutazione funzionale del sistema nervoso vegetativo ha i seguenti obiettivi primari:
– valutare l'integrità del controllo vegetativo del sistema cardiovascolare;
– valutare, nel caso esso fosse alterato, la necessità di ulteriori test per confermare la diagnosi o ottimizzare il trattamento;
– valutare, nel caso esso fosse integro, la necessità di ulteriori test per smascherare eventuali anomalie o riprodurre l'episodio sincopale.
Quest'ultimo punto è di particolare importanza, se si considerano le forme con diasutonomia intermittente, nelle quali la funzionalità del sistema nervoso vegetativo è integra al di fuori degli episodi sincopali o pre-sincopali.
La terza relazione dal titolo: 'Ipotensione ortostatica: diagnosi e trattamento' è stata tenuta dal prof.A.Albanese.
L'ipotensione ortostatica è definita come una riduzione della pressione arteriosa sistolica di almeno 20 mmHg o della pressione diastolica di almeno 10 mmHg, dopo l'assunzione attiva della posizione ortostatica, oppure dopo ortostatismo passivo fino ad almeno 60°.
L'ipotensione ortostatica è un segno obiettivo e può anche manifestarsi in assenza di sintomi. Può indicare la presenza di disautonomia, oppure può rappresentare un sintomo da alterata risposta autonomica funzionale a stimoli centrali o periferici (come nella sincope neuromediata).
L'ipotensione ortostatica è una complicanza invalidante di malattie neurologiche degenerative e compare frequentemente nelle sindromi parkinsoniane.
Le manifestazioni cliniche sono eterogenee e dipendono dalla ridotta per fusione degli organi, in particolare dell'encefalo.
La più frequente presentazione clinica è rappresentata da sintomi poco specifici, come sensazione di capogiro o difficoltà visive.
La terapia è sintomatica, ed è basata sull'utilizzo combinato di misure farmacologiche e non farmacologiche (fisiche e di abitudini di vita).
Queste ultime hanno l'obiettivo di evitare i comportamenti che possono aggravare l'ipotensione. La terapia farmacologica è indicata nei pazienti con ipotensione ortostatica sintomatica. È opinione comune di numerosi neurologi che il fludrocortisone e la midodrina siano i farmaci di prima scelta. Segue l'intervento del prof. Tinuper a proposito di: 'Epilessia e altre cause' L'unica situazione epilettica che si accompagna a un disturbo di coscienza che comprenda tutte le funzioni (arousal, attenzione, intenzione, memoria e consapevolezza) è la crisi convulsiva tonico- clonica generalizzata. Nelle crisi focali la vigilanza è sempre conservata mentre sono compromesse, in misura e associazioni diverse, le altre funzioni.
Spesso, nella descrizione di fenomeni critici, viene riportata una "perdita di coscienza" e, addirittura, nella classificazione internazionale, la perdita di coscienza era l'elemento che individuava le crisi parziali complesse. Il termine di "coscienza" in epilettologia è stato ampiamente discusso da Gloor . Quello che viene descritto e interpretato come perdita di coscienza durante una crisi è in effetti un deficit selettivo di una funzione superiore, come il linguaggio o la comprensione verbale, l'inibizione del movimento o dell'iniziativa motoria, il deficit della memoria o l'inattenzione dovuta a una esperienza allucinatoria durante la crisi.
Questa variabilità di segni e sintomi durante crisi focali dipende dalle aree corticali interessate direttamente o indirettamente dalla scarica critica. È necessario, quindi, esaminare e interagire con il paziente durante e subito dopo la crisi per poter distinguere fra questi aspetti che determinano, in effetti, un disturbo del contatto.
Anche nelle crisi di assenza piccolo male solo alcune funzioni vengono abolite durante la scarica e, in particolare, l'attenzione e l'intenzione.
Recenti studi ipotizzano che la scarica di punte onde generalizzata, attraverso le proiezioni talamo- corticali, raggiunga le porzioni dorso-laterali dei lobi frontali, determinando una inibizione transitoria della memoria di lavoro (working memory).
Al contrario, le scariche di punta onda delle "assenze atipiche " prolungate (non del piccolo male puro), coinvolgendo le strutture corticali fronto mesiali e cingolari, provocano un disturbo dell'iniziativa e dell'intenzione, paragonabile a una situazione transitoria di mutismo acinetico.
Conclude i lavori ll prof. Vita, che delinea la prospettive future in questo campo.
Finora il ruolo del neurologo nella gestione del paziente con sincope è stato marginale.
D'altra parte, però, almeno 1 paziente su 5 che presentano un episodio di perdita di coscienza transitoria ha una malattia neurologica.
Gli studi condotti negli anni Ottanta hanno dimostrato che la mortalità a 1 anno dei pazienti con sincope cardiaca (range 18-33%) è consistentemente più elevata di quella dei pazienti con causa non cardiaca (0-10%) o da causa inspiegata (6%).
Inoltre, l'incidenza a 1 anno di morte improvvisa è risultata del 24% nei pazienti con pregressa sincope di origine cardiaca rispetto al 3-4% negli altri due gruppi.
Questo ha giustamente determinato un'attenzione maggiore verso le sincopi cardiache rispetto a quelle da altra causa ed in particolare il cardiologo è stato investito di una specifica responsabilità nella gestione della diagnosi e del trattamento del paziente con sincope.
Nel 2001 la Task Force on Syncope della European Society of Cardiology (ESC) ha pubblicato le linee guida sulla diagnosi ed il trattamento della sincope.
Nel frattempo, i cardiologi hanno iniziato a discutere sulla proposta della nascita di un'area designata alla valutazione della sincope all'interno del dipartimento di emergenza o della divisione di cardiologia (Syncope Unit) e vari studi hanno poi dimostrato che la sua utilizzazione è in grado di migliorare la capacità diagnostica e di ridurre i ricoveri ospedalieri.
In Italia, è stata istituita nel 2002, dall'Associazione Italiana di Aritmologia e Cardiostimolazione (AIAC), la Task Force "Modello organizzativo di Syncope Unit" con lo scopo di definire un insieme di aspetti pratici della gestione del paziente con sincope che sia condiviso ed accettato dai cardiologi italiani. Nel 2001 Alboni e coll. hanno pubblicato uno studio prospettico effettuato su 341 pazienti consecutivi visitati per sincope in 5 centri cardiologici italiani.
Una forma riflessa o neuromediata è stata identificata nel 56% dei pazienti, una causa cardiaca (aritmica o meccanica) nel 23%, una causa ortostatica nel 2%, una causa neurologica nello 0,7% (2 pazienti con TIA, 1 paziente con epilessia), una causa psichiatrica nello 0,3%, mentre la sincope rimaneva senza una causa identificata nel 18% dei soggetti.
Ma è proprio vero che le sincopi neurologiche sono rare? Quando 123 pazienti con diagnosi di sincope indeterminata o inizialmente diagnosticata neuromediata sono stati ricontrollati dopo 2 anni, una nuova diagnosi è stata formulata in 17 di loro (14%).
Questi comprendevano 5 pazienti (4%) con epilessia.
Questo dimostra che un'apparente bassa incidenza delle sincopi neurologiche può essere dovuta ad un errore diagnostico.
Bisogna comunque riconoscere che in Italia, negli ultimi anni, il ruolo del neurologo nella gestione del paziente con sincope ha avuto un progressivo maggiore riconoscimento e prova ne siano i due Congressi Multidisciplinari sulla Sincope svoltisi nel 2003 e nel 2005 e organizzati da numerose società medico-scientifiche cardiologiche, neurologiche, internistiche e di emergenza (AIAC, AINV, FADOI, SIGG, SIMEU, SIMI, SIN, SNO).
In conclusione, le cause cardiache di sincope hanno la prognosi peggiore e quindi l'iter diagnostico vede giustamente al primo posto l'esame cardiologico e l'elettrocardiogramma di base seguiti, se necessario, da altri esami.
D'altra parte, la perdita di coscienza transitoria riconosce una causa neurologica in 1 paziente su 5 circa. Quindi, qualora vengano escluse cause di origine cardiaca, riteniamo che la consulenza neurologica vada sempre richiesta.
Da parte sua, il neurologo deve rivolgere al paziente con sincope una appropriata attenzione diagnostica e prendere in considerazione tutte le cause, comuni e meno comuni, avvalendosi dei numerosi esami ormai disponibili ed attendibili di esplorazione funzionale del sistema nervoso vegetativo. Una proposta operativa potrebbe essere quella di una Syncope Unit integrata che veda operare assieme il medico di medicina d'urgenza, il cardiologo e il neurologo.
ARRIVEDERCI A BARI A FINE OTTOBRE 2006, PER IL XXXVII CONGRESSO DELLA SIN………………………
0 commenti