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Report dalle sale congressuali

27 Nov 12

Di FRANCESCO BOLLORINO

Management dei disturbi del sonno in corso di malattie neurologiche
(Dinia, Pizzorno)

La terza giornata congressuale si è aperta con il corso di aggiornamento sui disturbi del sonno in corso di malattie neurologiche.
Il primo relatore è stato il Prof Bassetti (Zurigo) che ha discusso il problema dell'ipersonnia-insonnia nella patologia cerebro-vascolare. I fattori di "rischio" vascolare quali l'ipertensione , diabete , età avanzata e patologie cardiache sono altrettanto "rischiosi" per lo sviluppo di disturbi del sonno. Classicamente le lesioni in sede talamica (ictus del talamo paramediano) sono quelle più frequentemente correlate a fenomeni di ipersonnia con sequele di tipo neurocognitivo e una riduzione della consolidazione del sonno, confermata anche dai dati EEGgrafici. Poco studiati i casi di insonnia-ipersonnia legati a lesioni del caudato: sono descritti in fase acuta fenomeni di insonnia associati a delirio, seguiti, a distanza di circa una settimana da ipersonnia diurna (circa 12-16 h/die) che tende, nelle settimane successive, progressivamente a ridursi (circa 10-12 h/die). Le lesioni corticali possono produrre ipersonnia associata a turbe nelle prestazioni cognitive (mnesico-attentive).
La terapia prevede sia un trattamento farmacologico dell'insonnia (Zolpidem e Mirtazapina) e dell'ipersonnia (Modafinil, SSRI "attivanti), che un trattamento delle cause secondarie (es. correzione di problemi respiratori, di eventuali apnee ostruttive del sonno, esercizio e pranzi leggeri). Dalla discussione emerge la necessità di un monitoraggio dei disturbi del sonno nella fase acuta dell'ictus.
Il prof. Mutani (Torino) ha invece parlato della stretta correlazione epilessia-sonno. La complessità del rapporto fra epilessia e sonno deve essere ben tenuta presente al momento di impostare la strategia terapeutica nei confronti di un paziente con epilessia. Tale rapporto riguarda l'azione del sonno sull'epilessia, quella dell'epilessia sul sonno, la comorbidità fra epilessia ed apnee notturne e, infine, l'azione dei farmaci antiepilettici e della stimolazione vagale sul sonno.
Nei soggetti epilettici, infatti, è frequente la possibilità di alterazioni macro- e micro-strutturali del sonno e di un elevato indice di apnea, con conseguente potenziamento dell'attività epilettica, della sonnolenza e dei deficit cognitivi diurni. In questi casi appare pertanto opportuna la valutazione del paziente con la polisonnografia e la misurazione della sonnolenza diurna. Ogni sforzo deve essere fatto ai fini di eliminare ogni possibile e concomitante disturbo del sonno ed, in particolare, le OSA. La scelta dell'AED da utilizzare non può prescindere dagli effetti dell'AED stesso sul sonno, accanto agli ovvi criteri di efficacia e tollerabilità generale.
La preferenza andrà riservata agli AED privi di effetti intrinseci negativi nei confronti del sonno. Solo adottando tali misure sarà possibile ottenere un reale miglioramento della qualità di vita dei pazienti con epilessia. 
La terza relazione è stata tenuta dal prof. Ferrillo (Genova) che ha parlato dei disturbi del sonno nelle sindromi extrapiramidali. 
Farmaci che aumentano l'attività del sistema dopaminergico sono frequentemente usati nel trattamento del morbo di Parkinson, e potrebbero avere effetti significativi nell'induzione della veglia, nella riduzione del sonno Rem, sia direttamente, sia indirettamente attraverso l'aumento dell'epinefrina e la riduzione di serotonina, triptofano e tiroxina.
La frammentazione del sonno è il disturbo più consistente nel PD, con rilevante aumento della frequenza dei risvegli, della veglia intrasonno e della latenza del sonno. Sono anche comuni riduzioni drastiche degli stadi 3-4 e Rem, compensati da abnormi rappresentazioni del sonno.
Disturbi del sonno sono presenti, e spesso più frequenti e severi, in altre sindromi extrapiramidali come nella Atrofia multisistemica (MSA), in cui la presenza di comportamento motorio in sonno Rem (RBD) come segno precoce di una degenerazione è ancora più frequente che nel PD, ed in cui la riduzione del sonno 3-4 e Rem è prominente, specie nei pazienti affetti da sindrome di Shy-Drager. L'RBD consiste in comportamenti complessi insorgenti durante il sonno Rem, in assenza di atonia dei muscoli scheletrici, associati con l'attività mentale dei sogni. L'RBD riflette probabilmente disfunzioni nei circuiti del tronco encefalico ed in particolare del tegmento pontino dorso-laterale. L'RBD è presente in circa un terzo dei pazienti con PD e in oltre il 90% dei pazienti con MSA investigati polisonnograficamente. Nel 44% dei casi l'RBD precedeva più di un anno l'esordio clinico della MSA. La polisonnografia può differenziare fra pazienti con disautonomia pura e pazienti con disautonomia e MSA. Deficit ventilatori a carattere ostruttivo sono presenti in veglia in pazienti con PD causati per la maggior parte dal tono anormale dei muscoli delle alte vie respiratorie e dall'incoordinazione fra essi. 
Nel trattamento dell'insonnia e della frammentazione del sonno, di particolare importanza sono le regole d'igiene del sonno comprendenti l'accorciamento del tempo passato a letto, sia di giorno sia di notte, l'abolizione dei sonnellini diurni, buone condizioni di luce durante il giorno e di buio durante la notte per rafforzare i ritmi circadiani. L'RBD è facilmente trattabile con basse dosi di clonazepam. Infine si è trattato dell'eccessiva sonnolenza diurna (EDS) che affligge dal 20% al 50% dei pazienti con PD. L'EDS è associata sia con lo stato di avanzamento della malattia sia con alte dosi di Levodopa e in misura minore con l'uso di dopaminoagonisti. Un contributo particolarmente importante alla sonnolenza di questi pazienti può essere portato dalla frammentazione del sonno ed in particolare dalla sleep apnea, che viene riscontrata in circa il 20% dei pazienti.
L'aggiustamento terapeutico, fino al dosaggio più basso efficace dei DA-agonisti, ove possibile, può essere utile. La riduzione o la rischedulazione o la sospensione di farmaci ipnotici, antistaminici o stimolanti, sono le misure da tenere in considerazione prima di ricorrere a farmaci promuoventi la veglia come il Modafinil. In tutti i casi è importante informare il paziente sulla potenziale sonnolenza eccessiva derivante dai farmaci assunti e sul connesso rischio alla guida.
L'ultimo relatore, il prof. Ferini-Strambi (presidente dell'Associazione italiana di Medicina del Sonno – AISM), ha illustrato l'interessante argomento della patologia del sonno nelle demenze. I disturbi del sonno, di frequente riscontro nei pazienti affetti da demenza, possono avere un'origine multifattoriale. Il sonno dei soggetti dementi è caratterizzato da aumentata durata e frequenza dei risvegli notturni, diminuzione del sonno profondo non-REM, come pure del sonno REM. Se nel soggetto anziano sano già si osservano modificazioni a livello del nucleo ipotalamico soprachiasmatico e delle altre componenti del sistema che regola i ritmi circadiani, queste modificazioni sono ancor più marcate nel paziente demente.
Le caratteristiche del sonno di una buona parte dei pazienti dementi sono influenzate non solo dalla demenza per sé ma anche da fattori di comorbidità, quali depressione, sindrome delle apnee morfeiche ostruttive e mioclono notturno. I pazienti con demenza sono particolarmente suscettibili agli effetti collaterali e paradossi da farmaci psicotropi, a causa delle particolari alterazioni dei sistemi neurorecettoriali che caratterizzano la malattia e che si sommano alle alterazioni farmacocinetiche legate all'età. Per questo, occorre prendere in considerazione anche terapie non farmacologiche: restrizione di sonno", regolare attività fisica diurna fototerapia. Sicuramente queste terapie non farmacologiche avranno nei prossimi anni uno sviluppo sempre maggiore e contribuiranno ad una più facile gestione dei problemi del sonno nel paziente affetto da demenza. 

SNRI: dall'azione centrale allo spettro sistemico
A cura di S. Guida e W. Natta

Apre i lavori il prof. Biggio, farmacologo presso il Centro di Eccellenza di Neurobiologia delle Dipendenze dell'Università di Cagliari e presidente della Società Italiana di Farmacologia, con un intervento su "Psicopatologia, trofismo neuronale e farmaci antidepressivi a doppia azione". Inizia la relazione facendo riferimento al contributo dei sistemi neurotrasmettitoriali serotoninergico e noradrenergico alla genesi dei sintomi depressivi, sottolineando, però, come questi due sistemi, più che indipendentemente, vadano considerati come connessi a più livelli. Da questa considerazione deriva l'interesse per la molecola duloxetina, che sembra avere un effetto più bilanciato sui due sistemi rispetto agli altri antidepressivi sinora disponibili. La seconda parte della relazione è incentrata sul concetto della plasticità neuronale e sul ruolo dei fattori neurotrofici come il BDNF nel determinare gli effetti clinici degli antidepressivi. Il miglioramento dei quadri depressivi sembra essere associato ad un rimodellamento neuronale favorito sia dai farmaci che da influenze ambientali e psicosociali positive. Dal momento che questi fenomeni sono reversibili, si pone il problema della durata del trattamento farmacologico onde prevenire recidive che si sono rivelate particolarmente lesive sulle strutture cerebrali coinvolte. Il crescente interesse in questo campo è legato anche alla consapevolezza ormai acquisita delle possibilità di crescita e sviluppo di nuovi circuiti neuronali anche nel cervello adulto.
Segue l'intervento del prof. Torta, del reparto di Neuroscienze ed Oncologia dell'Università di Torino, nel quale vengono inizialmente riassunti i principali cluster sintomatologici della depressione. Si sottolinea l'importanza dei sintomi somatici, spesso responsabili di una sottodiagnosi della depressione da parte dei medici di base. La depressione può essere meglio compresa come malattia sistemica, che interessa oltre a diversi sistemi neurotrasmettitoriali, anche il sistema nervoso autonomo, l'asse ipotalamo – ipofisi – surrene, il sistema immunitario e la coagulazione. Alterazioni in tutti questi sistemi sono responsabili dell'aumentata mortalità nei casi di comorbidità tra depressione e altre patologie. Il relatore prosegue illustrando come i farmaci antidepressivi agiscano in maniera diretta sui sintomi somatici, perché riducono l'espressione genica dei recettori per i mineralcorticoidi, riducono l'aggregazione piastrinica e aumentano gli oppioidi endogeni. La relazione si conclude con un riferimento ai potenziali vantaggi dell'introduzione della duloxetina nella terapia della depressione, in quanto questa molecola agisce in maniera efficace sia sulla trasmissione serotoninergica che noradrenergica a dosaggi più bassi rispetto alla venlafaxina. Con quest'ultimo farmaco condivide i vantaggi rispetto agli altri antidepressivi per i minori effetti sulla sfera sessuale e sull'incremento ponderale.
Conclude il simposio il prof. Paolucci dell'IRCSS S. Lucia di Roma, con un intervento su "Revisione della letteratura sui farmaci a doppia azione in neurologia". Vengono riassunti gli impieghi in neurologia dei farmaci antidepressivi: depressione in comorbidità, cefalea, dolore neuropatico e tremore. Il relatore analizza poi la terapia della depressione postictale, che ha una frequenza media del 35%. La maggior parte degli studi indicano che si tratta di una depressione minore e che i medici tendono a sottotrattare queste forme depressive per timore di effetti collaterali (trattandosi spesso di pazienti anziani con politerapie) e per una sottovalutazione dei sintomi depressivi rispetto a quelli neurologici. Riguardo al rischio di emorragie postictali, si è visto che gli SSRI non aumentano il rischio, mentre gli SNRI sembrano avere addirittura un effetto protettivo. Il relatore precisa, comunque, che gli studi sulla depressione postictale sono pochi e presentano diversi difetti. Si è visto che la fluoxetina può favorire il recupero funzionale in seguito a ictus indipendentemente dal suo effetto antidepressivo. Passando in rassegna le altre patologie neurologiche in cui sono stati studiati gli antidepressivi, il relatore conferma quanto affermato dagli altri relatori sui vantaggi degli SNRI (venlafaxina e duloxetina) rispetto agli altri farmaci antidepressivi, pur sottolineando la necessità di ulteriori studi in questo campo.

Simposio: Membrana assonale e fisiopatologia del nervo periferico

(a cura di A. Repetto)

Il simposio si è aperto con la relazione del prof. F. Benfenati (Genova) che ha trattato le nuove acquisizioni sulla fisiologia dell'assone e della membrana assonale.
I neuroni sono cellule estremamente polarizzate che presentano una regione per la ricezione degli input (dendriti e soma), una per l'integrazione spazio-temporale di tali informazioni (segmento iniziale dell'assone), una per la trasmissione rapida delle informazioni sotto forma di potenziale d'azione (assone) ed una per l'invio delle informazioni ad altri neuroni od a cellule effettrici (terminazione nervosa) mediante il rilascio esocitotico di neurotrasmettitore. Sono stati discussi i nuovi aspetti della neurofisiologia dell'assone ed in particolare: il citoscheletro dell'assone, che è alla base sia della sua struttura sia della sua funzione, con particolare riferimento alla navigazione del cono di crescita assonico ed al traffico bidirezionale di organelli e proteine lungo l'assone (processi di trasporto assonico veloce e lento); il ruolo e la composizione della mielina centrale e periferica, le cellule gliali deputate alla sua deposizione, la struttura molecolare dei nodi di Ranvier e dei tratti internodali e le proteine Nogo, Mag, Omgp ed il loro recettore p75NTR che inibiscono la rigenerazione assonica; gli aspetti molecolari del processo di rilascio di neurotrasmettitore con le principali proteine identificate ed i bersagli presinaptici delle tossine tetanica e botuliniche. Nell'insieme, l'avanzamento delle conoscenze sulla funzione dell'assone, e delle sue terminazioni hanno identificato numerosi bersagli per interventi terapeutici atti a promuovere la rigenerazione degli assoni o a correggere disfunzioni neuromuscolari.
In seguito il prof. D. De Grandis (Rovigo) ha presentato le patologie "funzionali" del nervo periferico. Numerose osservazioni cliniche documentano casi singoli o gruppi di pazienti con sintomatologia a carico del sistema nervoso periferico che non presentano franchi segni di danno parenchimale (assonale o mielinico) a carico del nervo periferico. In altri casi i segni di coinvolgimento sono minimi in presenza di un'importante sintomatologia soggettiva ed obiettiva. In genere, questi soggetti presentano per lo più segni "positivi", quali dolori, parestesie, fascicolazioni e crampi e raramente perdita di forza o ipoestesie. In molti di questi casi dopo molti anni si mettono più facilmente in evidenza alterazioni all'EMG, per lo più di tipo assonale a distribuzione disomogenea.
Queste osservazioni sono indicative di un gruppo di neuropatie non strutturali caratterizzate da una prevalente alterazione di tipo funzionale della membrana assonale, che può occasionalmente associarsi ad altre forme congenite od acquisite di neuropatie, o residuare dopo forme acute come la poliradiculoneurite di Guillame-Barré. In altri casi, manifestazioni funzionali a carico della membrana devono essere prese in considerazione per spiegare manifestazioni cliniche con rapidi cambiamenti, non altrimenti riconducibili ad una demielinizzazione o una degenerazione assonale.
La sindrome fascicolazioni e crampi rappresenta la forma più frequente di patologia con queste caratteristiche e può risultare idiopatica o esser esito di una pregressa neuropatia acuta. Un altro esempio, quasi sperimentale, di queste patologie, è la stenosi del canale, nella quale la sintomatologia fluttuante può per anni essere l'unico elemento clinico. La claudicatio viene in genere considerata una perdita transitoria di forza, in realtà spesso risulta associata ad un'ipereccitabilità assonale presente frequentemente anche nelle fasi intercritiche. Poi il prof. A. Uncini (Chieti) ha illustrato la neuropatia assonale e l'assonopatia funzionale motoria nella sindrome di Guillan-Barrè.
È universalmente accettata l'esistenza di una variante di sindrome di Guillain-Barré caratterizzata da una neuropatia acuta assonale motoria (AMAN), frequente in Cina e Giappone ed associata ad anticorpi antiganglioside.
Negli ultimi anni sono stati descritti alcuni casi di neuropatia ad insorgenza acuta, coinvolgimento esclusivo delle fibre motorie, blocchi di conduzione ed anticorpi anti-GM1 e/o anti-GD1a. Questi pazienti recuperano rapidamente ed i blocchi di conduzione si risolvono senza che si sviluppi dispersione temporale (il correlato neurofisiologico della de-remielinizzazione). È ipotizzabile che il blocco della conduzione nervosa non sia imputabile a demielinizzazione ma ad un blocco funzionale immunomediato e reversibile dei canali ionici presenti nel nodo di Ranvier. La neuropatia acuta motoria assonale e la neuropatia acuta motoria con blocchi di conduzione potrebbero rappresentare due stati di gravità dello stesso processo immunomediato.
La sindrome di Guillain-Barré (GBS) è attualmente classificata in base ai risultati degli studi clinici, elettrofisiologici ed anatomopatologici in differenti varianti.
La neuropatia motoria assonale (AMAN) è una variante di GBS frequente in Cina (65% dei casi) e Giappone e più rara in Europa (3-7% dei casi). Dal punto di vista clinico l'AMAN ha distribuzione prevalentemente distale. Se il deficit di forza non è grave, i riflessi tendinei possono essere conservati od addirittura vivaci. Le indagini elettrofisiologiche evidenziano potenziali motori composti di bassa ampiezza o non registrabili mentre le velocità di conduzione sensitive sono nella norma lungo tutto il decorso del nervo. Nell'AMAN l'antecedente infettivo più frequente è il Campylobacter jejuni. 
Il 40-50% dei pazienti hanno anticorpi IgG anti-GM1 e il 24-60% IgG anti-GD1a. Dal punto di vista neuropatologico è stato dimostrato un danno assonale primitivo mediato da anticorpi, complemento e macrofagi a livello dell'assolemma del nodo di Ranvier.
Recentemente sono stati descritti sei casi di neuropatia esclusivamente motoria con blocchi di conduzione parziali e velocità di conduzione sensitiva nella norma, anche nei segmenti a cavallo del blocco di conduzione motoria. Come nell' AMAN i riflessi tendinei sono conservati o vivaci. 
In quattro pazienti era documentabile un'infezione recente da C. jejuni ed un elevato titolo di anticorpi IgG anti-GM1 e anti-GD1a. La peculiarità di questi casi è che il blocco di conduzione motorio migliora e scompare in poche settimane in parallelo con l'andamento clinico a seguito di terapia con plamaferesi o immunoglobuline ad alte dosi. Studi seriali della conduzione nervosa hanno evidenziato che il blocco di si riduce e scompare senza che si sviluppi eccessiva dispersione temporale (il correlato elettrofisiologico delle remielinizzazione post-demielinizzazione).
È ipotizzabile che il blocco della conduzione nervosa non sia imputabile a demielinizzazione ma ad un blocco funzionale immunomediato e reversibile dei canali ionici esposti sull'asso- Il prof. G. Lauria (Milano) ha ricordato la semiologia e la clinica delle neuropatie periferiche.
I disturbi sensitivi rappresentano spesso l'esordio delle neuropatie periferiche e possono caratterizzare il quadro clinico. L'anamnesi focalizzata sull'evoluzione temporale e spaziale dei sintomi sensitivi è fondamentale per l'inquadramento diagnostico orientato alla localizzazione della patologia. Infine il prof. A. Schenone (Genova) ha trattato la crescita e il trofismo dell'assone, i quali dipendono dall'integrità anatomica e molecolare del neurone e dal reciproco scambio di informazioni fra l'assone stesso e la cellula di Schwann. La sofferenza assonale nelle neuropatie periferiche può quindi essere dovuta ad un meccanismo di danno tossico-metabolico dell'assone o della cellula nervosa, a traumi diretti dell'assone, a difetti del trasporto assonale o essere secondaria ad una primitiva patologia della cellula di Schwann, come si verifica nelle neuropatie demielinizzanti.
I meccanismi ritenuti più importanti nel mediare il danno dell'assone sono la disorganizzazione dei canali ionici, la liberazione di glutammato e la produzione di ossido nitrico, la carenza di fattori neurotrofici, l'alterazione del trasporto assonale, la sofferenza mitocondriale, l'azione tossica diretta di citochine proinfiammatorie e l'alterata espressione di proteine che mediano i rapporti glia-assone. Molte molecole sono pertanto potenzialmente efficaci nel trattamento o nella prevenzione del danno assonale. Fra queste vanno ricordate i fattori neurotrofici [nerve growth factor (NGF), neurotrophin-3 (NT-3), ciliary neurotrophic factor (CNTF)], alcuni farmaci antiepilettici (gabapentin, lamotrigina, topiramato), gli antagonisti dei canali del Na (ralfinamide) e dei canali del Ca, gli antiossidanti (acido ?-lipoico, vitamina C), e infine alcune molecole con meccanismi di azione complessi (eritropoietina, L-acetyl carnitina).

Report: La neuroprotezione nella Sclerosi Multipla.

Il simposio del pomeriggio è stato moderato dai prof Comi e Bernardi. Il primo intervento, in lingua inglese, è stato a cura dellaprof M. Schwartz che ha riferito dati di studi compiuti dal suo gruppo di ricerca per indagare l'attività protettiva sul SNC svolta dal processo di autoimmunità. Secondo quanto riportato l'autoimmunità sembrerebbe agire anche come meccanismo di difesa del sistema immunitario verso il tessuto neuronale. E' stato dimostrato che sia i linfociti Th1 che Th2 , attraverso le loro citochine, possono attivare la microglia a captare il glutammato, proteggendo così il tessuto nervoso e supportando sia l'oligodendrogenesi che la neurogenesi. Ad esempio è stato visto che i Th1 possono rimuovere il gluttammanto e che i Th2 promuovono la produzione del fattore IGF1. Sembra quindi da preferire una corretta immunomodulazione della risposta Th1, piuttosto che una completa soppressione di tale risposta al fine di garantire un miglior recupero della funzione della rete neuronale.
Nel secondo intervento dal titolo "fattori trofici e Sclerosi Multipla" è intervenuto il prof M. Solvetti che ha illustrato l'importanza del ruolo svolto dalle neurotrofine nel processo di patogenesi dell'SM e le possibili ricadute terapeutiche che queste evidenze avranno. È ormai chiaro come la patogenesi della sclerosi multipla abbia una doppia componente: quella infiammatoria/demielinizzante e quella neurodegenerativa/assonale. È importante osservare come queste due componenti, siano strettamente interconnesse a livello meccanicistico nello sviluppo del danno del sistema nervoso centrale (SNC). È, infatti, sempre più evidente come le lesioni demielinizzante e assonale coesistano e coinvolgano multipli tipi cellulari del SNC e del sistema immunitario. Comprendere la regolazione a livello molecolare di questo complesso ed eterogeneo network di cellule appare importante per la comprensione della patogenesi della SM. Le neurotrofine sono importanti nella differenziazione, migrazione, proliferazione e attivazione delle cellule del SNC ma anche di quelle del sistema immunitario. Potrebbero quindi avere un ruolo nella patogenesi della SM oltre a possedere un potenziale terapeutico più o meno diretto.
Il terzo intervento dal titolo "alterazioni sinaptiche nella Sclerosi Multipla Sperimentale" è stato tenuto dal prof D. Centonze. Dalla relazione è emerso che i rimaneggiamenti del funzionamento sinaptico costituiscono un precoce ed importante correlato del danno neuronale di tipo degenerativo, in grado, ad esempio, di instaurare fenomeni di eccitotossicità lenta e morte apoptotica. Benché alcuni dati sperimentali indicano che anche in corso di sclerosi multipla possa verificarsi una precoce alterazione della trasmissione sinaptica, ad oggi nessuno studio è stato diretto alla dimostrazione, a livello di singole sinapsi, di fenomeni di neuroplasticità associati al danno immunomediato demielinizzante del SNC. Lo studio condotto da questo gruppo, pertanto, ha voluto colmare tale lacuna valutando, mediante registrazioni elettrofisiologiche da singoli neuroni, il funzionamento della trasmissione sinaptica eccitatoria ed inibitoria in un accreditato modello animale di sclerosi multipla: il topo con encefalite allergica sperimentale (EAE). Le registrazioni hanno evidenziato un'abnorme sensibilità neuronale alla stimolazione dei recettori NMDA nei topi EAE, in cui la frequenza delle correnti spontanee glutammato-mediate e l'ampiezza dei potenziali postsinaptici eccitatori si sono rivelate essere significativamente ridotte in presenza di antagonisti dei recettori NMDA. Al contrario, nei topi di controllo la riduzione è stata minima e non statisticamente significativa.
La stimolazione ad elevata frequenza delle terminazioni glutammatergiche corticostriatali, ha determinato nello striato di topi di controllo una depressione a lungo termine (LTD) dell'efficacia sinaptica. Tale forma fisiologica di plasticità sinaptica era assente nei topi EAE, e poteva essere ripristinata unicamente in seguito al blocco farmacologico dei recettori NMDA. Lo studio della trasmissione sinaptica inibitoria ha rivelato una drammatica riduzione della frequenza media delle correnti spontanee post-sinaptiche GABA-mediate nei topi con EAE, modificazione che si manifesta molto precocemente e si mantiene almeno fino a 90 giorni dopo l'immunizzazione. In conclusione, questo evidenzia la presenza di specifiche alterazioni della funzionalità delle sinapsi glutammatergiche e GABAergiche nel SNC di topi con SM sperimentale. Ancora non è chiaro in che rapporto tali alterazioni siano con la abnorme risposta immunitaria che è alla base della SM, ma forniscono importanti informazioni per lo sviluppo di strategie neuroprotettive in tale grave condizione patologica.
L'ultimo intervento è stato tenuto dal prof G. Martino che ha parlato del futuro della terapia cellulare nella SM. 

Simposio: "Insonnia e Dopamina"
(a cura di M. Ossola)

Primo relatore di questo simposio, L. Pani (Cagliari) ha presentato il disturbo insonnia all'interno delle malattie psichiatriche. L'attenzione è stata posta in particolare alla schizofrenia, patologia nella cui fisiopatologia i sistemi dopaminergici rivestono un ruolo di primo piano. Nell'ambito della schizofrenia, si osserva una generale riduzione della qualità e della durata del sonno, mentre i dati sul sonno REM sono più controversi.
Anomalie del sonno sono già presenti nel bambino che svilupperà schizofrenia, il quale può manifestare anomalie come cicli sonno-veglia invertiti. La schizofrenia è un disturbo prevalentemente in stato di negatività, correlabile con un'ipofunzione corticale prefrontale e del sistema dopaminergico mesocorticale, su cui si inseriscono picchi di iperfunzionamento sottocorticale (gangli della base) che portano alle manifestazioni psicotiche (deliri, allucinazioni ecc�).
Nella schizofrenia la malattia di base è corticale, ed è dunque questa che bisogna trattare, recuperando la sua funzione di "inibitore" nei confronti dei sistemi dopaminergici sottocorticali. Le alterazioni del sonno nella schizofrenia sono state, in diversi studi, inversamente correlate alla severità dei sintomi negativi: sembra che sia necessario un adeguato rilascio di dopamina dalla corteccia cerebrale per mantenere un' adeguata strutturazione del sonno, in particolare quello REM. L'alterato release di dopamina corticale potrebbe dunque rivestire un ruolo centrale nell'instaurarsi dell'insonnia associata alla schizofrenia. I farmaci che agiscono su questo sistema neurotrasmettitoriale potrebbero dunque avere un'indicazione nel trattamento dei disturbi del sonno, intendendo con questo in particolare gli antipsicotici atipici, il cui utilizzo nella schizofrenia non è attualmente così diffuso. Gli antipsicotici classici sono caratterizzati da un'alta affinità per i recettori dopaminergici D2 e da un'azione preferenziale sul sistema dopaminergico mesolimbico.
Al contrario, gli antipsicotici atipici sono contraddistinti da un ampio spettro d'azione recettoriale che comprende il blocco di recettori serotoninergici, ?2-adrenergici, istaminergici e da un debole blocco dei recettori dopaminergici D2 insieme con una azione preferenziale nel favorire il rilascio di dopamina nelle aree corticali rispetto ai nuclei sottocorticali. Queste molecole hanno un'ampia variabilità di profilo recettoriale, meccanismi di trasduzione del segnale, effetti collaterali, pur essendo inseriti in un'unica categoria. L'aloperidolo, il più utilizzato, in realtà ha una scadente influenza sul rilascio di dopamina e noradrenalina dalla corteccia, quindi scarsa influenza sull'insonnia schizofrenica. La clozapina è invece molto attivante sulla corteccia nell'aumentare il rilease di dopamina e noradrenalina, ed ha uno straordinario effetto sui disturbi del sonno; i sintomi migliorano già dopo la prima notte di trattamento.
Ha il solo svantaggio di essere poco maneggevole in termini di effetti collaterali (ad esempio la scialorrea), che non sono dose-relati. Quetiapina, risperidone, olanzapina e la nuova molecola ziprasidone hanno tutti un profilo simile alla clozapina in quanto ad effetto sulle funzioni corticali. Gli antidepressivi SSRI peggiorano invece la qualità del sonno; se danno qualche miglioramento, esso è indiretto e solo iniziale, dovuto principalmente al miglioramento dello stato di salute generale. La sertralina invece ha un'effetto di normalizzazione del sonno profondo e un miglioramento del riposo. Di scarsa utilità sull'insonnia nella schizofrenia sono le benzodiazepine, che pure sono i migliori farmaci in acuto. In conclusione gli antipsicotici atipici potrebbero avere delle indicazioni nel trattamento dei disturbi del sonno, mentre gli SSRI non dovrebbero essere utilizzati.
L'aspetto clinico dell'insonnia è stato discusso da L. Ferini-Strambi, nell'ambito di alcuni disordini del movimento nel cui meccanismo fisiopatogenetico, più o meno chiarito, è coinvolta la dopamina: la Malattia di Parkinson (MP), la Sindrome delle gambe senza Riposo (RLS), la periodic limb movements during sleep (PLMS) o mioclono notturno. Le evidenze farmacologiche suggeriscono un ruolo chiave del sistema dopaminergico nella patogenesi di questi disturbi che sono spesso causa di insonnia.
Nella MP i disturbi del sonno sono molto comuni e dovrebbero rappresentare un ambito importante da indagare con accuratezza durante la raccolta dell'anamnesi. Proprio James Parkinson, nel 1817, scriveva: "nei pazienti è possibile osservare durante il sonno il tremore che può aumentare fino a risvegliarli". Molti fattori sono stati individuati negli studi clinici come potenziali favorenti i disturbi del sonno nei pazienti con MP: l'età, l'evoluzione neurochimica della malattia che favorisce la frammentazione del sonno, la bradicinesia e la rigidità (acinesia notturna), i frequenti risvegli favoriti da attività motorie anomale durante il sonno come il mioclono notturno o il tremore (che può riapparire nelle fasi di sonno leggero non-REM), i disturbi respiratori del sonno. Di ancora maggior rilievo i disturbi del comportamento in sonno REM (RBD), la depressione e l'effetto del trattamento dopaminergico. 
La levodopa e gli agonisti dopaminergici possono avere effetti diversi sul sonno nella MP, che in parte sembrano dipendere dalla dose: a basse dosi possono promuovere il sonno, riducendo la rigidità e/o il tremore, mentre ad alte dosi possono determinare difficoltà di addormentamento e frammentazione del sonno. Ci sono, d'altra parte, dati che indicano al contrario un miglioramento dei parametri di mantenimento del sonno con l'incremento di dose di levodopa. Questa apparente discrepanza potrebbe essere spiegata in termini di differenze nella gravità della MP: pazienti con malattia in fase più avanzata traggono beneficio dalla riduzione del tremore o della rigidità, mentre quelli con malattia più lieve possono percepire maggiormente gli effetti collaterali come la frammentazione del sonno correlata al trattamento dopaminergico.
La terapia dopaminergica presenta dunque vantaggi in quanto permette di migliorare la bradicinesia e l'acinesia notturna, normalizzare l'attività muscolare con una riduzione della rigidità mattutina; ma ad essa sono associati degli effetti collaterali che possono interferire proprio con il sonno, come lo sviluppo di sogni vividi e incubi, RBD (REM sleep behavior disorder), la comparsa di mioclono notturno e PMLS (osservati dopo trattamento a lungo termine con levodopa e bromocriptina), i colpi di sonno. Gli RBD sono manifestazioni di agitazione motoria, con vocalizzazione e movimenti anche violenti nel sonno, che si verificano in sonno REM. Questi disturbi possono anche precedere l'esordio della MP ed essere un fattore di rischio per lo stesso sviluppo della malattia. 
I pazienti con MP presentano 3 diversi "fenotipi" di fluttuazioni motorie in relazioni al sonno: "morning-better", "morning-worse", "no circadian variations". Si verifica un fenomeno chiamato "sleep-benefit", caratterizzato da un miglioramento della sintomatologia dopo il sonno, che è presente nel 30% dei pazienti "morning-type". Tale fenomeno potrebbe essere spiegato da un effetto positivo del sonno sui livelli di dopamina intracerebrale, tuttavia sappiamo che esiste un peggioramento del quadro motorio dopo la prima dose mattutina di levodopa e che il metabolismo cerebrale è ridotto al risveglio. 
La RLS è un disturbo sconosciuto e ampiamente sottodiagnosticato. E' caratterizzata da un desiderio di muovere le gambe associato a parestesie/distestesie, il soggetto muovendosi ha una completa risoluzione dei sintomi, il disturbo peggiora con il riposo e i sintomi peggiorano solo alla sera/notte. I pazienti non dormono sia per un'aumentata latenza del sonno (i sintomi si manifestano all'addormentamento), sia i PMLS che possono favorire la frammentazione del sonno. I PMLS (o mioclono notturno) non sono necessariamente associati alla RLS, ma vi è frequentemente associato. Si tratta di movimenti ritmici e stereotipati di estensione dell'alluce e flessione dorsale del piede, talora accompagnati da flessione della gamba e della coscia durante il sonno. Entrambi i disturbi beneficiano del trattamento con i dopamino agonisti. Da notare che i PMLS in soggetti non trattati migliorano spontaneamente al mattino, quando si verifica naturalmente un incremento dei livelli di dopamina. Il mioclono notturno aumenta in frequenza con l'aumentare dell'età, e compare nella popolazione spesso come disturbo isolato. Assume rilevanza quando è associato alla MP: in questi casi il miglioramento mattutino non si osserva, probabilmente perché il metabolismo della dopamina risulta alterato e non segue il fisiologico ritmo circadiano. 
Tra le soluzioni terapeutiche: il clonazepam, che migliora il sonno pur non avendo su di esso una azione diretta; il pramipexolo, il cui beneficio è apprezzabile già dopo una notte di trattamento; la cabergolina, il cui beneficio, avendo un'emivita più lunga, si apprezza solo dopo qualche giorno ma è altrettanto evidente. Altri farmaci, come gli antidepressivi SSRI, possono invece peggiorare sia i RLS che i PMLS. Alcuni utilizzano con efficacia, anche se senza evidenza clinica confermata, i neurolettici atipici a basse dosi. 

Il monitoraggio con doppler trancranico nella patologia cerebrovascolare acuta.
(Moderatori: C. Messina- M. Del Sette)
(L. Dinia-M. Pizzorno, con la collaborazione del Dott. Del Sette-Genova)

Il simposio nasce dalla collaborazione tra la Società Italiana di Neurologia (SIN) e la Società Italiana di Neurosonologia ed Emodinamica Cerebrale (SINSEC). 
Infatti da quest'anno la SINSEC è stata accolta quale Associazione Autonoma Aderente alla SIN. 
L'oggetto del simposio è stato l'uso degli ultrasuoni nel monitoraggio della malattia cerebrovascolare. Il dott. Limoni (NCH Parma) ha introdotto la riunione con una breve storia della SINSEC che nasce nel 1999, derivando dalla SINS. Attualmente la SINSEC è coinvolta nell'organizzazione di corsi e tutorial di neurosonologia di cui il principale a sede ogni anno a Bertinoro (FC).
La SINSEC (www.sinsec.org) ha recentemente acquisito i diritti d'autore del CD interattivo di apprendimento del Doppler TC creato da Aaslid, l'inventore del Doppler TC: tale CD verrà distribuito gratuitamente a chi ne farà richiesta al dott. Limoni.
Il prof. Silvestrini (Ancona) ha riassunto le principali indicazioni del Doppler TC nel monitoraggio dell'emodinamica cerebrale, soffermandosi in particolare sul test di reattività cerebrovascolare, utile anche quale marker predittivo di rischio di eventi ischemici in soggetti con occlusione della carotide. 
Le indicazione validate del doppler transcranico da parte del Report of the Therapeutics and Technology Assessment of the American Academy of Neurology (Neurology 2004: Special Article) sono di utilità dimostrata in: o Valutazione del rischio di ictus in bambini (2-6 anni) con anemia a cellule falciformi o Diagnosi e monitoraggio del vasospasmo post ESA spontanea.
Indicazioni dove il transcranico deve essere integrato con esami diagnostici di supporto: 
o Diagnosi di steno-occlusione intracranica
o Arresto del circolo cerebrale (diagnosi di morte cerebrale)
o Shunt cardiaco destro-sinistro
o Stenosi carotidee extracraniche.
Il dott. Micieli (Pavia) ha criticamente discusso la importanza del monitoraggio di più parametri vitali (PA, Fc , Sat. O2, TA) nel condizionare l'assistenza e quindi la prognosi del paziente ricoverato in Stroke Unit. Vi è ampio dibattito nella letteratura internazionale sulla reale importanza di tali indicatori e pochi sono gli studi randomizzati in grado di rispondere a tale quesito. Sono stati presentati i dati di uno studio randomizzato (Sulter G et al, Stroke 2003) e di uno studio italiano quasi randomizzato (Cavallini A et al, Stroke 2003), dove vi è una certa evidenza di efficacia del monitoraggio rispetto alla degenza in letti non monitorati.
Il Dott. Toni (Roma) ha riassunto le principali indicazioni del monitoraggio con US in emergenza-urgenza:
" Diagnosi di dissecazione/occlusione ACI 
" Classificazione dei sottotipi 
" Diagnosi e monitoraggio di occlusione e ricanalizzazione della ACM
" Monitoraggio dei M.E.S.
" Studio della perfusione cerebrale
" Sonotrombolisi
ed ha concluso sottolineando che, pur non essendovi evidenze dell'utilità di un servizio di neurosonologia in emergenza, l'utilizzo di tecniche ultrasonografiche in urgenza consente di arrivare a diagnosi più precoci e di condizionare terapie più mirate.
Ha inoltre illustrato lo studio STACI (Surgical Treatment of Acute Cerebral Ischemia-TEA in fase acuta dell'ictus da stenosi carotidea entro 8 ore), ancora in corso.
Particolarmente promettente, inoltre, e di recente introduzione, è l'uso degli ultrasuoni ad alte energie come potenziatori dell'azione del trombolitico e.v.
Il dott. Orlandi (Pisa) ha presentato i dati personali sul monitoraggio con DTC durante stent ed endoarterectomia carotidea dimostrando come il rilievo di microemboli nella fase della dissezione carotidea durante TEA è predittivo di eventi clinici sfavorevoli e come la associazione di segnali microembolici (MES) con basse velocità sulla cerebrale media possa essere la base patogenetica per ictus da compromessa "clearance" di emboli. 
Durante stenting carotideo invece, la presenza di MES è legata soprattutto al tipo di procedura e all'uso del filtro. Non vi sono comunque correlazioni convincenti tra il numero di MES e la presenza di lesioni subcliniche alla RM in diffusione.
Il dott. Limoni ha concluso il simposio illustrando l'uso del DTC in corso di emorragia subaracnoidea. E' possibile valutare il vasospasmo in base ai valori di velocità di flusso ed all'indice di Lindergaard 
Ha poi riassunto le caratteristiche dell' Autoregolazione Cerebrale (la capacità del sistema cerebro-vascolare di mantenere costante il flusso cerebrale durante le variazioni della pressione arteriosa) e di come una perdita di questa in fase acuta di un'ESA è predittiva di un esito sfavorevole ed è un indice di vasospasmo:
o Alterazione Autoregolazione nella fase acuta(1-6gg): è predittiva di risultato sfavorevole
o Alterazione Autoregolazione nella fase tardiva: non è predittiva
o Alterazione Autoregolazione si associa a vasospasmo e bassa pressione di perfusione cerebrale.
Ha quindi concluso che la misurazione velocità del flusso da sola non è sufficiente perché una sua alterazione può dipendere da vari fattori (idrocefalo, alterazione idro-elettrolitica, ipovolemia, ipervolemia, febbre, ipossia, crisi epilettiche) ma va sempre integrata con l'Indice di Lindegaard ( dd. iperafflusso/ vasospasmo). Quindi, studiare l'autoregolazione significa capire il vasospasmo ed utilizzare al meglio il Doppler TC.

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