Sessione plenaria
Salute mentale di comunita'
Intervento precoce per i disturbi mentali nella comunita': barriere ed opportunita'
(M. Birchwood)
La prevenzione delle patologie psichiatriche e' un tema molto attuale, su cui e' di fondamentale importanza concentrare sempre piu' risorse ed investimenti.
La fascia d'eta' alla quale dedicare i maggiori programmi di prevenzione e' certamente quella tra i 12 ed i 25 anni, poiche' numerosissimi studi evidenziano che sia proprio l'adolescenza il momento in cui esordiscono la maggior parte dei disturbi mentali . La struttura dei servizi di salute mentale, in Gran Bretagna ma non solo, non si presta ad interventi di prevenzione poiche' non e' pensata per questa fascia di eta': la suddivisione tra minori di 16 anni, destinati a strutture per l'infanzia, e maggiori di 16 anni, destinati a strutture per adulti, oltre a non garantire la continuita' delle cure, di fatto impedisce anche lo sviluppo di programmi di prevenzione che seguano il giovane adolescente fino all'eta' adulta. Inoltre, gli adolescenti ed i giovani in generale si sentono profondamente a disagio nei centri di salute mentale pensati per adulti, ed e' ovvio che anche il setting sia importante per ottenere l'adesione alle cure. Per questi motivi a Birmingham si sta sviluppando un servizio di salute mentale integrato per ragazzi tra i 12 ed i 25 anni, con spazi appositamente concepiti per tale fascia d'eta'.
Per fare prevenzione di patologie mentali e' molto importante anche intervenire sulle diseguaglianze sociali, e questo puo' essere fatto solo con interventi politici destinati ad ampie fasce della popolazione; interventi piu' mirati, dedicati a gruppi piu' specifici vanno invece dedicati a quei soggetti riconosciuti piu' a rischio. L'impatto delle disparita' sociali nello sviluppo di psicopatologie viene evidenziato da diversi studi, citiamo per esempio il lavoro di Michael Marmot.
A Birmingham, che e' la seconda citta' della Gran Bretagna per numero di abitanti, e' stato osservato che nelle zone abitate da persone con maggiori difficolta' socioeconomiche l'aspettativa di vita e' inferiore e l'incidenza di schizofrenia e' fino a 5 volte piu' elevata, se paragonata all'incidenza rilevabile nelle zone piu' ricche della citta'. L'incidenza di patologie mentali e' ancora piu' aumentata in popolazioni di immigrati che soffrono ed hanno sofferto di maggiori stress psicosociali (disgregazione della struttura famigliare e frammentazione della comunita' di origine correlati all'immigrazione). Da uno studio condotto su neri caraibici immigrati a Birmingham, e' emerso che l'incidenza della schizofrenia in tale popolazione era aumentata da sei a nove volte, mentre in coloro che risiedono ai caraibi non si sono mai registrate incidenze cosi' elevate.
Il ruolo delle diseguaglianze sociali inizia a farsi sentire gia' in eta' molto precoci, come evidenziato da studi sulla salute mentale e lo sviluppo sociale di bambini di 5 anni che dimostrano che i bambini piu' poveri sono quelli piu' in difficolta', soprattutto se i genitori ed il nucleo sociale a cui appartengono non compensa almeno in parte le diseguaglianze.
Un' ulteriore evidenza del fatto che chi soffre di esclusione sociale sia a piu' alto rischio di malattia mentale deriva da uno studio condotto su ragazzi tra i 16 ed i 20 anni che hanno abbandonato la scuola e non cercano un lavoro (NEET, cioe' Not in Education, Employment or Training). I ragazzi NEET rappresentano il 5-6% dei giovani in Gran Bretagna ed il loro numero e' in continuo aumento; in questi ragazzi e' stato osservato che il rischio di sviluppare patologia mentale e' considerevolmente aumentato, per esempio il rischio di sviluppare disturbi depressivi e' triplicato ed il rischio di compiere atti criminali e' quintuplicato rispetto alla popolazione generale.
Future Direction in Suicide Prevention in Young People
D. Shaffer
Il relatore presenta una revisione di studi, effettuati per la maggior parte da egli stesso, in cui affronta nel corso del tempo la problematica suicidi aria nella popolazione giovane, valutando eventuali possibilita' di prevenzione. Egli sottolinea come nel corso del tempo (e della sua carriera) ci siano stati alcuni cambiamenti del punto di vista con cui si affronta la tematica suicidi aria nell'eta' giovanile. Inizialmente (1966) era stata proposta una visione secondo cui il suicidio in eta' infantile ara correlato alla mancata concettualizzazione del concetto di morte, vista ancora come evento reversibile, tuttavia in questa fascia di eta' il suicidio e' un evento raro. Da studi epidemiologici effettuati nella popolazione americana si puo' osservare come la patologia suicidiaria sia praticamente assente prima dei 14 anni. Poi aumenta con particolare riferimento alla popolazione maschile. Osservando i dati suddivisi in base al sesso e all'appartenenza alla popolazione "bianca" o "nera" si nota come il suicidio avvenga con percentuale nettamente superiore nei "maschi bianchi", ponendo dubbi sul ruolo sempre considerato primario dell'importanza delle condizioni sociali avverse nella determinazione dell'evento.
Negli adolescenti l'ideazione suicidi aria e' presente in una percentuale che varia dal 15 al 25%, i tentativi di suicidio dal 7% al 9%, mentre il suicidio solo nel 0.0069%.
L'autore poi sottolinea come, da studi da lui effettuati su autopsie psicologiche in giovani di eta' inferiori ai 15 anni emergesse una prevalenza del sesso maschile, con particolare riferimento ad individui di eta' superiore al 90esimo percentile in altezza; tale dato suggerisce l'ingresso del ragazzo nella puberta', con tutti i cambiamenti biologici che essa comporta. Nell'indagini effettuate emergevano in modo preponderante esperienze umilianti, problemi di natura comportamentale, scolastica, contatti con la legge, precedenti al suicidio, mentre meno importanti sembrerebbero essere esperienze luttuose. Pertanto, in una situazione di particolare vulnerabilita', un evento ansiogeno determinerebbe il suicidio, prima ancora di sapere le conseguenze che il comportamento, l'esperienza vissuta dal ragazzo avrebbero comportato. Per quanto riguarda eventuali contatti con servizi psichiatrici, l'autore sottolinea in particolare la presenza di disturbi della condotta. Egli inoltre propone il concetto di contagiosita' del suicidio, rilevando l'importanza di fattori socio-ambientali comuni.
Ulteriori studi che includono anche tentativi di suicidio, hanno mostrato come nella popolazione femminile sia piu' frequente legato alla depressione, in particolare in moment di apparente miglioramento del quadro clinico (tale dato secondo l'autore appare ancora di incerta interpretazione); nei maschi si correlerebbe alla presenza di abuso di alcol; meno importanti sembrano problemi legati all'orientamento sessuale. Pi√π rilevanti sono fattori di difficolta' familiare; l'incidenza maggiore si verificherebbe nell'eta' tra i 18 e 19 anni. Fattore causale sarebbe invece l'abuso di alcol in particolare nel sesso maschile secondo un continuum disturbo della condotta-abuso alcol/sostanze- depressione; il suicidio avviene immediatamente dopo.
In ottica preventiva sarebbe molto importante l'individuazione di disturbi mentali (depressione, abuso di alcol), eventi stressanti, eventuali approcci cognitivi disadattavi (estremo pessimismo). Nell'intervento viene spiegato come siano presenti fattori protettivi (incapacita' tecnica, mancata progettazione, appartenenza a gruppi religiosi, accessibilita' al metodo, capacita' di considerare opinioni di familiari, stato mentale rallentato) e fattori facilitanti (impulsivita', abuso di alcol/sostanze, disponibilita' dei mezzi). Il problema concernente ad attivita' di screening riguarda la possibilita' di individuare le persone a rischio in modo specifico e sensibile; il problema dei falsi positivi si associa infatti ad un aumento di costi per visite non utili. Propone quindi un utilizzo di test semplici √", con poche domande, specifiche, riguardanti la perdita di vitalita' e l'intenzionalita' suicidi aria.
Concludendo l'intervento il relatore propone uno studio riguardante l'analisi del giorno in cui avviene il suicidio. Sarebbe presente un evento stressante nelle prime ore della giornata che altererebbe il comportamento e la percezione, nelle ore successive seguirebbe un evento trigger (spesso sottovalutato da amici o familiari per la sua apparente scarsa rilevanza), cui segue a brevissima distanza di tempo il suicidio.
The collaboration between psychiatrists and general practitioners in the early recognition of mental disorders
A.Tylee
Il relatore propone modelli di collaborazione differenti tra medicina generale e psichiatria in base a esperienze del sistema sanitario inglese.
Propone diversi modelli di lavoro:
– Shifted outpatients (invii di pazienti non ricoverati in consulenza): si struttura con ambulatori presenti negli studi di medicina di base in cui si effettuano visite da parte di psichiatri/psicologi;
– Consulenza/liaison: la forma pi√π utilizzata, da intendersi piu' come consulenza diretta al medico, con consigli terapeutici e sulla gestione; spesso il paziente non viene visitato direttamente dallo specialista psichiatra. Utili, in questo senso, si sono rivelati i gruppi di Balint.
– Assistenza congiunta ("Collaborative care" Unutzer et al JAMA 2002): in cui e' presente un case manager, piu' spesso un infermiere, che coordina la gestione del caso, sotto supervisione di uno psichiatra esperto. Vengono effettuati contatti, anche telefonici, frequenti con il paziente, in modo da monitorare nel modo migliore possibile il caso con la possibilita' di effettuare interventi con tempistiche opportune.
L'intervento prosegue mostrando uno studio condotto dall'autore ("KINGS Health Partners AHSC")sulla gestione integrata di pazienti londinesi provenienti da quartieri disagiati: si mostra quindi l'efficacia e la convenienza di un approccio "NICE stepped" che prevede la gestione del caso da parte del medico di base fino ad un quadro sintomatologico grave, che viene quindi preso in carico da personale specialistico.
Infine viene soltanto citato, per ragioni di tempo, il programma "NIHR Programme on depression in patients with CHD in general practice UPBEAT " (Tylee et al) focalizzato sulla cura di pazienti depressi in comorbidita' con malattie cardiovascolari.
Report a cura di Sara Pacella, Samantha Visimberga, Pietro Calcagno
Elaborazione delle emozioni e primo episodio psicopatologico: dal comportamento al neuroimaging
First episode e neuroimaging funzionale: stato dell'arte
M. Casacchia
Università dell'Aquila
I principali sintomi della schizofrenia sono l'appiattimento affettivo, con diminuita espressione delleemozioni, l'anedonia e l'isolamento sociale. Alcuni autori sostengono che l'anedonia, in particolare, rappresenti un segno"quasi-patognomonico" della schizofrenia, in particolare in soggetti con prevalente sintomatologia negativa. Alcuni studi hanno dimostrato che il deficit di empatia nella schizofrenia sembra essere in correlazione con i sintomi negativi. Recentemente e' stato dimostrato che i circuiti neurali attivati durante compiti di riconoscimento delle emozioni sono localizzate nelle aree orbitofrontali, mesiali e del sistema limbico, in particolare nell'insula. Ilruolo cruciale dell'insula e della corteccia mesiale nell'esperienza associata al riconoscimento dell'emozione suggerisce che il substrato neurale dell'emozioni non e' solo sensoriale.
Nello studio illustrato sono stati esaminati 15 soggetti al primo episodio di schizofrenia con un normale Q.I. e 15 volontari sani, selezionati per eta' e istruzione: essi sono stati sottoposti a risonanza magnetica funzionale durante l'osservazione di stimoli visivi piacevoli e spiacevoli.
Le attivazioni ottenute sono state elaborate mediante Brain Voyager Software (Version QX, University of Maastricht).
I risultati hanno evidenziato che in soggetti sani e' presente in particolare una attivazione delle aree orbito-frontali e mesiali non evidenziabili in soggetti affetti da schizofrenia all'esordio.
Recenti evidenze empiriche dimostrano inoltre il ruolo delle strutture frontali e del sistema limbico nella patogenesi dei disturbi mentali gravi.
Riconoscimento delle emozioni in soggetti con schizofrenia al primo episodio: dall'analisi del comportamento all'imaging funzionale
M. Mazza
Università dell'Aquila
Studi recenti hanno messo in evidenza che i deficit cognitivi e di cognizione sociale nella schizofrenia e nei disturbi mentali gravi possono essere collegati alla durata dei sintomi e alla gravita' del disturbo, evidenziando che questi ultimi possono essere considerati una caratteristica di stato associataalla gravita' della malattia. La ricerca nell'ambito dell'imaging funzionale nei disturbi mentali gravi e nella schizofrenia ha messo in evidenza i correlati neuronali delle alterazioni cognitive. L'obiettivo della ricerca presentata e' stato di analizzare nei soggetti affetti da un disturbo psicotico cronico, da un lato, e in quelli all'esordio psicotico, dall'altro, le capacita' di cognizione sociale: questo e' stato ottenuto attraverso un'indagine sulle capacita' di cognizione sociale, sia mediante la costruzione di paradigmi sperimentali di tipo comportamentale, sia mediante paradigmi da utilizzare durante risonanza magnetica funzionale. I risultati evidenziano che i soggetti con esordio psicotico non evidenziano differenze nei compiti di cognizione sociale in compiti comportamentali. Sono invece state rilevate differenze nelle attivazioni delle differenti regioni neuronali tra soggetti con psicosi acuta e cronica.
A cura di Samantha Visimberga, Sara Pacella, Gabriele Giacomini
Simposio regolare
Il ponte fra ansia e psicosi: I disturbi d’ansia come fattore di di rischio psicotico?
Dalle ossessioni alla psicosi?
(F. Bogetto)
L’angoscia psicotica e’ parte integrante della sintomatologia positiva, negativa e disorganizzata della schizofrenia. A volte puo’ estrinsecarsi in presentazioni fenomeniche che rispondono ai criteri diagnostici per i disturbi d’ansia, altre volte c’e’ una vera e propria comorbilita’ con pregressi o concomitanti disturbi d’ansia indipendenti dal processo schizofrenico.
Tra tutti i disturbi d’ansia, in letteratura e’ stata analizzata con piu’ attenzione la relazione tra schizofrenia e disturbo
ossessivo-compulsivo (DOC). Questi due disturbi si associano con frequenza elevata, ma anche estremamente variabile da uno studio all’altro (presenza di sintomi ossessivo-compulsivi nel 10-59% dei pazienti e di diagnosi di DOC nel 4-45% dei casi).
Gia’ Bleuler nel 1911 scriveva: " Accanto alle anomalie del carattere, i precursori piu’ frequenti della schizofrenia sono i sintomi isterici e nevrastenici. In questi casi bisogna supporre non tanto che il nevrastenico sia diventato piu’ tardi schizofrenico, ma che la schizofrenia sia stata inizialmente soverchiata da sintomi nevrastenici." Ey, nel 1978, in un certo senso completa quanto affermato da Bleuler sottolineando che la nevrosi ossessiva costituisce in genere un modo di difesa cosi’ coerente e cosi’ solido che il soggetto trova nella sua condotta una difesa efficace contro la disgregazione dell’io.
Dal punto di vista neurobiologico, le aree cerebrali che sembrano essere interessate nelle due patologie (rispettivamente la corteccia prefrontale dorso-laterale e la corteccia orbito-frontale) condividono substrati anatomici
e funzionali, quali il lobo frontale, i gangli della base e il talamo.
Tra i pazienti affetti da disturbo ossessivo-compulsivo, quelli piu’ vicini al versante psicotico sono certamente quelli con scarso insight, che rappresentano circa un quarto del totale e rispondono meno al trattamento con SSRI. Un interessante studio del 2002 ha mostrato che la percentuale di pazienti affetta da DOC con scarso insight e’ scesa dal 35,9% al 16,4% dopo sei mesi di trattamento con clomipramina e CBT.
Tra i pazienti affetti da schizofrenia, recenti studi hanno evidenziato che la presenza di sintomi OC nei pazienti affetti da schizofrenia sia associata ad esiti funzionali peggiori: peggiore qualita’ di vita, prevalente utilizzo di stili di coping di tipo evitante, piu’ marcato isolamento sociale.
Come gia’ sottolineato, gli studi che hanno esplorato la relazione tra sintomi OC e schizofrenia, benche’ numerosi, non hanno prodotto dati univoci. Sono state formulate svariate ipotesi per spiegare le discrepanze tra i dati in letteratura. Innanzi tutto occorre considerare che i sintomi ossessivo-compulsivi sono piu’ difficili da riconoscere in presenza di un disturbo formale del pensiero. Inoltre, la non univocita’ dei risultati potrebbe essere dovuta alla mancata distinzione, all’interno del campioni di studio, di sottogruppi: "gruppo DOC-schizofrenia" (con esordio tardivo della schizofrenia), "gruppo schizo-ossessivo" (pazienti con schizofrenia o disturbo schizotipico di personalita’, che presentano anche caratteristiche di ossessivita’ e compulsivita’ tali da suggerire una doppia diagnosi) e un gruppo di individui che sviluppano sintomi OC in particolari condizioni, per esempio dopo trattamento con clozapina (come evidenziato da diversi case report). Un’altra spiegazione da considerare e’ che la relazione tra sintomi OC e sintomi caratteristici della schizofrenia puo’ modificarsi lungo il decorso della malattia, con specifici sintomi OC che compaiono in momenti diversi del disturbo e che possono avere eziologie e correlati differenti. Inoltre, la relazione tra sintomi OC e sintomi schizofrenici potrebbe non essere lineare, modificandosi a seconda di sottogruppi sintomatologici. Infine, i sintomi OC nella schizofrenia sono generalmente difficili da trattare e alcuni farmaci abitualmente utilizzati nella schizofrenia possono esacerbare o determinare l’insorgenza degli stessi sintomi OC. In futuro occorrono studi controllati longitudinali sugli effetti di interventi che combinino l’utilizzo di ansiolitici, antidepressivi, antipsicotici e interventi psicoterapici, quali psicoeducazione familiare e terapia cognitivo-comportamentale, interventi di dimostrata efficacia nella schizofrenia e nel DOC ma non ancora testati nel caso di sintomi OC insorti in corso di schizofrenia. Molteplici sono le questioni ancora aperte in questa area di ricerca: la stabilita’ dei sintomi OC lungo il decorso della schizofrenia, la loro persistenza in pazienti che soddisfino i criteri per la remissione sintomatologica e il modificarsi della loro intensita’ e gravita’ in caso di esacerbazione di sintomi positivi e negativi o in caso di successo dei programmi di riabilitazione, in particolare per quanto riguarda domini quali l’autostima e la depressione.
Dalla dissociazione post-traumatica alla psicosi
(L. Bossini)
Il disturbo post traumatico da stress e’ caratterizzato da un corteo sintomatologico in cui i sintomi piu’ tipici sono quelli del cluster relativo alla "dissociazione", con i sintomi intrusivi comprendenti i "flashback", le sensazioni di "irrealta" e il non ricordare alcuni aspetti del trauma.
Tale sintomatologia puo’ essere associata a sintomi piu’ specificamente psicotici, diversi e "sganciati" dagli episodi dissociativi, piu’ pervasivi e legati al trauma in maniera simbolica. Secondo il DSM, pero’, se sono presenti i sintomi psicotici e’ necessario operare un cambio di diagnosi ( disturbo psicotico breve), perdendo cosi’ la continuita’ psicopatologica fra il DTPS e la psicosi.
In letteratura la prevalenza di disturbi psicotici in pazienti affetti da DPTS varia dal 15 al 64%, suggerendo che questa sindrome possa essere simile ai disturbi dell’umore, ove la presenza dei sintomi psicotici determina un aggravamento della psicopatologia senza variazione della diagnosi categoriale. Inoltre, la relazione fra DPTS e sintomi psicotici puo’ essere dedotta anche dall’altra parte della letteratura che riporta con alta frequenza la presenza di un "evento traumatico" nei soggetti affetti da disturbi psicotici, anche se piu’ frequentemente correlano con disturbi psicotici traumi multipli piuttosto che un singolo trauma.
D’ altro canto, l’esperienza psicotica puo’ essere di per se’ traumatica, puo’ accompagnarsi a paura, impotenza, orrore e causare essa stessa un DPTS; le evidenze di quanto affermato si ritrovano in diversi studi condotti a partire dal 1991 e nel 2002 si e’ introdotto il concetto di "post-psichotic PTSD" (Shaw et al.).
Alla luce dei dati attualmente disponibili sulla relazione tra DPTS e trauma, e’ fondamentale sia che il clinico in presenza di un DPTS indaghi l’eventuale presenza di sintomi psicotici, sia che di fronte ad un paziente psicotico ricerchi un eventuale DPTS in comorbidita’.
Sarebbe auspicabile, inoltre, l’esistenza di una nuova categoria o sottocategoria del DPTS "con sintomi psicotici", anche per studiare terapie piu’ appropriate ed idonee a tale condizione; tuttavia, per fare cio’, sono necessari ulteriori studi per validarne i criteri.
Vergogna, ansia sociale e delirio
(A . Ballerini)
Il disturbo indicato come "ansia sociale" e’ un disturbo caratterizzato dalla persistente paura di situazioni sociali in cui l’individuo potrebbe essere esposto al giudizio degli altri, di fatto tale disturbo e’ identificabile in una una posizione esistenziale alla quale appartiene un ventaglio di possibilita’ psicopatologiche che arrivano fino al delirio. Occorre pero’ precisare che, sotto il profilo di una psicopatologia di ispirazione fenomenologico-eidetica, l’insicurezza dello psicotico e’ un fenomeno che riguarda primariamente la costituzione dell Io trascendentale fondante, e non dell’Io empirico fondato, come invece accade nell’ansia sociale. E’ tuttavia innegabile che le esperienze interiori possano sfumare lungo un continuum tra meno patologico e piu’ patologico, lungo i tre assi del delirio, delle allucinazioni, delle esperienze di influenzamento con fenomeni intermedi e passaggi bidirezionali. Di questo tentativo è esemplare il lavoro di Ernest Kretschmer, non tanto dal punto di vista della categoria nosografica indicata come "delirio sensitivo", quanto per gli stimoli che esso offre per un approccio al fenomeno delirio, che leghi modi e nodi di risonanza della persona, fluire di eventi e loro costellarsi in situazioni di rapporto nelle quali emerge l’esperienza delirante. L'assetto di introversa ipercritica di Se’ e di angoscia sociale che tormenta il sensitivo apre la via al delirio solo quando emerge la possibilita’ di una inversione che rovesci l’ aggressivita’ verso l'esterno, al servizio di un nascosto ma potente nucleo stenico della personalita’.
Esiste una condizione dell’animo e un modo di essere che, come ha dimostrato E. Kretschemer (1918), possono rappresentare un percorso verso la trasformazione delirante dell’ansia e delle fobie sociali: tali sono il modo di essere ed il vissuto della vergogna. Se si allarga l'ottica dei vissuti emozionali ad aree relativamente poco esplorate rispetto alla colpa od al trionfo, quali i sentimenti di vergogna, le linee genetiche di alcune sindromi paranoidi diventano piu’ afferrabili, piu’ intuibili. Il sentimento di vergogna, cosi’ vicino alla corporeita’,con scarso accesso ai codici comunicativi, si presenta in maniera rigida e massiva, senza le possibilita elaborative della colpevolezza. L‘affetto vergogna e’ connesso ad eventi diversi, certo, ma accomunati dal fatto di essere in grado di aprirsi un varco nell'immagine di se’, entrando in risonanza con aspetti della persona dai quali sembra dipendere la modulazione dell’ identita’ e dell’autostima. La vergogna appartiene all’area del disvelamento, e la sua scarsa elaborabilita’ si presta o ad un suo annullamento "magico" o ad entrare in miscela ambivalente con la rabbia e la disforia, ed e’ questa la possibile origine della persecutorieta’.
"Chi e’ il malvagio? Colui che vuol farmi vergognare" F. Nietssche, 1887.
Dall’ attacco di panico alla psicosi?
(P. Castrogiovanni)
Diversi studi mostrano che esiste un’associazione tra attacchi di panico ed altre patologie psichiatriche, concomitanti o future, e l’incidenza del panico negli attacchi psicotici viene valutata in numerosi studi, i cui risultati pero’ sono estremamente variabili (incidenze dal 6% al 60%).
L’attacco di panico non va considerato come una semplice variante quantitativa delle normali esperienze di ansia o di paura, bensi’ un vissuto qualitativamente diverso da esse. Infatti, l’essenza degli attacchi di panico non e’ nei sintomi cognitivi, ne’ nei sintomi vegetativi, bensi’ nei sintomi psicosensoriali (derealizzazione-depersonalizzazione).
Di fatto la nuclearieta’ psicopatologica dell’attacco di panico, rappresentata dalle esperienze di depersonalizzazione-derealizzazione, configura gia di per se’ un vissuto "psicotico" in senso lato, ed in questo senso l’attacco di panico, ben diverso da una esperienza quand’anche massimale di ansia, e’ forse omologabile, per quel frammento di tempo,al vissuto del "mutamento pauroso". In pratica, l’attacco di panico, come la psicosi, colloca la persona fuori dalla realta’, ma diversamente dalla psicosi dura pochissimo e non lascia reliquati.
Se cosi e’, appare logico pensare che, quanto una siffatta esperienza si colloca in un contesto di generico rischio psicotico (disturbi di personalita del cluster A, uso di sostanze, sintomi di base, comorbidita’ con lo spettro psicotico, ecc.) essa diventi l’elemento psicopatologico di partenza per lo sviluppo di un quadro psicotico vero e proprio. Questa possibilita’, analoga a quella concernente tutti i disturbi d’ansia (e non solo), suggerisce una diversa interpretazione della natura e della collocazione nosografia dei disturbi psicotici: per ogni disturbo dovrebbe aversi il sottogruppo "con manifestazioni psicotiche", o meglio ancora la psicosi dovrebbe essere una dimensione transnosografica e non una categoria diagnostica (psicosi come aggettivo e non come sostantivo).
Report a cura di Sara Pacella e Samantha Visimberga
La gestione sul territorio delle emergenze nell’adolescenza
Urgenza crisi e psicoterapia: l’esordio della patologia dell’adolescenza come paradigma del modello dei disturbi dell’impulsività
A. Venturini
Unite’ de Crise SPEA-DEA, Hôpitaux universitaires de Genève,
Suisse
L’intervento prende in considerazione la specificità del paziente adolescente con diagnosi complessa e rischio suicidario, proponendo un inquadramento teorico e clinico.
E’ necessario focalizzare l’ attenzione sulle problematiche caratteristiche di questa fase della vita nella quale lo stress adattativo, tanto del giovane paziente che del suo environement, pone le basi della grande fragilità che lo caratterizza.
Il modello dell’ Unite’ de Crise del Servizio di Psyciatria del bambino e dell’adolescente dell’Università di Ginevra e’ esposto come esempio di una struttura che può rispondere e accogliere situazioni acute e complesse e illustrare il modello per gestire il rischio di passaggio all’atto suicidario.
Il modo di entrare in contatto con il sistema terapeutico avviene soprattutto attraverso l’urgenza: i giovani pazienti costituiscono uno dei sotto-gruppi piu’ rappresentativi della popolazione che consulta presso i servizi psichiatrici in situazione di crisi. Questi soggetti, difficili da trattare, e soprattutto da mantenere in trattamento, pongono dei problemi delicati di valutazione e reclamano decisioni terapeutiche di grande importanza sul piano della prevenzione, e la disponibilità di strumenti istituzionali specifici. Il numero elevato e crescente di soggetti che soffrono di disturbi psichiatrici acuti, di reazioni emotive incontrollabili, o di co-morbidita’ psichiatriche clinicamente significative costituiscono un problema di politica di cure di primo piano. Sul piano epidemiologico stiamo assistendo ad un aumento dei disturbi particolarmente rappresentati nel gruppo, come i tentativi di suicidio e l'abuso di sostanze psicoattive. L' evoluzione rapida dei servizi medici pubblici e privati si traduce con un rinvio sempre piu’ frequente di situazioni urgenti ai servizi di guardia. Sul piano diagnostico la valutazione dei disturbi mentali e’ particolarmente difficile in adolescenza, e presenta un notevole impatto sociale. Sul piano psicopatologico si osserva che le psicopatologie che toccano la sfera affettiva e del comportamento (disturbi d’ansia, dell’ umore e della personalità) rappresentano il nocciolo piu’ consistente delle situazioni di crisi. Per affrontare le situazioni di crisi dell’ adolescenza, che sono per definizione piu’ polimorfe e piu’ instabili, necessitiamo quindi di modelli piu’ elastici. Lo stress dello sviluppo, le ragioni della fragilità dell’adolescenza sono inscritte nella tappa biologica e mentale dello sviluppo. Gli adolescenti si confrontano con il cambiamento, la novità, la sorpresa, perdono il controllo della gestione di loro stessi, del loro corpo e del loro spirito. Il funzionamento psichico degli adolescenti e’ caratterizzato da: dinamiche conflittuali, io in posizione di debolezza, minima tolleranza alle fluttuazioni dell’angoscia, forti esigenze pulsionali, SuperIo con esigenze esacerbate grazie alla debolezza dell’Io, galleggiamento dell’identità, fragilità narcisistica, esigenze antinarcisistiche. La sfida maggiore quando ci si occupa di giovani in situazioni di urgenza é decisamente quella di stabilire una buona alleanza terapeutica, premessa indispensabile ad ogni tipo di intervento. La maggior parte degli studi mostra come il drop out di adolescenti sia fra il piu’ alto dopo il primo incontro, pari al 60-70%. E’ quindi evidente l’ importanza di una presa in carico rapida, intensa, con un programma specifico e terapeuti motivati e esperti inquadrati in un dispositivo di intervento di crisi.
Gli obbiettivi clinici sono: contenere la crisi, permettere una valutazione del processo di adolescenza, migliorare la qualita’ di vita dell’adolescente dopo una crisi suicidaria, aumentare l’adesione al trattamento a medio/lungo termine, diminuire il numero e la frequenza dei passaggi all’atto e le condotte a rischio.
Il momento dell’urgenza e della crisi e’ un’opportunità di cambiamento da cogliere in ragione della messa in tensione di aspetti dinamici interpersonali e della riattualizzazione di conflitti anteriori.
Per questo motivo si deve porre l’accento sugli elementi che enfatizzano l’acting e la crisi, e che la sottolineano come la necessità del ricovero e della separazione dalla famiglia durante le prime 48 ore, che permettono all’adolescente da un lato, e alla familgia dall’altro, di non ricorrere a dei meccanismi di difesa come " recouvrement ", banalizzazione e diniego. Una delle priorita’ e’ quella di fare in modo che il paziente e la sua famiglia divengano dei partners della cura. Uno spazio privilegiato e’ dato al primo incontro, che e’ allo stesso tempo incontro di valutazione diagnostica, di proposte terapeutiche, inizio dell’intervento di crisi che permette la negoziazione di proposte terapeutiche per arrivare ad un’alleanza che darà luogo all’accettazione delle cure sia da parte del giovane che della famiglia. Degli obbiettivi terapeutici personalizzati sono fissati già durante questo primo incontro.Questa dimensione della negoziazione, la pluralità dei curanti, la durata delle cure determinata e breve (max 1 mese,media 15 giorni per il ricovero, max 2 mesi per l’ambulatorio), permette ai pazienti di non sentirsi minacciati dal soprainvestimento oggettuale massivo che potrebbe farli fuggire per paura della passivazione e della dipendenza. Il modello ospedaliero permette di contenere gli aspetti somatici della crisi attraverso la funzione contenente dell’Unità e grazie al fenomeno dell’identificazione gruppale ed eventualmente con la somministrazione di farmaci.L’utilizzo dell’approccio psicoterapeutico con incontri quotidiani in situazione ospedaliera o il piu’ spesso possibile in ambulatorio, permette di rendere il paziente consapevole favorendo l’introspezione e rinforzare l’Io. Sono utilizzate diverse tecniche di mediazione per accedere al mondo interno quando l’approccio interpersonale verbale non é possibile, come la psicomotricita’, lo psicodramma individuale e di gruppo, l’ arte terapia. L’incontro del terapeuta di famiglia con i genitori e’ organizzato gia’ al momento dell’ammissione con l’idea di creare rapidamente un’atmosfera di lavoro comune e di alleanza. Questi incontri con i genitori e in seguito con il paziente permettono di arrivare a degli incontri di famiglia che chiarificano le dinamiche, sostengono e confortano i genitori nel loro ruolo che e’ spesso fragilizzato dalla crisi. L’ unita di crisi e’ formata dalle seguenti strutture: il centro per la prevenzione del suicidio, il centro di trattamento ambulatoriale intensivo, e l’ unita’ dei posti letto. Importanti sono la rapidita’ della valutazione, che viene effettuata due volte al giorno, l’ evitamento della stigmatizzazione, con luoghi di cura che si trovano al di fuori dell’ ospedale, l’ adesione volontaria. La presa in cura intensiva ma breve assicura una gestione della crisi acuta e del rischio suicidario con azioni specifiche e adattate a ogni paziente. Il luogo di cura rappresenta un luogo transizionale di incontro tra paziente, terapeuti, famiglie o altri adulti referenti (scuola, etc.), e il punto di partenza per l’ organizzazione di una terapia a lungo termine, grazie al lavoro di terapeuti specializzati e formati al lavoro di crisi con orientazione psicodinamica. Tanto nel progetto di cura ospedaliero che ambulatoriale gli adolescenti sono visti in incontri a tre, medico/psicologo e infermiere. Questa configurazione permette di limitare i fantasmi e le angosce suscitate da un incontro a due con un adulto. Al un appuntamento viene fissato al momento dell’uscita per sottolineare che e’ possibile ripartire con un nuovo contratto di alleanza terapeutica, con una consapevolezza maggiore dell’adolescente che la terapia non e’ un rapporto di forza. Il contesto istituzionale e di rete in cui si situa il dispositivo di crisi e’ l’ organizzazione dei servizi di Psichiatria del bambino e dell’ adolescente SPEA-OMP, un réseau extraospedaliero particolarmente esteso pubblico e privato, con una supervisione clinica quotidiana dell’équipe medico-infermieristica multidisciplinare (psicomotricista, psicologi, assistente sociale).
Lavoro di rete, intervento integrato e fattori terapeutici nelle urgenze psichiatriche in adolescenza
G. Rigon
Sezione Psichiatria della SINPIA (Società Italiana di
Neuropsichiatria dell’Infanzia e Adolescenza), Bologna
Viene presentato il sistema di risposta all’urgenza psichiatrica in eta’ evolutiva realizzato a Bologna. Esso fa perno su una Unita’ Operativa Semplice composta da Day Hospital, alcuni ambulatori specialistici ed un Centro Diurno, che è parte dell’Area Dipartimentale di Neuropsichiatria Infanzia e Adolescenza, che afferisce al Dipartimento di Salute Mentale. Questa collocazione organizzativa garantisce al sistema delle urgenze una forte connessione con il servizio territoriale e uno stretto collegamento con la rete dei Servizi sanitari e sociali.
Viene presentata la casistica che affluisce al Day Hospital e il suo funzionamento, caratterizzato da un approccio psicoterapico. Vengono quindi analizzati i fattori terapeutici che sono in gioco: l’ambiente terapeutico accogliente/accettante viene indicato dai pazienti, dalle famiglie e dai medici curanti come quello principale.
Il Day Hospital svolge anche una funzione diagnostica, come mostra la casistica relativa ai disturbi
di personalita’. Il valore di questa diagnosi e’ importante anche in rapporto alla presa in carico di questi soggetti, al compimento della maggiore età, da parte del Servizio di Psichiatria
Adulti.
Mentalization Based Treatment (MBT) per gli adolescenti: una sfida nella terapia
D. Balanzin
Office Médico-Pédagogique, Out patient Adolescent
Consultation – Right Side Bank, Geneva, Switzerland
Il Disturbo Borderline di Personalita’ emergente negli adolescenti sta diventando una diagnosi sempre piu’ definita. Il trattamento precoce e’ in grado di prevenire lo sviluppo di un Disturbo Borderline di Personalita’ grave nella seconda e terza decade di vita.
Il trattamento degli adolescenti con DBP emergente e’ spesso molto difficoltoso, non solo per i sintomi presentati dal paziente, come depressione, rischio suicidario, abuso di sostanze, comportamenti a rischio, gesti autolesivi, sintomi dissociativi, ma anche per gli alti rischi presenti nella gestione della terapia, e l’ elevato tasso di drop out. Il contro transfert e’ di difficile gestione da parte del terapista durante la ripetizione di gesti autolesivi, tentativi di suicidio e comportamenti a rischio durante le crisi. La terapia basata sulla Mentalizzazione (MBT) e’ un trattamento evidence based che facilita il conseguimento di un risultato positivo, poiche’ indirizza un problema centrale del paziente, e riduce la tendenza a causare un effetto negativo in un gruppo di pazienti particolarmente vulnerabili a effetti iatrogeni. La Mentalizzazione secondo la definizione di Fonagy e’ una forma immaginativa di attività mentale, di percepire e interpretare il comportamento umano in termimi di stati mentali intenzionali (es. bisogni, desideri, sentimenti, credenze, obiettivi,scopi, e ragioni). La Mentalizzazione parte dall’attività della corteccia prefrontale. Il suo fallimento comporta l’ iperattivazione del sistema dell’ attaccamento, alti livelli di eccitabilità (arousal), inibizione definitiva (traumatogenica) in contesto relazionale. L’ esposizione di una vignetta clinica riguardante il caso di un ragazzo di 15 anni con BPD mostra come la MBT con setting individuale e familiare dopo 15 mesi abbia portato ai seguenti risultati: risoluzione dell’ umore depresso, collera e proiettivita’ assenti, assenza di pensieri persecutori, ottimi risultati scolastici, estrema diminuzione del consumo di alcool, cessazione del consumo di Hashish, coscienza dei suoi bisogni, desideri e della sua reattività, capacita’ di capire e descrivere i suoi sentimenti e pensieri quando si trova in momenti difficili e capacita’ di modificare le condizioni per evitare di avere delle reazioni di ansia, persecuzione e tristezza. Il ragazzo e’ sempre stato regolare nella terapia, senza alcun episodio di drop out.
Rete regionale interdipartimentale per le emergenze
nell’adolescenza
P.M. Furlan
Dipartimento Interaziendale di Salute Mentale, AOU San Luigi Gonzaga/ASL TO3, Facoltà di Medicina e Chirurgia San Luigi Gonzaga, Università di Torino
Infanzia e soprattutto adolescenza sono settori che, almeno dal dopoguerra, hanno mantenuto un rilevante distacco con la psichiatria adulti. Questa separazione oggi, con l’organizzazione territoriale e a discapito di norme innovative, mostra limiti culturali, assistenziali, scientifici nonche’ di natura economica, sociale e relazionale. Pare comunque indubbio che gli aspetti di vulnerabilità e di capacita’ di porre in atto meccanismi protettivi-preventivi sia ancora affidata a situazioni isolate lontane dal fare sistema.
L’aspetto piu’ noto e a maggior impatto emotivo e’ rappresentato dal suicidio adolescenziale, manifestazione non ancora del tutto compresa e che, secondo le ricerche più recenti, non può
nemmeno lontanamente venir assimilato a quello degli adulti.
Ulteriore aspetto poco approfondito e’ quello dell’area critica, spesso esacerbata dall’assenza di strutture e di preparazione sia professionale sia ambientale-familiare. Il numero di ricoveri
anomali per struttura, per eta’ e per patologia e’ in aumento e l’insufficienza delle possibilità d’accoglienza determina un preoccupante lievitare di offerte incompetenti.
L’area critica post adolescenziale, inoltre, svela fenomeni preoccupanti; i ricoveri in urgenza per esordio psicotico in giovani sono in sensibile aumento e tali giovani sono in maggioranza
consumatori di nervini. I DCA sono oggetto di trattamenti disorganizzati cosi come i disturbi autistici e le situazioni che richiedono l’intervento di medici legali (per altro poco preparati
su queste fasce d’eta’).
Il rapporto problematico Psichiatria Adulti — Neuropsichiatria Infantile ha le sue radici nella separazione storica tra la Ps.A e NPI, nell’ afferenza della NPI all’area Materno Infantile alternativa alla Neurologia, nella formazione diversa, soprattutto psichiatrica o soprattutto neurologica nelle diverse scuole,nella formazione psichiatrica diversa (Klein, comport…), nella mancata definizione delle competenze tra Ps.A, NPI, Psicologia, nell’ emergenza di nuove patologie ed esordi anticipati nelle incertezze legislative sulle urgenze dei minori. Si incorre quindi nell’ incontro di difficolta’ sino all'assenza di comunicazione, nella riduzione delle strutture, e a deleghe tacite e conflittuali.
La letteratura internazionale sostiene che 1:1000 adolescenti con disturbi psicopatologici necessitano di ricovero mentre l’offerta di ricovero in Italia è del 0,1/100.000, e negli ultimi anni e’ in costante aumento.
Nei DEA viene effettuato dal 5% al 16% delle consulenze psichiatriche di tale età.
In Piemonte i ricoveri sono aumentati tra il 2005 e 2007 del 24%.
Il Progetto Prisma rileva che 9 ragazzi su 100 nella fascia di età compresa tra gli 11 e i 14 anni presentano segni clinici riferibili ad un disturbo psicopatologico, la prevalenza dei disturbi d’ansia e depressione, con significativa prevalenza nel genere femminile, e un minor numero di disturbi relativi a problemi della condotta e all’aggressività.Di essi olo il 14% aveva consultato un servizio di salute mentale.I principali elementi di rischio sono i fattori sociali ed economici. Il DGR 36/1999 Regione Piemonte afferma che in presenza di paziente adolescenti in cui il trattamento sanitario di ricovero si configuri di difficile gestione da parte dei servizi di NPI, lo stesso può essere effettuato presso il SPDC di zona o altro di riferimento, ma I servizi psichiatrici di diagnosi e di cura non sono attrezzati per accogliere adolescenti nè sul piano logistico né clinico. Per affrontare questi problemi e’ in corso la creazione a Torino di un sistema in cui la NPI e la Psicologia afferiscono alla salute mentale, ilProgetto del Coordinamento Salute Mentale, Patologie delle Dipendenze,Neuropsichiatria Infantile, con un Centro Crisi per Adolescenti, specificamente dedicato alle emergenze in questa fascia d’ eta’.Gli obiettivi del progetto sono l’ integrazione operativa tra le diverse agenzie (dipartimento unico, definizione della catena di comando anche nei passaggi intermedi), l’ attribuzione di un budget differenziato, l’ integrazione con le agenzie territoriali, l’"educazione" territoriale con compartecipazione dei nuclei familiari, unrapporto con la scuola non solo prestazionale, e una collaborazione non settoriale con i pediatri di libera scelta.
Report a cura di Samantha Visimberga e Sara Pacella.
Disturbi bipolari: eterogeneità e personalizzazione delle cure
Ciclicità continua: differente decorso, differente risposta
alle cure?
A. Tundo
Istituto di Psicopatologia, Roma
Con il termine di ciclicità continua si indica un particolare decorso del disturbo bipolare caratterizzato dall’alternanza di episodi depressivi e (ipo)maniacali in assenza di un significativo intervallo libero. In funzione della durata di ciascun ciclo maniaco-depressivo si distingue una ciclicita’ continua a lunghi (CC-LC) e a brevi cicli (CC-BC).
Nel primo caso e’ presente un unico ciclo per anno, in genere depressione in autunno-inverno e (ipo)mania in primavera-estate, nel secondo sono presenti due o piu cicli per anno.
La diagnosi di CC-BC e’ in parziale sovrapposizione con quella di disturbo bipolare a cicli rapidi in base ai criteri del DSM IV (Maj et al., 2001).
Benche’, come segnalato fin dall’antichita’, la ciclicita’ rappresenti un elemento fondamentale del disturbo bipolare, ad oggi sono scarsi gli studi che hanno confrontato le caratteristiche demografiche e cliniche, la prognosi e la risposta alle terapie dei pazienti con disturbo bipolare a cicli continui e non.
Nell’ambito del simposio il relatore ha presenato uno studio originale condotto presso l’Istituto di Psicopatologia e relativo a 140 pazienti con disturbo bipolare (55% BPI) di cui 39 (28%) con decorso a cicli continui, lunghi (N = 20, 14%) o brevi (N = 19, 13,5%).
Instabilità emozionale nella malattia maniaco depressiva
G. Perugi
Istituto di Scienze del Comportamento, Pisa; Dipartimento di
Psichiatria, Università di Pisa
Una certa instabilita’ emozionale si riscontra comunemente nei pazienti con disturbi dell’umore e tratti ciclotimici sono stati identificati nel 4-6% della popolazione generale. Alcuni studi condotti su popolazioni cliniche hanno mostrato come la depressione che si presenta su un disturbo ciclotimico rappresenti la manifestazione piu’ comune del disturbo bipolare negli ambulatori specialistici, venendo a costituire circa il 50% dei pazienti depressi ambulatoriali.
La proporzione dei pazienti depressi che possono essere classificati come ciclotimici cresce notevolmente se la soglia dei 4 giorni per l’episodio ipomaniacale proposta dal DSM IV viene riconsiderata.
Infine, molti pazienti all’interno dello spettro bipolare II, soprattutto quando le recidive sono frequenti ed i periodi intervallari non sono liberi da manifestazioni timiche, vengono classificati come disturbi di personalita’, quali il disturbo borderline di personalita’..
Questo e’ particolarmente vero per i pazienti ciclotimici che sono spesso identificati come disturbi borderline di personalita’ a causa della loro estrema instabilita’ affettiva. La distinzione tra alcuni disturbi di personalita’ del cluster B, in particolare il DPB, da un lato e ciclotimia dipende piu’ dal momento e dalla prospettiva di osservazione che da reali differenze cliniche.
Secondo alcuni, l’instabilita’ emotiva sarebbe cio’ che distingue il disturbo di personalita’ borderline dalla ciclotimia. Sfortunatamente questi autori non si sono proposti di includere e di indagare, con strumenti specificamente designati, il disturbo ciclotimico.
Si tratta di una "omissione" abbastanza comune tra i ricercatori che si occupano di personalita’ borderline probabilmente indotta dalle convenzioni in uso nel DSM-IV.
Nei pazienti ciclotimici, la presenza di caratteristiche "borderline" sembra derivare da una disregolazione affettiva importante, in cui la sensitivita’ interpersonale e l’instabilita’ affettiva occupano una posizione centrale
Interventi psicosociali per i disturbi bipolari quale, come,
quando e per chi
A. Fagiolini
Università di Siena
Sebbene non esista una cura per il disturbo bipolare, il decorso della malattia puo’ essere nettamente migliorato attraversoadeguati trattamenti. Il trattamento ottimale del disturbo include di solito una terapia farmacologica, affiancata da Interventi educativi, psicosociali e di riabilitazione.
I trattamenti psicoterapici si focalizzano spesso su strategie cognitivo-comportamentali, familiari ed interpersonali volte al miglioramento di relazioni, modi di pensare, emozioni e comportamenti dannosi per la salute fisica e mentale. Obiettivo comune delle varie psicoterapie e’ infatti il miglioramento della qualita’ di vita e la creazione di un miglior habitat interpersonale, sociale e lavorativo, in grado di limitare gli eventi stressanti ed il loro impatto sulla malattia.
La psicoterapia interpersonale e dei ritmi sociali (IPSRT) mira inoltre a favorire l’acquisizione di ritmi di vita piu’ stabili possibile, al riconoscimento precoce di nuovi episodi di malattia e all’aderenza al trattamento farmacologico.
Il relatore focalizza l’ intervento sull’importanza ed i benefici dei trattamenti psicosociali nelle fasi acuta, di mantenimento eprevenzione del disturbo bipolare, che sembrano condizionare molta della loro storia interpersonale dalla fanciullezza in avanti.
Infine, pattern di comorbidita’ articolati tra disturbi della sfera affettiva (disturbi d’ansia e d’umore) e disturbi correlati all’impulsivita’ (abuso di alcol, sostanze, disturbi della condotta alimentare) sembrano avere un forte valore predittivo per la diagnosi di ciclotimia.
Quest’ultima intesa come sindrome clinica ad esordio precoce e decorso protratto rappresenta il denominatore comune al quale puo’ essere ricondotto il complesso corpus di disturbi d’ansia, dell’umore e impulsivi che questi pazienti mostrano fin dall’inizio della loro vita adulta.
A cura di Davide Prestia
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