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Software libero/Scienza libera

4 Nov 12

Di Christopher-M.

 

INTRODUZIONE: SOFTWARE LIBERO COME PROBLEMA DI VALORE E DI REPUTAZIONE

Negli ultimi anni, nel momento in cui il movimento Open Source/Free Software è diventato una costante nel lavoro e nella stampa tecnologica, generando conferenze, moltiplicando indagini accademiche e speculazioni commerciali, allo stesso modo, una singola domanda sembra avere incantato quasi tutti: "come guadagni con il software libero?"

Se alla domanda non viene data risposta con un progetto finanziario, viene diretta inevitabilmente verso qualche concetto di "reputazione". La risposta è: i programmatori di Software Libero fanno ciò che piace a loro, per qualsiasi ragione e se lo fanno abbastanza bene guadagnano la reputazione di essere un buon programmatore, o almeno uno in vista. Attraverso le discussioni, la funzione della reputazione come una specie di sostituto metaforico del denaro — può espandersi nella economia reale, può essere convertita in migliori impieghi o in consulenti del lavoro, o può essere utilizzata per prendere decisioni sui progetti di software o influenzare altri programmatori. Come il denaro, è una forma di remunerazione per il lavoro fatto, dove il lavoro eseguito viene misurato esclusivamente dall’individuo, ciascuna persona ha il suo prezzo per creare qualcosa. Al contrario del denaro, tuttavia, viene vista anche spesso come un tipo di proprietà. La reputazione viene comunicata dal nome ed i nomi che contano sono quelli dei progetti di software e le persone che contribuiscono ad essi. Questo si colloca non facilmente accanto alla consapevolezza che il software libero è, nei fatti, un tipo di proprietà reale (o legale) (i.e. proprietà intellettuale protetta dal diritto d’autore). L’esistenza del software libero si basa sulla proprietà intellettuale e sulla legge dei brevetti (Kelty, in stampa; Lessig, 1999).

Considerando la questione, la maggior parte dei commentatori sembra essere stata condotta piuttosto direttamente verso interrogativi simili circa le scienze. Dopo tutto, questa economia della reputazione suona straordinariamente familiare alla maggior parte dei partecipanti [1]. In particolare, vengono spesso compiute due affermazioni: 1) Che il software libero è in qualche modo ‘come’ la scienza e, pertanto, utile; e, 2) Che il software libero è — come la scienza — un’’economia del regalo’ ben funzionante (una forma di meta-mercato con la sua moneta) e che la moneta del pagamento in questa economia è la reputazione. Queste affermazioni servono solitamente allo scopo di contrastare l’assunzione che nulla di buono può venire dal sistema in cui gli individui non sono pagati per produrre. L’assunzione celata è che la scienza è naturalmente ed essenzialmente un processo aperto — uno in cui la verità prevale sempre.

L’equilibrio di questo saggio esamina queste affermazioni, prima tramite un breve viaggio tra alcuni lavori nella storia e lo studio sociale della scienza che hanno incontrato problemi straordinariamente simili e, secondo, confrontando i due regni in merito alle loro "monete" e "proprietà intellettuale", sia metaforiche, sia reali.

 

COME LA SCIENZA

La prima risposta che potrebbe offrirsi alle affermazioni su citate è empirica: open source non è ‘come’ la scienza, è parte della scienza. Se domandiamo dove si sia svilupato il software libero nel periodo dal 1984 ad oggi, allora la risposta è: come parte delle istituzioni della scienza. Dall’ufficio di Stallman al MIT al progetto di classe di Torvald in Finlandia, i partecipanti che creano software liberi sono allontanati in modo schiacciante dalle università e dai laboratori di ricerca (sia privati, sia pubblici). Inoltre, il finanziamento che sostiene molti progetti (in molti casi indirettamente), proviene da quelle istituzioni scientifiche ben note come: agenzie nazionali di finanziamento della scienza, budgets operanti delle università, accademie reali, agenzie di finanziamento del governo e laboratori di ricerca, laboratori di Ricerca & Sviluppo industriale e organizzazioni di ricerca non-profit, agenzie scientifiche governative e non, ricerca privata e istituti di sviluppo.

Se tracciamo le fondamenta del software libero (prima del FSF di Stallman) e includiamo generosamente il lavoro presso AT&T Bell Labs, Sun e UC Berkeley su Unix — che, discutibilmente, hanno beneficiato di dinamiche simili di programmi open source e progetti condivisi, anche se non era gratuito in senso stretto — allora il caso è innegabile: il software libero è tanto parte della scienza, quanto la scienza del computer e l’ingegneria lo sono state.

E, come parte dell’infrastruttura della scienza, non dovrebbe essere sorprendente che la sua votazione del valore sembra straordinariamente simile a quella della scienza. Quindi, perché non porsi la domanda analoga — "come guadagni con la scienza?"

Forse, questo interrogativo sembra più familiare. L’importanza delle scienza e della tecnologia per l’industria si presume che sia una questione di vita — una relazione (la ricerca di base conduce alla ricerca applicata che conduce ai profitti, ai finanziamenti e alla crescita) la cui direzione di influenza è soltanto mettere in dubbio il fare. Confrontando il software libero con la scienza ci offre l’opportunità di chiederci di nuovo — è proprio il modo in cui chiunque guadagna dai risultati e dai prodotti della scienza, quando gli scienziati li danno via gratuitamente? Anche se sappiamo che la scienza non è libera dal declino e dal corso del capitalismo corporativo, o dall’interesse politico nazionale, non dovrebbe essere questo un interrogativo che rende ugualmente perplessi?

Ciò che è interessante circa questo confronto è che l’apertura, o nella scienza, o nel software libero, non viene considerata essere morale, ma, piuttosto, strutturale e qui appare un enigma interessante.

Quando l’open source ed il software libero richiedono il confronto del software libero con la scienza ed il metodo scientifico, essi, in genere, affermano, spesso esplicitamente, che attraverso qualche meccanismo non specificato, questa comunità aperta, collaborativa, non proprietaria di sviluppo del software si concluda nel software migliore, sebbene indirettamente attraverso la messa a punto di programmi o, direttamente, attraverso la chiarezza ed un progetto deliberativo. Invece, persino attraverso i confini tracciati tra loro, la Open Source organization e la Free Software Foundation sono d’accordo su questo: l’apertura garantita crea software migliori, più stabili, meno difettosi — software che non truffano [2].

Tuttavia, quando gli scienziati si confrontano con la riflessione sociologica che la struttura socio-tecnica e legale della scienza potrebbe influenzare la qualità, o, in modo più incisivo, i criteri e la determinazione della verità dei loro risultati, la reazione è universalmente di negazione violenta. In questo caso, la struttura sociale si presume essere, al meglio, come un attrito sulla verità scientifica. La chiarezza, invece, gioca un ruolo di sostegno a vantaggio nelle esperienze di molti scienziati: senza di essa alcune importanti verità scientifiche dovrebbero essere soppresse, ignorate o abusate dai burocrati diretti e politici dalla mente offuscata, ma non sarebbe mai reso meno vero. Costruire la scienza che non "imbroglia" ha poco a che fare con tali interessi banali come la proprietà intellettuale o le convenzioni e le norme della pratica.

Allora, cosa sta succedendo qui? Se il software libero e la scienza hanno condiviso la medesima struttura tecnica e sociale della collaborazione e la diffusione nel corso degli ultimi 20 anni (di più se contiamo la creazione della stessa Internet), allora perché la cultura dalla chiarezza, della collaborazione e della condivisione dovrebbero risultare nella creazione o nel miglioramento di un software complesso di alta qualità, quando il medesimo effetto del sistema sulla ricerca scientifica si ritiene essere trascurabile?

La risposta numero uno è che non è così: il software libero non è migliore, o la sua qualità non proviene dalla struttura della collaborazione. Il buon software, come la verità scientifica, proviene da qualche altra parte, sebbene nessuno sappia dire da dove.

La risposta numero due è che è così: il progresso cumulativo dipende da una struttura istituzionale e convenzionale di chiarezza e di recensione tra pari per funzionare, ma che è solo una condizione necessaria, ma non sufficiente di verità. Un sine qua non se non unacausa efficiens di verità.

Entrambe queste risposte riguardanti il ruolo dei media istituzionali sono interessanti — la prima sbaglia nella direzione del proprio interesse e dell’altruismo, la seconda nella direzione della consapevolezza collettiva e del determinismo istituzionale. In entrambi i casi possiamo indagare il ruolo della reputazione e del merito: come parte delle dinamiche dell’interazione tra gli individui con motivazioni differenti e parziali, come parte della struttura tecnica di comunicazione in cui agiscono e come parte delle strutture sociali e legali che permettono e limitano la loro azione. E’ in questi termini che la ricerca nella storia e nella sociologia della scienza e del pensiero scientifico può aiutare a delineare alcune distinzioni che possono aiutare ad illuminare l’enigma presunto di "come guadagnare con il software libero".

 

 

CREDITO E REPUTAZIONE NELLA SCIENZA

Il locus classicus per lo studio scientifico delle istituzioni scientifiche è Robert K. Merton, il sociologo americano che per primo tentò di pensare tramite ciò che lui chiamò la "struttura normativa della scienza" — un resoconto sociologico dell’attività scientifica che si focalizzava sul "sistema di ricompensa" e l’"ethos" della scienza [3]. Per il primo, Merton mise in dubbio esplicitamente tali riconoscimenti di "proprietà intellettuale", anche se il termine non potrebbe essere utilizzato in un senso metaforico. Il secondo, l’"ethos" della scienza, è la serie di norme e forme di vita che strutturano l’attività degli scienziati attraverso le nazioni, le discipline, le organizzazioni o le culture. Esso sostiene un esame minuzioso più vicino come un confronto con il software libero (specialmente nelle sue forme internazionale, inter-organizzativo, multi-disciplinare). Merton identificò quattro norme: universalismo, comunismo, disinteresse e scetticismo organizzato.

Queste norme sono informali, vale a dire, esse sono solo comunicate, diventando parte della classe dirigente scientifica — esse non sono scritte e non sono vincolanti né legalmente, né tecnicamente. Tuttavia, nonostante questa caratteristica informale, le istituzioni della scienza come le conosciamo, sono formalmente strutturate intorno a loro: e.g. Il comunismo richiede una struttura comunicativa che consente la proprietà posseduta in comune — idee, formule, dati o risultati — da diffondere: giornali, lettere, biblioteche, università, sistemi postali, standards, protocolli e alcune nozioni più o meno esplicite di pubblico dominio [4].

La norma "disinteresse" non è una questione di egoismo o altruismo, ma una questione di progetto istituzionale: perché il disinteresse funzioni, infatti, la scienza deve essere chiusa e separata dalla altre parti della società, così che la responsabilità è, innanzi tutto, e principalmente dei pari, non dei dirigenti, dei finanziatori o del pubblico — anche se questa norma è continuamente assalita sia dall’interno, sia dall’esterno. Similmente, lo "scetticismo organizzato" non è semplicemente metodologico (o il dubbio cartesiano, o i valori ‘p’ accettabili), ma anche istituzionale — nel senso che le norme dell’istituzione della scienza devono essere tali che esse esplicitamente, se non proprio legalmente, promuovano la capacità di mantenere la separazione persino di fronte al potere politico. Altrimenti, la verità viene compromessa velocemente.

Ciò che resta maggiormente affascinante delle descrizioni della scienza di Merton è la sua attenzione sulle ricompense e sul "sistema della proprietà intellettuale" della scienza. Merton ed i suoi studenti spiegarono come il sistema di ricompensa delle funzioni della scienza come incentivo alla creatività scientifica, proprio come un aspetto strutturale essenziale della natura cumulativa della scienza, anche se non ci sono mezzi legali, tecnici e solo sottili mezzi istituzionali per rinforzare la proprietà.

Uno di questi mezzi per rinforzare la proprietà è il dibattito sulla priorità. Le dispute sulle priorità, che cominciarono in modo più cospicuo con Galileo, sono spesso liti prolungate e intense, non perché gli scienziati siano intimamente egoisti, ma perché la correttezza e il disinteresse sono essenziali per la legittimazione dell’impresa. In molti di questi casi, l’intera struttura tecnologica, istituzionale e intellettiva della discussione scientifica diventa completamente visibile, complicando la semplice storia della determinazione di "chi aveva ragione". Quando l’istituzione della scienza è diventata più grande e complessa, anche i sistemi per gestire la priorità ed il riconoscimento si svilupparono: i giornali e le loro reputazioni; la standardizzazione internazionale delle misure, delle costanti e degli apparati sperimentali; i premi Nobel e la loro discendenza ed il sistema universitario.

Per essere chiari, questi sistemi non si sono sviluppati con un obiettivo a priori di misurare la reputazione degli scienziati, ma sotto altri ideali, a volte evidenti, a volte in conflitto, come "promuovere il progresso" o "curare la malattia" o "il perseguire la verità", in cui la storia del progresso scientifico si ritiene che sia ovvio. E’ solo con un certo tipo di senno del poi sociologico che questi sistemi sembrano avere uno scopo strutturale e funzionale più complesso; o che le norme mantengono il sistema funzionante.

Si dovrebbe tracciare qui un parallelo con gli Hackers ed i creatori di software, che spesso insistono che il miglior software è evidentemente, semplicemente perché "funziona". Il richiamo implicito è che il software, come la verità scientifica, è "evidente" e non richiede alcuna discussione (ed è indipendente dai "nostri" criteri). Mentre è vero che i software scritti non correttamente non compileranno, come un’insistenza inevitabilmente nasconde la negoziazione, la disputa e la manovra retorica che si orienta nel convincere le persone che, per esempio, c’è solo un vero editor: Emacs. Suggerire semplicemente che un risultato scientifico è vero perché la verità è evidente, è semplicistica sia sociologicamente, sia scientificamente. Il processo di dichiarazione di tale verità è noioso, arcano e terribilmente affascinante per la maggior parte degli scienziati, ma è, senza mezzi termini, evidente. Battersi il petto non ottiene mai consenso nella scienza, solo sospetto [5].

Per ripetere, Merton si è focalizzato sulle norme istituzionali della scienza, piuttosto che sul carattere dei singoli scienziati, o su qualsiasi imperativo categorico per perseguire la verità [6]. L’affermazione di Merton era che il riconoscimento e la reputazione giocano ruoli cruciali nella struttura incentivante della scienza: eponomy (il nome delle costanti, delle leggi e dei pianeti), la paternità (X, Padre di Y), gli onori, i festschrifts e le altre forme di riconoscimento sociale, premi come la medaglia Fields o il Nobel, ingresso in società regali ed, infine, all’"essere scritto nei libri della storia". Ancora, questi meccanismi sono funzionali solo col senno del poi; è, forse, possibile affermare che la scienza potrebbe procedere tuttora senza tutti questi sostegni, ma non avrebbe né esistenza collettiva, né effetto evidente sulla consapevolezza storica e identità ‘vocazionale’ degli scienziati praticanti.

Le estensioni e gli argomenti che sono stati seguiti dai lavori pionieristici di Merton hanno centrato questo importante interrogativo metodologico: come possiamo capire la struttura dinamica della crescita della conoscenza scientifica, attraverso lo studio empirico delle sue istituzioni e norme, come pure dei suoi strumenti, procedure e idee?

Il noto libro di Thomas Kuhn, The Structure of Scientific Revolutions, ha tentato di fare coincidere questa indagine con la struttura del contenuto cognitivo della scienza. "Paradigm Shifts" è entrato nel linguaggio persino degli scienziati stessi, come un modo di spiegare come certi straordinari capovolgimenti cognitivi possono essere descritti dall’apparato di prova e spiegazione e, in particolare, dalla loro "incommensurabilità". Sebbene Kuhn abbia negato vigorosamente che le istituzioni sociali della scienza abbiano alcunché a che fare con questi cambiamenti, il suo approccio generale al problema inizia in accordo con Merton.

Similmente, Michael Polany introdusse un concetto di "conoscenza tacita" per rendere conto di aspetti di differenze cognitive che non erano rese esplicite, che erano, per dire così, incastrate nelle macchine, le tecniche ed il training scientifico. Queste abilità tacite vacillano tra l’esplicito e l’implicito — hanno esistenza reale nel mondo, specialmente in un senso pedagogico e sono istituzionali, anche se sono effimere — non sono leggi, o regole, ma azioni abituali apprese, senza le quali la scienza non sarebbe mai stata fatta.

Nell’osservare le origini storiche delle strutture istituzionali della scienza, Simon Schaffer e Steven Shapin interpretarono i dibattiti di Robert Boyle e Thomas Hobbes sul metodo sperimentale, come un luogo sperimentale per l’indagine delle tecnologie coinvolte nella produzione della verità scientifica. Essi concludono che "dimostrare" qualcosa, in questo caso, richiede molteplici abilità: abilità letterarie, tecnico/matematiche e materiali o abilità professionali ed, inoltre, che la creazione di un argomento (in questo caso, per quanto riguarda l’esistenza di un vuoto) ha richiesto anche la creazione di un pubblico di osservatori che poteva testimoniare la verità. Il lavoro di creare un fatto scientifico non è mai semplicemente il problema di convincere gli altri — dopo tutto, Galileo fu, però, definito un eretico, nonostante la sua abilità scientifica ed il savoir-faire sociale.

Gli studi sul credito e la reputazione sono entrati esplicitamente nella letteratura alla fine degli anni ’70. Le economie del dono, in particolare, furono lo studio di un breve articolo di Warren Hagstrom che tentava di spiegare come i contributi alla ricerca scientifica — come ‘distribuire’ un saggio o dare credito ad altri — rendeva la circolazione del valore una questione di reciprocità, accostandosi ai sistemi di regalo-scambio esplorati da Marcel Mauss e Malinowski (vedi Hagstrom, 1982). Anche Bruno Latour e Steve Woolgar esplorano le metafore dello scambio non-monetario nella scienza, nel corso del loro lavoro sulla costruzione dei fatti nei laboratori. Essi esplorano ciò che essi chiamano un "ciclo di credito", che include sia il denaro reale dalle agenzie che sovvenzionano, sia il riconoscimento (nella forma di articoli pubblicati) che conduce l’intero circolo alla raccolta di denaro assegnato, e così via, ad infinitum. In questo ciclo, sia il denaro reale, sia la diffusione della reputazione o del credito vengono mobilitati — ma a quale fine, esattamente, non si arrischiano (Latour e Woolgar, 1979).

In ciascuno di questi casi, la funzione della reputazione o del credito è il medesimo: è il più valido e degno segnale di successo e, pertanto, della fiducia dei risultati scientifici, in un mondo inerentemente senza fiducia [7]. La promessa di essere "iscritto nei libri della storia" o, almeno la garanzia che il tuo lavoro non sarà stato fatto invano, è la sola forza motivante identificabile — così come la reputazione può essere chiamata l’incentivo del lavoro scientifico. E’ da questa relazione presunta che la metafora della "proprietà intellettuale" ottiene la sua forza e sembra un modo ovvio per affrontare il problema "economico" della scienza.

Tuttavia, è importante distinguere l’uso "metaforico" da quello "letterale" della proprietà intellettuale: nel caso dello scienziato, la reputazione è inalienabile. Nessuno può usurpare una reputazione guadagnata, non può essere venduta, non può essere data via. Può essere, forse, condivisa dall’associazione, può anche essere acquisita ingiustamente — ma non è un possesso alienabile. La Proprietà Intellettuale assegnata da un governo nazionale, d’altra parte, esiste precisamente per generare ricchezza dalla sua alienabilità: gli inventori, gli artisti, gli scrittori, i compositori possono vendere i prodotti del loro lavoro intellettuale, trasferire i diritti per commercializzarla, in parte o nella totalità, firmando un contratto. Si ritiene che la reputazione del creatore sia separata dal diritto legale di ottenere profitto da quella creatività. Questo diritto legale — proprietà intellettuale come un monopolio limitato su una invenzione o uno scritto — viene spesso confuso con la protezione della reputazione, come un diritto inalienabile al proprio nome; la legge della proprietà intellettuale non difende questo [8].

 

 

CITAZIONI E REPUTAZIONE COME METAFORE PER LA MONETA E LA PROPRIETA’

Nella scienza le metafore della valuta e della proprietà si riuniscono in un luogo particolare: il "Science Citation Index". Gli elenchi di citazioni danno un indicatore molto importante di valore, anche se non sempre molto preciso. Anche se non tutta la reputazione dipende dalle citazioni (anche se alcuni comitati di proprietà e uffici di borse di studio non sono d’accordo a questo proposito), i lavori che non sono catalogati in questi elenchi partono da una posizione di svantaggio piuttosto significativa, dal punto di vista della reputazione. In altre parole, gli elenchi di citazioni scientifiche non misurano semplicemente qualcosa di oggettivo (chiamato reputazione), ma forniscono alle persone uno strumento per confrontare il successo nell’ottenere il riconoscimento.

Robert Merton comprese chiaramente il potere degli elenchi di citazioni — sia come valuta, sia come tipo di registrazione della proprietà intellettuale, al fine di stabilirne la priorità. Nella prefazione del libro di Eugene Garfiel, "Ciation Indexing", pubblicato nel 1979, Merton scrive "[Le citazioni, dal punto di vista morale] sono pensate per ripagare i debiti intellettuali nell’unica forma in cui ciò può essere fatto: tramite il loro aperto riconoscimento" [9]. Egli, quindi, equipara le citazioni alla valuta con cui si ripagano i debiti. Ma va anche oltre, illustrando la proprietà intellettuale scientifica in un modo che traccia un chiaro parallelo con le posizioni di chi ritiene il successo del software libero basato su un’economia della reputazione.




"Possiamo cominciare con un aspetto della latente struttura sociale e culturale della scienza, presupposta dall’uso sistematico, che si evolve storicamente, dei riferimenti e delle citazioni negli articoli e nei libri scientifici. Questo aspetto rappresenta il lato apparentemente paradossale della proprietà dell’impresa scientifica: il fatto è che più gli scienziati rendono disponibile agli altri la propria proprietà intellettuale, più tale proprietà diventa chiaramente loro. E questo perché la scienza è una conoscenza pubblica, non privata. Solo pubblicando il proprio lavoro gli scienziati possono sostenerne veramente la paternità. Perché il riconoscimento della paternità sta solo nel riconoscimento del contributo da parte dei propri pari [10]".

Questa è un’affermazione degna di nota, ma non è poi così diversa da quella, altrettanto degna di nota, dei sostenitori del software libero — che dall’apertura deriva la creazione di software migliore. Qui Merton sostiene la stessa cosa per quel che riguarda la scienza. L’incentivo a produrre scienza dipende dal riconoscimento pubblico della priorità. I sistemi coinvolti nel fare sì che questa "proprietà" accompagni il proprietari sono: pubblicazioni affidabili, valutazione, trasmissione, diffusione e, in ultima analisi, archiviazione dei lavori scientifici, delle equazioni, delle tecnologie e dei dati. Come affermato sopra, questa proprietà è inalienabile: quando entra in questo sistema di archiviazione, vi rimane, e ne viene rimossa solo in casi di proprietà ignota o di frodi nascoste. Non è proprietà intellettuale inalienabile -— ma è costante, indisponibile ed eterna, dopo che è stata riconosciuta.

La "Proprietà Intellettuale", vista in questi termini metaforici, si riferisce ad un curioso problema di sovranità: chi conferisce la proprietà intellettuale scientifica, chi la garantisce? La risposta, ugualmente curiosa, è che nessuno lo fa: la scienza è solo un’evoluzione ingegnosa — un sistema di apertura senza fondamenta, ma stabile. E’ conoscenza pubblica, non privata, come afferma Merton. Chiaramente la sua continuità giroscopica dipende dalla infusione costante di pressione — solitamente, in forma di denaro, a volte, in forma di sostegno politico, domande pressanti e desideri utopici — da parte di università, filantropi e latri benefattori. Le sue norme si ridefiniscono nel tempo, il credito circola, le reputazioni sia delle persone, sia dei finanziatori aumentano e la legittimità dell’impresa continua. Proprio come le affermazioni circa il software libero, la produzione distribuita da pari a pari ed il controllo incrociato della scienza rappresentano un modo stabile, anche se anarchico, per creare ed analizzare materiale di massima qualità. Il "progresso" della scienza non conosce altro modo di procedere.

Tuttavia, ciò che è, forse, più interessante sull’affermazione di Merton riportata al giorno d’oggi è che non c’è più (e non c’è mai stata) una garanzia istituzionale sulla natura pubblica della scienza. Infatti, oggi è vero l’esatto contrario: la natura aperta o pubblica della conoscenza non può essere presupposta, ma deve essere fatta valere, al fine di essere garantita. Mentre una volta gli scienziati facevano a gara per pubblicare i loro risultati, ora fanno a gara per brevettarli. La scienza rimane "pubblica" nel senso di "non segreta", ma sta diventando, prima di tutto, proprietà intellettuale privata, e solo dopo ricerca scientifica pubblica. Questo non è un mistero né etico, né storico, ma indica, invece, che la sostanza istituzionale della scienza è cambiata, negli ultimi trenta anni. Si è spostata su un terreno di massicci investimenti aziendali (in opposizione a investimenti governativi o no-profit) in attività di ricerca — un investimento governato da una struttura esplicita di ritorni quantificabili (il che significa, spesso, ma non sempre, ritorni monetari). Anche nel caso di finanziamenti governativi e pubblici, questa domanda organizzativa di controlli e misurazioni di tipo aziendale domina il lavoro scientifico, fin quasi al suo centro. La scienza ed i suoi risultati sono ora una proprietà ed i ritorni derivanti da essa non sono soggetti al controllo tra pari.

Inoltre, questo cambiamento è stato accompagnato da una massiccia espansione dei regimi di proprietà intellettuale attualmente esistenti [11] per coprire cose che gli scienziati, in precedenza, non hanno protetto (algoritmi, geni, processi, strumenti). Questa espansione ha, allo stesso tempo ristretto il dominio pubblico dell’informazione scientifica e l’etica dell’accesso comune non limitato in nome del profitto dai "beni dell’informazione" — cioè l’utilizzo della produzione della proprietà intellettuale come un incentivo per l’investimento nella ricerca ha inventato la necessità dei flussi liberi dell’informazione, come un componente della ricerca scientifica. Il risultato è stato, a volte, proficuo, ma sempre un sistema straordinariamente costoso di licenze dilaganti e cross licenze della proprietà intellettuale [12].

Durante lo stesso periodo, la ricerca scientifica ha visto la crescita massiccia di reti eterogenee di computer (di cui Internet è l’esempio più importante — e più aperto) che collegano campi di ricerca in modo sia estensivo, sia intensivo e che forniscono la possibilità di un controllo tra pari che precede, a volte, scavalcava [13] il controllo tra pari esistente, affidabile e ben noto delle pubblicazioni e delle società scientifiche. Dopo tutto, Internet era una rete di ricerca scientifica prima di essere uno strumento commerciale — e l’establishment della ricerca scientifica ha finito per dipendere da essa come elemento centrale della propria struttura istituzionale.

In breve, tutto ciò indica che l’intera struttura materiale e normativa della scienza ha preso una direzione che ha tre implicazioni molto interessanti:

  1. la "proprietà intellettuale" non è più solo una descrizione metaforica di ciò che gli scienziati producono, ma si riferisce a ciò da cui deriva metaforicamente: proprietà intellettuale che esiste realmente (fatta valere a livello internazionale e tutelata a livello legale). La reputazione, forse, non è ancora in vendita, ma oggi è sempre accompagnata da un contratto.
  2. Gli scienziati sono costretti a considerare in modo esplicito il costo ed il ricavo derivati dalla proprietà dei dati, dell’informazione, dei risultati e la loro disponibilità legale. Laddove la "proprietà intellettuale", nella sua incarnazione metaforica, richiedeva solo che il "licenziatario" desse il giusto credito al proprietario, la situazione attuale richiede in modo crescente sia l’attribuzione di credito, sia un pagamento monetario quantificato esplicitamente al proprietario legale (che solo raramente è lo scienziato). La scienza non è più "conoscenza pubblica", ma conoscenza visibile pubblicamente e posseduta privatamente. La corsa a pubblicare ora è anche spesso una corsa a brevettare.
  3. "Internet" così come esisteva prima del 1994 non solo incarnava, ma formava la base di una struttura istituzionale di apertura scientifica. L’accesso anonimo e la disponibilità senza restrizioni definiscono sia la scienza, sia la struttura tecnica dei primi venti anni di Internet. Se questa Internet "di ricerca" possa continuare dipende molto dai risultati della continua privatizzazione di Internet, inclusa la trasformazione della sua architettura [14 ].

E’ interessante notare come queste tre implicazioni si applichino allo stesso modo al software libero. E’ a causa di una situazione di questo tipo, infatti, che la Licenza del Software Libero è emersa: la situazione della produzione del software nei tardi anni ’70 e dei primi anni ’80, quando il centro di una delle strutture di ricerca più scientifiche del mondo, il Laboratorio di Intelligenza Artificiale del MIT, venne chiuso per fornire proprietà intellettuale (sotto forma di personale) ad un gruppo di aziende in competizione tra loro [15]. Da quel momento, quasi tutti i programmatori di software libero sono stati costretti a prendere provvedimenti — tramite l’elemento assolutamente centrale della licenza — senza la quale il software può essere reso nuovamente proprietario. Sfortunatamente, ci sono assai pochi scienziati che si rendono conto che ciò che sta accadendo anche per la scienza. Al momento, non esiste qualcosa come il "Free Science Foundation".

 

 

CONCLUSIONE: ULTERIORI RIFLESSIONI SULLA REPUTAZIONE E LA VALUTA

Se la valuta della scienza è la citazione, non è certamente qualcosa di sconosciuto per il mondo del software libero. Anche la trattazione altamente metaforica e fantastica della reputazione, da parte di Eric Raymond, riconosce che c’è una convenzione informale circa l’elenco dei partecipanti ad un progetto e ciò non dovrebbe mai essere modificata dagli utenti successivi [16]. In modo simile, Rishab Ayer Ghosh e Vipul Ved Prakash (Ghosh e Prakash, 2000) hanno stipulato questa convenzione informale con la disponibilità formale dei pacchetti software per creare uno strumento che dovrebbe rappresentare approssimativamente un indice di citazioni: sommare tutte le citazioni effettuando dei "grep" sui package e cercando gli indirizzi di posta elettronica e le note di copywright. Potremmo chiamare ciò che risulta "greputation", dal momento che trasmette la sessa relazione rispetto alla reputazione che si suppone che il denaro abbia nei confronti del valore. E’ il segno di qualcosa che si presume sia più complesso — la reputazione di uno scienziato — proprio come il denaro è un mezzo arbitrario per rappresentare il valore.

Potremmo anche portare questa analogia un po’ oltre e chiederci quale sia la relazione tra il denaro ed il valore e se possiamo affermare qualcosa di simile circa la funzione della reputazione nella scienza e nel software libero. Il dogma dell’economia è che il denaro è uno standard del valore. E’ una misura numerica utilizzata per confrontare due o più oggetti, tramite una terza misura, stabilita oggettivamente. Questa è una visione non criticabile — a meno che non si voglia chiedere cosa facciano le persone, quando stanno attribuendo valore a qualcosa.

Secondo la prospettiva di Georg Rimmel, il sociologo tedesco degli inizi del secolo, il cui corpus è dedicato al problema del soggetto (Rimmel, 1990), considerare il denaro come qualcosa che semplicemente facilita una tendenza umana naturale (dare valore alle cose, secondo un ordine cardinale) è un assunto illegittimo, a livello sociologico ed antropologico. Gli esseri umani non nascono con questa capacità obiettiva. Piuttosto, dato che il denaro è un insieme vivente di istituzioni che calibrano il valore ed un insieme di tecnologie (contanti, assegni, credito, ecc.) che gli permettono di circolare e di accumularsi, gli esseri umani si trovano in una rete che permette einsegna loro come rapportarsi al denaro — come contarlo e anche come contare su di esso. Anche i neo-classicisti più ortodossi concordano sul fatto che l’attore razionale dei modelli economici non esiste. Tuttavia, ciò non suggerisce assolutamente che esso non possa essere creato dalle istituzioni della vita economica. Per prendere in prestito la frase di David Woodruf: "gli esseri umani sono dotati solo di un senso ordinale dell’utilità; raggiungono qualcosa che assomiglia ad un senso cardinale dell’utilità (il "valore"), solo tramite l’abitudine a fare calcoli con il denaro".

Se consideriamo questa intuizione rapportandola alla "valuta" della reputazione, così come a quella del denaro, possiamo dire ciò che segue: gli standard del valore (denaro o citazione) serve solo per stabilizzare la rete degli obblighi così creati: nel caso di economie basate sul denaro, un singolo valore cardinale, nel caso delle citazioni, una reputazione ampiamente riconosciuta anche se spesso contestata. L’insieme vasto ed interconnesso degli obblighi legali, rappresentati dal denaro, possono essere valutati a livello universale con un singolo standard — un valore cardinale. Ma se valutassimo il mondo degli obblighi con uno standard diverso — ad esempio, uno non numerico — allora gli esseri umani potrebbero imparare anche ad esprimere l’utilità ed il valore in quel sistema. Il denaro, e questo dovrebbe essere molto chiaro, non è naturale.

Quindi, un atteggiamento simile alle citazioni scientifiche dovrebbe focalizzarsi su qualcosa di diverso dalla loro cardinalità (fatta eccezione, forse, come ho detto, per il caso delle pubblicazioni per ottenere lavoro, in cui sembra contare solo la quantità). Infatti, ciò non accade. Le citazioni non sono sempre buone, possono essere cattive o indifferenti. Può accadere anche che certe cose divengano così note da non essere più citate (F=ma, la selezione naturale), ma ciò, difficilmente, diminuisce la reputazione dei rispettivi progenitori. Piuttosto, l’abilità con cui gli accademici possono capire il linguaggio e le sottigliezze delle citazioni significa che imparano come esprimere gratitudine e ripagare il debito intellettuale in modi standardizzati simili, anche se non semplicemente quantitativi.

E’ lo stesso nel software libero. Anche se alcuni amano suggerire che il buon software è ovvio, perché "funziona", la maggior parte dei programmatori ha dei criteri profondi, sia riguardo l’efficienza, sia riguardo la bellezza. Osservate "The Art of Computer Programming" di Donald Knuth, per un breve assaggio di questi criteri e della complessità interpretativa che essi comportano. Non riconoscere il valore secondo questi criteri porta solo all’esclusione dalla rete.

Lo scienziato che non cita o non riconosce, contrae dei debiti non saldabili — debiti che possono essere saldati con la valuta sottile delle citazioni. Il problema, curioso e di difficile soluzione, diventa dunque: come fanno le reti come quelle della scienza a reclutare persone e crescere di dimensioni, al fine di fare sì che questo standard di valore funzioni su lunghe distanze e nel tempo? La risposta, forse, è che lo fa come il denaro, attraverso la violenza dell’esclusione. Più l’infrastruttura normativa delle pubblicazioni scientifiche, dei database e dei libri di storia diventa legittima, più diventa essenziale giocare secondo queste regole, o trovare dei modi sempre più creativi per romperle. Nel denaro, come nella scienza, rifiutare questo gioco significa sparire. La domanda che apre questo lavoro — "come si guadagna con il sostare libero" — trova, il più delle volte, una risposta nel valore della reputazione e nell’interrogativo se la reputazione possa essere convertita in denaro. Stranamente, siamo indotti a domandarci se le valute sono ugualmente capaci di esprimere valore e se possano essere utilizzate per valutare una rete di obblighi, forse, persino convertite l’una nell’altra. D’altra parte, e in modo più interessante, la risposta è no: la reputazione valuta questi obblighi secondo una metrica molto più ricca e flessibile. Fornisce ai partecipanti un linguaggio con cui discutere del valore e anche per assegnare valore. Il denaro ci insegna a contare, ma la scienza, finché non è governata dal denaro, potrebbe insegnarci a pensare.

 

*Traduzione dall'originale inglese di Anna Fata su gentile concessione dell'Autore e dell'editore di FIRST MONDAY che ha pubblicato la versione inglese nel numero di Dicembre 2001 della Rivista.

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