I report dalle sale congressuali

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12 ottobre, 2012 - 17:31

LETTURA MAGISTRALE
Towards molecular genetic target of bipolar disorder - J. Mandlewicz
L'intervento del prof. Mandlewicz, Presidente dell'European College of Neuropsychopharmacology, delinea l'attuale situazione della ricerca genetica in ambito psichiatrico con un'attenzione specifica ai disturbi dipolari. Viene inizialmente indicato nello studio di associazione lo strumento piu' indicato per la psichiatria. In particolare gli studi di popolazione sono quelli in grado di fornire i dati più significativi, pur con le difficolta' operative e i notevoli costi di realizzazione. Grazie a tali studi sono stati identificati numerosi geni associati al disturbo bipolare, tra i quali BDNF, TPH2, GPR50 (solo nel sesso femminile). Una tema di particolare interesse e' quello dei fenotipi di disturbo bipolare, come l'esordio precoce, il comportamento suicidario e i disturbi di personalita'. Per quanto riguarda l'esordio precoce (prima dei 16 anni), questo e' stato associato al gene HTR2C, mentre il comportamento suicidario a TPH, 5HTT e 5HT2A. La valutazione dei disturbi di personalita' e' particolarmente difficile, mancando uno strumento di valutazione dimensionale adeguato e condiviso, tuttavia e' stato possibile identificare nei geni 5HTT e TPH possibili associazioni significative. Lo studio su famiglie ha consentito di riconoscere, in alcune forme di disturbo bipolare, la presenza del fenomeno dell'anticipazione, connesso con la replicazione di alcune triplette sui cromosomi 17 e 18. Le tecniche e gli strumenti di analisi genetica più recenti e promettenti comprendono lo studio dei SNPs (Single Nucleotide Polymorphisms) con cui e' possibile identificare con precisione regioni del DNA e la Microarray Technology che dovrebbe consentire l'analisi in tempi contenuti del materiale genetico. Gli obiettivi della ricerca genetica in psichiatria sono l'individualizzazione della terapia e la previsione degli effetti collaterali sulla base del genotipo. Il secondo obiettivo e' considerato raggiungibile più a breve termine con gli strumenti attuali. I risultati finora ottenuti possono essere considerati lo sviluppo di tecniche diagnostiche piu' efficaci e una migliore conoscenza dei fattori di vulnerabilita', con i limiti costituiti da una non sempre sufficiente quantita' di dati epidemiologici. Per quanto riguarda nello specifico il disturbo bipolare e' possibile dire che si tratta di una patologia complessa, certamente multifattoriale e con piu' geni coinvolti in differenti meccanismi di ereditarieta'. Il futuro che si prospetta in questo campo di studi e' l'integrazione tra genetica e dati clinici, con il significativo contributo delle neuroimmagini.
Werner Natta

EVENTO SPECIALE: "VECCHI" E "NUOVI" PSICOFARMACI: PUNTI DI VISTA E CONFRONTO
Apre l'evento speciale M. Maj: sottolinea gli aspetti innovativi della ricerca in campo neuropsicofarmacologico, che potra' portare, anche grazie al contributo della genetica, alla reale personalizzazione delle cure.
Il primo intervento (Innovazione e politica del farmaco) e' affidato a F. De Sanctis, di Farmindustria, che illustra opportunita' ed aspettative della ricerca farmacologica in Italia: seimila addetti alla ricerca nel 2005, piu' di un miliardo di euro spesi per la ricerca e lo sviluppo, che rappresentano il 10% circa della ricerca industriale privata in Italia, l'autofinanziamento nel 95% dei casi, 52 progetti strategici del MIUR, 33 progetti di sviluppo italiani, 28 progetti di sviluppo di farmaci biotecnologici. 
Illustra uno studio effettuato dalla Bocconi su 12 aziende a capitale italiano (7 miliardi di fatturato, 30000 addetti) da cui risulta che la preoccupazione costante riguarda il tempo, ovvero la realizzazione dei programmi nei tempi programmati, che rappresenta la valutazione degli investitori sulle aspettative di arrivo sul mercato. Risulta che in Italia aumentano le sperimentazioni internazionali, mentre diminuiscono quelle prettamente nazionali, un buon risultato in termini qualitativi. L'Italia ha le potenzialita' per essere competitiva nella ricerca clinica, ma si deve rendere adatta la "cornice" attuativa. Restano criticita' riguardo ai comitati etici, non adeguati nella rapidita' di intervento, all'attivita' delle autorita' locali, che hanno tempi troppo lunghi, ed al sistema assicurativo. Un impegno del paese nelle politiche per la ricerca e' prioritario. L'obiettivo e' portare al 3% la spesa per la ricerca nel paese, che oggi e' all'1%, attraverso interventi mirati, sviluppo dell'attivita' di ricerca, sostegno ai settori emergenti (nanotecnologie, biotecnologie), tempi rapidi nell'erogazione dei fondi (credito di imposta automatico sulle spese di ricerca), agevolazioni automatiche per l'assunzione di ricercatori.
Segue M. Tansella , che esamina una serie di questioni, prima su tutte la qualita' e la quantita' delle "evidences" nella ricerca, riferendosi a dati provenienti dal Center for Evidence Based Medicine di Oxford. Se ne ricava che dopo alcuni anni la situazione e' migliorata, ma non cambiata in modo radicale. Sono elencati i criteri validi per giudicare i Trials clinici: l'Impact Factor delle riviste, che non sempre e' un indicatore attendibile, il trasferimento delle evidenze alla pratica clinica, le Review sistematiche piuttosto che le "opinioni" degli esperti, i tempi necessari al trasferimento dei nuovi farmaci nella pratica clinica, i tempi per l'identificazione degli effetti collaterali, che non raramente emergono in fase post-marketing, il primato dello studio clinico controllato ed il problema del gruppo di controllo, i confronti tra vecchi e nuovi antipsicotici in aree speciali: anziani, disturbi cerebrovascolari, gli studi indipendenti. Non si deve dimenticare la complessita' degli eventi, di cui il farmaco e' solo una componente, e soprattutto l'indipendenza da interessi commerciali. Inoltre bisogna considerare la relazione medico-paziente, la comprensione del paziente riguardo alla terapia e l'assistenza dei servizi. I farmaci non funzionano da soli, e citando H. Lehman "La psichiatria non e' psicofarmacologia, e non penso che lo sara' mai".
Prosegue E. Sacchetti, che si sofferma sul problema centrale di giungere a terapie personalizzate: gli studi clinici controllati sono necessari ma non sufficienti al clinico nella pratica clinica, c'e' bisogno anche di studi pragmatici e naturalistici. Nell'industria farmaceutica, piuttosto che una totale assenza di interesse, difficile da immaginare, c'e' bisogno di regole ferree atte al controllo, ed e' importante inoltre valutare il setting clinico.
Interviene G.B. Cassano, ripercorrendo la storia degli antidepressivi a partire dall'evento del Prozac negli anni '80, inizio della svolta degli SSRI. L'esperienza clinica ha suggerito l'importanza della valutazione della comorbilita' e dei fenomeni collaterali associati che possono essere corretti da un uso adeguato dei farmaci, e questo non si vede dai Clinical Trials, ma dalla pratica clinica. I nuovi farmaci hanno determinato un cambiamento nelle conoscenze ed un impulso nella ricerca. Aspetti negativi del fenomeno sono l'over-prescription e la tendenza alla medicalizzazione dei soggetti. I nuovi antidepressivi hanno in un certo senso liberato dall'abuso di benzodiazepine, ma resta un rischio, seppur minore, di abuso di essi stessi, e sono comunque al centro di controversie per l'azione disinibente, il rischio suicidiario, l'associazione con condotte devianti. Compito del futuro sara' facilitare l'informazione verso i medici di base, che proprio grazie all'avvento degli SSRI non possono non conoscere patologie come l'ansia e la depressione, e verso la medicina di consultazione. Restano comunque situazioni che non possono essere trattate solo con la psicofarmacologia: si avverte la necessita' di psicoterapie, ma fondate sull'evidenza, brevi, e con alto tasso di efficienza, come ad esempio la Psicoterapia Interpersonale Breve.
G. De Girolamo illustra uno studio riguardante la prescrizione di antidepressivi in Lombardia, dal quale emerge che la prescrizione aumenta con l'eta', mentre i tassi di incidenza della depressione decrescono, cosa che spinge all'ipotesi che il farmaco venga prescritto per malesseri generali. Inoltre risulta che sono prescritti soprattutto dai medici di medicina generale, il piu' prescritto e' la paroxetina, sono stabili i consumi di TCA mentre vi e' un aumento massivo del consumo di SSRI. Di seguito e' illustrato lo studio epidemiologico EseMed (2004) da cui si evidenzia che il 2.4% degli italiani ha assunto almeno un farmaco antidepressivo negli ultimi 12 mesi, e di questi quelli con diagnosi di depressione maggiore senza comorbilita' sono la percentuale minore.
Prosegue G. Biggio (Gli sviluppi della ricerca di base in neuropsicofarmacologia), facendo il punto sull'esistenza al momento di farmaci non selettivi, mentre il futuro si apre alla ricerca della selettivita' nell'azione dello psicofarmaco. Porta l'esempio del recettore per il GABA-a e le benzodiazepine: i farmaci sono "passepartout" per le diverse espressioni geniche del recettore ( i diversi sottotipi), e questo porta ai diversi effetti clinici ( sedativo, ansiolitico, miorilassante �). In futuro si cercheranno molecole che attivino un effetto piuttosto di un altro. Un altro esempio portato riguarda il trofismo neuronale: avremo farmaci che stimoleranno l'espressione genica ed il neurotrofismo dei fattori trofici (BDNF) e la neurogenesi.
Di seguito E. Aguglia ( Impiego di psicofarmaci in popolazioni speciali) affronta la questione della liberta' della terapia e le prescrizioni "off-label", in particolare in situazioni critiche: autismo, demenze, ritardo mentale, disturbi di personalita'. Si ribadisce la responsabilita' dello psichiatra che opera questo tipo di scelta terapeutica, e sono mostrati studi che confermano l'opportunita' di tali decisioni.
Conclude E. Muggia (Qualita' di vita dei pazienti: il contributo dei nuovi psicofarmaci), che porta un contributo "dall'altra parte", ossia come rappresentante dell'unione nazionale delle associazioni per la salute mentale, e soprattutto la propria storia personale di fratello di una persona che si e' ammalata di schizofrenia negli anni '60. Le associazioni dei pazienti in Italia sono ancora deboli, frammentate e di breve durata. La qualita' di vita dei famigliari d'altronde migliora quando essi sanno che i parenti sono in buone mani: e' importante ascoltare le parole ed il vissuto della persona che si prende in cura. Il pregiudizio e lo stigma spesso sono presenti nella mente della persona che si ammala e nella sua famiglia, ma spesso anche in quella dei medici, dei ricercatori e di tutti gli operatori della salute mentale, ed e' difficile modificare consuetudini e mentalita' dei curanti. Occorre occuparsi inoltre delle problematiche sociali, ed il nodo piu' urgente da affrontare e' far riprendere la speranza, contro il pregiudizio piu' duro ed ostinato.
A cura di M. Fenocchio.

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