Abstract: La riflessione sui fondamenti e la pedagogia delle condotte prosociali rende necessario, anche ai fini di un più efficace intervento, un riesame dei fondamenti stessi della morale. La psicologia e la psichiatria si sono in passato interessate più di studiare l'aggressività e le personalità e le condotte antisociali che la solidarietà, la creatività e le condotte prosociali. Tuttavia, le ricerche in questa direzione sono certamente andate aumentando negli ultimi anni e ci consentono di qualificare come prosociali quelle condotte che esprimono la presenza di vissuti di empatia, di interesse ai bisogni dell'altro, di senso di responsabilità, di creatività.
Dovrei prima di tutto sforzarmi
di meditare sull'eguaglianza di me e degli altri.
Io dovrei proteggere tutti gli esseri come faccio con me stesso
perché siamo eguali nel desiderare il piacere
e nell'evitare il dolore.
Santideva, "Bodhicaryvatara"
1. Vorrei cominciare con un interrogativo di tipo pedagogico. Possiamo individuare una possibile coincidenza di benessere e creatività, di autosviluppo e altruismo, nella sua forma di solidarietà autorealizzativa? In altri termini, l'educazione alla creatività può corrispondere alla educazione all'altruismo?
Ovviamente, per creatività si possono intendere cose diverse: ad esempio, creare qualcosa di nuovo, qualcosa che può essere fruito da altri sotto forma di prodotto linguistico (pittura, musica, racconto, poesia…) oppure nel senso di atteggiamento creativo, dimensione della personalità. In questa seconda accezione la creatività può essere vista come condizione della libertà personale e dell'autosviluppo. Consapevolezza, fede e coraggio permettono, secondo E. Fromm, il dispiegamento dell'atteggiamento creativo: "un atteggiamento che ciascun essere umano potrebbe e dovrebbe realizzare. Educare alla creatività equivale a educare alla vita" (1980, p. 78). Un tale atteggiamento ci porta a vedere gli altri e le cose del mondo con maggiore consapevolezza e obiettività a prescindere dalle nostre emozioni personali e dalle nostre preoccupazioni e ansie. Forse, solo chi ha raggiunto un grado di maturità interiore che riduca il meccanismo di proiezione e distorsione è in grado di compiere esperienze veramente creative. Attraverso la consapevolezza e l'obiettività l'uomo può uscire dall'egocentrismo e dal narcisismo che lo tengono prigioniero di sé stesso e, come suggerisce ancora Fromm,
chiuso in sé e inevitabilmente atterrito e infelice. Se vuol acquisire il senso autentico dell'io deve evadere dalla propria persona, deve rinunziare al possesso di sé in quanto oggetto di proprietà e incominciare a sperimentarsi unicamente nel processo della risposta creativa; se riesce a sperimentarsi in questo processo, l'uomo – per quanto l'affermazione suoni paradossale – perde sé stesso, trascende i limiti della propria persona e nel momento stesso in cui sente io sono sente anche io sono te, io sono tutt'uno col mondo intero (Fromm, 1980, p.75).
È utile ricordare come la psicologia umanistica abbia preso, quale suo punto di partenza, la condizione umana, considerandola da un punto di vista che viene in gran parte a coincidere con la visione del mondo delle più grandi tradizioni spirituali orientali. L'uomo, come essere impermanente e privo di esistenza autonoma, è dipendente da relazioni, cause e condizioni: compare nel mondo senza che lo desideri e lo approvi, ed egualmente senza desiderarlo né approvarlo ne è allontanato. Proprio da questa incertezza e indominabilità, il Buddha ricavò l'insegnamento dell'assenza dell'ego (o della esistenza inerente). Ma l'uomo, a differenza degli animali, osserva Fromm (1976),
essendo dotato di ragione e di immaginazione, non può accontentarsi della passiva condizione di creatura, di dado gettato fuori dal bossolo. Egli è mosso dallo stimolo di trascendere il suo stato di creatura e l'accidentalità e passività della sua esistenza, diventando "creatore".
Cosciente di essere creato e di poter creare, per farsi partecipe della grande catena della vita universale l'uomo crea vita, oggetti, arte, idee:
nell'atto creativo – scrive ancora Fromm (1976) – trascende sé stesso come creatura, eleva sé stesso al di sopra della passività e accidentalità della sua esistenza entro il regno della volontà creativa e della libertà. Nel bisogno umano di trascendenza risiede una delle radici dell'amore, come anche dell'arte, della religione e della produzione materiale.
Se vogliamo lavorare per lo sviluppo di abilità prosociali e prevenire i rischi dei comportamenti antisociali, l'educazione all'autotrascendenza prima di offrire espressione a un desiderio maturo di autorealizzazione spirituale, nell'età evolutiva mi pare si possa configurare proprio come educazione alla creatività. La creazione presuppone attività, interessamento, amore; è questo un modo di riscoprire e riaffermare quell'amore e quella difesa della vita, di cui oggi si parla spesso in modo retorico se non addirittura equivoco. Giustamente Fromm (1976) si domanda:
Come potrebbe allora l'uomo risolvere il problema di trascendere sé stesso se non fosse capace di creare, se non potesse amare? C'è un'altra risposta a questo bisogno di trascendenza: se io non posso creare la vita, posso distruggerla. Anche distruggere la vita fa sì che io la trascenda.
Anche nell'atto di distruzione
l'uomo mette sé stesso al di sopra della vita, trascende sé stesso in quanto creatura […]. Creazione e distruzione, amore e odio non sono due distinti indipendenti l'uno dall'altro. Entrambi sono risposte allo stesso bisogno di trascendenza e la volontà di distruzione deve sorgere quando nondell'egoismo.
2. La riflessione sui fondamenti e la pedagogia delle condotte prosociali rende necessario, anche ai fini di un più efficace intervento, un riesame dei fondamenti stessi della morale. La psicologia e la psichiatria si sono in passato interessate più di studiare l'aggressività e le personalità e le condotte antisociali che la solidarietà, la creatività e le condotte prosociali. Tuttavia, le ricerche in questa direzione sono certamente andate aumentando negli ultimi anni e ci consentono di qualificare un insieme di condotte che esprimono vissuti di empatia, di interesse ai bisogni dell'altro, di ricerca di senso; educare alla vita significa allora educare a partecipare al processo creativo e a concrete abilità di autotrascendenza, uscendo dalla separatezza dell'io individuale. Vorrei ricordare due frasi, direi quasi due slogan, che mi sembra possano bene condensare le considerazioni fin qui svolte. Il primo, il più vicino a noi nel tempo, è quello lanciato dal poeta-mito del Sessantotto, Allen Ginsberg: "Allargate l'area della coscienza". È un messaggio che ci riporta, quasi a rimarcare la continuità dellaphilosophia perennis, alla espressione, di qualche millennio precedente, del profeta Isaia che così esortava: "Allarga lo spazio della tua tenda, stendi i teli della tua dimora senza risparmio, allunga i cordami, rinforza i pioli" (Is., 54, 2). Entrambe, queste esortazioni costituscono non un effimero invito, ma un forte richiamo a individuare nell'autotrascendenza e nella costruzione di un io universalizzato i soli veri e non effimeri strumenti di guarigione spirituale dalle angustie dell'egoismo.
2.1. Le etiche religiose sono costituite da comandamenti, eteronomi rispetto alla volontà umana, basati sul sentimento della creaturalità, quel sentimento di rapporto con un "totalmente altro", che Rudolf Otto aveva definito misterium tremendum, misterium fascinans. Carattere delle etiche religiose è di seguire il destino delle fedi e delle culture a cui sono connesse, garantendo un controllo sociale in molti casi efficace. I precetti, emanati da qualche autorità che si definisce interprete di volontà divine, tendono tuttavia a essere trasgrediti quando vengono avvertiti come limitativi della libera espansione individuale e, quanto ai contenuti, una norma eteronoma non può automaticamente garantire la tolleranza, il dialogo, il rispetto dei diritti umani, come esige una coscienza attenta allo sviluppo interiore. Sono ancora oggi davanti a noi numerosi esempi di repressioni e di conflitti religiosi, o che si esprimono sotto copertura religiosa, e assistiamo a stragi e genocidi che si dicono compiuti in nome di Dio. Vedremo più avanti il diverso posto che va assegnato alle etiche originate da dottrine di vita proprie di alcune grandi tradizioni spirituali non più legate a determinate etnie e culture, ma che si pongono in una prospettiva universalistica.
2.2. L'etica laica, a differenza di quella religiosa, è sì basata sulla libera volontà dell'uomo, ma proprio per questo si rivela in difficoltà a offrire un valido fondamento all'azione morale. Secondo questo punto di vista, ciò che è (tecnicamente) fattibile tende a essere per ciò stesso considerato eticamente accettabile, e i richiami alla coerenza kantiana o alla innata bontà non sembrano uscire da una giustificazione basata sul puro "gusto del bene" o sull'utilità che si può avere nel moderare un comportamento considerato troppo autoaffermativo ed egoistico. Si tratta spesso di punti di vista riduzionistici, che eventualmente cercano nella biologia la base dei comportamenti altruistici, o meglio di un egoismo allargato, che finisce per svalutare proprio quelle esigenze di autosviluppo che dovrebbero caratterizzare un'etica dell'autonomia. Va poi da sé che non vengano, riduzionisticamente, riconosciute dignità e autenticità alle esigenze religiose e spirituali, interpretate come condotte immature o patologiche.
3. Negli ultimi decenni, nel dibattito sull'etica vediamo emergere un nuovo interlocutore, rappresentato dalle scienze umane e, in particolare, dalle psicologie dette (rispetto a psicoanalisi e behaviorismo) della terza o quarta forza, rappresentate rispettivamente dalla psicologia umanistica e dalla psicologia transpersonale, le quali sono partite proprio da un riesame della tassonomia dei bisogni (Box 1 e 2).
Box 1 – Le motivazioni umane
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sopravvivenza e sicurezza (motivazioni carenziali) |
soddisfazione e stimolazione (motivazioni di abbondanza) |
relative alla corporeità |
evitare situazioni di fame, sete, man-canza di ossigeno, estremi di tempera-tura, fatica, malattia e altri stati costrittivi |
ottenere esperienze sensoriali gradevoli, piacere sessuale, be-nessere fisico, movimenti liberi |
relative al rapporto con l'ambiente |
evitare oggetti (e situazioni) pericolosi e disgustosi, ricercare oggetti necessari alla sopravvivenza e alla sicurezza, conservare un ambiente sicuro, stabile, confortevole |
ottenere oggetti e beni, comprendere l'ambiente, risolvere problemi, giocare, divertirsi, ricercare ambienti nuovi e stimolanti, avventura, conoscenza, movimento, affermazione |
relative ai rapporti interpersonali |
evitare conflitti interpersonali e rapporti ostili, conservare stato sociale, prestigio, appartenenza a un gruppo, adeguarsi ai valori e agli standard di gruppo, ricevere aiuto e cure da parte di altri |
ottenere potere su altri, esser capaci di offrire amore, godere della compagnia di altri, aiutare e curare altri, essere indipendente, socialità, affermazione |
relative al rapporto con sé stessi |
evitare sentimenti di inferiorità nei confronti degli altri e del sé ideale, sentimenti di colpa, paura, vergogna, ansia |
avere fiducia in sé, esprimersi, essere soddisfatti, trovare un significato per la propria vita
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Secondo la psicologia transpersonale, i bisogni specificamente umani sono rappresentati proprio dalle domande di orientamento, significato, devozione, creatività, bisogni che devono essere soddisfatti per risolvere la contraddizione esistenziale fondamentale che vede l'uomo solo e contrapposto al mondo, e che, incapace di sopportare tale frattura, è spinto a cercare innumerevoli modi e vie di realizzazione della relazione e dell'unità: possiamo leggere gran parte della storia della cultura come la storia dei sempre rinnovati tentativi di dare una risposta a tale esigenza. Benché gran parte degli sforzi di ciascuno siano tesi a definire la propria identità personale, indispensabile interfaccia per assicurare validi scambi col mondo sociale, la soddisfazione dei bisogni specificamente umani necessita della costruzione di una più ampia identità, che chiamiamo identità transpersonale, realizzabile attraverso la ristrutturazione dell'ordinario assetto dualistico-egocentrico dei sistemi psicologici, ristrutturazione orientata verso una diversa configurazione, anegoica e transpersonale. La realizzazione di una trascendenza non metafisica, ma psicologica, attraverso quella che è stata chiamata arte, cioè una pratica, della trascendenza, è infatti ciò che la philosophia perennis ha costantemente insegnato. Se analizziamo le differenti dottrine di vita che le diverse culture hanno espresso in risposta alla domanda esistenziale fondamentamentale sul senso della vita, e quindi anche della sofferenza e della morte, osserviamo che esse sono concordi nell'indicare la necessità – per usare l'espressione di William James – di "portare in campo l'infinito". Autotrascendenza è dunque il termine col quale possiamo designare l'obiettivo dei diversi percorsi di autodistanziamento e ancoraggio all'infinito, nel quale risiedono, a un tempo, le possibilità di risposta alla domanda di senso e le basi di una condotta prosociale e altruistica, che veda la solidarietà autorealizzativa non come forma di gratuito e sentimentalistico buonismo, ma come stile di condotta dell'individuo autorealizzato.
Benché quello dell'autotrascendenza sia un insegnamento fondamentale della filosofia perenne, la cultura della modernità ne ha operato, nell'epoca dell'utopismo scientifico e politico, una profonda rimozione. Oggi, nel periodo che stiamo attraversando (postmodernità), varie correnti di pensiero sono tornate a confrontarsi con questa tematica e la già trionfante secolarizzazione sembra avere lasciato il campo a un atteggiamento caratterizzato dal riemergere del sacro e da una nuova esigenza di spiritualità (postsecolarizzazione).
Box 2 – I bisogni "umani" secondo Fromm
correlazione (contro narcisismo) |
amore come bisogno di unione con qualcuno o qualche cosa, al di fuori di sé stessi, trascendendo la propria esi-stenza individualizzata e sentendosi portatori di quei poteri attivi che costi-tuiscono l'atto di amare; la sollecitu-dine e la responsabilità denotano il fatto che l'amore è un'attività, non una passione da cui si è sopraffatti, non un affetto da cui si è "affetti" |
creatività e trascendenza (contro distruttività) |
bisogno di trascendere lo stato di creatura passiva (è anche la base della risposta distruttiva) |
radicamento (fraternità contro incesto) |
bisogno di sostituire le radici naturali con nuove radici umane |
identità (contro indistinzione) |
bisogno di dire "io sono io", di essere soggetto delle proprie azioni; preoc-cupazione di raggiungere uno status e di appartenere a un gruppo (è anche la base dell'individualità illusoria e del conformismo) |
orientamento (contro irrazionalità e disorientamento) |
bisogno di avere un orientamento nel mondo, interpretando e correlando la molteplicità dei fenomeni in modo ra-zionale (senza proiezioni e razionalizzazioni) |
devozione (contro mancanza di significato e dedizione) |
la comprensione intellettuale del mondo per essere soddisfacente deve contenere anche elementi sensoriali e affettivi, espressi nel rapporto con un oggetto di devozione, che dia significato alla esistenza e alla posizione nel mondo |
I bisogni "creativi" di devozione, trascendenza, correlazione sembrano tutti fare appello alla necessità di porsi in un atteggiamento anegoico.
Possiamo citare in proposito una voce laica, quella di Arnold Toynbee, lo storico inglese autore di Storia e religione (1984) che ha scritto in proposito:
Il ruolo dell'egocentrismo nella vita sulla terra è ambivalente. Anzitutto, l'egocentrismo è evidentemente proprio dell'essenza della vita terrestre. La creatura che vive si potrebbe in verità definire un frammento minore e subordinato dell'universo che, grazie a un tour de force, si è parzialmente svincolato dall'inerzia e si è costituito come forza autonoma che lotta, ai limiti delle sue capacità, per asservire il resto dell'universo ai suoi fini egoistici. In altre parole, ogni essere vivente è teso a farsi centro dell'universo e, in questo suo sforzo, entra in conflitto con ogni altra creatura, con l'universo stesso, e con l'energia che crea e sostiene l'universo, vale a dire la Realtà assoluta sottesa ai fenomeni transitori. Questa posizione egocentrica è, per ogni creatura vivente, una necessità di vita, in quanto è indispensabile alla sua esistenza. Una totale rinuncia alla centralità del Sé comporterebbe, per una creatura vivente, la completa estinzione della potenzialità insita in quel particolare veicolo di vita, in quel luogo e in quel tempo (anche se non significherebbe l'estinzione della vita); l'intuizione di questa verità psicologica è il punto di partenza dell'itinerario intellettuale del buddhismo […]. L'egocentrismo è dunque una necessità di vita, ma questa necessità è anche una colpa. L'ego-centrismo infatti è un errore intellettuale, perché nessuna creatura vivente è in verità il centro dell'universo; ed è un errore morale, perché nessuna creatura vivente ha diritto di agire come se fosse il centro dell'universo. Non ha diritto di trattare le creature sue simili, l'universo e Dio o la Realtà assoluta come se esistessero semplicemente per soddisfare le richieste di una creatura ego-centrica. Persistere in questa erronea fede e agire in base a essa è appunto la colpa che nel linguaggio della psicologia greca è chiamata hybris; e hybris è anche l'orgoglio smodato, criminale e suicida che conduce Lucifero alla caduta (come la tragedia di vivere è presentata nel mito cristiano).
Dato dunque che l'ego-centrismo è sia una necessità di vita sia ad un tempo un peccato che comporta una nèmesi, ogni creatura vivente si trova in un dilemma per tutta la durata della sua esistenza. Una creatura vivente può mantenersi in vita solo se, e fino a che, riesce a evitare il suicidio tramite la auto-affermazione, e l'eutanasia grazie alla rinuncia al Sé.
La via mediana tra i due rischi è stretta come la lama di un rasoio e il viandante deve mantenere l'equilibrio resistendo costantemente alla fortissima tensione di due poli, che lo attraggono verso l'abisso, tra i quali deve a fatica aprirsi la via (p. 18 s.).
4. Nel percorrere la via del proprio sviluppo l'uomo vive i progressivi distacchi e le situazioni di separatezza come laceranti ferite. La psicologia transpersonale, riesaminando le psicologie spirituali incorporate nelle dottrine di vita delle religioni universalistiche (psicologie che sono in grande misura già "pronte" per essere tradotte nei termini della psicologia occidentale) sta operando, per usare una espressione di Jung, come un mediatore gnostico collettivo, capace di offrire una strada con cui la saggezza eterna può fare nuovamente il suo ingresso per infondere e magari trasformare la cultura occidentale (Walsh).
La coscienza dualistica e discriminante, che è espressione evolutiva del principio di individuazione e indispensabile strumento al servizio della sopravvivenza, non è più di aiuto di fronte al vissuto di sofferenza originato dalla separatezza né è in grado di dare significato alla condizione di bisogno come condizione costitutiva del vivente. Occorre, per questo, operare un grande cambiamento, una rottura di livello per cui la coscienza del limite si apre all'infinito, il frutto della sofferenza diviene il nutrimento della liberazione e la coscienza dell'ignoranza (avidya) la condizione di illuminazione di una mente oscurata. Questa trasformazione è quella che le tradizioni spirituali hanno sempre sottolineato, indicando l'obiettivo della costruzione di un uomo nuovo, che esca dalle angustie del proprio io "separato" e possa quindi (ri)trovare la sua profonda unità con la natura, con gli altri, con la totalità del reale. L'io empirico apre la sua limitata identità biografica a una identità transpersonale, ritrova la sua "solidarietà" col mondo e con gli altri, scopre il suo legame con la grande forza della Vita universale, di cui vive e per cui vive: nella coscienza così trasformata, la separazione si fa unità, la mancanza pienezza, la miseria ricchezza.
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