"in the fatness of these pursy times"
(Shakespeare, Hamlet, III, 4)
1 – Nella pinguedine di questi tempi obesi.
Durante la prima metà del XX secolo, i malati soffrivano di reminiscenze; da qualche decennio, e in misura sempre crescente, i malati soffrono di percezioni (1). I malati, e in generale gli uomini dell'epoca "postmoderna" . Non che la malattia venga sempre percepita: come la malattia storica descritta da Nietzsche in riferimento all'espansione della memoria ("ciò che è estraneo e sconnesso si affolla, la memoria apre tutte le sue porte e tuttavia non è aperta abbastanza ampiamente", 1873, trad. it. p.31), il diffondersi delle nuove patologie è in larga misura euforico. E' l'euforia del molteplice, più che la depressione, a indebolire la salute nella nostra epoca.
Le parole d'ordine che ricevono i maggiori consensi sono il divenire, la fluidità, l'ibridismo. Anche coloro che tentano una diagnosi del "ristagno e della crisi provocati dal tramonto dell'energia politica affermativa e trasgressiva" non hanno niente di meglio da suggerire che la ricetta del nomadismo (Braidotti 1999, p. 54). Abbiamo bisogno di nuovi schemi concettuali, dice ancora Rosi Braidotti, per affrontare "una cultura che è in preda al fascino delle nuove tecnologie e di un immaginario mostruoso e/o postumano" (ibidem): ma i nuovi schemi, tutti di matrice deleuziana, sono quelli grazie ai quali "l'essere si moltiplica, stende le ali e vola via in una varietà di direzioni che spezzano i parametri stabiliti dalla rappresentazione classica" (ibid., 58). E' difficile, con questi concetti, capire che cosa non va nei discorsi che enfatizzano un soggetto ibrido; come quello, per fare un esempio non più banale di tanti altri, delineato da Marcia Tucker in L'attacco delle gigantesche mutanti Ninja Barbies :
"Immaginatevi, se vi riuscite, una travestita lesbica dedica al body-building, che assomiglia a Chiquita Banana, pensa come Ruth Bader Ginsburg, parla come Dorothy Parker, ha il coraggio di Anita Hill, l'acume politico di Hillary Clinton e la rabbia di Valerie Solanas, ed avrete veramente qualcosa d'inquietante".
Ciò che viene proposto qui non è solo il rovesciamento di una celebre formula di Freud ("Dov'era Es, deve diventare Io"), rovesciamento che evoca l'ormai inattuale "energia politica affermativa e trasgressiva" ; ciò che viene proposto è il passaggio da Io a Molti, e più precisamente a una miscela di Io contemporanei, pubblici, nel senso di una notorietà anche effimera(2). L'epurazione dell'inconscio, indicata con preoccupazione dalla Braidotti, si realizza nell'ossessione del presente, nell'avidità con cui vengono introiettati i personaggi offerti alla "pubblica percezione". Non si ha abbastanza tempo per ricordare – il che non esclude che ce ne sia abbastanza per registrare, il più possibile, mediante le protesi tecnologiche di cui disponiamo. Ascoltiamo il racconto di un etnologo in visita a Euro-Disney :
"Osservai per qualche tempo questo spettacolo : incontestabilmente ciascuno di coloro che filmava o fotografava era a sua volta filmato o fotografato mentre filmava o fotografava. Si va a Disneyland per poter dire di esserci andati e fornirne la prova" (Augé 1997, tr.it. p. 20)
"Improvvisamente, credetti di capire (…) Noi viviamo in un'epoca che mette in scena la storia, che ne fa uno spettacolo e, in questo senso, derealizza la realtà – si tratti della guerra del Golfo, dei castelli della Loira o delle cascate del Niagara (…) A Disneyland è lo spettacolo stesso che viene spettacolarizzato: la scena riproduce quel che era già scena e finzione – la casa di Pinocchio o la nave spaziale di Star Wars. Non solo entriamo nello schermo, invertendo il movimento di The Purple Rose of Cairo di Woody Allen. Ma dietro lo schermo, c'è solo un altro schermo" (ibid., p. 24)
"Disneyland è il mondo di oggi, in quello che ha di peggiore e di migliore: l'esperienza del vuoto e della libertà" (ibid., p. 25).
Queste osservazioni dovranno venire approfondite. Per il momento, ci consentono di indicare una cattiva oscillazione, un falso movimento: alle percezioni "sedentarie", domestiche, destinate al riconoscimento immediato, alle immagini parcheggiate nello spazio di Euro-Disney e di altri non luoghi analoghi, è sin troppo ovvio contrapporre immagini ibride, "nomadiche", affidate alla casualità, alla creatività o all'aggressività del singolo. E forse queste immagini altre sono inquietanti, per i pacifici abitanti del dejà-vu,in grado solo di iscriversi a viaggi organizzati. Ma c'è una sostanziale complicità tra le une e le altre.
Dov'era Es, è diventato Io: in un senso non previsto da Freud, e che appare come una gigantesca caricatura del suo auspicio. Forse è da qui che potrebbe cominciare il nostro discorso. Un discorso sulla formazione del soggetto, e sulle procedure di "messa in scena" del Sé: sull'identità moltiplicata o divisa, e sugli stili di pensiero che ne favoriscono, o ne impediscono, la conoscenza.
2. Il Sé come racconto.
Che la soggettività umana sia intrinsecamente temporale, che il tempo diventi tempo umano solo quando viene raccontato, e che ogni eventuale terapia debba tener conto del nesso tra vita e racconto, sono convinzioni attualmente molto diffuse. La condizione patologica può venir descritta come incapacità a "raccontare", cioè a elaborare narrativamente, la propria storia. Dobbiamo chiederci pertanto che cos'è una buona elaborazione narrativa. Per trovare una risposta a questa domanda è sufficiente rivolgersi alle teorie del racconto ? Credo di no. Raccontare non è solo "raccontare una storia" ; per comprendere che cosa raccontano i racconti è necessario saper analizzare come viene narrata una storia: risulta essenziale la dimensione retorica, intendendo per retorica non l'arte della persuasione bensì l'intelligenza figurale, la teoria degli stili di pensiero (cfr. Bottiroli 1993 e 1997). In una prospettiva più ampia, è necessario collegare la riflessione filosofica con la retorica degli stili e con i modelli della psiche, e questi ultimi andranno valutati anche per la loro idoneità a manifestare il carattere temporale dell'esistenza.
Un'altra convinzione che si è progressivamente affermata a partire da alcuni scritti di Max Black, è l'affinità tra metafore e modelli scientifici. Già Freud, peraltro, asseriva che
"le descrizioni in psicologia possono farsi solo con l'aiuto di similitudini. Questa non è una particolarità della psicologia, anche in altri campi è così. Ma siamo anche costretti a mutare frequentemente paragoni : non v'è alcuno che possa servirci a lungo" (1926, trad. it. p. 363).
Se esiste un'affinità tra metafore e modelli, anche i modelli andranno cambiati con una certa, e sia pur minore, frequenza. Proverò adesso a formulare diversamente lo schema di cui si serve Freud in L'io e l'Es, per rappresentare la seconda topica :
Questa riformulazione mi sembra utile per comprendere il passaggio da Freud a Lacan, da una teoria della psiche divisa in sistemi a un modello in cui diventano decisivi i registri e i regimi (cioè gli stili). Confrontiamo dunque lo schema precedente con lo schema L :
Poiché questo modello è meno noto, ed è anche meno semplice, di quello freudiano, potrà risultare utile qualche rapido chiarimento. Le estremità indicano i quattro poli di un soggetto che si costruisce dapprima nel registro dell'Immaginario, per poi accedere al luogo del Simbolico e accettare la scissione che gli verrà imposta.
S è il soggetto nella sua virtualità – dominio iniziale delle pulsioni, corpo-in-frammenti (corps morcelé), che diventa Io (a) riflettendosi in uno specchio: a' . La funzione-specchio può essere svolta anche dalla madre o da un altro bambino. In ogni caso, l'Io è prima di tutto un'immagine, un'immagine unitaria, che controlla e supera le angosce di frammentazione; ma essendo inizialmente identico alla propria immagine, essendo pervenuto al Sé tramite l'altro, l'Io corre il rischio di venire rapito e attratto nel luogo della "prima alterità". Le narrazioni imperniate sul sosia, sul Doppelgänger, ci parlano di un essere che potrebbe svolgere, e qualche volta svolge, un ruolo di protezione, ma che rapidamente si rende autonomo, diventa ostile, e deruba l'Io del suo stesso essere.
La relazione S-a'-a corrisponde dunque alla prima formazione del Sé, alla prima identificazione. Ora il soggetto è chiamato a scegliere tra due esiti differenti:
- può restare nel registro duale (o dell'Immaginario), riflettersi in A come in un secondo specchio, per cogliere una seconda immagine narcisistica che lo confermi in una presunta onnipotenza. E' la scelta di William Wilson, nel celebre racconto di Poe : il soggetto non riconosce altra Legge che la propria. Ma ripudiando l'Altro (come Legge, come ordine del simbolico) è destinato a incontrare un altro a lui perfettamente simile, il suo doppio, nella veste di un Super-io persecutore. Scacciato dal suo luogo, Ariappare in a', nel luogo dello specchio ;
- il soggetto può decidere di sottomettersi all'A(ltro), e comunque di riconoscere l'Altro nella sua alterità. Si badi che questa alterità non è soltanto – non è sempre o necessariamente – la Legge nell'accezione più ovvia del termine. L'Altro non è solo disciplina, severità, comando. A è un luogo storicamente determinato, e dunque storicamente mutevole. Il padre che incarna la funzione A(ltro) può essere un padre permissivo, e non come eccezione bensì come espressione di una società permissiva. Pertanto A non va qualificato esclusivamente come il luogo del Super-io : esso rimane il luogo della necessità, degli Ideali ; ma anche il luogo delle aspettative, cioè di quello che l'Altro si attende che io diventi. Aspettative troppo grandi possono produrre effetti patologici non meno gravi di una disciplina troppo severa.
Torniamo ora a confrontare lo schema di Freud e quello di Lacan. I progressi e i vantaggi (anche visivi) del modello lacaniano potrebbero venire così sintetizzati :
a. il modello freudiano è più statico, rappresenta la divisione in sistemi come una distribuzione regionale; qui il soggetto appare già "compiuto", adulto. Lo schema lacaniano mette in evidenza il percorso, il processo di costruzione, dell'identità;
b. in Freud le relazioni intrapsichiche appaiono soverchianti rispetto a quelle intersoggettive. In realtà, a partire da Psicologia delle masse e analisi dell'Io (1921), Freud afferma chiaramente la tesi che l'identità è identificazione. L'identità ha carattere relazionale e processuale. Che questa sia la vera concezione di Freud, Lacan lo ha ribadito con un'enfasi giustificata da una tenace incomprensione che coinvolge seguaci e avversari: "Freud dice mille, duemila volte nei suoi scritti che l'Io è la somma delle identificazioni del soggetto, con tutto quel che ne può derivare di radicalmente contingente" (1954-55, p. 187).
Nello schema L, il carattere relazionale dell'identità è piuttosto evidente: e l'Io appare come il più relazionale dei sistemi psichici ;
c. inoltre lo schema L offre la possibilità di distinguere più chiaramente tra la prima identificazione (che genera l'Io) e la seconda identificazione (grazie a cui si formano il Super-io e l'Ideale dell'io).
3. Confusioni tra desiderio e necessità (l'usurpazione da parte dell'Altro).
Bisogna approfondire il significato e la funzione di a' e di A. Per quanto riguarda a', abbiamo sottolineato la funzione di immagine unitaria; tuttavia l'a(ltro), con la minuscola, è anche l'oggetto del desiderio e il luogo del desiderio.
Oggetto del desiderio: oggetto che sporge (seno, pene) oppure bordo (frontiera, orifizio). Ma anche oggetto che prolunga il mio corpo, occasione e causa di una tentata osmosi. E ancora: oggetto congiuntivo, mediatore, che allaccia all'oggetto desiderato (si pensi al feticcio).
L'oggetto a è il Fallo, oppure l'oggetto di cui si desidera essere il Fallo. Vale a dire: l'oggetto è ciò che completa il soggetto, oppureciò a cui il soggetto offre il dono della completezza. Per esempio, se Isabel Archer si innamora di Osmond, non è tanto perché egli sia per lei il Fallo quanto piuttosto perché egli sembra offrirle l'occasione di "darglielo", di darsi in dono, di donargli l'essere. Come potete sposare, dice Mrs Touchett a Isabel, un uomo che non ha "né denaro né nome né peso?" La risposta di Isabel chiarisce che lei lo sposa non benché egli non abbia nulla ma perché non ha nulla: il signor Osmond non ha "né proprietà, né titolo, né onori, né case, né terre, né posizione, né reputazione, né brillanti attributi di nessun genere. E' la mancanza totale di tutte queste cose che mi piace" (Ritratto di signora, cap. 34) (cfr. Bottiroli 1998). Si ama qualcuno per quello che non ha (Lacan).
Infine, l'oggetto a è il luogo del desiderio, la scena primaria (Urszene) di cui Freud, nel Caso clinico dell'uomo dei lupi, ha indicato una versione possibile: il rapporto sessuale tra i genitori inteso dal bambino come un coito a tergo, con forte aggressività da parte del padre. Ebbene, bisogna insistere sul carattere soltanto possibile di questa versione, di questo racconto, nel momento in cui si indicano i tratti costanti che definiscono la scena del desiderio – scena decisiva per la formazione della futura identità sessuale. Questi tratti costanti sono tre: (a) nella scena del desiderio il soggetto percepisce una confusione di corpi; (b) la scena primaria appare inaccessibile. In essa si può penetrare solo con lo sguardo; c) ciò che accade viene compreso in ritardo, posteriormente (nachträglich).
Il carattere di nebulosa, l'elemento orgiastico potrà venir ridotto nell'interpretazione che si formerà nel soggetto. In ogni caso, nellaUrszene è presente un rivale, e il rivale è l'oggetto di una introiezione modellizzante: colui che scatena l'identificazione di desiderio è un modello per l'Io, ed è un altro Io.
O così dovrebbe essere. Il rivale, colui che ha il privilegio di poter accedere al luogo del godimento, dovrebbe far parte dei nostri simili. Ma se è simile al soggetto, se è un doppio di Io, come si spiega la sensazione metafisica di inaccessibilità ? Che cosa ci impedisce di accedere, a nostra volta, nel paradiso ? Per quale ragione il paradiso è, per definizione, un paradiso perduto ? Che cosa può rendere inguaribile la gelosia ?
La risposta a queste domande è forse nascosta in un mito greco, che non a caso ha suscitato l'interesse di Lacan (cfr. Il Seminario II): si tratta del mito di Anfitrione. Esso racconta una delle avventure erotiche di Giove, il padre degli dei (il garante del Simbolico) ; innamoratosi di Alcmena, la bella moglie di Anfitrione, egli decide di sedurla. Diversamente che in altre occasioni, Giove non assume un aspetto zoomorfo (toro, cigno, ecc.), bensì le sembianze del suo rivale, il marito di Alcmena. Nella versione di Molière, e ancor più in quella di Kleist, Giove è geloso. Non vuole semplicemente infilarsi nel letto di Alcmena, desidera strapparle dal cuore la passione che ella prova per suo marito. E per raggiungere questo obiettivo, Giove paradossalmente sceglie la via della somiglianza. Dovrà perciò indurre Alcmena a distinguere, nella stessa figura, il marito e l'amante; arriverà a chiederle – e mai domanda apparirà tanto bizzarra – "Penserai a me anche quando torna Anfitrione?".
La distinzione tra marito e amante non ha nulla di "distintivo": al contrario, essa rafforza la confusione tra A e a'. Giove vorrebbe fare a meno di rivelarsi: se la differenza tra lui e Anfitrione diventasse esplicita, se acquistasse un valore "separativo" diventando la differenza tra due esseri, ontologicamente diversi, come avviene nel finale quando il padre degli dei si rivela in tutto il suo fulgore, questa per Giove sarebbe almeno in parte una sconfitta. Se il cuore di Alcmena restasse diviso tra due passioni, Giove dovrebbe riconoscere l'esistenza di un rivale – mentre, quel rivale, egli vorrebbe annientarlo. Poco importa che Alcmena continui a rivolgersi alla figura, all'aspetto fisico di Anfitrione: chi è stato amato come toro o come cigno può accettare di essere amato nelle sembianze di un mortale. Ciò che conta è che, nella figura del marito, Alcmena ami lui, l'amante sceso dalle stelle, e non "il bellimbusto che freddamente presume di vantare diritti su di te" (I, scena quarta).
E tuttavia Giove sarà costretto progressivamente a rivelarsi, a separarsi dal rivale ; e quando preannuncia ad Alcmena questa separazione, quando le dice
"Tu non hai ancora visto, Alcmena, il suo volto immortale. Dinanzi a lui il cuore ti s'aprirà in beatitudine infinita. Ciò che sentirai per lui ti sembrerà passione ardente, e ghiaccio ciò che senti per Anfitrione. E quando ti avrà toccato l'anima e, dopo il commiato, risalirà all'Olimpo, soffrirai l'incredibile e piangerai perché non ti sarà lecito seguirlo" (II, 5),
egli è già sul punto di ammettere il proprio scacco. Lo ammetterà esplicitamente poche battute oltre : "Maledetta la follia che qui mi ha condotto !".
Il Giove di Kleist appare come l'erede di un'altra figura mitica, ricorda il protagonista di un mito inventato nel XX secolo, quello dell'orda primitiva. Secondo l'ipotesi avanzata da Freud in Totem e tabù, nei tempi primordiali l'umanità era composta da gruppi guidati e dominati da un maschio maturo. Questo padre geloso teneva per sé tutte le femmine e scacciava i figli man mano che crescevano. Un giorno i figli si ribellarono, lo uccisero e lo divorarono. L'omicidio appagò il lato ostile di un legame ambivalente con la figura paterna, ammirata oltre che odiata. L'introiezione fisica fu l'inizio dell'introiezione simbolica: i figli
"revocarono il loro atto dichiarando proibita l'uccisione del sostituto paterno, il totem, e rinunciarono ai suoi frutti, interdicendosi le donne che erano diventate disponibili. In questo modo, prendendo le mosse dal loro filiale senso di colpa, crearono i due tabù fondamentali del totemismo, che proprio perciò dovevano coincidere con i due desideri rimossi del complesso edipico" (Freud 1912-13, p. ).
Il mito dell'orda primitiva non ha ottenuto gli stessi consensi che sono stati tributati al racconto di Edipo. Il significato di Totem e tabùnella ricerca di Freud non è stato compreso adeguatamente. Eppure la figura del padre primordiale è un'integrazione essenziale del "sistema" edipico: se nell'Edipo il padre è una vittima innocente, nel mito dell'orda primitiva è un sovrano aggressivo, geloso, "assoluto", che non si accontenta di essere un modello ideale, e invade rapinosamente i luoghi del piacere e del desiderio. Rispetto al capo dell'orda, Giove è un usurpatore episodico, "parziale", che tuttavia ha rinunciato solo sul piano dei fatti ma non in linea di principio al diritto su tutte le donne. Egli è diventato più selettivo e nello stesso tempo, però, più raffinato e crudele. Le sue irruzioni lasciano cuori mortalmente feriti e identità spezzate.
La confusione tra a' e A deve però venir esaminata anche nella prospettiva opposta. Qualcuno che occupa il luogo del desiderio guarda all'A(ltro), con la maiuscola, come a un oggetto di piacere. O meglio, lo trascina o lo attira verso di sé, per esaltarsi di questa visitazione. L'Altro mantiene il suo titolo, il suo rango. Ma la sua gloria si espande a beneficio esclusivo del soggetto che lo ha "sedotto". Seduzione nobile, causata da uno slancio dematerializzante : passione mistica, unione sensuale con il divino. Oppure, in casi assai meno nobili, consegnati al pettegolezzo mondano o ai mass media, adescamento da parte di un Io qualsiasi nei confronti di chi, in virtù del potere che rappresenta, della ricchezza che possiede o della fama di cui gode, appare fornito di caratteri sessuali superiori. I pettegolezzi su Lady Diana e la vicenda Monica Lewinsky esemplificano questo genere di episodi. Con a' si indica allora il luogo in cui il soggetto si incontra con l'Altro, sessualizza quest'incontro, e lo comunica – ne fa uno spettacolo per il pubblico.
4. Il medesimo e lo stesso, "idem" e "ipse".
Riassumiamo. Abbiamo detto che la personalità di un individuo è la somma delle sue identificazioni, con tutto ciò che ne può derivare di radicalmente contingente. Ogni identità è dunque una storia, e in quanto tale può essere raccontata. Ma come può essere raccontata? Secondo quali modalità, in base a quali scelte retoriche? Esistono racconti che si limitano a cucire il disordine dei ricordi. Ciascuno di noi è in grado di cucire il disordine della propria memoria, ma quanti sono in grado di ritrovare nella propria storia una coerenza o delle contraddizioni non immediatamente visibili? In effetti il significato della nostra vita viene reso accessibile solo da ricostruzioni meno immediatamente autobiografiche, e più analitiche.
Abbiamo cominciato a interrogarci sui possibili strumenti di analisi, considerando in particolare un modello, quello lacaniano, che ci presenta una mappa della psiche, differenziando luoghi e relazioni. La presentazione di questo modello, e delle sue virtualità, non è certo concluso, ma preferiamo sospenderlo, momentaneamente, e rivolgere la nostra attenzione al problema dell'identità dal punto di vista filosofico. La convergenza e il dialogo tra prospettiva psicoanalitica e filosofica ci sembrano essenziali.
Chiediamoci allora quali siano gli strumenti concettuali che la filosofia mette a nostra disposizione per quanto concerne il problema dell'identità. Il primo, e il più familiare, di tali strumenti è certamente la coppia uno/molteplice. Come può un qualsiasi individuo restare lo stesso, pur modificandosi nel corso del tempo? Il criterio dell'identità è stato cercato a lungo sul versante dell'Uno: è perché abbiamo un'anima (immortale), è perché abbiamo un corpo, e una corrispondenza "uno-uno" tra anima e corpo, che ci manteniamo entro i confini di una medesima identità. Riconosciamo qui la tipica impostazione della metafisica, nelle sue varianti. E' perché abbiamo una memoria, dirà invece Locke in una prospettiva antimetafisica, che abbiamo un'identità. Scegliendo il criterio della memoria, Locke non retrocederà davanti alle conseguenze paradossali di alcuni puzzle (o esperimenti mentali). Egli scriverà per esempio :
"Se io avessi la stessa coscienza di aver visto l'arca e il diluvio di Noè, come ho quella di aver visto un'inondazione del Tamigi l'anno scorso, (…) non potrei più dubitare che colui che scrive ora queste righe, che ha visto dilagare il Tamigi l'anno scorso, e colui che contemplò il diluvio, siano lo stesso IO – quale che sia la sostanza in cui vorrete porre quell'io" (Saggio sull'intelletto umano, II, XXVII, par. 18).
Che un Io possa restare il medesimo Io, pur trasferendosi nel corpo di un altro (o servendosi di un altro supporto, di un hardware del tutto diverso), è una possibilità vivacemente discussa all'interno dell'attuale dibattito sul mind-body problem, ed è una possibilitànarrativizzata dalla letteratura e dal cinema di fantascienza (in particolare dal filone cyberpunk). Ma, quanto più ci avviciniamo all'epoca contemporanea, tanto più il problema di una stabilità del Sé deve fare i conti con la tendenza ad avere molti Io, con il desiderio di essere un mutante.
Desiderio ontologicamente fondato: perché l'Io unitario sarebbe in realtà, secondo alcuni autori, ontologicamente molteplice. Potremmo descriverlo come un fascio di percezioni – questa, come tutti sanno, è la tesi di Hume. Con il Trattato della natura umanaviene dunque introdotta la nozione di un "soggetto metonimico" (lo chiameremo così), cioè di un soggetto composto da molte identità, che esistono l'una accanto all'altra, giustapposte cumulativamente e in modo disordinato. Abbiamo scelto questa espressione perchémetonimia indica la relazione à côté, lo stare semplicemente accanto. Dopo Hume, i teorici (e i fautori) del soggetto metonimico non fanno che aumentare: tra di essi vi è Friedrich Schlegel, che, con la nozione di "ironia romantica", esalta la possibilità di vestire e svestire molti Io, tutti inadeguati al soggetto "indossatore". Nella visione di una soggettività metonimica rientra senza dubbio l'affermazione di Nietzsche : "Non abbiamo un'anima immortale, abbiamo molte anime mortali". Osservata con sospetto dalla metafisica, la categoria del molteplice viene ora celebrata. Arriviamo così all'euforia del molteplice, di cui si parlava all'inizio di quest'articolo, l'euforia postmoderna che auspica la nascita di Sé possibili sempre più numerosi, disseminati e frammentari, e delinea un universo abitato da attori dotati di personalità multiple da indossare e deporre a piacere come se fossero maschere.
Nel corso della modernità si è tuttavia presentata, accanto alla soggettività metonimica, un'altra concezione dell'identità, che si affida non alla coppia "uno/molteplice" bensì alla distinzione tra il medesimo (l'uguale) e lo stesso.
"Lo stesso (das selbe) non è l'uguale (das gleiche). Nell'uguale scompare la diversità. Nello stesso appare la diversità" (Heidegger 1957).
Lo stesso è la capacità di includere la differenza, l'alterità – che viene invece respinta da chi vuole restare medesimo, uguale. Resa esplicita da Heidegger, questa distinzione sembra fondamentale per comprendere tutto il pensiero di Nietzsche. Proprio in Niezsche si trova la prima grande critica che mira al ridimensionamento della "coppia uno/molteplice" (di cui egli si serve soprattutto come strumento di distruzione della metafisica). La malattia storica descritta nella Seconda Inattuale va intesa non solo come eccesso di memoria ma come proliferazione indiscriminata del molteplice e indebolimento della capacità di selezione; l'individuo incapace di costruire se stesso brama le mutazioni e concepisce il divenire dell'identità in senso metonimico. Anziché cercare in se stesso il proprio destino, egli "diventa a poco a poco, per paura, attore e assume un ruolo, per lo più anzi molti ruoli, recitando perciò ciascuno di essi male e superficialmente" (1873, trad. it. p. 43). Ci sono stati altri popoli che hanno corso un pericolo simile al nostro, aggiunge Nietzsche : tuttavia i Greci si salvarono, grazie al responso di Apollo, "concentrandosi su se stessi, vale a dire sui loro bisogni veri, e lasciando estinguere quelli apparenti. Così ripresero possesso di sè" (ibid., p. 98). Pertanto "la cultura ellenica non divenne un aggregato", cioè non divenne metonimica
Tuttavia, se l'obiettivo è la costruzione di un Sé capace di includere il diverso, l'altro, perché condannare la via del Molteplice? Non è forse aperto, non è forse duttile, un Sé in grado di sottoporsi a continue metamorfosi? Qual è, insomma, la differenza tra le due vie? Ebbene, chi enfatizza il Molteplice non può non rifiutare l'Uno: tutto ciò che rinvia all'unità appare come repressivo, castrante, umiliante. Nella distinzione tra lo stesso e il medesimo non si riscontra invece alcuna demonizzazione dell'Uno. Tant'è vero che, quando compone la propria autobiografia intellettuale, Nietzsche non rinnega le sue unilateralità precedenti, ad esempio il mestiere del dotto, né esita a definire la sua meta in una prospettiva unitaria :
"La mia accortezza mi ha fatto essere molte cose e in molti luoghi, perché potessi diventare uno – perché potessi arrivare a essereuno. Per un certo tempo dovevo anche essere un dotto" (Ecce Homo, "Le considerazioni inattuali", 3).
La mia accortezza: questo termine richiama un insieme di atteggiamenti che possiamo chiamare strategici, in quanto implicano la flessibilità. Il soggetto strategico, essendo flessibile, è un soggetto plurale ; ma plurale non significa banalmente "molteplice". Così come non significa anarchico:
"Ogni morale, in antitesi com'è al laisser aller, rappresenta una buona dose di tirannide contro la "natura" e anche contro la "ragione": ciò però non è ancora un'obiezione contro di essa, giacché si dovrebbe pur sempre, sulla base di una qualsiasi morale, decretare che non è permessa alcuna specie di tirannide e d'irrazionalità (…)
E' tuttavia curioso che tutto quanto esiste o è esistito sulla terra di libero, di sottile, di ardimentoso, di danzante e di magistralmente sicuro, sia nel pensiero stesso che nel governare e nel discorrere e persuadere, nelle arti come nei costumi etici, si è sviluppato in virtù della "tirannide di leggi arbitrarie" ; e, sia detto in tutta serietà, è molto probabile che proprio questo sia "natura" e "naturale", enon già quel laisser aller ! (Nietzsche 1886, par. 188).
La flessibilità non esclude "che si ubbidisca a lungo e in una sola direzione", non esclude una provvisoria "riduzione della prospettiva, e quindi, in un certo senso, la stupidità, come una condizione di vita e di crescita" (ibidem) : flessibilità significa che ogni scelta unilaterale sarà oltrepassata, ma dopo essere stata sperimentata seriamente. Il modello della soggettività strategica è l'artista, in quanto capace di obbedire "a mille molteplici leggi" (ibidem), e di coordinarle dando vita a uno stile. Come dirà Zarathustra,
"il senso di tutto il mio operare è che io immagini come un poeta e ricomponga in uno ciò che è frammento ed enigma e orrida casualità" (Libro II, Della redenzione).
Quando si richiama a Nietzsche, l'ideologia postmoderna lo falsifica. Al momentaneo offuscarsi dell'intelligenza causato da una restrizione di prospettiva, al dolore provocato dall'introiezione di tecniche disciplinanti, l'ideologia postmoderna preferisce la durevole e inconsapevole stupidità del molteplice.
Dunque : includere la differenza, ospitare l'alterità non significa disperdere il proprio Sé nella folla anonima degli Io, che vengono ad ammassarsi nel proprio spazio "privato" o tra i quali il Sé va a mescolarsi in uno spazio collettivo. La distinzione tra medesimo estesso non abolisce la coppia "uno/molteplice", ma rifiuta di accettare come autentica l'alternativa che quella coppia propone.
La più recente versione della differenza tra das gleiche e das selbe può venir individuata nel distinzione tra idem e ipse, proposta da Ricoeur. Il soggetto idem rappresenta la medesimezza : cioè l'identità numerica, l'identità qualitativa, la continuità ininterrotta nel cambiamento e la permanenza nel tempo (1990, trad. it. p. 211). Idem è il soggetto che ha contratto delle abitudini, le ha trasformate in disposizioni permanenti e dunque in tratti del suo carattere ("Il carattere è veramente il che cosa del chi", ibidem): questi tratti consentono di reidentificare una persona come la medesima. Ipse rappresenta "un altro modello di permanenza nel tempo" : "E' quello della parola mantenuta nella fedeltà alla parola data" (ibid., p. 212). Questa volta ci troviamo decisamente nella dimensione del chi, della persona non "cosalizzata".
Proviamo ora, con Ricoeur, ad applicare questa distinzione al problema del personaggio. I due modi dell'identità definiscono gli estremi di una tipologia, che oppone i personaggi idem (quelli del folklore, delle fiabe, di una certa letteratura in cui raccontare è semplicemente "dire il che cosa del chi") ai personaggi ipse (quelli che incontriamo nel Bildungsroman, e ancor più nel romanzo del flusso di coscienza : personaggi che hanno cessato di essere dei caratteri) (ibid., pp. 240-241). La narrazione ipse (quella cioè in cui è dominante il personaggio ipse) può venir descritta come una messa in scena della "perdita di identità" (ibid., p. 241). Tra i due estremi (gli eroi della fiaba, da un lato, l'uomo senza qualità di Musil dall'altro), esisterebbe un immenso spazio di variazioni, indagato, per esempio, dal romanzo classico (da La principessa di Clèves ai romanzi di Dickens, Dostoevskij o Tolstoj).
C'è qualcosa che non funziona in questa proposta, e il difetto riguarda ancora una volta la difficoltà – e la necessità – di distinguere tra molteplicità semplice e pluralità complessa. Ricoeur si serve di uno schema lineare (X … casi intermedi … Y), dove il rapporto tra X e Y si presenta come un rapporto di "contrarietà" (questa relazione oppositiva, a differenza della "contraddittorietà", ammette la possibilità di compromessi e ibridazioni). Tuttavia il rapporto tra idem (A=A) e non idem (A non = A) potrebbe essere un caso di contraddizione, oppure un rapporto tra correlativi, e non un'opposizione tra contrari. Poiché non tiene conto della possibilità di queste distinzioni, Ricoeur colloca nella sfera di alter (non idem) sia i casi di pura dispersione, di pura alterità, sia i casi in cui "lo stesso" si mostra capace di includere l'altro. Ma se non idem e ipse non coincidono, bisogna proporre un altro schema, più corretto:
Per quanto riguarda il soggetto metonimico, non idem va interpretato come "non ipse": accogliere il principio di alterità equivale alla frantumazione e alla proliferazione del Sé in molte identità, tutte egualmente possibili e tutte egualmente legittime. Si badi però che per realizzare il principio di alterità non basta dichiararlo (non basta credere di essere "metonimici" per esserlo davvero). Bisogna chiedersi allora quanto di ingenuo, di velleitario, di mistificante vi sia in certe dichiarazioni tipiche dell'ideologia postmoderna, e nella convinzione che basti indossare e svestire molti Io per abolire la rigidità del soggetto (come se mille piccole prigioni fossero davvero diverse da un'unica grande prigione). E bisogna chiedersi, recuperando l'integrità dei testi, quale sia il vero significato di certe dichiarazioni che incontriamo in letteratura. Ecco qualche esempio :
"Ed esisteremo divertendoci, sognando amori portentosi e universi fantastici, lamentandoci e denunciando le apparenze del mondo, saltimbanco, mendicante, artista, bandito – prete !" (Rimbaud)
"Nessuna cosa mi fu aliena"
"la mia anima visse come diecimila" (D'Annunzio)
Quando non è velleitaria, l'esperienza di una frammentazione radicale del Sé non può che essere tragica. Lo testimonia la lettera che, ormai sulla soglia della follia, Nietzsche scrisse a Burckhardt il 6 gennaio 1889, e che inizia così :
"Caro amico, alla fin fine preferirei moltissimo essere professore a Basilea piuttosto che Dio; ma non ho osato spingere il mio egoismo privato fino al punto di omettere, per causa sua, la creazione del mondo"
L'autore di questa lettera narra di essersi riservato una camera di fronte a Palazzo Carignano, a Torino, "in cui sono nato col nome di Vittorio Emanuele", invita il suo interlocutore a non prendere troppo sul serio il caso Prado ("Io sono Prado, sono anche Prado padre, oso dire che sono anche Lesseps", "Sono anche Chambige – altro delinquente dabbene"), di essere stato presente in autunno due volte ai propri funerali ("prima come Conte Robilant – no, questi è mio figlio, in quanto io sono Carlo Alberto"), e condensa questo suo vagabondaggio tra molte possibili identità nella celebre formula "in fondo io sono ogni nome della storia".
Questa lettera non ci mostra la complessità della persona e dell'intelletto di Nietzsche, bensì la perdita di quella complessità che conosciamo attraverso i suoi libri. Escludendo l'esito tragico, la via del molteplice non risulta percorribile se non fittiziamente, o come una molteplicità governata pur sempre da idem. Zone di compromesso tra idem e alter sono effettivamente possibili : ma non sarà qui che troveremo i grandi esempi di Bildungsroman, dal Wilhelm Meister alla Recherche. Il romanzo di formazione racconta infatti come un individuo è diventato ipse. Per capire come possano sorgere queste zone di compromesso, dobbiamo osservare di nuovo il nostro schema. Dalla negazione di idem vengono generate tre diverse possibilità, a seconda del tipo di opposizione stabilita dal "non" :
(a) la relazione "idem/non idem" è una relazione di contrarietà, dunque sono possibili casi misti. Ma una serie di casi misti subirà prevalentemente l'attrazione di idem, e allora avremo personaggi quasi stabili, che si trasformano debolmente o che oscillano regolarmente tra estremità ben definite. Un'altra serie di casi subirà l'attrazione di alter, e qui vanno collocate le narrazioni in cui l'identità si sfalda, viene assorbita da un'alterità mostruosa, si smarrisce ecc. (si pensi a film come La mosca o Alien). Questa via conduce ad esplorare con più o meno forte curiosità i territori di "non ipse", ma è difficile che la prudenza venga meno, e che la storia giunga a rappresentare, dissolvendosi, un molteplice puro.
Un esempio. In Strange days è possibile varcare la soglia della propria identità grazie a un apparecchio che registra le esperienze di un individuo non come situazioni oggettive bensì conservando la prospettiva (intellettuale, emotiva) della prima persona. Mediante tale congegno i protagonisti del film hanno dunque accesso alle esperienze private di altri individui, e le rivivono esattamente come sono state vissute. Il film sembra fondarsi su una promessa: vi mostreremo come sia possibile ciò che alcune filosofie della mente dichiarano impossibile ; cioè come sia possibile avere i ricordi di altre persone, ricordare i ricordi altrui. Se Strange Days mantenesse questa promessa, assisteremmo alla confutazione definitiva di quelle posizioni che affermano l'irriducibilità del punto di vista in prima persona (e dunque la sua non-riproducibilità). Non è così. Il film ci racconta di individui che vivono questa esperienza impossibile (ricordare i ricordi altrui), ma lo racconta soltanto ! Lo racconta in terza persona. Noi vediamo un personaggio che vede le percezioni di un altro personaggio, ma sul piano linguistico ciò significa semplicemente un intercalare le immagini "soggettive" con quelle del personaggio che le sta rivivendo ; noi vediamo il personaggio spettatore che manifesta le sue reazioni emotive, ma lo vediamo dall'esterno – stiamo assistendo a un racconto in terza persona che mantiene la promessa iniziale solo all'interno della storia, e non nel rapporto tra film e spettatori.
Tutto ciò può apparire ovvio, ma lo è molto di meno in rapporto allo sciocchezzaio cyberpunk. Va rilevato inoltre che la narrazione fantascientifica trasporta sul piano diegetico, e così nasconde, la vera possibilità di assimilare almeno parzialmente la visione in prima persona di un altro : l'identificazione non è forse questo ?
(b) la relazione "idem/non idem" è una relazione di contraddizione. L'irruzione di alter significa la disgregazione completa del soggetto unitario. Qui non idem coincide con "non ipse". Non c'è più lo spazio per i casi misti, o intermedi. Anziché includere l'alterità, l'Io vi è incluso, vi sprofonda. Questa frammentazione completa, questa psiche morcelé, è quella di Nietzsche nella lettera a Burckhardt ;
(c) la relazione "idem/non idem" è una relazione tra correlativi, cioè tra opposti che si presuppongono reciprocamente. Qui non idemequivale a "ipse". Si potrebbe anche proporre questa formulazione : "non idem, eppure ipse". Il soggetto va alla ricerca di sé, e la ricerca consiste nel ruotare intorno a sé, nel restare lo stesso. Questo processo di costruzione implica l'azione del "negativo", del "non", di non idem. Il "non" genera la pluralità, la scissione. Riconosciamo qui l'azione di alter. E qui il nostro discorso si ricongiunge a quello psicoanalitico, perché è la psicoanalisi che può aiutarci a comprendere quali siano i modi di alter : bisognerà recuperare anzitutto la distinzione tra a' e A.
5. Dai "luoghi" ai "modi" di identita': i regimi.
Come sappiamo, la psicoanalisi distingue due tipi di identificazione: quella primaria, che porta alla costituzione di un Io (nel luogo designato da a'), e quella secondaria, che porta alla formazione del Super-io e dell'Ideale dell'Io (nel luogo designato con la lettera Amaiuscola). La riformulazione lacaniana appare persuasiva, in quanto rende più evidente una dinamica che è riconoscibile nelle pagine di Freud. In particolare, nel capitolo 11 di Psicologia delle masse e analisi dell'Io, Freud definisce l'Ideale dell'Io come "un gradino all'interno dell'Io" : un gradino su cui non siamo obbigati a salire, che non siamo obbligati a scolpire nella roccia della Necessità:
"In molti individui la separazione tra Io e Ideale dell'Io non è molto sviluppata, entrambi coincidono ancora senza fatica, l'Io ha spesso serbato il precedente autocompiacimento narcisistico" (1921, p. 316).
In effetti, aggiunge Freud, se la nascita dell'Io rappresenta una prima differenziazione all'interno della psiche, dobbiamo convenire che la formazione dell'Ideale dell'Io rappresenta una seconda, e più faticosa differenziazione. Più faticosa, perché non indispensabile o non del tutto necessaria : mentre non possiamo fare a meno di un sistema psichico che si occupi della nostra sopravvivenza nel mondo reale, possiamo fare a meno – fino a che punto, e con quali conseguenze, resta da discutere – di un Ideale. Tanto più che
"ogni differenziazione psichica rappresenta un nuovo onere per la funzione psichica, ne accresce la labilità e può divenire il punto di partenza di un cedimento della funzione, di una malattia" (ibid., p. 317).
La formazione dell'Ideale dell'Io, la nascita di un terzo sistema psichico, ci rende più complessi ma anche più vulnerabili. E' dunque comprensibile che anche la seconda differenziazione all'interno della psiche non venga tollerata a lungo e che temporaneamente debba recedere : una trasgressione periodica dei divieti è prevista e legittimata mediante l'istituzione delle feste, che appaiono dunque come "eccessi prescritti dalla legge" (ibid., p. 318). L'abrogazione dell'Ideale costituisce "una festa grandiosa per l'Io", il quale ha così di nuovo la possibilità di essere soddisfatto di se stesso" (ibid., p. 318).
C'è un punto che va chiarito prima di proseguire. Secondo Lacan, il rifiuto dell'Altro – la forclusione del Nome-del-Padre – determina la psicosi. La differenza tra nevrosi e psicosi va compresa in rapporto al Simbolico, all'Ordine del Linguaggio: lo psicotico si ferma sulla soglia che il nevrotico comunque attraversa, benché i processi di assimilazione del Simbolico siano frequentemente velati e catturati dall'Immaginario. Ebbene, gli individui che Freud descrive come privi di quel gradino che è l'Ideale dell'Io, gli individui che, entrando a far parte di un gruppo o di una massa, scelgono il leader in base a una somiglianza – spesso il leader "non deve far altro che possedere in forma particolarmente pura e incisiva le caratteristiche tipiche di questi individui, dando loro l'impressione di una maggior forza e libertà libidica" (bid., p. 316) – , questi individui non sono evidentemente psicotici. In che senso si può dire che non abbiano avuto accesso al luogo dell'Altro ?
Si risponderà che essi hanno interiorizzato le istituzioni del Simbolico solo parzialmente, meccanicamente. L'identificazione secondaria è avvenuta, ha avuto luogo, senza però svilupparsi (rammentiamo l'espressione di Freud : "in molti individui la separazione tra Io e ideale dell'Io non è molto sviluppata (nicht weit vorgeschritten)"). Ci sono molte zone, e molti aspetti nel Simbolico : è dunque possibile che un individuo assimili solo una zona ridotta dell'Altro, e che, una volta compiuta l'introiezione di un insieme limitato di tratti, preferisca percorrere la via che conduce verso a', verso gli oggetti e verso i modelli del desiderio.
Il rapporto con l'Altro non risulterà dunque forcluso, ma certamente impoverito. L'Altro riempie il soggetto di stereotipi : non ci sono intrecci fecondi tra la via del Simbolico e quella dell'Immaginario. Ora, una personalità povera, in cui le interazioni tra i sistemi psichici sono deboli, prevedibili, ripetitive, non può essere che una personalità rigida ; ed è questa rigidità che vogliamo esaminare con attenzione, nei suoi aspetti più evidenti e nei tentativi di mascherarsi.
Abbiamo detto che ci sono molte zone, e molti aspetti nel Simbolico. Ma il Simbolico non è soltanto un luogo, benché riccamente articolato. Non basta restituire al luogo dell'Altro la sua varietà, la pluralità delle sue suddivisioni interne, per comprendere i modi dell'identificazione secondaria. Un'analisi modale dei processi di identificazione richiede nuovi strumenti.
Quando si introduce il termine modo, si evoca immediatamente il problema dello stile : infatti lo stile è il come del che cosa. Vale la pena di ricordare che, nell'Ouverture degli Scritti, Lacan riprende la celebre massima di Buffon, secondo cui lo stile è l'uomo. Ciò che conta però non è il riferimento a una nozione difficilmente afferrabile, difficilmente analizzabile – nozione che non offre i comodi agganci esibiti dalle nozioni "cosali" ; ciò che conta è la strumentazione offerta da Lacan in relazione al problema dello stile.
E se è vero, quando si parla di stile, che "se stile vi è – ce ne deve essere più di uno" (Derrida 1978, trad. it. p. 127), altrettanto necessario è ribadire che il problema dello stile non può venir affrontato con la coppia "uno/molteplice". Benché tra gli stili vi siano numerosissime somiglianze di famiglia, non bisogna rinunciare a distinguere nelle somiglianze. Le somiglianze non si somigliano completamente, ed è perciò possibile dividerle in diversi regimi – termine che va preferito a quello lacaniano di registri, per evidenziare le differenze tra il linguaggio dei luoghi e quello dei modi. Manterremo dunque l'uso di Immaginario, Simbolico, Reale per indicare i registri dell'esperienza, e ci serviremo dei termini confusivo, distintivo, separativo, per indicare famiglie di stili di pensiero(3). Le due serie di termini presentano corrispondenze parziali : l'Immaginario è prevalentemente confusivo, ma nella sfera del Simbolico agiscono sia la modalità separativa (norme, stereotipi) sia la modalità distintiva (interpretazioni, strategie).
Torniamo adesso al luogo dell'A(ltro), là dove il soggetto accede all'ordine simbolico, e tentiamo rapidamente un'analisi nella prospettiva stilistico-modale. Nell'Altro l'Io incontra una serie di modelli, e sarà l'introiezione di questi modelli a determinare la formazione del Super-io e dell'Ideale dell'Io. Abbiamo già ricordato le possibili affinità tra modello e metafora, secondo Black. Per comprendere questo punto, bisogna tuttavia conoscere almeno nelle linee fondamentali la teoria interazionale della metafora, proposta dal filosofo americano in opposizione alla tradizionale teoria sostitutiva. La metafora non è semplicemente, dice Black, la sostituzione di una parola con un'altra, sulla base di un legame di somiglianza (dico "lupo" per dire "(persona) feroce") ; l'errore della teoria sostitutiva va individuato anzitutto nella dimensione troppo stretta assegnata al rapporto tra i due termini della metafora. Essi non si avvicendano su un asse verticale (come avviene ancora in Jakobson), ma interagiscono su un piano orizzontale, all'interno di un enunciato. Consideriamo l'enunciato "l'uomo è un lupo" : Black chiama frame il primo termine (il metaforizzato), cioè uomo in quest'esempio, e focus il secondo termine (il metaforizzante), cioè lupo. Tra i due termini si stabilisce un rapporto di tensione o interazione ; più precisamente, lupo è come un filtro o una lente attraverso cui osservo il termine di partenza ; grazie a questo filtro, è come se noi proiettassimo l'immagine del lupo su quella dell'uomo. Il risultato è una ridescrizione della natura umana : "La metafora-lupo sopprime alcuni dettaglia, ne enfatizza altri, in breve organizza la nostra idea dell'uomo" (Black 1954, p. 59). L'animale che credevamo razionale e socievole, istintivamente portato a cercare la compagnia dei suoi simili, è diventato un essere ostile, diffidente, affamato e sempre pronto a combattere per una preda.
Il rapporto tra individuo e modello nel luogo dell'Altro può venir compreso come un rapporto metaforico, in cui il modello ridescrive colui dal quale viene introiettato. Il primo dei nostri modelli è il padre (almeno per il maschietto), dice Freud. La prima identificazionesimbolica consiste, secondo Lacan, in uno scambio che fa emergere il Nome-del-Padre, mentre allontana e rimuove il desiderio incestuoso per la madre. Per Lacan, dunque, la prima identificazione simbolica (che finora abbiamo chiamato secondaria perché successiva all'identificazione non simbolica, che ha luogo in a' ) è una metafora, la metafora paterna.
Poco importa che Lacan si appoggi alla concezione sostitutiva di Jakobson anziché a quella tensionale di Black : il rapporto di scambio e di assimilazione tra l'Io e il modello è comunque un rapporto figurale e più precisamente un rapporto metaforico. Accettiamo per il momento, senza discuterlo, il privilegio assegnato alla metafora. La questione da approfondire subito è quella deimodi di metaforizzazione.
I modi di metaforizzazione, e più in generale i modi della figuralità, sono i regimi. Va rimarcata la difficoltà, e in molti casi l'impossibilità, di presentare la teoria dei regimi con esempi la cui dimensione sia quella di un semplice enunciato : la teoria dei regimi è fondamentalmente una teoria testuale, una retorica testuale. Se non l'intero testo, è almeno una parte significativa e relativamente autonomo di un testo, che bisogna avere sotto gli occhi (tutte i passi, ad esempio, che riguardano il rapporto metaforico, sineddochico, ecc. tra due personaggi). Qui, per ovvie ragioni di spazio, non potremo varcare di molto la soglia dell'enunciato.
Torniamo all'esempio precedente : "l'uomo è un lupo". Perché Black chiama interazionale un rapporto in cui soltanto il secondo termine sembra agire attivamente (seleziona, enfatizza), mentre il primo termine si limita a subire l'azione ristrutturante del filtro ? In effetti Black parla di una duplice azione : grazie alla metafora l'uomo diventa profondamente "lupesco" ma anche il lupo viene parzialmente "umanizzato". Tuttavia questo scambio di caratteri semantici non è paritario : l'azione preponderante viene svolta dal termine che metaforizza , e non da quello che risulta metaforizzato. In altre parole, il rapporto metaforico è asimmetrico : la somiglianza reciproca viene subito smentita dall'impossibilità di un'inversione, di uno scambio di posti tra i due termini dell'enunciato metaforico. E' vero che il lupo viene "umanizzato" ma non sino al punto di dire che "l'uomo è un lupo" e "il lupo è un uomo" esprimono lo stesso significato. L'affinità tra le metafore e i modelli (ad esempio, i modelli in scala) può chiarire ulteriormente la questione della non simmetria : se diciamo che un certo oggetto è un modello in scala di un piroscafo, non ci sentiremo di aggiungere che il piroscafo è un modello di quell'oggetto. Consideriamo adesso un altro esempio :
"qualcuno di fuori stava battendo un tappeto, cosa poca probabile d'altronde, anzi, cosa non affatto vera. Si trattava invece del suo cuore il cui battito giungeva dal di fuori, da lontano, esattamente come se all'aperto si stesse levando la polvere a un tappeto con un battipanni" (Th. Mann, La montagna incantata)
Anche questo esempio conferma l'asimmetria del rapporto metaforico : il cuore che batte somiglia a un tappeto, a cui si stia levando la polvere, ma un tappeto colpito da un battipanni non somiglia a un cuore. Ciò che rende impossibile (implausibile, ridicola) l'inversione è altresì la componente iperbolica che fa parte intrinsecamente di ogni metafora. E tuttavia, benché la maggior parte delle metafore siano asimmetriche, esistono casi di simmetria : nelle marine di Elstir, l'immaginario pittore della Recherche, la terra e il mare hanno scambiato i loro predicati al punto da tramutarsi l'una nell'altro. E' una metamorfosi reciproca e quasi completa, confermata da una sintassi labirintica, quella che Proust descrive, in una lunga descrizione (un microtesto) che occupa cinque o sei pagine.
Parleremo di regime confusivo per indicare quel regime di senso in cui le relazioni figurali sono simmetriche, reversibili, e di regime distintivo per il regime a cui appartengono le metafore di Hobbes e di Thomas Mann prima menzionate. In entrambi i regimi la metafora vive, anche se il suo funzionamento è simmetrico in un caso e asimmetrico nell'altro. Parleremo infine di regime separativoper indicare una modalità linguistica che si serve di figure morte, codificate (il dente della montagna, la gamba del tavolo, ecc.). Qui le figure sono asimmetriche, ma la loro rigidità impedisce ogni espansione di significato (4).
La teoria dei regimi può generare una teoria del personaggio, e fornire un contributo determinante per lo studio dei processi di identificazione. Supponiamo che X e Y siano non i due termini che compongono un enunciato metaforico, bensì un bambino e suo padre. Di norma, è quest'ultimo a costituire il modello : la relazione che porta all'instaurazione del Nome-del-Padre è asimmetrica edistintiva, o almeno così dovrebbe essere nella versione che prevede un'identificazione feconda. Introiettando il padre, il bambino ne sceglie alcune parti, le enfatizza, si lascia ridescrivere dalla personalità paterna : così diventa simile a lui, senza peraltro somigliargli interamente (in tutti i suoi aspetti e in tutti i suoi diritti). Ogni metafora lascia cadere qualcosa ; non tutti i tratti del metaforizzante vengono assimilati. Riprendiamo un esempio di Black : quando Romeo dice che Gulietta è un sole non intende dire che la sua amata è composta per la maggior parte di gas e che dista dalla terra 150 milioni di chilometri. Tra le caratteristiche paterne che l'introiezione metaforica lascia cadere vi è, com'è noto, il desiderio incestuoso per il genitore dell'altro sesso.
Dunque, l'enunciato "io sono mio padre" è un enunciato figurale (metaforico). Sin qui lo abbiamo considerato come distintivo, ma questo non esclude la possibilità che lo si interpreti in modo confusivo : curiosamente, ciò avviene letteralizzando la copula "è", trasformandola da indicatore di uno scambio figurale in un operatore di identità. La confusività implica sia un'estensione della zona di intersezione, la quale arriverà a comprendere diritti e funzioni che non competono al figlio ; sia la reversibilità del rapporto : da "io sono mio padre" a "mio padre sono (soltanto) io". Enunciato in cui si riversa il desiderio di onnipotenza, e l'incapacità o la non volontà di rinunciare.
Può anche accadere, anzi così accade probabilmente nella maggior parte dei casi, che l'identificazione avvenga secondo modalitàseparative, e che della metafora materna il soggetto dia un'interpretazione riduttiva. In tutti questi casi non vi è un'assimilazione dialogica, una dialettica feconda tra ciò che si è e ciò che, grazie all'esplorazione di un modello, si vuole diventare. Il modello non viene esplorato, ma interiorizzato come insieme di tratti rigidi, come stereotipo. Il Nome-del-Padre non è un testo, denso e disponibile a una rielaborazione personale, ma un insieme di norme, una grammatica, uno stile di vita già grammaticalizzato (l'equivalente di metafore codificate, spente) (5). Il rapporto interpersonale, intersoggettivo, si trasforma in un rapporto di alienazione : nel luogo dell'A(ltro), Io è una funzione, un tipo, una conformità con altri.
6. Modelli letterali e figurali: imitare e interpretare.
L'essere si dice in molti modi (pollakos) (Aristotele). Sarebbe strano che il desiderio di essere potesse dirsi in un modo solo. Non è così, infatti, ma non a causa della molteplicità dei desideri e dei modelli ; non perché ogni individuo desideri "a modo suo" o per il fatto che ogni individuo può essere un modello per un altro individuo. Molti desideri dello stesso tipo, molti desideri secondo la stessa modalità, formano una molteplicità solo numerica. E l'essenza non è mai descrivibile mediante un elenco.
Quando parliamo di "essenza del desiderio" non stiamo pensando alla costanza di una "spinta naturale", a un percorso teleologicamente orientato. Con essenza intendiamo "le possibilità necessarie", dunque la selezione esercitata dal necessario nei confronti del possibile.
Il "possibile necessario" è ciò che più familiarmente chiamiamo il destino. Tuttavia, nell'accezione quotidiana e secondo una certa tradizione filosofica, il destino viene concepito in una dimensione prevalentemente, se non esclusivamente, fattuale : esso è una catena infrangibile di eventi preordinati. Per il pensiero flessibile, invece, il destino è il Sé come oggetto di desiderio. E di conoscenza : i due aspetti appaiono unificati nella concezione platonica dell'Eros.
Il Sé può essere oggetto di una ricerca permanente : ciò accade, però, solo se il soggetto non coincide – e sente di non coincidere – con se stesso. Egli, per così dire, non si riconosce nel proprio idem. Allora torna a percorrere la via delle sue identificazioni, alla ricerca delle possibilità perdute, e questa ricerca implica una rielaborazione semantica del proprio passato. Il soggetto riscrive la propria storia. All'estremo opposto, il soggetto si identifica con ciò che è : il suo essere non appartiene al suo passato e neanche al suo futuro, se non come il substrato su cui si iscrive tutto ciò che (a lui) accade.
Alternativa tra "idem" e "non idem", tra coincidere e non coincidere con se stessi. Il soggetto idem ha introiettato un solo modello : e quest'unica alienazione può far di lui, a seconda delle doti personali, un mediocre oppure un eroe. Per la verità, i modelli possono essere numericamente più di uno ; ma ci sono casi in cui è tale la loro affinità e la loro convergenza, che si può parlare di un solo modello. Scegliamo come esempio l'inizio dei Tre moschettieri di Alexandre Dumas :
"Voi siete giovane, e dovete essere coraggioso per due ragioni : la prima perché siete guascone, la seconda perché siete mio figlio. Non fuggite le occasioni che vi si presenteranno e cercate le avventure (…)
(…) è un esempio che vi propongo : non il mio, perché non sono mai stato a Corte (…) io voglio parlarvi del signor di Tréville (…), capitano dei moschettieri, vale a dire capo di una legione di Cesari, di cui il Re fa gran conto, e che è temuta perfino dal Cardinale … Di più, il signor di Tréville guadagna diecimila scudi all'anno, ed è perciò un gran signore. Egli ha cominciato come voi : andate a fargli visita con questa lettera, prendetelo a modello per fare come ha fatto lui".
Qui si propone un modello, e uno stile di identità : un'identità da imitare il più possibile alla lettera – fate come ha fatto lui : diventate ciò che è diventato lui. Il modello è un modello fattuale, e il suo grado di metaforicità si riduce quasi a zero.
Consideriamo adesso i destini di individui instabili : la loro instabilità può dipendere da due cause completamente diverse. Quando è determinante l'assenza, o la scarsa credibilità, di un modello, allora il luogo dell'Altro appare occupato da una comunità anonima, svigorita, e l'Io, dopo un breve apprendistato, preferisce cercare i suoi modelli nella dimensione dell'Immaginario, cioè in altri Io. Si creano così le condizioni per una soggettività molteplice, ibrida, metonimica : il soggetto si riflette in molti specchi, indossa molte maschere, eventualmente le sovrappone. Non idem, non ipse. Si potrebbe osservare che questo stile di identità è scarsamente metaforico, per il semplice motivo che è metonimico : ma poiché, in linea di principio, le due operazioni figurali sono compatibili, non è superfluo chiedersi quale sia il ruolo svolto dalla metafora nelle serie delle identità. L'esempio menzionato nel primo paragrafo ci permette di comprendere come i modelli metaforici, quando vengono assorbiti nella serialità metonimica, tendano a perdere il loro potere metamorfico : funzionano più come sineddochi che come metafore, vale a dire che offrono più l'esemplificazione di certi tratti (il coraggio di Anita Hill, l'acume politico di Hillary Clinton, la rabbia di Valerie Solanas) che la ridescrizione dei termini focalizzati.
Infine, e ritorniamo a una soggettività complessa – altamente organizzata (Wilde) (6) – il luogo dell'Altro offre almeno un modello che è anche una metafora, una vera metafora, e che viene percepita come tale. Si pensi a ciò che Napoleone rappresenta per Julien Sorel e soprattutto per Raskol'nikov : il grande stratega non può essere l'oggetto di un'imitazione, di un'identificazione letteralista, perché il contesto storico è mutato. Se non lo comprendessero, e se la loro identificazione con il modello tentasse di abolire la differenza dei contesti, i personaggi di Stendhal e di Dostoevskij ripeterebbero il destino di Don Chisciotte. Invece essi sono consapevoli che Napoleone non è imitabile – come può esserlo il signor di Tréville per D'Artagnan -, bensì interpretabile. Enigmatico e irreale, come una metafora. La domanda che tormenta maggiormente Raskol'nikov non è "che cosa farebbe Napoleone al mio posto ?" ma "sono degno di pormi questa domanda ?". Quando egli si confronta con i suoi eroi, la percezione della distanza che lo separa dal modello suscita amarezza, disgusto, e odio contro di sé :
"No, quegli uomini sono d'un altra pasta ; quegli uomini non sono fatti così. Un vero distruttore, al quale tutto è lecito, mette a sacco Tolone, compie una strage a Parigi, dimentica l'esercito in Egitto, spreca mezzo milione di uomini nella spedizione di Mosca, se la cava con un gioco di parole a Vilna …" (…)
"L'estetica non lo consente : Napoleone, andarsi a ficcare sotto il letto di quella vecchietta ! Eh, che schifo !"…" (…)
"Obbedisci, tremante creatura, e non aver desideri, perché queste non sono cose per te ! …"
Qui lo stile di identificazione è distintivo. Il rapporto con la metafora-modello è asimmetrico : io vorrei somigliare a Napoleone, ma Napoleone non vorrebbe somigliare a me ! Tuttavia, poiché l'eroe non sa rinunciare al desiderio di somiglianza, la distanza rispetto all'Altro viene continuamente interrogata : essa è davvero così grande da escludere qualunque possibilità di congiunzione metaforica ? Il tentativo di assimilazione è proprio grottesco ? Oppure esiste una parentela, un'affinità, in grado di giustificare e donare un senso all'azione ?
7. Narrazioni pulsionali e narrazioni dell'Io.
Nella grande letteratura il rapporto con l'Altro riguarda i regimi del confusivo e del distintivo, in lotta tra di loro. Nella letteratura che non è grande, il rapporto con i modelli (indipendentemente dal loro carattere simbolico o immaginario) abbraccia i regimi del separativo e del confusivo. Queste affermazioni richiederebbero un ampio ventaglio di esemplificazioni ; ragioni di spazio ci impediscono di presentarle, così come di procedere a ulteriori approfondimenti.
L'epoca in cui viviamo è stata da noi indicata come un'epoca obesa, dilatata da una cattiva alterità : l'alterità del molteplice. Poiché manca un meccanismo selettivo – l'Uno potrebbe anche essere principio di selezione, ma per l'ideologia postmoderna rappresenta solo una gabbia, un orizzonte che soffoca e chiude -, le individualità tendono a proliferare. Quali individualità, però, e di quale tipo ? Dall'ideologia postmoderna non giungono ovviamente risposte. Il pensiero critico ritiene invece che a venire tanto esaltato sia l'individualismo reale – quest'espressione è con tutta evidenza un calco di "socialismo reale". Gli individui dispersi e frammentati della nostra epoca, assediati da promesse di nuove virtualità e di magiche protesi, sono persone la cui complessità sistemica è stata drasticamente ridotta perché si è impoverito il loro rapporto con l'A(ltro). In un'epoca in cui è cresciuta enormemente la possibilità di nuove combinazioni, è pericolosamente rimpicciolita l'intelligenza delle combinazioni. Sono aumentate le identità, sono diminuite leinterazioni che rendevano possibile il nascere di individualità complesse.
A causa di queste diminuzioni, il soggetto si moltiplica o si semplifica – la prima operazione implica la seconda, mentre non vale il contrario. Proviamo a distinguere adesso tra due processi che negano entrambi la pluralità e la complessità del soggetto, osservandone i riflessi nella narrazione. Il declino del Simbolico come istanza di elaborazione consente l'irruzione di pulsioni alfabetizzate : parleremo di narrazione pulsionale per indicare quei racconti in cui l'Es si esprime fondamentalmente come dimensione corporea, e chiede che le sue scariche di energia vengano rappresentate. Senza dubbio, bisogna riconoscere la possibilità di narrazioni non soltanto pulsionali, in cui si assiste al ritorno dell'elaborazione stilistica (Il silenzio degli innocenti o Le jene sono certamente superiori a American Psycho o a Fango).
Parleremo di narrazioni dell'Io per indicare quei racconti in cui ci si è allontanati in pari misura dall'Es e dall'Altro. La violenza e l'erotismo vengono sostituiti dai sentimenti e dalle lacrime ; quando non viene ignorata, l'elaborazione stilistica è fiacca, e totalmente affidata al prestito, al riferimento colto, alla simulazione, all'esotismo enciclopedico. Melodrammi, commedie, romanzi storici mettono in scena personaggi idem, le cui eventuali lacerazioni e crisi di identità non sono altro che tentativi di convivere con gli stereotipi, di alleggerirne il peso, di stabilire con il lettore o lo spettatore un rapporto di complicità.
La logica dell'inconscio viene ridotta alle sollecitazioni pulsionali, l'Altro non si manifesta se non come un altro Io. Non ci sono desideri rimossi che ritornano, perché troppo debole e indulgente è diventata la rimozione ; non vi è censura, là dove il desiderio è proclamato innocente. Non vi è più memoria, ma solo una registrazione affannosa o indifferente di percezioni.
Le modificazioni epocali non cambiano, né potrebbero cambiare, il meccanismo di costruzione dell'identità tramite una serie più o meno ricca, più o meno selettiva, di identificazioni. Come sappiamo, l'identificazione è quel processo che introduce il "non" all'interno dell'identità. Ogni identità dipende da alter, il che significa che non idem è il nostro destino. Ma l'alterità può venir negata, bloccata o moltiplicata sterilmente. Alla domanda formulata nel titolo di quest'articolo bisogna rispondere: non idem non implica automaticamente non ipse. La ricerca del Sé deve procedere lungo una via diversa da quella che oggi viene suggerita dal soggetto metonimico.
NOTE
1 "L'isterico soffrirebbe per lo più di reminiscenze" (Breuer e Freud 1895, trad. it. p. 179). Questa diagnosi può venir estesa all'intero gruppo di nevrosi, di cui Freud si occuperà nel corso della sua vita e, più in generale, caratterizza il rapporto tra malattia e rimozione.
2 Alcuni di questi personaggi sono già difficili da identificare : ad esempio Anita Hill, protagonista alcuni anni fa di uno scandalo erotico che minacciò di compromettere la carriera di un giudice della Corte Suprema. Valerie Solanas è autrice di un "Manifesto per l'eliminazione dei maschi", 1967 (trad.it. ES, Milano 1994). Dorothy Parker è una scrittrice.
3 Mi sembra che questa decisione possa risultare soddisfacente sia nella prospettiva di una lettura rigorosa e fedele al pensiero di Lacan sia nella prospettiva di chi tenta di valorizzare un'eredità davvero straordinaria. Che il Seminario sulla "Lettera rubata" offra gli elementi essenziali per una teoria dei regimi di senso, o stili di pensiero, è una tesi che ho già sostenuto altrove, più di una volta, e alla quale credo di offrire in questa sede ulteriori conferme.
4 Può apparire curioso l'uso del termine separativo per designare quello che è un sottinsieme dei processi metaforici, che sono processi "congiuntivi", fondati sull'intersezione. Si osservi però che sia le metafore destinate a riempire lacune lessicali, sia quelle che vengono codificate e "letteralizzate", sono operazioni che non scuotono la rigidità delle frontiere linguistiche.
5 Cfr. la distinzione tra "testuale" e grammaticale" in Lotman.
6 "nondimeno ci sono certi temperamenti che il matrimonio rende più complessi : conservano il loro egoismo e vi aggiungono molti altri Io ; sono costretti ad avere più di una vita, diventano più altamente organizzati ; ed essere altamente organizzati è l'obiettivo più alto dell'esistenza umana" (Ritratto di Dorian Gray, cap. 6).
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