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“Cuore sacro” di Ferzan Ozpetek

8 Feb 13

A cura di Rossella-Valdre

Il Lutto, la Colpa, la Riparazione sono I protagonisti psicologici dell’ultimo film del regista turco Ferzan Ozpetek, Cuore sacro.

Ozpetek, gia’ noto per ‘Il bagno turco’, ‘Le fate ignoranti’ e il recente ‘La finestra di fronte’ , percorre da sempre una sua ricerca personale dove I personaggi, piu’ spesso donne, ad un certo punto del loro percorso esistenziale vengono a trovarsi di fronte ad un incontro conqualche cosa di altro da se’ che ne muta radicalmente la storia. Qualcosa che puo’ essere un incontro amoroso, un contatto con culture diverse, un reincontro con aspetti del passato; cio’ che conta, non consiste tanto nell’oggettiva clamorosita’ dell’incontro, quanto nel suo potere di catalizzare un cambiamento profondo, forse gia’ in qualche modo preparato nell’inconscio, dove giaceva latente un’insoddisfazione, un anelito verso forme diverse di Se’.

In Cuore sacro, l’imprenditrice Irene Ravelli (Barbara Bobulova) ha ereditato dal padre un impero aziendale che porta avanti con successo accompagnata dalla vigile attenzione della zia, la sempre bella Lisa Gastoni, e da un entourage di manager disposti a passare sopra ogni cosa, al pari di Irene, nell’ottica del profitto e della speculazione. Ma oltre all’azienda, Irene scopre presto di avere ereditato anche un passato denso di misteri, di violenze taciute e di follie rimosse.

Le hanno raccontato che la madre, morta o comunque sottratta alla sua vista da quando Irene e’ bambina, non le voleva bene e la trascurava, immersa nella malattia mentale e nella solitudine del palazzotto di famiglia.

Proprio da una visita al palazzotto che fu dimora della madre, prende avvio la vicenda del film e la rivisitazione a ritroso di Irene.

Il film si apre con I successi imprenditoriali di Irene: il premio dei giovani imprenditori, le speculazioni riuscite e che mandano sul lastrico una coppia di amici tanto spingerli a suicidarsi insieme, la bella casa algida e minimalista.

Anche del palazzotto di famiglia, la societa’ di Irene intende ricavare mini-appartamenti aprendo una gara speculative. E’ cosi’ che Irene si reca a farvi visita, ed una volta entrata nella camera della madre inizia ad esserne sottilmente turbata. Le pareti sono piene dei segni che la malattia (schizofrenica?) vi ha depositato sopra, quasi un diario murario indecifrabile e personalissimo della madre, dove forse solo il vecchio custode puo’ essersi avvicinato (non estraneo alla follia, quando dice col tono di chi vi e’ passato ‘I manicomi sono chiusi’). Accanto al linguaggio della malattia, Irene scopre pero’ anche I segni dell’affetto della madre per lei, bianchi fazzoletti in cui ha ricamato la sua iniziale, la lettera I. Contemporaneamente alla visita al palazzo, Irene incontra una strana bambina, Benny (la giovanissima Comencini), che sembra inzialmente una piccola ladruncola ma di cui si scopre in seguito un animo particolarissimo e generoso, tanto che morira’ per esaudire con un piccolo furto un desiderio di Irene. L’imprenditrice e la ragazzina, pur nella apparente totale diversita’, avvertono un filo interno di somiglianza e di simpatia che le lega, e che viene presto interrotto dalla morte di Benny (‘siamo tutte e due orfanelle’, le dira’ Benny).

Sempre piu’ avvolta da una sorta di trance emotiva, Irene inizia a esplorare il centro storico, le vie strette e sporche dove ha conosciuto Benny, e quasi avvinta in un inconsapevole automatismo, obbedendo ad una spinta interna, prende il posto di Benny nel portare cibo e provviste ai poveri del quartiere, in maniera sempre piu’ estesa ed organizzata. Decide cosi, opponendosi alla zia e persino ai saggi consigli del prete, di trasformare il palazzotto di familgia in una mensa per poveri, cedendo via via tutto quello che possiede. In ultimo, dentro la metropolitana, si spoglia degli abiti e offre la sua nudita’ francescana agli attoniti passeggeri.

Diversamente dal destino della madre, pero’, Irene incontra l’empatia di una psichiatra (Piera Degli Espositi) che riesce a comprendere la singolarita’ di questo estremo gesto d’amore e, sottraendolo alla categorizzazione psichiatrica, la lascia libera e consapevole di quello che verra’.

Denso di riferimenti dotti e non esente da un velo di intellettualita’, Cuore sacro e’ tuttavia un film forte, intenso, originale e a suo modo emozionante.

Ad un primo sguardo, sembra una vicenda sostanzialmente religiosa, una riproposizione moderna e al femminile della storia di San Francesco, il ricco figlio di mercante che si spoglia di tutti I suoi averi non tanto per dare ai poveri, ma per essere come loro. La generosita’ di Francesco e Irene non ricalca il modello della moderna generosita’ delle donazioni monetarie, ma e’ una donazione di Se’, e’ un diventare come l’Altro, uguale a lui. Il regista Ozpetek, che per il film si e’ volutamente ispirato a San Francesco e al religioso turco Mevlana, era senz’altro consapevole di questo. La spiritualita’, piu’ ancora che la religiosita’, pervade la seconda parte del film rendendo le azioni umane come sospese, incantate, tutte interiori.

Altrettanto forte e’ tuttavia, a mio modo di vedere, l’altra anima del film.

Irene e’ una giovane donna come tante dal punto di vista psichico, poco consapevole di Se’, ma schiacciata da un dolore antico e sordo (la madre dentro di lei), che ora si amplifica con un recente senso di colpa, quello per il suicidio della coppia gettata sul lastrico. Negata inizialmente, la colpa resta dentro inconscia fino a essere di nuovo percepita quando muore Benny, e un dolore si va a sommare inevitabilmente all’altro. Prende cosi’ avvio, dentro Irene, l’esigenza di una riparazione(nel suo senso proprio, Kleiniano del termine, cioe’ verso il danno fatto) che non si limita piu’ ad una singola azione o gesto, ma pervade l’intero Se’ in tutte le sue manifestazioni ed espressioni. Tanto massiccia fu la rimozione, quanto poi imponente sara’ la riparazione, estesa a tutti gli esseri che incontra. Secondo la definizione di Rycroft, la riparazione e’ "il processo (meccanismo di difesa) inteso a ridurre la colpa mediante un’azione destinata a rimediare al danno che si immagina di aver fatto a un oggetto investito in modo ambivalente". Ricordiamo che per il pensiero Kleiniano, la riparazione e’ alla base della posizione depressiva, della creativita’ e della crescita personale.

Ma che cos’e’ il Cuore sacro?

L’essenza del film, comunque lo si senta o lo si preferisca leggere, e’ racchiusa nella confidenza che il vecchio custode, che fu l’unico veramente intimo della madre, fa ad Irene quando le dice…

"….la signora era solita dire che ciascuno di noi ha dentro di se’ due cuori, uno e’ un cuore sacro, ma e’ occultato dall’altro, che lo nasconde, fino a che non veniamo in contatto con il nostro cuore sacro…..allora noi possiamo veramente sentire il cuore sacro che e’ dentro di noi…".

Da laica, mi piace tradurre questa poetica immagine del Cuore sacro nell’esistenza di quella parte di noi interna e inviolabile che ciascuno ha, o supponiamo abbia, che la psicoanalisi e la psicologia hanno variamente definito come vero Se’ o nucleo centrale del Se’ o altro, il cui disvelamento a noi stessi rappresenta lo scopo dell’esistenza o, per il credente, del rapporto con Dio.

La scoperta del suo Cuore sacro, lungi dall’essere un sacrificio o una pena, rende Irene appagata e felice, sorridente per tutte le ultime inquadrature del film.

In una recente bella puntata de L’infedele di Gad Lerner che aveva per oggetto questo film, storici e teologi non hanno esitato – come faremmo noi operatori della psiche – a vedere in questa appagatezza l’enorme gioia narcisistica che la donazione di Se’ comporta, o meglio che la scoperta del nostro Cuore sacro libera in noi. Francesco e Irene, si e’ detto, sono narcisisticamente felici: cio’ che hanno fatto puo’ avere certo aiutato altri, ma ha prima di tutto aiutato loro stessi.

In ultimo, non manca uno sguardo intelligente al sociale. Chi sono I poveri di Cuore sacro ? Non e’ la grande poverta’ dei senza tetto o degli immigrati clandestini, ma la nuova embrionale poverta’ sommersa della famosa quarta settimana, di quelli che pur avendo un onesto reddito da lavoro non riescono ad arrivare a fine mese. E’ la cassiera del supermercato che si vergogna a mangiare alla mensa dei preti, e’ la famiglia che prende I pacchi della spesa quasi di nascosto, una sommersa umanita’ crescente che non si riconosce nell’etichetta di ‘povero’, perche’ in passato non lo era, e dunque e’ solo vergognandosi che puo’ accedere a questo tipo di servizi.

Se con uno spirito un po’ buonista si puo’ vedere in Cuore Sacro un invito alla solidarieta’, io credo che si rende maggiormente ragione al film se lo si interpreta come una metafora su una delle possibili vie, la religiosita’ in questo caso, che possiamo incontrare sulla nostra strada e che ci aprono la porta per contattare noi stessi in profondita’, aldila’ di ruoli, possedimenti materiali e traversie della vita. E’ una spogliazione di identita’, e non gia’ di abiti, quella che Irene fa in metropolitana: e’ a se stessa che si mostra nuda.

E che cosa facciamo noi, in fondo, nei nostri vari percorsi creativi, psicoanalitici, amorosi, nelle nostre forse meno radicali esplorazioni, se non renderci nudi a noi stessi?

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