L'elemento che forse meglio caratterizza tutto il settore delle scienze è quello della misurazione: Galilei, se da un lato affermava che "senza fantasia non si può fare matematica", dall'altro sosteneva anche che "tutto ciò che è scientifico deve essere anche misurabile", riducibile cioè ad un dato numerico. L'uomo, in effetti, ha sempre cercato di identificare e definire delle unità di misura capaci di dar conto, in termini assoluti e relativi, delle caratteristiche dei fenomeni naturali.

La misurazione è fondamentale anche nelle scienze mediche, tanto nella ricerca quanto nella pratica clinica, poiché:

  • contribuisce in maniera sostanziale alla definizione dei problemi e degli obiettivi da raggiungere;
  • aiuta a standardizzare e ad obiettivare l'oggetto del nostro interesse;
  • consente una verifica affidabile degli effetti del trattamento in modo da apportare i cambiamenti che si possano rendere necessari;
  • fornisce, attraverso l'uso di procedure che possono essere condivise da altri, una base per confrontare i risultati di differenti strategie di intervento.

La medicina ha fatto progressi enormi nel campo della misurazione avendo individuato molteplici parametri oggettivi (e individuandone sempre di nuovi mano a mano che migliorano le conoscenze e gli strumenti di indagine) capaci di definire la "normalità", di segnare il confine tra presenza ed assenza di patologia, di dare una misura della gravità della patologia, di documentarne i cambiamenti nel corso del trattamento. I medici oggi, grazie ai risultati di indagini più o meno sofisticate (ematochimiche, elettrofisiologiche, ecografiche, radiografiche, tomografiche, endoscopiche, eccetera), sono in grado di fornire un quadro molto preciso delle condizioni del paziente, un quadro comunicabile in maniera chiara ed univoca a colleghi che possono entrare successivamente in contatto con il paziente, di modo che questi possano avere dei riferimenti sicuri per gli eventuali ulteriori interventi.

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La psichiatria, e le scienze umane in generale, non hanno trovato invece parametri oggettivi specifici, paragonabili a quelli delle altre discipline mediche. Per la maggior parte della patologia mentale, d'altronde, l'etiologia ed i meccanismi etiopatogenetici sono sconosciuti, la classificazione diagnostica è fatta su basi sindromiche e la distinzione fra le diverse categorie diagnostiche si basa su differenze di ordine sintomatologico. L'ipotesi di una base biologica delle malattie mentali è oggi in forte crescita rispetto alle ipotesi psicogenetiche e sociogenetiche, ma gli studi che tendono ad avvalorare questa ipotesi etiopatogenetica, non sono stati in grado, finora, di fornire parametri oggettivi specifici, paragonabili a quelli delle altre discipline mediche, e quelli che sono stati proposti si sono dimostrati aspecifici, o aleatori, o di difficile valutazione e, comunque, inutilizzabili nella pratica corrente. Lo psichiatra, perciò, mancando di elementi misurabili, atti a sostanziare la diagnosi, la gravità e le peculiarità del quadro clinico, ha dovuto ancorare il suo intervento sostanzialmente alla valutazione globale (ed approssimativa) del "Come si sente?", "Quali disturbi ha?", "Si sente meglio o peggio rispetto alla visita precedente?", eccetera, senza poter fare alcun riferimento a parametri obiettivi, capaci di dare una misura non equivoca del disturbo e della sua evoluzione, una misura che possa essere valida, accettabile e condivisa.

Si potrebbe fare un elenco lunghissimo di situazioni cliniche che lo psichiatra è chiamato ad analizzare ed a valutare con la massima cura ed alle quali fornire delle risposte chiare, esaurienti, documentate da qualcosa che non sia soltanto il "fiuto" o l'esperienza clinica e comunicabili in maniera non equivoca:

* può essere il paziente pericoloso per sé o per gli altri?

* ha una demenza oppure una depressione pseudodemenziale?

* la gravità del quadro clinico è tale da richiedere il ricovero urgente?

* sono necessari provvedimenti particolari (p. es., contenzione, stretta sorveglianza…)?

* il paziente possiede una sufficiente autonomia o necessita di assistenza e/o sorveglianza?

* come ed in che misura riesce a stabilire rapporti interpersonali?

* la situazione familiare è adeguata per le necessità del paziente?

* tenuto conto delle caratteristiche premorbose, quali prospettive di recupero possono esserci, una volta superata la fase acuta?

* il trattamento intrapreso, in che misura è efficace e/o su quali aspetti del quadro psicopatologico ha agito e/o quali ha lasciato immodificati?

* che giudizio si può dare dei risultati del trattamento in termini di qualità della vita?

* …e così via.

Per anni la psichiatria ha considerato l'oggetto del proprio interesse "non misurabile", ed era anzi considerato quasi blasfemo il solo pensare di poter misurare pensieri, sentimenti, percezioni, emozioni, eccetera. Ma, se i fenomeni psichiatrici non sono misurabili, come può la psichiatria avere, nell'ottica galileiana, dignità scientifica? È possibile che la psichiatria, pur condividendo con il resto della medicina la maggior parte dei suoi problemi e della sua prassi, non abbia pari dignità scientifica?

C'era dunque l'esigenza di trovare una base obiettiva, misurabile, alla patologia psichiatrica, esigenza che è diventata ancor più impellente allorché lo psichiatra ha potuto disporre di farmaci attivi sul SNC e si è posto il problema di verificarne, quantitativamente, l'efficacia terapeutica e, qualitativamente, lo spettro d'azione, in assoluto e comparativamente ad altre sostanze.

La soluzione a questo problema è venuta quando si è capito che i pazienti forniscono, di solito, descrizioni globali o mal definite dei loro disturbi e che una valutazione obiettiva era possibile soltanto se si fossero ridefiniti tali problemi in termini più analitici, se si fossero ricondotti, cioè, ai loro elementi costitutivi. Su questa base sono nate le Rating Scale (RS) ed i Questionari, strumenti, cioè, capaci di fornire una rappresentazione quantitativa dei fenomeni psichici e del comportamento, che hanno consentito di standardizzare parametri e criteri di valutazione al fine di ridurre al massimo la soggettività dell'osservazione psichiatrica e di ottenere dati confrontabili, riproducibili ed analizzabili con le comuni analisi statistiche. Il presupposto essenziale che sta alla base delle RS è che, ferma restando la soggettività del vissuto umano normale e patologico, sia possibile tradurre l'osservazione psicopatologica in forma numerica, quantitativa, in modo tale da poterla analizzare con le tecniche di analisi statistica. Come è stato giustamente sottolineato da Overall, le RS psichiatriche sono strumenti atti a descrivere in maniera quantitativa i segni e i sintomi della patologia mentale, in modo da accrescere l'obiettività della valutazione clinica e da consentire un'ampia registrazione di sintomi e tratti comportamentali, così da fornire empiricamente un modello strutturale che rappresenti le dimensioni di un fenomeno psicopatologico.

Possiamo dire che le RS sono in grado di misurare ogni caratteristica del paziente che possa essere esplicitamente definita. Questo vale anche per gli aspetti più profondi ed impercettibili della vita psichica, purché si traducano in elementi del comportamento umano e si prestino perciò ad essere chiaramente e precisamente definiti in quanto, solo in mancanza di una loro chiara delimitazione, non sono misurabili. In questo caso, i limiti non sono insiti nella RS come strumento di misurazione, ma nella difficoltà di definire con precisione il concetto clinico.

È legittimo chiederci, a questo punto, se le RS sono realmente in grado di oggettivare l'impressione clinica e la risposta è, in linea generale, positiva: effettivamente certe RS sono in grado di oggettivare l'impressione clinica, anche se alcune la riflettono soltanto senza oggettivarla ed anche se certe impressioni cliniche non sono esprimibili attraverso alcuna RS, oggettiva o soggettiva. Naturalmente dobbiamo intenderci sul significato di "oggettivo" e, per contrasto, su quello di "soggettivo": se per soggettivo intendiamo ciò che è peculiare del soggetto derivando dalla sua consapevolezza, dalle sue aspettative, dalle sue percezioni, dalle sue motivazioni e, in generale, dal suo "ambiente" interno, allora il concetto di oggettivo può essere attribuito agli eventi dell'"ambiente" esterno, a ciò che stimola i nostri organi di senso e che può essere condiviso dagli altri e, se riferito al comportamento, a ciò che può essere spiegato da fattori esterni (ed allora un comportamento avrà un diverso grado di oggettività in rapporto al fatto che possa essere spiegato più o meno completamente dai fattori esterni).

Nel caso delle RS, possiamo definire come oggettivo ciò che è valutato in maniera uguale da osservatori indipendenti che valutano nelle stesse condizioni ambientali; in questo caso le differenze sarebbero da attribuire a differenze (cioè a fattori soggettivi) fra i valutatori che possono essere causa di limitazioni dell'oggettività della metodologia della valutazione. È evidente, del resto, che l'oggettività assoluta non può esistere nel campo del comportamento poiché le sue determinanti sono, per loro stessa natura, in parte oggettive ed in parte soggettive. Se la valutazione standardizzata è in larga misura il prodotto delle esigenze della ricerca psicofarmacologica clinica, è altrettanto vero che la metodologia e gli strumenti della ricerca psicofarmacologica possono avere un notevole valore didattico, creando nello psichiatra l'abitudine alla raccolta sistematica delle informazioni e fornendogli gli strumenti per farlo. In questo modo il clinico può ricavarne un notevole aiuto nella pratica quotidiana essendo in grado di monitorare l'evoluzione del quadro psicopatologico del paziente, registrando i problemi via via emersi e gli interventi posti in atto per raggiungere il risultato desiderato.

Le RS, essendosi sviluppate originariamente sotto l'impulso della psicofarmacologia clinica, hanno un ruolo fondamentale nella valutazione del cambiamento, ma sono anche essenziali per la selezione di campioni omogenei da utilizzare negli studi controllati anche in altri settori come, ad esempio, nella ricerca dei meccanismi e dei correlati biologici e sociali della psicopatologia.

Oggi si sta delineando un nuovo campo di impiego degli strumenti di valutazione: la complessa non favorevole situazione economica (non solo italiana) impone un'oculata gestione dei fondi destinati all'assistenza; amministratori e politici sono costretti a porsi il problema di quali prestazioni siano necessarie per i pazienti e se quelle fornite siano efficaci abbastanza da giustificare il loro costo. Si profilano perciò radicali tagli di spesa in quei settori in cui i risultati non siano proporzionati agli investimenti o comunque non documentati; si fa dunque sempre più pressante la richiesta, da parte degli organismi amministrativi, di documentare, mediante procedure standardizzate, i risultati degli interventi, pena la contrazione dell'investimento pubblico in quel settore. Se questo riguarda prevalentemente i servizi pubblici, anche il medico nella sua attività privata dovrà, in tempi brevi, documentare ciò che fa, poiché è prevedibile la crescita del ricorso alla copertura assicurativa privata e questo renderà necessaria un'adeguata documentazione degli interventi effettuati e dei risultati conseguiti onde prevenire il prevedibile contenzioso.

In questa ottica, il sistema "narrativo" comunemente usato in psichiatria perché di più immediata accessibilità, dovrà essere affiancato dall'impiego di strumenti standardizzati poiché è inutilizzabile quando si voglia efficacemente dar conto della diagnosi e dei trattamenti, confrontare i vari momenti del trattamento o i risultati dei trattamenti con quelli ottenuti con protocolli terapeutici diversi.

È chiaro che le esigenze dello psicofarmacologo clinico che intende documentare gli effetti terapeutici e indesiderati di un nuovo psicofarmaco, il suo spettro d'azione e il suo più specifico campo di applicazione, sono differenti da quelle di un servizio psichiatrico pubblico e ancor più dalle esigenze dello psichiatra libero professionista, così come sono diverse le esigenze di colui che nell'ambito della ricerca psichiatrica o psicopatologica ha la necessità di documentare le caratteristiche sintomatologiche dei pazienti o l'evoluzione dei disturbi mentali. Il clinico, invece, è finora rimasto in larga misura al di fuori dalle problematiche e dalla pratica della valutazione standardizzata al punto che si è creata una sorta di frattura fra clinica e ricerca, come se i due ambiti non avessero un linguaggio comune, quando, in realtà, entrambi condividono sia l'interesse per la psicopatologia, sia il problema della sua valutazione in maniera standardizzata ed univoca. Una più stretta integrazione fra i due settori sarebbe certamente vantaggiosa per entrambi, tanto più che l'ampio ventaglio di strumenti di valutazione, oggi disponibili, può consentire a ciascuno di trovare quelli più adatti alle proprie necessità.

Il reperimento di questi strumenti non è, però, sempre agevole e spesso è necessario affrontare una faticosa ricerca bibliografica che non sempre dà i frutti sperati.

È questa un'esperienza comune a tutti coloro che si sono dedicati alla ricerca psicofarmacologica clinica, allo studio delle caratteristiche psicopatologiche dei pazienti affetti da varia patologia psichiatrica, allo studio dell'evoluzione del quadro clinico nel corso del trattamento naturalistico, alla valutazione dell'adattamento sociale dei pazienti psichiatrici, alla ricerca di criteri capaci di individuare i soggetti a rischio per una determinata patologia e consentirne una diagnosi precoce e/o ad altri campi di studio e di ricerca che richiedevano l'impiego di strumenti standardizzati di valutazione. Tutti costoro hanno dovuto affrontare lunghe e faticose ricerche mirate a reperire gli strumenti disponibili, a valutarli in base alla letteratura sull'argomento, a studiarne l'utilità e l'applicabilità nel contesto della ricerca programmata, non di rado a tradurli in italiano.

È nata da questa esperienza l'idea di raccogliere in un unico corpus gli strumenti di valutazione più importanti, onde facilitare il compito a quanti si cimentano con questi problemi, e di fornire comunque gli elementi di base per quanti fossero interessati ad approfondire la conoscenza delle RS.

Poiché la maggior parte degli strumenti disponibili è stata proposta da Autori stranieri (prevalentemente di lingua inglese), ne viene presentata in questa sede la traduzione italiana, quella ufficiale quando disponibile (o reperibile) o, altrimenti, una "proposta" di traduzione in attesa di verifica.

Coloro che hanno conoscenza e pratica di strumenti di valutazione non riportati in questo "Repertorio", o che dispongono di traduzioni italiane già testate nella pratica, o che utilizzeranno la traduzione proposta in questa sede, sono pregati di darne notizia all'Autore, allegando tutto il materiale documentario relativo (testi, traduzioni, bibliografia, pubblicazioni, eccetera), in modo da poterlo inserire nelle edizioni successive di questa opera.

 

Luciano Conti

Università degli Studi di Pisa

Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia e Biotecnologie

Clinica Psichiatrica

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sommario

Parte generale

Parte speciale

CAPITOLO 29 - Gli effetti indesiderati dei trattamenti psicofarmacologici