Una delle intuizioni che Freud introduce negli scritti di questo periodo è il concetto di rappresentazione mentale: un concetto fondamentale per la diagnosi. Egli capisce che la diagnosi non è altro che il confronto tra quello che si osserva ed una serie di rappresentazioni precostituite; confronto da cui scaturisce la diagnosi strutturale corrispondente. Il moderno utilizzo di strumenti quali il DSM non si discosta di molto da quanto descritto.
Nella diagnosi di Freud tuttavia è sotteso un elemento più importante: per ricostruire la narrativa interiore del paziente bisogna costruire delle teorie narrative. Ciò significa osservare nel racconto del paziente quanto permetta di elaborare una narrativa che si adatti a quanto il paziente stesso comunica e, al tempo stesso, alla teoria di base che il terapeuta rievoca; ad esempio, per farla semplice, la teoria psicoanalitica del complesso di Edipo quando ci sono segni d’innamoramento per la madre e di rivalità nei confronti del padre. Parlando dell’inconscio del paziente già si costruisce una narrativa, meglio se supportata da elementi già osservati, siano essi elementi mitici, un racconto letto, un libro, con cui continuiamo a fare questo raffronto. E se poi questo si rivelerà sbagliato, sarà scartato e sostituito con uno nuovo. In realtà Freud coglie un aspetto che già era presente in Charcot. I fondatori della psichiatria descrittiva sono in realtà i grandi scrittori francesi dell’800, come Balzac. In realtà anche Charcot creava dei racconti come questi grandi Autori, che potevano attingere ad un linguaggio comune, per poi utilizzarlo nei loro racconti.
Siamo nel 1895, alla fine del primo volume, che contiene un’opera fondamentale per la cultura del secolo scorso, per la psicoanalisi, e per tutta la psichiatria. Non solo: da queste teorizzazioni derivano a una serie d’impostazioni letterarie: tutta la letteratura moderna è intrisa consapevolmente di psicoanalisi, mentre quella antecedente ne era intrisa inconsapevolmente. Sofocle quando scrisse Edipo Re non lo fece certo perché s’intendeva di psicoanalisi; sarà la psicoanalisi ad utilizzare quest’opera. La cultura del novecento è stata fortemente influenzata da Freud: non solo la narrativa, ma anche la pittura: il surrealismo, l’astrattismo, il cubismo, il dadaismo. Artisti come Breton, il fondatore del surrealismo, e Salvador Dalì erano appassionati di Freud, ma spesso ne furono delusi. Quando Breton si recò in visita a Freud, da esteta francese qual era, fu sorpreso di constatare che il padre della psicoanalisi vivesse in una casa modesta, situata a Vienna in Berggasse 19, con una donna di servizio brutta e vecchia; lo scrisse, (ma poi se ne pentì): Freud non corrispondeva a quello che egli si era immaginato. Dalì rimase deluso dal fatto che Freud non capisse l’arte moderna e non l’apprezzasse.
Ma torniamo al 1895, quando Freud scrisse “Studi sull’isteria”, in collaborazione con Breuer, conosciuto nel 1882, anno in cui questi aveva in cura una paziente che si chiamava Anna O. Costei è il primo caso descritto, ed è studiato da Breuer, non da Freud. La collaborazione fra i due diede origine a questo libro. Anna O era in realtà Bertha Pappenheim, una famosa psicologa, che inventò una serie di test utilizzati ancora oggi.
Gli studi sull’isteria si basano essenzialmente su 5 casi, il caso di Anna O, Emmy Von N, Miss Lucy R, Katharina e Elisabeth Von R. Ecco l’introduzione, scritta insieme a Breuer successivamente alla stesura del libro
Comunicazione preliminare Sul meccanismo psichico dei fenomeni isterici
Partendo da una osservazione casuale, stiamo da alcuni anni ricercando nelle più svariate forme e sintomatologie dell’isteria il motivo, o processo che, spesso molti anni prima, ha provocato per la prima volta il fenomeno. Nella grande maggioranza dei casi non si riesce a chiarire questo punto di partenza col semplice esame del paziente, per quanto accurato esso sia; in parte perché si tratta spesso di fatti la cui discussione è penosa per il malato; soprattutto però perché i malati veramente non se ne ricordano, spesso non sospettando affatto la connessione causale esistente tra l’evento determinante e il fenomeno patologico. Per lo più è necessario ipnotizzare i malati per ridestare nell’ipnosi i ricordi del tempo in cui il sintomo si è manifestato per la prima volta; e allora si riesce a porre in evidenza quella connessione nel modo più chiaro e convincente.
Questo metodo d’indagine, in un grande numero di casi, ci ha fornito risultati che appaiono preziosi sia dal punto di vista teorico che quello pratico.
Dal punto di vista teorico, perché questi casi ci hanno dimostrato che il fatto accidentale è determinante per la patologia dell’isteria molto più di quanto normalmente si sa e si riconosce. Che nell’isteria “traumatica” sia l’infortunio ad avere provocato la sindrome, è ovvio; e così pure il nesso causale è evidente quando, negli attacchi isterici, dalle dichiarazioni degli ammalati si apprende che essi in ogni attacco rivivono in modo allucinatorio sempre lo stesso avvenimento che aveva provocato il primo attacco. La situazione è però più oscura in altri fenomeni.
Freud non arriva ancora ad ipotizzare che il trauma recente sia la riedizione di uno antico. Non può ancora pensare che in seguito ad un crash ferroviario una persona sviluppi il Post-Traumatic Stress Disorder (PTSD) ed il motivo non sia il solo incidente: non si spiegherebbe in questo modo perché due sviluppino il PTSD e altri 8 no. L’elemento distintivo emerge dalla satira: quella data persona, infatti, ha avuto una nascita “accidentata”.
Le nostre esperienze ci hanno tuttavia mostrato che i più svariati sintomi che si considerano manifestazioni spontanee, per così dire idiopatiche dell’isteria, presentano col trauma motivante una connessione altrettanto stringente di quella dei fenomeni sopra indicati, che, sotto questo aspetto, sono più trasparenti.
Il trauma non si vede ma c’è, come tanti altri elementi della vita mentale che non si vedono ma ci sono: è questa la rivoluzione culturale iniziata da Freud. Grattate il vizio e troverete la virtù, grattate la virtù e troverete il vizio. Grattate il pulito, il rigoroso, il parsimonioso e troverete un individuo disordinato, che si vuole sporcare di escrementi e vuole buttare via tutti i suoi soldi. È chiaro che questo è un concetto rivoluzionario perché rovescia tutta l’etica del ‘900. Se si pensa all’etica di oggi confrontandola con quella dell’800, ci si accorge che è tutta cambiata. L’elemento essenziale consiste proprio in questo interesse per ciò che si cela sotto alla realtà apparente.
A fatti motivanti di tale tipo abbiamo potuto ricondurre nevralgie e anestesie delle specie più svariate e spesso perduranti da anni, contratture e paralisi, attacchi isterici e convulsioni epilettoidi, che tutti gli osservatori avevano scambiato per epilessia autentica, piccolo male e affezioni tipo tic, vomiti continui e anoressia spinta al punto del totale rifiuto del cibo, i più svariati disturbi della vista, allucinazioni visive ricorrenti e altre manifestazioni ancora. La sproporzione fra i sintomi isterici che continuano per anni e il fatto originario che si è prodotto una volta sola è la stessa di quelle che siamo normalmente abituati a osservare nella nevrosi traumatica; …
Freud fu indubbiamente agevolato dal fatto che in quest’epoca, nel 1895, la medicina è fervida di idee, Dinanzi ad un’affermazione come “a Lourdes ho visto la luce”, le spiegazioni proposte erano molteplici: uno diceva sindrome cerebellare, un altro una patologia della percezione, ma nessuno credeva al miracolo; oggi invece… abbiamo Padre Pio. Allora ciò era rigorosamente bandito dalla cultura scientifica. Erano l’illuminismo del ‘700 ed il positivismo dell’800 che non lo permettevano; e questo anche nella letteratura: Flaubert, Balzac, Dostoevskij non potevano ammettere una soluzione magica, immaginifica, come nella letteratura di oggi facilmente si trova. C’era sempre un motivo, o una ragione umana, mai di tipo magico. Freud è rassicurato da questo ambiente culturale.
Se da un lato erano forti le posizioni conquistate dal positivismo, nella stessa epoca si verificarono i noti episodi di Lourdes. Ci fu, in proposito, un grosso contrasto tra lo stato francese e la Chiesa. Era questa, del resto, l’epoca dei conflitti generalizzati fra Chiesa e stato, l’epoca in cui lo stato italiano espropriava tutti i conventi e li vendeva: la conquista di Roma era ancora recente, e le conseguenze di quest’evento furono durevoli. Gravi irrigidimenti esistevano da entrambe le parti: fu l’epoca in cui fu proclamata l’Immacolata Concezione che divenne dogma nel 1870, lo stesso anno in cui i bersaglieri passarono per la breccia di Porta Pia.
… molto spesso sono episodi dell’infanzia ad aver instaurato per tutti gli anni seguenti un fenomeno morboso più o meno grave.
Questo è la prima volta che ciò viene detto. Per la prima volta si mette in rapporto la patologia dell’adulto con gli eventi dell’infanzia. I primi casi in letteratura in cui l’evento dell’infanzia viene messo in relazione al presente li troviamo in Sartre, nei primi del 900. Nell’educazione sentimentale di Flaubert si parla del rapporto con la mamma, ma mai nell’infanzia, solo nel mondo adulto.
Spesso la connessione è tanto chiara che si comprende perfettamente come il fatto iniziale abbia prodotto proprio quel fenomeno e non altri. In questi casi il fenomeno è determinato in modo perfettamente chiaro dal fatto originario. Così, per ricorrere all’esempio più banale, un’emozione dolorosa insorta, ma repressa, durante un pasto produce nausea e vomito, e poi questo perdura per mesi sotto forma di vomito isterico.
Notiamo le parole di Freud: l’emozione dolorosa durante il pasto, poi il pasto si connette agli eventi successivi. In Freud il nesso si stabilisce in un contesto narrativo, emotivamente significativo.
Una ragazza che veglia presso il letto di un malato, tormentata dall’angoscia, cade in stato crepuscolare e ha una terribile allucinazione mentre il suo braccio destro, pendulo sullo schienale della sedia, si addormenta; se ne sviluppa una paresi del braccio con contrattura e anestesia. Essa vuole pregare e non trova le parole; finalmente riesce a dire una preghiera infantile in lingua inglese. Quando in seguito si sviluppa una grave e complicatissima isteria, essa parla, scrive e comprende soltanto l’inglese, mentre la sua lingua materna le rimane incomprensibile per un anno e mezzo [È il caso di Anna O.]. – Un bambino gravemente ammalato si è finalmente assopito; la madre concentra tutta la sua volontà nello sforzo di non fare rumore e non svegliarlo; proprio per effetto di questo proposito essa fa (“controvolontà isterica”!) un rumore schioccante con la lingua. Il fatto si ripete in un’altra occasione in cui essa vorrebbe pure mantenersi assolutamente silenziosa, e se ne sviluppa un tic che, nella forma di uno schioccare di lingua si accompagna a ogni occasione di eccitazione per molti anni. [Caso di Emmy Von N.] — Un uomo molto intelligente assiste all’operazione con la quale a suo fratello viene raddrizzata, in narcosi, l’articolazione dell’anca anchilosata. Nell’istante in cui si sente il crac dell’articolazione che cede, egli stesso percepisce un dolore violento all’anca e questo dolore gli dura quasi un anno. E così di seguito.
Si osserva qui una struttura narrativa netta, come un racconto, in cui una serie di connessioni sensoriali (un crac, lo schiocco della lingua, la sensazione del braccio pendulo) vengono ricostituite, e ammesse in una narrativa personale e come tali possono creare il sintomo. Questa modalità espressiva patologica, come diremmo oggi, è il risultato di una narrazione interiore che tiene conto di tutta una serie di elementi prevalentemente sensoriali.
In altri casi la connessione non è tanto semplice, e tra il fatto originario e il fenomeno patologico vi è soltanto una relazione per così dire simbolica…
Altro punto di estrema importanza: il fatto esiste, c’è l’evento, ma non è detto che questo sia rappresentato direttamente dall’espressione attuale; essa può passare attraverso la via simbolica. Questo elemento simbolico, che è quasi letterario, quasi artistico, è immesso da Freud nella sua teoria quale prima possibilità di scambio, di passaggio di un contenuto ad un altro contenuto attraverso la metafora o simbolo, appunto.
… come la relazione che la persona sana può stabilire anche in sogno: come quando al dolore psichico si associa una nevralgia o allo stato affettivo di una ripugnanza morale si associa il vomito.
Freud si domanda cosa sia il dolore psichico: il dolore fisico è un elemento più conosciuto, una sensazione precisa connessa alla sensorialità. Ci sono specifici nervi che veicolano i dolori. Il dolore è legato ad un apparato definito che produce una sensazione precisa, comune a tutti. Noi sappiamo che cosa è il dolore che insorge, uguale, tutte le volte che stimoliamo una certa zona; con un taglio, per esempio, immediatamente lo stimolo va al centro che risponde con quella sensazione che è il dolore fisico. Il termine dolore è utilizzato in quanto si trasferisce metaforicamente il dolore fisico al dolore morale; il dolore morale è una metafora.
Abbiamo studiato malati che usavano servirsi di una tale simbolizzazione con molta frequenza. In altri casi ancora una determinazione di tal genere non è subito afferrabile; sono tra questi proprio i sintomi isterici tipici, quali la emianestesia e il restringimento del campo visivo, le convulsioni epilettiformi e altri ancora. Dobbiamo però riservare l’esposizione del nostro punto di vista su questo gruppo alla discussione più approfondita dell’argomento. Queste osservazioni ci sembrano provare l’analogia patogena della comune isteria e della nevrosi traumatica, e giustificare un’estensione del concetto di “isteria traumatica”. Nella nevrosi traumatica, infatti, non la lesione fisica in sé modesta è la vera causa della malattia, ma lo spavento, il trauma psichico. In maniera analoga, dalle nostre ricerche, per molti se non per la maggior parte dei sintomi isterici risultano fatti determinanti, che si devono descrivere come traumi psichici. Può agire come trauma qualsiasi esperienza provochi gli affetti penosi del terrore, dell’angoscia, della vergogna, del dolore psichico, e dipende ovviamente dalla sensibilità della persona colpita (come anche da una condizione di cui si parlerà in seguito) se l’esperienza stessa agisce come trauma. [O.S.F., Vol. 1, da pag. 175 a pag. 177]
Cominciamo, leggendo la descrizione. Questa è Anna O.
Questa giovane dalla esuberante vitalità intellettuale conduceva, nella sua famiglia di mentalità puritana, un’esistenza estremamente monotona, che essa tuttavia si abbelliva in una maniera che è stata probabilmente decisiva per la sua malattia. Coltivava sistematicamente i sogni ad occhi aperti, che essa chiamava il suo “teatro privato”. Mentre tutti la credevano presente, essa mentalmente viveva delle fiabe; tuttavia, quando le veniva rivolta la parola, reagiva sempre a tono, sicché nessuno si accorgeva di nulla. Durante le sue attività casalinghe, che svolgeva alla perfezione, questa attività mentale l’accompagnava quasi incessantemente. Più avanti dovrò riferire come questo fantasticare abituale della persona sana si sia direttamente trasformato in malattia.
Il decorso della malattia presentò più fasi ben distinte, e precisamente:
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L’incubazione latente: da metà luglio 1880 fino a circa il 10 dicembre. In genere la fase di incubazione si sottrae alla conoscenza del medico. La peculiarità del caso presente ne ha invece permesso una visione così completa, che già solo per questo ritengo che il suo interesse patologico non sia di lieve conto. Esporrò questa parte della storia più avanti.
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La malattia manifesta: una psicosi particolare, parafasia, strabismo convergente, gravi disturbi della vista, paralisi da contrattura, completa nell’arto superiore destro e nei due arti inferiori, incompleta nell’arto superiore sinistro, paresi della muscolatura della nuca. Graduale riduzione della contrattura agli arti destri. Lieve miglioramento, interrotto da un grave trauma psichico (morte del padre) nell’aprile, cui segue:
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Un periodo di sonnambulismo persistente, che poi si alterna a stati più normali; persistenza di una serie di sintomi permanenti fino al dicembre 1881.
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Graduale scomparsa degli stati patologici e dei fenomeni fino al giugno 1882
Dissociazione, disturbi di conversione, disturbo dissociativo, si direbbe oggi.
C’è una sola nota che ci dice come comincia l’indagine di Freud: cosa le accadeva, cosa succedeva?
Nel luglio del 1880 il padre della paziente, che essa amava appassionatamente, si ammalò…
Torneremo su questo fra poco: ora una piccola, importante digressione.
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Freud ha compiuto un iter complesso: si è laureato nel 1881, anno in cui iniziò la terapia con Anna O. che si concluse nel 1895, anno in cui viene scritto “studi sull’isteria”. In questi 13 anni si guarda intorno; viene a contatto con la psichiatria tedesca, poco promettente in quell’epoca in quanto rigidamente descrittiva, strettamente manicomiale. I grandi psichiatri nascono da un’attività manicomiale, casi considerati a posteriori, lavoro su pazienti ricoverati per anni nei grandi ospedali psichiatrici di Monaco di Baviera, Lipsia e Berlino. Monaco di Baviera è la scuola di Kräpelin; da Berlino originarono Wernicke e poi Kretschmer.
Una siffatta disciplina non poteva lasciare molto spazio per le nascenti teorie di Freud, che preferì rivolgersi alla Francia, forse non solo per motivi di ordine culturale ma anche di tipo emotivo. La Francia, Parigi, in particolare, era la città in cui c’era tutto, dalla pittura al cabaret, all’opera, al teatro. A Parigi Freud incontrò Charcot e poté apprezzare il suo modo di lavorare. Egli giunse ad una faticosa conclusione; faticosa perché poneva le basi di una rivoluzione culturale, non soltanto in campo psichiatrico ma anche in campo culturale generale. Freud intuì che dietro l’isteria (che fra le malattie mentali era la più varia, ariosa, fantasiosa) dovesse esserci qualcosa, e cioè dietro l’attività psichica apparente fosse sottesa un’altra attività profonda. Il concetto d’inconscio Charcot già lo aveva presente, anche se lo riferiva ad una possibilità di passaggio ad uno stato di coscienza “altro”: la coscienza ipnotica. Charcot aveva colto la plasticità della coscienza umana: occorre tenere presente che siamo nell’800, un’epoca in cui nessuno avrebbe messo in dubbio la veridicità di una testimonianza oculare. Oggi possiamo ammettere che si vede ciò che piace vedere: si sa che la plasticità della psiche è enorme, quindi nessuno sarà mai del tutto sicuro di quel che ha visto. Charcot aveva osservato quest’aspetto, per cui l’isterico cambia, modifica, altera la sua realtà, altera il mondo esterno, vede cose che non sono tali. Mentre Charcot interpreta quest’elemento profondo come qualcosa che modifica le energie (intendendo per energie elementi primari che mettono in movimento settori del sistema nervoso centrale) Freud giunge alla conclusione che l’isteria sia una malattia del ricordo. Nell’isteria vi sono nuclei di ricordo alterati che, entrando nel comportamento, lo sconvolgono. Esistono nuclei nascosti, isolati, intollerabili che tuttavia, attraverso percorsi diversi da quelli del ricordo cosciente, possono riemergere. L’isteria è la malattia della memoria scomparsa che, in qualche modo, tende a ritornare. Prende dunque in esame cinque casi.
Dunque, dicevamo, comincia la narrativa:
Nel luglio del 1880 il padre della paziente che essa amava appassionatamente, si ammalò per un ascesso peripleuritico, che non si risolse e che lo portò a soccombere nell’aprile 1881.
Nella parte iniziale Freud presenta una descrizione: il periodo d’incubazione, e successivamente la comparsa di una sintomatologia polivalente, di raro riscontro oggi. C’è parafasia, alterazione della visione, perdita di sensorialità, disturbi motori; nella medicina attuale forse questi elementi sarebbero un po’ persi di vista: non si consente niente di descrittivo.
Comincia dunque, dopo avere parlato con Breuer, a segnalare l’amore appassionato della paziente per il padre. Nel 1890 sarebbe stato assai improbabile, a proposito di una malata affetta da paralisi, porre l’attenzione sul fatto che costei amava il padre appassionatamente; ciò non interessava proprio. Si sarebbe piuttosto detto: “bisogna fare l’autopsia e vedere cosa c’è nel cervello”; ma il rapporto, la relazione non era interesse della medicina. Al contrario, qui vediamo subito la relazione fra passione e malattia, fin dall’inizio. Un nesso di questo genere, a un medico di quell’epoca, sarebbe parso bizzarro. Sarebbe come se oggi andassimo da un meccanico e dicessimo: “si è rotto il carburatore; sull’auto era andata mia zia con cui ho avuto un rapporto incestuoso”. Il meccanico sarebbe magari anche interessato, ma riterrebbe che con il carburatore ciò non ha proprio niente a che vedere. Questi erano (e sono in gran parte tutt’oggi) i convincimenti propri di un medico.
Durante i primi mesi di questa malattia, Anna, si dedicò all’assistenza del malato con tutta l’energia della sua natura, e nessuno si meravigliò molto che in tal modo essa a poco a poco assai deperisse. Nessuno, forse nemmeno la paziente stessa, sapeva che cosa stesse accadendo in lei; …
Si occupa del padre e ciò appare naturale. Freud si pone però il problema: se c’è questo amore appassionato cosa ci può essere sotto? Freud cominciava ad esplorare.
… con l’andare del tempo però le sue condizioni di debolezza, di anemia, di ripugnanza per il cibo peggiorarono, tanto che essa, con suo grandissimo dolore, fu allontanata dal malato che stava assistendo. L’occasione immediata fu una tosse particolarmente intensa, per la quale fui chiamato per la prima volta a visitarla. Era una tipica tosse nervosa.
L’espressione simbolica importante di Anna O. era una tosse nervosa,
Presto si delineò un particolare bisogno di riposo nelle ore pomeridiane, a cui si collegavano, la sera, uno stato simile al sonno e poi una forte eccitazione.
Ai primi di dicembre si manifestò lo strabismo convergente. Un oculista lo spiegò (erroneamente) come dovuto alla paresi di uno degli abducenti. L’11 dicembre la paziente fu costretta a letto e vi rimase fino al 1° aprile.
In rapida successione sviluppò tutta una serie di gravi disturbi, apparentemente del tutto nuovi.
Dolore all’occipite sinistro; strabismo convergente (diplopia) che si accentuava notevolmente per emozioni; impressioni di vedersi crollare addosso la parete (affezione dell’obliquo); disturbi della vista difficilmente analizzabili; paresi dei muscoli anteriori del collo, tanto che alla fine la testa poteva essere mossa solo se la paziente la premeva all’indietro fra le spalle alzate, con un movimento di tutto il dorso. Contrattura e anestesia dell’arto superiore destro e, dopo qualche tempo, dell’arto inferiore destro, questo completamente disteso, addotto e ruotato all’interno; in seguito la stessa affezione si è presentata all’arto inferiore sinistro e in ultimo al braccio sinistro, restando tuttavia alquanto mobili le dita. Anche le articolazioni delle spalle, su ambedue i lati, non erano del tutto rigide. Il massimo della contrattura riguardava i muscoli dell’avambraccio; così pure del resto, anche in seguito, quando l’anestesia poté meglio essere esaminata, la regione del gomito risultò la più insensibile. All’inizio della malattia l’esame dell’anestesia fu insufficiente per la resistenza della paziente, derivante da sentimenti di angoscia.
Questo è un quadro globale di conversione isterica dove si verificano tutta una serie di sintomi impossibili: una paralisi del braccio abdotto e intraruotato su base organica non è possibile in quanto, per una paralisi, il braccio dovrebbe essere abdotto e extraruotato. Freud riconosce queste incongruenze e va oltre, introducendo un accenno al senso di catastrofe: non si era certo abituati, allora, a trovare l’elemento simbolico.
In questo stadio io presi in cura la paziente e potei ben presto rendermi conto della grave alterazione psichica. Vi erano due stadi di coscienza del tutto distinti, che spesso e repentinamente si alternavano e che nel corso della malattia si venivano sempre più nettamente separando. In uno stato, la paziente conosceva ciò che la circondava, era triste e angosciata, ma relativamente normale; nell’altro stato allucinava, era “cattiva”, vale a dire imprecava, buttava i cuscini addosso alle persone (quando e nella misura in cui la contrattura glielo permetteva) e con le dita rimaste mobili strappava i bottoni dalla biancheria da letto e personale, o faceva altre cose del genere. Se durante questa fase era stato cambiato qualcosa nella stanza, oppure se qualcuno era entrato o era uscito, essa si lamentava che le veniva a mancare il tempo e rilevava dei vuoti nel corso delle sue rappresentazioni coscienti. Poiché si cercava di contraddirla e di tranquillizzarla quando sosteneva di diventare pazza, essa, dopo ogni lancio di cuscini, si lamentava di che cosa le facevano, del disordine in cui la lasciavano, e così via… [Ibidem, pag. 190, 191, 192]
Per il DSM questo è il Disturbo di Conversione e il Disturbo Dissociativo. Nella descrizione di Freud si distingue una parte dolce e melanconica, consapevole e una parte clamorosa e pantoclastica, ossia la caratteristica tipica del doppio stato di coscienza. Questa è una descrizione classica per l’epoca, ma la connessione, la correlazione individuata da Freud e Breuer sta nel fatto che tutto questo è rapportato alla relazione con il padre.
L’essenziale del fenomeno descritto, l’accumulo e la condensazione delle sue assenze nell’autoipnosi serale, l’efficacia dei prodotti della fantasia come stimolo psichico, e la facilitazione e l’abolizione dello stato di stimolo per effetto dello sfogo parlato nell’ipnosi, rimasero costanti per tutta la durata, un anno e mezzo, dell’osservazione.
La prima definizione del concetto di psicoterapia.
Charcot ancora non disponeva di tale concetto: egli si sarebbe posto di fronte a questa paziente, si sarebbe vestito di viola, avrebbe creato la sua rappresentazione scenica e avrebbe detto: “adesso tu devi muoverti, adesso devi alzarti”; le avrebbe messo la mano sulla fronte, in modo da stabilire un eccitamento nervoso. Ma ancora non avrebbe inserito un elemento narrativo. Anche Breuer aveva messo la mano sulla fronte della paziente, ma insieme le parlava e la faceva parlare, e quindi si sviluppava un modo di procedere completamente nuovo.
Dopo la morte del padre, i racconti naturalmente diventarono ancora più tragici, ma soltanto col peggioramento del suo stato psichico, seguito all’infrazione violenta nel suo sonnambulismo già descritta, …
(Nella realtà odierna questo sarebbe Disturbo di Conversione sull’asse I, e sull’asse II Disturbo di Personalità Istrionica)
… le narrazioni serali andarono perdendo il carattere di creazione poetica più o meno libera, per trasformarsi in una serie di allucinazioni terrorizzanti e terribili, che si potevano intuire però in precedenza, durante la giornata, dal comportamento della paziente.
Tale era l’intesa tra Freud e Breuer. Qui c’è la dimensione letteraria, poetica; Breuer ma soprattutto Freud vanno a cercare riferimenti letterari: c’è il padre, lui ha in mente Sofocle, la tragedia greca, l’Amleto.
Alla fine del monologo di Amleto compare Ofelia, che guarda il principe di cui è innamorata e prega. Il Principe le dice: “O ninfa nelle tue orazioni siano ricordati tutti i miei peccati,”; intende dire tutti, anche quelli che non si possono dire. Qui abbiamo la narrativa poetica. Il termine “poetico” non è citato qui a caso da Freud: egli indica che negli elementi poetici c’è una narrativa che spiega.
E, del resto, ho già descritto quanto fosse completa la liberazione della sua psiche dopo che, agitata da orrore e paura, aveva riprodotto ed espresso a viva voce tutte quelle immagini terrificanti.
In campagna, dove non potevo visitare l’ammalata giornalmente, la situazione si sviluppò come segue: Giungevo di sera, quando sapevo che essa era nella sua ipnosi, e la liberavo di tutta la provvista di fantasmi che aveva accumulato dopo la mia precedente visita.
La paziente “Accumula fantasmi”, poi “racconta fantasmi”: è la base della psicoterapia.
Ed era necessario che questa liberazione fosse completa per ottenere un buon risultato. Allora, essa era del tutto calma, e il giorno seguente era gentile, mansueta, diligente e perfino serena; ma il giorno dopo, sempre più lunatica, ribelle, sgradevole, e il terzo giorno la situazione peggiorava ancora. In tale stato d’animo, sia pure nell’ipnosi, non era sempre facile indurla a sfogarsi col discorso, procedura, questa, per la quale essa aveva trovato il termine felice e serio di talking cure…
Talking cure, espressione usata nel romanzo inglese, non è riferita ad un trattamento medico: qui abbiamo a che fare con l’empirismo anglosassone. Per i Tedeschi trascendenti e teorici, da cui Freud veniva, “talking cure” suonava come espressione bizzarra.
… e quello umoristico di chimney-sweeping (spazzare il camino). Ella sapeva che dopo aver parlato avrebbe perduto tutta la sua “energia” e ribellione, e quando (dopo intervalli prolungati) era di cattivo umore, rifiutava di parlare e io la dovevo costringere con insistenze e suppliche e con taluni artifici, come quello di pronunciare una formula introduttiva stereotipa dei suoi racconti. Sempre però parlava soltanto dopo che, avendo tastato accuratamente le mie mani, si era convinta della mia identità. [Ibidem, pag. 196, 197]
Chimney-sweeping, spazzare il camino, significa andare con la scopa a pulire: il simbolismo erotico è clamoroso ed immediato. Si sa perché finì questa terapia: Breuer infatti divenne oggetto di istanze erotiche da parte di questa ragazza
Un diverbio nel quale represse la sua risposta, le causò un crampo alla glottide che da allora si ripeté in ogni occasione consimile.
La parola le venne meno: a) per angoscia, da quando ebbe la prima allucinazione notturna; b) da quando le capitò un’altra volta di reprimere qualcosa che stava per dire (inibizione attiva); c) da quando una volta venne sgridata ingiustamente; d) in tutte le occasioni analoghe (mortificazione).
É importante osservare questi elementi:
a) l’angoscia: qualsiasi persona che soffra di una forma pur lieve di ansia sociale, se costretta ad esprimersi in pubblico, non riesce.
b) la riedizione
c) un motivo lontano dell’ansia: “sgridata ingiustamente”.
Tale fenomeno nel DSM sarebbe definito riduttivamente come ansia sociale
La tosse si verificò per la prima volta quando durante la veglia al capezzale del malato, sentendo venire da una casa vicina il suono di una musica da ballo, le venne un crescente desiderio di essere là, e fu sommersa da autorimproveri. Da allora, per tutta la durata della sua malattia, a ogni musica fortemente ritmata reagiva con una tosse nervosa. [Ibidem, pag. 205, 206]
Il ritmo della musica, potremmo dire il ritmo della colpa, perché c’è il ballo, c’è il padre che sta morendo.
Troviamo nella fanciulla ancora perfettamente sana due peculiarità psichiche che la dispongono alla malattia isterica:
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l’eccedenza di mobilità e di energia psichica non utilizzata nella vita familiare monotona e priva di una corrispondente attività intellettuale, la quale si scarica in una costante attività della fantasia, e che
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produce l’abituale sognare ad occhi aperti (“teatro privato”) [Ibidem, pag. 207]
Qui Freud è ancora largamente influenzato da Charcot: se la paziente non riusciva ad esprimere la sua grande emotività nell’infanzia, si verifica un surplus di eccitamento “charcotiano”; causa ed effetto in senso energetico. Oggi possiamo più facilmente riconoscere l’inibizione; l’eccitamento sarà la masturbazione, la fantasia sessuale
In che misura è ora giustificata la supposizione che anche in altri malati lo svilupparsi dell’isteria sia analogo, qualche cosa di simile accada anche dove non si organizza una condition seconde così nettamente distinta?
Vorrei a tal proposito rilevare come tutta questa storia dello sviluppo della malattia, anche nel caso della nostra paziente, sarebbe rimasta del tutto ignota, tanto a lei quanto al medico, se ella non avesse avuto la peculiarità di ricordarsi nell’ipnosi, come si è descritto, e di raccontare ciò che ricordava. Da sveglia, nulla sapeva di tutto ciò. Come stiano le cose per gli altri, quindi, dall’esame del malato sveglio non si può mai apprendere, perché con la migliore buona volontà la persona sveglia non può fornire alcuna informazione.
Ancora l’inconscio non è precisato, c’è la "condition seconde”, condizione seconda: la paziente racconta in condizione di ipnosi una storia che non avrebbe potuto raccontare da sveglia.
L’ipnosi sarà poi sostituita da altre tecniche con cui poter accedere a una storia che un paziente in stato di coscienza vigile non può raccontare: l’associazione libera e l’analisi dei sogni. Si entra, con questi primi passi, nella vera fondazione della psicoanalisi ossia l’interpretazione dei sogni, la via maestra per il racconto che “sta sotto”. Quando Freud scrive l’interpretazione dei sogni, premette questi versi di Virgilio: “Se non riesco a flettere, ad ammollire, ad addolcire gli dei superni, muoverò l’acheronte”: l’acheronte è quello che sta sotto. Si delinea il tentativo di trovare il modo di far venire alla luce questo elemento, di solito non conoscibile. L’inconscio è proprio questo: ciò che normalmente non si conosce; quando si trova il modo per conoscerlo, ciò significa che è divenuto cosciente.
E quanto poco le persone dell’ambiente potevano osservare di tutto quel che avveniva, l’ho già osservato più sopra. Come stessero le cose con altri ammalati, lo si poteva quindi riconoscere soltanto per mezzo di un procedimento consimile a quello suggerito nel caso di Anna O. dalle autoipnosi. In un primo tempo era giustificata soltanto la supposizione che fenomeni consimili potessero essere più frequenti di quanto ci aveva fatto supporre la nostra ignoranza del meccanismo patogeno. [Ibidem, pag. 209]
Sono le associazioni libere che producono una narrazione costruita da colui che sta ad ascoltare. Questi ricuce, fa da capocomico nei “sei personaggi in cerca d’autore, e mette assieme i diversi elementi creando una narrazione. È, quindi, chi ascolta che fa la narrazione e non è la paziente che narra. Freud lo sintetizza in un’opera nel ’39 “Costruzioni in un analisi”. Una ricostruzione di Freud è questa: “lei era imperatore in casa, poi è arrivato il fratello minore, ha distrutto il suo monopolio degli affetti, e quindi ha creato una situazione per cui lei si è sentito rifiutato”. Non sappiamo se sia la verità, ma la verità circa fatti antichi, persino gli storici sono d’accordo che non è conoscibile. La storia nasce quando lo storico si mette a tavolino e scrive.
In realtà siamo noi che costruiamo una narrativa. Avvalendosi di un esempio classico, Freud cita Giuseppe Flavio, uno storico che fu a Gerusalemme nel 70 ai tempi di Tito e della caduta di Gerusalemme. Egli fu adottato da Tito per la sua grande conoscenza dal latino, del greco e per la sua grande cultura. L’amanuense medievale che trascrive le sue opere, se trova un passaggio in cui i Cristiani sono descritti come dei “poco di buono”, copia, sì, ma poi ci scrive sopra qualcos’altro. E per noi diventa impossibile ricostruire. Un altro esempio che Freud cita è quello dell’archeologo. Un archeologo trova uno scarabeo in un punto, una scatoletta poco distante e formula una narrazione… L’importante non è che sia vera, ma che questi elementi siano verosimili, che leghino assieme i vari elementi in modo coerente. La scienza non cerca “la verità”. La verità e ciò che cercano la religione e la filosofia; la scienza cerca dei modelli verosimili e possibilmente ripetibili. Quando non siano più ripetibili si scartano e se ne formulano di nuovi.
Per quanto netta fosse la separazione fra i due stati, non solo lo “stato secondo” penetrava nel primo, ma — per lo meno spesso e anche nelle peggiori condizioni della paziente – in qualche angolo del suo cervello risiedeva, come essa si esprimeva, un osservatore acuto e tranquillo che contemplava le follie
In un bosco nella notte senza luna non si vede niente, nemmeno ad un passo, ma se succede che un lampo nella notte per un attimo illumina, fa vedere alcuni riferimenti: lì c’è la casa, c’è il fiume, c’è la strada; così succede nella terapia, qualcosa compare qua e là, si tratta di orientarsi.
Questa esistenza continuata del pensiero lucido durante il predominio della psicosi assunse un’espressione curiosissima; quando la paziente, dopo la conclusione dei fenomeni isterici, si trovava in una depressione transitoria, tra altri timori puerili e autoaccuse formulò anche quella di non essere stata affatto ammalata e che tutto era stato simulato. Come è noto, cose simili si sono già viste parecchie volte.
L’isterico guarisce quando diventa depresso o diventa depresso quando guarisce: anche lo schizofrenico guarisce quando diventa depresso o diventa depresso quando guarisce, tutto questo dimostra l’esistenza, al di sotto, di una solida struttura a difesa della perdita del Sé.
Quando, dopo il decorso della malattia, i due stati di coscienza sono nuovamente confluiti in uno solo, i pazienti retrospettivamente si vedono come la singola personalità non divisa che aveva saputo di tutto quel non senso, e pensano che avrebbero potuto impedirlo se avessero voluto, quasi avessero intenzionalmente commesso gli eccessi. Tale persistenza del pensiero normale durante lo stato secondo, del resto, potrebbe avere avuto fortissime oscillazioni quantitative, oltre a venire meno del tutto.
Il fatto sorprendente che, dall’inizio fino alla conclusione della malattia, tutti gli stimoli provenienti dallo stato secondo e le loro conseguenze fossero stati eliminati permanentemente mediante l’espressione verbale nell’ipnosi, è stato già da me descritto e nulla ho da aggiungervi se non l’assicurazione che non si trattava affatto di una mia invenzione suggerita da me alla paziente; ne ero per contro straordinariamente sorpreso e soltanto dopo tutta una serie di superamenti spontanei ho potuto svilupparne una tecnica terapeutica.
Alcune parole merita ancora la guarigione finale dell’isteria. Essa avvenne, nel modo descritto, con notevole agitazione della paziente e peggioramento del suo stato psichico.
Se ne ricavava senz’altro l’impressione che la quantità di prodotti del secondo stato, già assopiti, ora le si affollassero nella coscienza, venissero ricordati, sia pure in un primo tempo ancora nello stato secondo, ma gravando sullo stato normale e inquietandolo. Sarà da considerare se anche in altri casi la psicosi in cui termina un’isteria cronica non abbia la stessa ragione. [Ibidem, pag. 211, 212]
Se cessa l’isteria la paziente diventa “matta”. Ma non è matta, lei vuole avere una relazione sessuale con Breuer. Manca ancora il concetto di erotizzazione, non c’è il concetto di nucleo erotico; si era detto: “amava il padre appassionatamente”, ma l’erotismo incestuoso non è ancora dichiarato. Questo è un elemento transferale, si dirà poi, certamente mal condotto. Breuer non è in grado di controllare questa situazione, è ancora troppo presto. Questi elementi emergono creando uno scompiglio, quasi sembrando più drammatici dei sintomi dell’isteria.
Queste osservazioni pionieristiche ci hanno dato la sensazione che la sessualità fosse dappertutto, non in posto definito, chiuso e isolato.