RECENSIONE: Saggi fenomenologici. Psicopatologia, clinica, epistemologia

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10 gennaio, 2020 - 22:48
Autore: Luciano Del Pistoia
Editore: Giovanni Fioriti Editore
Anno: 2008
Pagine: 247
Costo: €28.00

[Per presentare al lettore questo importante libro di Luciano Del Pistoia, pubblichiamo, per gentile concessione sua e dell’editore, l’introduzione. Subito dopo riportiamo un’intervista che l’autore ha rilasciato a POL.it ]

Introduzione

Questi saggi di ispirazione fenomenologica, che hanno alle spalle circa quarantanni di incontri con i matti e di relative letture non solo ovviamante specialistiche, vogliono porre quel problema della specificità della psichiatria — incentrato sulla psicopatologia — che oggi si sta perdendo di vista fra approssimazioni e frammentazioni più o meno gratuite o arbitrarie del "fare terapeutico"; e dargli una risposta epistemica breve e chiara, illustrata da precisi esempi clinici che mettano in evidenza la psichiatria stessa come un saper-fare specialistico finalizzato alla cura di esseri umani alienati attraverso l’incontro e il dialogo con il paziente e non attraverso la valutazione statistica dei segni di impersonali apparati neuro-recettoriali e il relativo trattamento farmacologico.

Questo chiarimento è oggi necessario tendendo ciò che attualmente va sotto il nome di psichiatria a semplificarsi a pratiche del comportamento umano poco o nulla interessate al significato del vissuto alienato che della psichiatria è invece l’oggetto di conoscenza e il fine dell’attività. Codesto disinteresse si ritrova nelle pratiche socio-assistenziali di molti servizi pubblici italiani che banalizzano tale vissuto ad espressione di "bisogni" da parte del paziente e si ritrova in quelle pratiche specie accademiche di referenza DSM che sul significato di tale vissuto ritengono addirittura inutile interrogarsi, affrontandolo per via farmacologica o come inadeguatezza del comportamento da ricondurre nell’ambito degli imperativi sociali, o come espressione di guasti neuro-recettoriali da riparare. Ciò che della psichiatria a queste pratiche rimane è solo la semeiologia. La psichiatria autentica invece se ha da un lato una imprescindibile dimensione semeiologica ha dall’altro una altrettanto imprescindibile dimensione psicopatologica che si conferma come sua dimensione costitutiva in quanto fondamento di ciò che della psichiatria è la stessa ragion d’essere: il fare terapeutico.

 



 

 

Ciò non significa ovviamente che la terapia sia l’applicazione clinica della teoria psicopatologica di volta in volta in auge, questa essendo semmai la versione paranoica del problema; ma significa che la psicopatologia funziona come orizzonte di legittimazione e di comprensione del fare terapeutico. E questo con buonapace della neuropsichiatria italiana del ‘900 che considerava la psicopatologia un sapere colto ma inutile e anche con buonapace della attuale psichiatria DSM che la psicopatologia nemmeno l’ha in nota.

Tutta la storia della psichiatria è del resto un’illustrazione dell’assunto di codesta funzione della psicopatologia e ne abbiamo ricordato alcuni convincenti esempi fra i molti possibili; come l’esempio di Freud che ha sostenuto e legittimato il suo "diverso" modo di curare i malati con una teoria psicopatologica inedita; e come la divergenza terapeutica fra i due padri fondatori della psichiatria moderna - Pinel e Chiarugi - che discende da una divergenza psicopatologica la quale porterà Pinel alla psicoterapia del "traitement moral" e confermerà Chiarugi nel solco delle tradizionali terapie somatiche.

Ma la caratterizzazione specifica che la psicopatologia imprime alla psichiatria non si limita al fare terapeutico; essa si manifesta anche in senso istituzionale e giuridico. Questi ulteriori effetti abbiamo cercato di dimostrarli in particolare con la "rivoluzione" della 180.

Se infatti questa legge ha potuto riportare l’alienato nella città a titolo di interlocutore sui-generis ma con tutti i suoi diritti di cittadino gli è per le radici psicodinamiche e fenomenologiche di codesta legge che hanno liquidato la concezione ottocentesca dell’alienato-demente da "custodire e curare" in manicomio. Senza questo retroterra psicopatologico la "180" sarebbe stata solo un colpo di mano avventato; e non a caso quelli che in questi termini continuano a pensarla sono rimasti convinti del vecchio demenzialismo.

La specificità della psichiatria — come intreccio di semeiotica e psicopatologia che si disegna fra questi punti di riferimento - l’abbiamo illustrata con esempi clinici precisi rivisitando le forme classiche del Delirio, della Paranoia e della Maniaco-depressiva e riflettendo sulla forma di più recente conio del Borderline: appunto come intrecci mutevoli di semeiotica e di psicopatologia.

Abbiamo così cercato di mostrare in concreto come la psichiatria sia quella massa di segni clinici che solo lo specialista conosce ma che un sapere psicopatologico continuamente investe e tiene in fermento mettendola in una mutevole prospettiva di senso che si riflette a sua volta sul fare terapeutico. E tenendo presente che tale sapere è estrinseco alla clinica - essendo quella concezione della follia che la cultura di volta in volta disegna e avalla in termini filosofici e antropologici e che la clinica appunto in termini di psicopatologia traduce e adotta.

La prospettiva psicopatologica da noi adottata è quella fenomenologica dichiarata fin dall’inizio e ci permette in particolare di ancor meglio capire come il delirio non sia affatto la demenza di ottocentesca memoria ma come sia un modo di essere specifico, "intenzionato" a fini di difesa e, per quanto paradossale possa sembrare, di comunicazione. Tutto questo lo abbiamo illustrato nel capitolo sulla soggettività delirante centrato sull’esempio del "Senatore" di Maggiano, il paziente rivendicativo che abbiamo seguito per anni e che ha questo di estremamente interessante: che pur non cessando di rivendicare il suo laticlavio per tutta una vita, passò dalla rivendicazione passionale in prima persona degli inizi alla rivendicazione paranoide in terza persona dei molti anni successivi, dicendola lunga, con questa "impersonalizzazione", sull’autentica struttura della soggettività delirante.

I capitoli dedicati alla istituzione psichiatrica vogliono mostrare come anch’essa segua la concezione della follia nei suoi cambiamenti, seppure con la inerzia tipica delle istituzioni e con la resistenza degli interessi consolidati che esse finiscono per rappresentare. Questo cambiamento lo abbiamo illustrato con gli esempi del manicomio di Pinel, del manicomio di Morel e con la fine del manicomio sancita dalla "180". Quest’ultimo capitolo è in parte autobiografico e riferisce di un ruolo forse poco noto della città di Parma, di Fabio Visintini che in quella città era professore di neuropsichiatria e di Mario Tommasini che vi era assessore al manicomio e che, insieme a Basaglia che vi fu da loro chiamato e che per un periodo vi diresse il manicomio e vi insegnò Igiene mentale, posero i primi fondamenti pratici della "180".

Abbiamo infine segnalato come nella specificità psicopatologica della psichiatria risieda anche il suo rischio di perdizione. Se infatti da un lato la psicopatologia è la struttura di senso del sapere e del fare della clinica psichiatrica, essa ne è anche dall’altro, il rischio di ideologia. Questo succede quando il significato della follia che essa veicola diventa un a-priori che, rifiutando di confrontarsi con la realtà della clinica, ad essa pretende di imporsi. Ciò che in tali circostanze inevitabilmente risulta è una ideologia in camice bianco di cui nel ‘900 han dato esempi da non ripetere i nazisti, i sovietici e certi estremisti dell’antipsichiatria italiana. Anche alla memoria delle vittime che questi usi ideologici della psichiatria hanno fatte, son dedicati questi saggi. Che dedico anche, come grato ricordo, a Fabio Visintini e a Georges Lanteri-Laura per avermi il primo additata la strada della fenomenologia e per avermi insegnato l’altro a percorrerla, ambedue comunicandomi nel contempo il loro disincantato rispetto della persona umana e della sua costitutva follia.

L’augurio che faccio a questi saggi è di andare incontro al desiderio di conoscenza di molti psichiatri di oggi giovani e meno giovani che vogliono ritrovare il piacere e l’orgoglio della psichiatria come saper/fare specifico in quanto colto e tollerante, memore in particolare delle sue radici illuministiche.

 

 

 

INTERVISTA A LUCIANO DEL PISTOIA

POL.it — In questo suo libro, lei fa della psicopatologia il fulcro della specificità della psichiatria. Cosa significa questa affermazione, tenendo anche presente che la psichiatria oggi dominante del DSM la psicopatologia la ignora dichiarandosi "a-teoretica"?

LDP — Liquidiamo subito l’a-teoretismo del DSM che è poco più di un equivoco. Anche il DSM ha infatti la sua psicopatologia di riferimento seppure semplificata a neurofisiopatologia dei "centri nervosi".

POL.it — Una psicopatologia implicita che svolge comunque la sua funzione.

LDP — Sì ma con una doppia differenza rispetto ad una psicopatologia dichiarata che ci aiuta a chiarire il ruolo di fulcro che la psicopatologia ricopre nella psichiatria.Quando la si mette in posizione implicita, la psicopatologia rischia di diventare una ideologia in quanto sottratta alla discussione epistemica; e l’ideologia è una vera iattura pel sapere scientifico. D’altro lato le psicopatologie organo-meccaniciste come quella del DSM continuano nella concezione "cosale" del disturbo psichico negando così al paziente ogni dignità e anzi ogni capacità di interlocutore.

POL.it — Ma da quello che lei dice, il ruolo della psicopatologia è duplice?

LDP — Certo. Da un lato permette di capire chi sia il nostro interlocutore alienato e dall’altro permette di capire la prospettiva dalla quale noi lo "guardiamo" come psichiatri. Vede, per esempio ai tempi di Falret quando si considerava il delirio come il noto "errore morboso di giudizio", il paziente lo si vedeva come uno che sbagliava e lo si è curato nel manicomio rivelatosi in sostanza una maxi istituzione pedagogica. Oggi invece il paziente lo consideriamo una persona che "intenziona" un mondo vissuto sui generis e in questo suo mondo si cerca di raggiungerlo appunto come interlocutori, essendo del resto il rapporto dialogico che stabiliamo con lui la trama su cui si tesse la terapia. I farmaci infatti sono utili e anzi spesso necessari per render possibile e aiutare questa trama ma mai possono sostituirla. D’altro lato, la psicopatologia è la via e il mezzo per capire la psichiatria come un patrimonio di conoscenze clinico-semeiologiche che però solo dalla cultura del tempo prende di volta in volta una struttura di senso.

La psicopatologia è questa struttura di senso che la clinica traduce nel proprio linguaggio.

Questo misurarsi continuo della psichiatria col sapere antropologico e viceversa ci fa capire come la psichiatria sia e un saper / fare inquieto, instabile, mobile. E tale mobilità si riflette anche nelle sue istituzioni, almeno finché esse non si cristallizzino in altra cosa (corporazioni, interessi) come è stato il caso del manicomio. Le istituzioni del territorio, invece, per la loro "leggerezza" e anche per la loro "precarietà" molto meglio rispondono alle esigenze di una psichiatria degna di questo nome.

POL.it — Ma il suo discorso non rischia di essere una bella teoria, in sé compiuta, ma avulsa dalla realtà?

LDP — Un fenomenologo si spiega sempre per esempi e così anch’io ho cercato di fare. Nel caso del "Senatore" che ho descritto in modo approfondito si ha un buon esempio di chi sia il nostro interlocutore prima come soggetto di psicosi passionale e poi soggetto di psicosi paranoide. E il fatto più impressionante che questo caso ci mostra è il passaggio dalla 1° alla 3° persona della soggettività.

Per quanto riguarda l’istituzione psichiatrica ho fatto l’esempio del manicomio e di come il suo significato cambi radicalmente dai tempi della Aliénation mentale di Pinel alla Dégénérescence di Morel e poi al non-senso del suo crollo finale nel 1978. Ma ho anche raccontato un certo esordio parmense della futura "180", certo poco noto, e i suoi tre protagonisti, Franco Basaglia, Mario Tommasini, Fabio Visintini.

POL.it — È sulla base della clinica, quindi, che lei sviluppa le sue considerazioni psicopatologiche, epistemiche e storiche

LDP — Direi, più esattamente, che con la clinica le intreccio con l’idea che è in questo intreccio che consiste la psichiatria.

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