Il gruppo è stato condotto dal dott. Raffaele Barone. Nel lavoro del gruppo è emersa subito una disomogeneità dell’organizzazione dei servizi nelle diverse regioni e di come vengono declinati gli interventi negli stessi servizi.
In ogni relazione tra l’operatore della salute mentale e la sua utenza esistono elementi di criticità. Va distinto ciò che determina cambiamento e autonomia nell’utente attraverso la psicoterapia ma anche aldilà di questa e cioè nella relazioni di cura che avvengono al di fuori del setting psicoterapeutico. Gli elementi psicoterapici non possono essere scissi dalle competenze dell’operatore, essendo costantemente messe in gioco in ogni forma di interazione.
Il gruppo ha portato una precisazione molto importante riguardante il fatto che ciò che è necessario è non tanto la psicoterapia in senso stretto ma una cultura psicoterapica cioè una forma mentis, anche legata alla formazione dei nuovi operatori, in grado di ascoltare e di produrre una cultura psicoterapeutica.
Ci si è poi chiesti quali siano le relazioni che curano e, individuandone invece molte che non curano, ci si è interrogati su quali siano le relazioni funzionali a promuovere cambiamento, autonomia ed evoluzioni perché molto spesso nei servizi ci si cronicizza perché l’operatore è in difficoltà a gestire questa complessità.
La diagnosi, inoltre, è emersa come momento di incontro e non tanto come un’etichetta fine a se stessa che appunto blocca anziché far maturare i processi e a tal fine propongo un’espressione usata anche in altri contesti e cioè andare verso una diagnosi in senso transitivo e cioè una diagnosi che permetta di avere un primo contatto con l’utenza ma che non deve rimanere restrittiva rispetto ad altro.
E’ emerso che gli operatori dovrebbero avere una competenza sulla psicoterapia e formati a saper mettersi in ascolto e in contatto con i vissuti e i nodi problematici che l’utenza porta, quindi saper passare dai sintomi ai problemi.
Il ruolo dell’operatore dovrebbe essere quello di saper fornire nuovi significati e punti di vista sempre altri.
Il gruppo ha proseguito interrogandosi sul senso del mandato sociale e ha riflettuto sul fatto che la richiesta della comunità in senso lato viene oggi fatta sopratutto agli psichiatri e attiene molto di più al ruolo di controllo che alle competenze del professionista.
Vi sono numerose esperienze portate dai partecipanti anche molto innovative ma che spesso non vengono ascoltate e prese in considerazione dalle istituzioni.
Rispetto, invece, alla dimensione della psicoterapia uno dei partecipanti ha citato il modello inglese sottolineando come si potrebbero concepire tre livelli legati alla psicoterapia: quello delle relazioni che curano in senso lato cioè di un primo incontro con l’utente, poi un livello di psicoterapia specifica dei servizi ed una psicoterapia più specialistica che forse può essere un punto di contatto con il terzo settore come il privato sociale ma non come delega, bensì come estensione del servizio stesso.
Infine un tema molto importante è stato quello riguardante l’identità dei pazienti cioè si diceva "ma forse ogni volta in cui siamo in difficoltà non è perché rimandiamo ai pazienti una immagine in cui non si riconoscono" e uno dei partecipanti ha citato una ricerca in cui emergeva un dato importante: l’operatore ha in testa un’idea di utente che non rappresenta per niente l’auto-rappresentazione che il paziente ha di se stesso.