Il gruppo condotto dal dott. Giuseppe Cardamone era composto da 14 partecipanti; erano presenti a rappresentare le diverse figure professionali psicologi, psichiatri, infermieri nonché rappresentanti di associazioni, familiari e utenti.
Si è parlato di TSO, noi eravamo il gruppo che si occupava della cura, del consenso, della presa in carico, di rapporto tra Trattamento Sanitario Obbligatorio e Relazione Terapeutica; in queste argomentazioni, a partire dalla provenienza professionale si sono creati più o meno due fronti: utenti-familiari e specialisti.
Si è subito chiarito il rapporto fra TSO e diritti delle persone: un tema sollevato dalle associazioni e accolto molto bene dagli specialisti.
Si è più volte ritornati ful fatto se il TSO sia o meno un criterio per valutare il buon funzionamento dei servizi. In questa fase si è sviluppato un dibattito vivo, acceso e interessante. Qualcuno ha paragonato il TSO a una cartina di tornasole, altri si sono opposti sostenendo che il TSO può significare sia un buon funzionamento, ma anche l’opposto. Credo che questa riflessione sia rimasta un po’ irrisolta perché alla fine dei dialoghi ci si chiedeva ancora quale poteva essere un buon indicatore di un buon funzionamento dei servizi.
Si è parlato, nei particolari, della figura dell’amministratore di sostegno e, specialmente, rispetto al consenso o meno che riscuote questa figura. L’amministratore di sostegno per riscuotere consenso dovrebbe stare in collegamento, secondo il nostro gruppo, con i familiari e con le associazioni specialmente quando si tratta di minori.
Dal canto loro i neuropsichiatri infantili sostenevano che non era il caso di parlare di TSO al di sotto dei 16 anni.
Da qui si è passati a ragionare sul diritto alla terapia informata e si è fatto un ragionamento sulle diverse sfumature che attivano i processi di TSO e di TSV (Trattamento Sanitario Volontario).
Poi si è parlato delle procedure ed è emersa una interessante dialettica che si poneva la questione di capire chi deve segnalare e chi deve convalidare un TSO: è emerso il ruolo del medico di base e delle forze dell’ordine. Il TSO visto come strumento di urgenza deve rimanere tuttavia nelle mani del sanitario: la responsabilità deve rimanere sua.
Anche se io parlo in affermativo c’è stato un dibattito molto acceso su questi aspetti.
Si è parlato della necessità di tenere il paziente in rete con il resto della comunità, della necessità di attivare centri di ascolto e associazioni di familiari nonché corsi di aggiornamento per aiutare l’integrazione degli utenti nell’ambito lavorativo.
Si è detto anche di fare attenzione agli aspetti difensivi del paziente, evitare di spingerlo alla negazione della sua problematica. Si è detto di prestare attenzione a cosa induce il paziente a resistere alla cura, richiedere in questa direzione maggiore collaborazione ai medici di famiglia. In questo modo si è precisato che i familiari possono ammalarsi per sovraccarico perché nessuno si occupa di loro.
È stato sottolineato che la legge 180 non dice dove agire ma cosa fare; si è quindi discusso su come assicurare nel TSO i diritti delle persone, anche di parenti e amici del paziente, essendo il TSO uno strumento che, anche se momentaneamente, interrompe le relazioni. È stato quindi affermato che una buona presa in carico è sostenuta dalla capacità di assumere — da parte dei Servizi — le situazioni di disagio presenti anche nel contesto dei casi gravi. Non bisogna mai dimenticare di valorizzare le risorse degli utenti e dei loro familiari. Va ricordato che il paziente deve poter ritornare nella comunità con un proprio progetto di vita che dovrà riscuotere consenso.
Strutturare dunque percorsi di cura coinvolgendo tutte le reti nelle quali vive l’utente e maggiormente quando si tratta di adolescenti. In definitiva la presa in carico è sempre un processo integrato. Va prestata particolare attenzione a chi rifiuta e che cosa rifiuta nelle diverse fasi del trattamento; è importante mantenere quindi la continuità temporale e territoriale.
Si è discusso della problematicità di quei pazienti che provengono da zone troppo lontane dalle reti di cura, i quali rischiano maggiormente di incappare in circuiti burocratici che non sempre tutelano i diritti del malato. Nell’obiettivo di cura deve rimanere sempre in primo piano l’integrazione lavorativa e il benessere della persona.
È necessario promuovere, in tal senso, azioni di responsabilità verso tutte le figure che a vario titolo sono implicati in quei processi che vanno ad attivare un TSO.
Nel gruppo si è discusso molto di TSO e poco di ASO. Alcuni membri del gruppo hanno considerato l’ASO un TSO "truccato". Ci si è chiesti attraverso le parole di un familiare se l’ASO possa divenire un processo semplice da applicare. Buona parte del gruppo, pur essendo d’accordo, esprime e sottolinea la necessità di leggere le reti in termini di complessità e maggiormente quando si parla di ASO. Un utenti che ha partecipato al gruppo esprime il suo pensiero sul TSO definendolo "un processo attivo che deve salvare il paziente" seguito dalla presa in carico e dalla cura. È difficile, sostiene ancora uno degli utenti, eliminare completamente il vissuto paranoide che scatta nel TSO e, molto spesso, i medici di base colludono con i pensieri dei pazienti non collaboranti. In questo senso bisognerebbe arrivare alla cura anche attraverso un facilitatore che può anche essere l’amministratore di sostegno.
La sintesi finale che il gruppo ha espresso per opera di un partecipante col quale forse non tutti si sono riconosciuti, tuttavia la maggior parte era d’accordo è che la normativa della legge 180 può andar bene: al limite si può anche declinare a livello regionale con qualche modifica tenendo presente che le regioni devono in ogni caso attenersi ad un testo normativo unico. Si possono fare delle declinazioni sul piano regionale tuttavia le regioni non possono re-inventare ex novo la normativa devono rimanere dentro la normativa della legge vigente.
Vi sono state, inoltre, molte richieste rivolte al Ministro, al suo Ministero e al gruppo di lavoro da noi rappresentato, una fra tante richiedeva più risorse e più sostegno al piano organizzativo dei servizi.