La seconda parte è costituita dalla psicopatologia della vita quotidiana, in cui viene analizzata la vita di tutti i giorni. L’opera è di estremo interesse perché con essa Freud compie il tentativo di analizzare vari aspetti della vita ed elementi che stanno al di fuori dei confini della patologia mentale, riproponendosi l’intento, per molti tuttora discutibile, di collegare la patologia mentale alla norma. La patologia mentale viene cioè considerata una variabile di tipo quantitativo, al fine di poter meglio caratterizzare ed analizzare i rapporti interpersonali.
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Nella terza parte Freud affronta un punto centrale della sua teoria, secondo cui varie problematiche interiori emergono all’esterno, rendendosi evidenti con la comparsa di un sintomo. Viene riportato in questa parte il famoso caso Dora, esempio paradigmatico di come “l’isteria diventi corpo”.
Questo importante e voluminoso caso ci introduce alla quarta parte, costituita dai tre saggi sulla teoria sessuale.
Freud certamente ha l’ambizione d’operare una rivoluzione culturale: suo obiettivo è piuttosto riuscire a definire delle “leggi”, delle proposizioni che, una volta formulate, possano essere sistematicamente valide, anche in situazioni analoghe successive.
Nel corso di questa sua ricerca, Freud scrive il quarto volume della sua opera, che include un libricino intitolato “Il sogno”, in cui cerca di chiarire che cosa intende dire quando parla dei seguenti meccanismi:
simbolizzazione
spostamento dell’accento
condensazione
elaborazione secondaria
dispersione
Qui Freud tenta di assemblare tutto il materiale raccolto nell’interpretazione dei sogni e di offrire ulteriori precisazioni, nutrendo l’ambizione che la sua teoria venga accettata unanimemente nel mondo della scienza.
Tuttavia questa idea fallisce perché Freud ne fa una descrizione scoppiettante e letteraria, come del resto fa in tutta la sua opera, oscillando tra una concezione naturalistica e una concezione mitica del sogno. Da un lato c’è tutto il naturalismo ottocentesco che lo porta a cercare di studiare e scoprire i meccanismi di funzionamento del sogno, dall’altro c’è tutta la mitologia onirica.
Freud inizia questo libro con il sogno della “table d’hôte”.
Un giorno con mia grande sorpresa, ho scoperto che non la concezione medica del sogno, ma quella profana, per metà ancora in balia della superstizione, si avvicina alla verità.
Qui la posizione di Freud è piuttosto ambigua: per forza, afferma, il sogno prevede quel che succederà, poiché si tratta di un progetto interno; per forza, afferma, io sogno e dico: “ho sognato che andavo a Roma e poi ci sono dovuto andare”: sono io che l’ho progettato! La scientificità di Freud sta nell’aver ricavato da questo aspetto così mitico del sogno una realtà che non è fuori dalla natura; in altri termini, tutto quello che accade di singolare non è mai legato a forze esterne, ma avviene con modalità correlate al proprio corpo, al proprio cervello, alla propria mente. Se vi capitasse di ascoltare un convegno nel quale parlano i neurofisiologi del sonno, vi accorgereste come vengano fatti discorsi alquanto limitati, e che il sogno sembra sfuggire alle definizioni, anche se poi tutti ne afferrano subito il significato.
Basti pensare alla descrizione che Dante fa del sogno, anche sul piano fisiologico, nei versi: “Quale è colui che somniando vede, / e dopo il sogno la passione impressa / rimane, e l’altro alla mente non riede” (Paradiso, XXXIII, vv. 58-60). È una realtà di tutti svegliarsi al mattino con la sensazione legata al sogno fatto, senza tuttavia ricordarsi del contenuto del sogno stesso. Abbiamo, nel sogno, una serie di “visioni”, come anche in un’opera come la Divina Commedia, che è tutta visionaria; infatti lì sono tutti morti!
Scrive Shakespeare ne “La tempesta”: “We are such stuff as dreams are made of” (Siamo fatti della stessa materia di cui son fatti i sogni”
Sono infatti giunto a nuove conclusioni sul sogno applicando a esso un nuovo metodo di indagine psicologica, che mi ha dato eccellenti risultati nella soluzione delle fobie, delle ossessioni, dei deliri e così via, e che in seguito è stato accolto col nome di “psicoanalisi” da tutta una scuola di ricercatori. Le molteplici analogie della vita onirica con le più diverse condizioni di malattia mentale nella veglia erano già state giustamente notate da numerosi studiosi medici. Un metodo d’indagine che aveva trovato conferma nel caso delle formazioni psicopatologiche, appariva quindi a priori promettente anche per la spiegazione del sogno.
Le idee fobiche e ossessive sono estranee alla coscienza normale quanto i sogni alla coscienza vigile; la loro origine è ignota alla coscienza quanto quella dei sogni. Nel caso di queste formazioni psicopatologiche, è un interesse pratico quello che ci ha spinti a stabilirne l’origine e il modo di sviluppo, …
Freud compie il faticoso tentativo di fornire una spiegazione dei sogni: “Io parlo solo perché mi risolve il caso di fobie, di ossessioni, d’isteria…”. Freud si rende conto che questo tentativo risulta piuttosto azzardato, esponendosi al rischio d’essere paragonato ai cosiddetti “guaritori”, a quelli che raccontano frottole.
Anche qui si vede la prudenza con cui Freud procede, e si può inoltre cogliere l’origine storica delle sue affermazioni. Egli pensa: “quando una persona dice: ‘io ho paura di passare per la piazza’, oppure: ‘mi sento interiormente costretto a chiudere il gas dieci volte’, se io le chiedessi il perché, risponderebbe ‘non lo so’”. E così avviene anche nei sogni. Se voi chiedete a qualcuno: “Perché hai sognato questo?”, egli risponderà: “non lo so”.
… perché l’esperienza ci ha mostrato che la scoperta dei percorsi ideativi celati alla coscienza, attraverso i quali le idee morbose si allacciano al rimanente contenuto psichico, equivale a una liquidazione di questi sintomi e ha per conseguenza l’assoggettamento dell’idea sino ad allora incoercibile. Il procedimento di cui mi servo per la soluzione del sogno è dunque nato dalla psicoterapia.
Esso può essere facilmente descritto, benché la sua attuazione richieda addestramento ed esercizio. Dovendolo applicare a un altro, per esempio un malato con rappresentazione fobica, lo si invita a rivolgere la sua attenzione all’idea in questione, non per almanaccarci sopra, come ha già fatto tante volte, ma per rendersi conto chiaramente — senza eccezione alcuna — di tutto ciò che gli viene in mente a proposito di quell’idea, comunicandolo al medico.
Freud tenta di spiegare come la sua teoria nasca da una tecnica metodologica clinica. Dice: è inutile chiedere al fobico: “perché hai paura dei cani?”, perché o lui mi racconta una storia – perché nel 1912 un cane mi ha morsicato…- oppure dice “non so…”. A questo punto Freud afferma: “Lasciamo stare la paura… Cosa le fa venire in mente il cane?”. E a partire dal cane si può arrivare a varie associazioni d’idee: la fedeltà del cane, la sua voracità, la sua sessualità, ecc…
L’asserzione, che talvolta si presenta, secondo cui l’attenzione non riesce a cogliere nulla, viene respinta con l’energica assicurazione che tale assenza di contenuto rappresentativo è assolutamente impossibile. In realtà, molto presto emergono numerosi pensieri, ai quali altri si congiungono, regolarmente preceduti però dal giudizio dell’auto-osservatore che si tratta di pensieri assurdi, o insignificanti senza riferimento col punto in questione, pensieri che gli sono venuti in mente per caso e senza collegamento col tema propostogli.
Freud evidenzia un difetto della psicoanalisi, esistente a tutt’oggi, per la quale nulla è senza significato; quindi, al discorso del cavalier Marino: “Altro non sono i sogni della notte che immagini del dì false e corrotte”, Freud risponderebbe: “Non è vero, tutto quello che accade nella mente ha un significato”. La psicoanalisi diventa una scienza per così dire “fastidiosa” perché non ammette il concetto di casualità, ma tutto quello che accade nella mente sarebbe collegato, e le cose che sembrano casuali in realtà non lo sono affatto. Tendenzialmente, non è in grado di sospendere il giudizio riguardo a ciò che appare inspiegabile.
Si nota subito che è proprio questa critica a impedire che tutti questi pensieri incidentali vengano comunicati, anzi ad impedirne già precedentemente l’accesso alla coscienza. Se si riesce a far desistere il soggetto da tale critica nei confronti dei suoi pensieri e a procedere oltre nella serie d’idee che gli si offrono quando tiene fissa l’attenzione, si ottiene un materiale psichico che si ricongiunge tosto all’idea morbosa assunta come tema, ne rivela i legami con altre idee e a poco a poco consente di sostituire all’idea morbosa una nuova idea, che si inserisce in modo comprensibile nel contesto psichico. (…)
Per Freud il concetto che le cose siano senza un determinato significato costituisce una sorta di “disappropriazione” della realtà; per fare un esempio, equivale al principio del giudice che chiede al perito se l’imputato, che ha ucciso la moglie, è capace di intendere e di volere. Il perito risponderebbe che l’imputato aveva un delirio di gelosia, che sentiva le voci che gli dicevano: “ammazzala, ammazzala!”, che è affetto da un disturbo paranoide e quindi incapace di intendere e di volere. Se io però ragiono da psicoanalista, la situazione si complica notevolmente. Infatti la spiegazione può essere la stessa di quella data ai sogni. Se io sogno di avere un rapporto omosessuale, ma io sono eterosessuale, qualcuno potrebbe dire: “Ma chi ha scritto il copione del sogno, chi è l’autore e il regista del sogno?”, sono costretto a dire che sono io, e a questo punto subentra un forte imbarazzo: perché ho sognato un rapporto omosessuale invece che con una donna? … A questo punto si capisce che la coscienza non c’entra, che la spiegazione va invece ricercata nell’inconscio, al quale la coscienza non ha accesso.
Passiamo ora alla descrizione di Freud di un suo sogno, che egli fa per esemplificare l’esposizione delle sue teorie, e non essere accusato di operare solo a parole.
Una compagnia, tavola o table d’hôte… si mangiano spinaci… La signora E.L. siede accanto a me, si volge tutta verso di me e mi pone confidenzialmente la mano sul ginocchio. Io allontano la mano, schermendomi. Allora la signora dice: “Lei però ha sempre avuto occhi tanto belli” … vedo quindi confusamente qualche cosa come due occhi, disegnati, o come il contorno di una lente d’occhiali…
Siamo nel 1900, Freud è rigido e pieno di pregiudizi sessuali-sociali, altamente moralista. Nel sogno una signora gli appoggia la mano sul ginocchio, lui l’allontana. C’è però qualcosa nascosto dietro a questo suo atteggiamento, sotto questa sua apparente “virtù” …
Questo è tutto il sogno, o perlomeno tutto ciò che ne ricordo. Mi sembra oscuro e senza senso, ma soprattutto strano.
Oggi, dopo 100 anni, diremmo subito che è lui nel sogno che fa muovere la signora.
La signora E.L. è una persona con la quale raramente ho intrattenuto rapporti amichevoli e, per quel che ne so, non ne ho mai desiderato di più cordiali. Non l’ho vista da molto tempo e non mi pare di averne sentito parlare nei giorni scorsi. Lo svolgimento del sogno non è stato accompagnato da alcun affetto.
Egli pensa: “Cosa c’entro io con la signora E.L.?”
Il fatto di riflettere sul sogno non mi permette di meglio comprenderlo. Ora però annoterò — senza premeditazione, acriticamente — i pensieri che si presentano alla mia auto-osservazione. Osservo subito che è conveniente scomporre il sogno nei suoi elementi e ricercare per ogni frammento le associazioni che vi si collegano.
Compagnia, tavola o table d’hôte: vi si collega subito il ricordo del piccolo episodio che ha concluso la serata di ieri. Mi ero allontanato da una piccola brigata insieme a un amico che si offrì di prendere una carrozza per ricondurmi a casa. “Ne preferisco una col tassametro – mi disse – ci tiene occupati tanto gradevolmente, si ha sempre qualcosa da guardare.” Quando fummo seduti in carrozza e il vetturino mise in funzione il tassametro, facendo apparire i primi sessanta centesimi, continuai il suo scherzo: “Siamo appena saliti e già gli dobbiamo sessanta centesimi”. La carrozza a tassametro mi rammenta sempre la table d’hôte. Mi rende avaro e interessato, perché mi ricorda continuamente il mio debito. Mi pare che aumenti troppo in fretta e ho paura di rimetterci, proprio come alla table d’hôte non riesco ad evitare il comico timore di ricevere troppo poco, di dover badare al mio interesse.
Freud è un ebreo presumibilmente assai avaro, che al ristorante pensa: “adesso chissà questo quanto mi costerà…”.
Con un riferimento un po’ forzato, citai i versi:
Ihr führt ins Leben uns hinein,
Ihr lasst den Armen schuldig werden.
(Voi ci sospingete nella vita, / Voi fate il misero divenir colpevole [schuldig significa anche “debitore”])
Sono versi di Goethe (Wilhelm Meister, libro 2, cap. 13), che parlano dei demoni, del misero, del colpevole.
Il primo verso ci ricorda l’altro verso di Goethe “l’eterno femminino ci sospinge”. La concezione di Freud è che è proprio la femminilità, questa “meravigliosa invenzione”, che ci spinge avanti. All’inizio è la colpa, il demonio, che ci spinge nella vita. Freud fa questa associazione: al table d’hôte si spendono dei soldi, si rimane senza soldi (debitori e colpevoli) …I suoi orientamenti culturale e letterario si fondono ed emergono i versi di Goethe.
Un secondo spunto per table d’hôte. Qualche settimana fa, in una stazione di villeggiatura del Tirolo, mentre ero al tavolo del ristorante, m’irritai fortemente con la mia cara moglie, che secondo me non era sufficientemente riservata verso alcuni vicini, con i quali non volevo assolutamente stringere rapporto. La pregai di occuparsi di me, anziché di estranei. Anche in questo caso, è come se io ci avessi rimesso alla table d’hôte. Ora mi colpisce il contrasto fra il comportamento di mia moglie quel giorno a tavola e quello della signora E.L. nel sogno, che “si volge tutta verso di me”.
Ancora noto ora che il sogno è la riproduzione di una scenetta che si svolse in modo perfettamente simile fra me e mia moglie, al tempo del nostro fidanzamento secreto. Il gesto di tenerezza sotto il tavolo era la risposta a una lettera di richiesta ufficiale. Nel sogno però mia moglie è sostituita dalla signora E.L., che mi è estranea.
Questa signora è figlia di un uomo al quale sono stato debitore di danaro!
Freud in questo famosissimo sogno mette in evidenza la catena associativa da lui fatta: Goethe, il pagare, il tassametro, la moglie che guarda gli altri invece di guardare lui, il fidanzamento, la mano sotto il tavolo. Il sogno si spinge oltre, perché nel rapporto con la signora non si sarebbe mai permesso di mettere una mano sul ginocchio, sotto il tavolo, perché nell’800 questo gesto sarebbe stato ancora tabù.
Ma qui l’inconscio si porta molto più avanti.
Non posso fare a meno di notare che qui si svela una connessione inattesa tra i frammenti del contenuto onirico e le mie associazioni. Seguendo la catena associativa, che parte da un elemento del contenuto onirico, si vien subito ricondotti a un altro elemento dello stesso contenuto. I miei pensieri sul sogno stabiliscono collegamenti che nel sogno stesso non erano visibili.
Quando qualcuno si aspetta che altri si prenda cura dei suoi interessi, senza trovarvi personale guadagno, non si usa forse chiedere sarcasticamente a questo inesperto delle cose del mondo: “Crede dunque che questo o quello capiti per i suoi begli occhi?” Quindi il discorso della signora E.L. nel sogno: “Lei ha sempre avuto occhi tanto belli” non significa altro che: “La gente le ha sempre fatto tutto per favore; lei ha sempre avuto tutto per niente.” Naturalmente è vero il contrario. Ho pagato piuttosto caro tutto quel che di buono mi è venuto dagli altri. Devo perciò esser stato colpito dal fatto che ieri ho avuto gratis la carrozza con cui il mio amico mi ha condotto a casa.
Del resto, l’amico di cui siamo stati ospiti ieri mi ha spesso reso suo debitore. Proprio poco tempo fa ho lasciato scappar l’occasione di ripagarlo. Egli possiede un unico regalo da parte mia, una coppa antica, nella cui circonferenza sono dipinti degli occhi: è ciò che è chiamato un “occhiale” contro il malocchio.
Freud, riportando questo sogno, vuole dimostrare l’enorme convergenza di elementi che il sogno può riassumere in sé. Naturalmente per poter fare associazioni di questo tipo bisogna avere ottime capacità sia percettive sia narrative, e queste non hanno a che vedere con la cultura; vi sono infatti persone colte che possono dire: “Mah, non so…”, ed esservi invece contadini dotati di ottime capacità narrative e capaci di fare racconti straordinari. Chi non possiede queste capacità, questa istanza produttiva, non dovrebbe fare il nostro mestiere, non vi riuscirebbe, il colloquio con il paziente diventerebbe noiosissimo!
Del resto è un oculista. Sempre ieri sera, gli ho chiesto notizie di una paziente, che gli ho inviato perché le prescrivesse delle lenti.
Osservo che quasi tutti i frammenti del contenuto onirico vengono ora a trovarsi raccolti in una nuova connessione. Procedendo in modo conseguente, potrei però domandarmi perché nel sogno vengono serviti proprio spinaci. Perché gli spinaci ricordano una scenetta capitata qualche tempo fa a casa nostra durante il pranzo, quando uno dei bambini — giusto quello di cui si possono vantare i begli occhi — rifiutò di mangiar spinaci.
Allora “Braccio di ferro” non era ancora stato inventato!! Oggi gli spinaci non lascerebbero dubbi sulla possibile associazione…
Anch’io da bambino mi comportavo così; per molto tempo gli spinaci mi ripugnavano, sinché più tardi i miei gusti mutarono e questa verdura divenne un mio piatto preferito. L’accento a questa pietanza stabilisce dunque un accostamento tra la mia giovinezza e quella del mio bambino. “Accontentati di aver degli spinaci — aveva detto la mamma al piccolo buongustaio, – ci sono bambini che sarebbero molto felici di averne.” In questo modo mi rammentano le cure dei genitori per i figli. Le parole di Goethe:
Ihr führt ins Leben uns hinein,
Ihr lasst den Armen schuldig werden.
acquistano in questo contesto un nuovo significato.
Mi fermerò qui, per volgere uno sguardo d’insieme ai risultati sinora ottenuti dall’analisi del sogno. Seguendo le associazioni che si congiungono ai singoli elementi onirici, staccati dal loro contesto, sono pervenuto a una serie di pensieri e ricordi, nei quali debbo riconoscere espressioni di grande valore della mia vita psichica. Questo materiale rinvenuto mediante l’analisi, è in intima relazione col contenuto del sogno; …
Bisogna capire il significato del senso di colpa di cui parla Goethe: si tratta della colpa che spinge gli uomini, che li fa andare avanti. Freud ha l’immagine della mamma che spinge ad accontentarsi degli spinaci e che pensa ai poveretti che non li hanno. Egli ha un senso di colpa perché ha avanzato questi spinaci; e inoltre si sente privilegiato dalla mamma. In seguito affermerà che chi non è stato privilegiato dalla mamma non diventerà mai un grande uomo, un uomo di successo, sicuro di sé. Chi non ha impressa l’immagine della propria madre che al momento buono gli ha sorriso, e chi non ha il volto della mamma che gli dice: “Come sono contenta di vederti! come mi piace che tu sia qui! come sei bello!”, nella vita continuerà sempre a portarsi dietro un’intensa angoscia, legata al fatto che questa faccia materna gli appaia sinistra, truce, cupa. Virgilio scriveva: “Il figlio a cui i genitori non hanno sorriso, non lo invita un dio alla sua mensa e non lo invita una dea nel suo letto.” Virgilio aveva intuito il problema, che è lo stesso poi esposto da Goethe. Ragionando per associazioni, Freud parla degli spinaci dati dalla mamma, di sé stesso che dice “basta spinaci!”, e della madre che gli risponde: “Pensa a quelli che non li hanno…”, come per dire: “Guarda che tu sei un privilegiato!”.
… tuttavia codesta relazione è tale, che mai avrei potuto ricavare da quel contenuto il materiale nuovo che è stato rintracciato. Il sogno era privo di affetti, sconnesso, incomprensibile; mentre sviluppo i pensieri che stanno dietro di esso, avverto moti affettivi intensi e ben fondati; i pensieri stessi si saldano d’incanto in catene logicamente congiunte, nelle quali determinate rappresentazioni figurano ripetutamente come elementi centrali. Nel nostro esempio, queste rappresentazioni che non compaiono nel sogno sono la contrapposizione fra interessato e disinteressato e gli elementi: esser debitore e agire gratuitamente. Nella trama che si svela all’analisi, io potrei tirare più fortemente i fili e far quindi vedere che essi convergono in un solo modo; ma considerazioni di ordine non scientifico, bensì privato, m’impediscono di rendere pubblico questo lavoro. Dopo essermi reso pienamente conto, procedendo verso la soluzione, di ciò che io stesso riconosco malvolentieri, dovrei palesare troppe cose, che è meglio che rimangano un mio segreto.
Emergerà più avanti il desiderio di morte del fratello Alessandro. Freud aveva da sempre desiderato che il fratello Alessandro morisse, ma lo riconoscerà solo molti anni dopo, quando gli capiterà di leggere un frammento di un’opera di Goethe, “Poesia e verità”. Goethe è l’esempio, per le letterature di tutti i tempi, della letteratura aurea, armonica. Egli scrisse che all’età di sette anni, quando stava per nascere il fratellino, prese tutte le suppellettili di casa e le buttò dalla finestra – un gesto che oggi potremmo considerare “da borderline”. Freud commenta: “Tu volevi far abortire la mamma, il gesto di buttare le cose fuori dalla finestra equivale all’aborto!”. E in seguito riporta il riferimento a suo fratello Alessandro, al desiderio che sua madre abortisse.
Ma perché non ho preferito scegliere un altro sogno, la cui analisi meglio si prestasse alla comunicazione, in modo da poter dare una migliore dimostrazione del senso e della coerenza del materiale rinvenuto? La risposta è: perché ogni sogno di cui mi volessi occupare mi condurrebbe alle stesse cose, difficili da comunicare, e mi porrebbe nella medesima necessità di discrezione. Né riuscirei a evitare questa difficoltà sottoponendo ad analisi il sogno di un’altra persona, a meno che le circostanze non mi consentissero di lasciar cadere ogni velo, senza danno per colui che mi si è affidato.
La concezione che mi si impone sin da questo momento è che il sogno sia una specie di sostituto di quella serie d’idee, cariche di affetto e significato, alle quali sono giunto con un’analisi completa. Non conosco ancora il processo che ha fatto nascere il sogno da questi pensieri, ma mi rendo conto che è sbagliato concepirlo come un processo puramente somatico, privo di significato psichico, che sorgerebbe dall’attività isolata di singoli gruppi di cellule cerebrali che si destano dal sonno.
Voglio ancora farvi notare due cose: il contenuto del sogno è assai più breve dei pensieri di cui io lo dichiaro sostituto, e l’analisi ha svelato, quale suggeritore del sogno, un avvenimento insignificante della sera prima del sogno. [O.S.F., Vol. 4, da pag. 7 a pag. 12]
Qui ci sono lo spostamento dell’accento e la condensazione. Vi è un’enorme differenza di lunghezza del testo tra un sogno e il suo racconto: se voi prendete un sogno e lo mettete sulla sinistra e prendete la sua realtà e lo mettete sulla destra avrete dieci righe e 50 pagine. Questo è ciò che Freud evidenzia nel sogno della table d’hôte. Qui sono in gioco una serie di resistenze. Egli poteva dire: “A me sarebbe piaciuto che la signora mi facesse delle avance, che mi venisse a toccare nell’intimità sotto il tavolo, e questo l’ho sognato, ma è possibile che l’espressione di un desiderio così ovvio richiedesse tutto il lavoro che ha prodotto il sogno?”. Qui si arriva agli occhi belli, alla mamma che lo guarda, al suo desiderio di avere qualcosa gratis, con l’onnipotenza narcisistica del bambino, passando dalla mamma al tassametro, che vorrebbe non funzionante, poiché questo gli fa vedere come le cose debbano essere pagate, alla table d’hôte e quindi all’oralità. Freud ha una grossa intuizione, che però non può permettersi di dire, per due ragioni. Innanzitutto perché si tratta di fatti molto privati, intimi, tra i quali il desiderio di voler fare abortire la mamma, ma soprattutto perché non si ritiene ancora pronto per dirlo, e inoltre tanti non sarebbero ancora pronti per ascoltarlo. Freud procede con estrema cautela per non creare uno scandalo parlando di oralità o di aborto della madre.
Qui introduce il discorso del contenuto manifesto e del contenuto latente del sogno. Il sogno ha un contenuto latente che deve diventare manifesto per poter essere raccontato.
Si può raccontare un sogno facendo uso di strumenti narrativi, per realizzare il passaggio dal processo primario a quello secondario. Questo equivale al modo con cui un regista cinematografico può raccontare un sogno in un film: il tentativo del regista viene attuato tramite il ricorso ad allungamenti, dispercezioni, alterazioni del paesaggio che si allunga e si accorcia, cercando di creare una sorta di depersonalizzazione. In realtà questo non sempre avviene nel sogno, che invece è spesso estremamente preciso. Ma come potrebbe altrimenti fare un regista per riuscire a rappresentare un sogno?
L’esame di questi sogni è opportuno anche da un altro punto di vista. I sogni dei bambini sono precisamente di questo tipo, cioè sensati e niente affatto strani, e questo, sia detto di passaggio, costituisce una nuova obiezione alla tesi che riconduce il sogno a un’attività cerebrale dissociata nel sonno, perché, se tale riduzione delle funzioni psichiche corrispondesse nell’adulto ai caratteri dello stato onirico, come mai non si osserva nei bambini? Dobbiamo invece attenderci che la spiegazione dei processi psichici del bambino, nel quale essi sono forse, in sostanza, semplificati, dimostri di essere un preambolo indispensabile alla psicologia dell’adulto.
Comunicherò dunque alcuni esempi di sogni di bambini da me raccolti.
Una bambina di 19 mesi viene tenuta digiuna per un giorno, perché la mattina ha vomitato; ha fatto, secondo quanto afferma la bambinaia, un’indigestione di fragole. La notte successiva a questo giorno di fame, la si ode pronunziare nel sonno il proprio nome e aggiungere: “F(r)agole, f(r)agoloni, uovo, pappa.” Sogna dunque di mangiare e sceglie per proprio menù appunto ciò che nel prossimo futuro teme le verrà assegnato in misura ridotta.
Similmente sogna un godimento negato un bambino di 22 mesi, che il giorno prima ha dovuto offrire in regalo allo zio un cestino di ciliegie fresche, che naturalmente ha potuto soltanto assaggiare. Si sveglia con la lieta notizia: “He(r)mann mangiato tutte ciliegie.” (…)
Questi sono alcuni esempi che indicano come nel sogno del bambino l’elemento inconscio si traduca direttamente nella realtà onirica, senza complessi passaggi intermedi.
(…) L’elemento comune di questi sogni di bambini è evidente. Tutti esaudiscono desideri che si sono destati durante il giorno e sono rimasti inappagati. Sono semplici e palesi appagamenti di desiderio.
Null’altro che un appagamento di desiderio è anche il seguente sogno d’infanzia, a prima vista non del tutto intelligibile. Una bambina di non ancora 4 anni viene condotta dalla campagna in città per una forma di poliomielite e pernotta presso una zia senza bambini, in un letto normale, che per lei naturalmente è troppo grande. Il mattino dopo racconta di aver sognato che il letto era troppo piccolo per lei, tanto che non ci stava dentro. La soluzione del sogno come sogno di desiderio si ottiene facilmente, quanto si ricordi che l’“essere grande” costituisce un desiderio, spesso esplicito, dei bambini. La grandezza del letto rammenta alla piccola spaccona, in modo anche troppo energico, la sua piccolezza, e perciò nel sogno ella corregge la relazione che le è spiacevole e diventa tanto grande che il gran letto è ancora troppo piccolo per lei. [Ibidem, da pag. 14 a pag. 16]
Vi è qui un abbozzo di elaborazione secondaria, vi è una narrazione, mentre negli altri sogni precedentemente descritti la traduzione era diretta (le ciliegie, le fragole…)
Tuttavia prima di abbandonare i sogni dell’età infantile, che sono palesi realizzazioni di desiderio, non voglio perdere l’occasione di accennare a un carattere fondamentale del sogno, che è stato notato da tempo e che risalta più nitido proprio in questo gruppo. Posso sostituire a ciascuno di questi sogni un’espressione di desiderio: “Ah, fosse durata più a lungo la gita sul lago!”, “Fossi già lavato e vestito!”, “Avessi potuto tenere le ciliegie, anziché darle allo zio!”. Ma il sogno dà più di questo ottativo.
Nel sogno non esiste l’ottativo. Questa è una differenza fondamentale che lo distingue dal desiderio. Può capitare ad un adulto, che non ha enuresi, di urinare a letto mentre fa un bel sogno, in cui si trova per esempio al parco, cerca un gabinetto pubblico e vi entra per urinare. Questo sul piano concettuale è corretto. Tuttavia in questo caso il soggetto è a letto che dorme e si risveglia bagnato a causa della confusione fra sogno e realtà. È come se avvenisse una regressione al sogno infantile, con l’appagamento di un desiderio, di un bisogno fisiologico nel modo giusto, naturale, perché nel sogno egli si trova in un gabinetto pubblico.
Esso mostra il desiderio come già appagato, raffigura questo appagamento come reale e presente, e il materiale della raffigurazione onirica consiste prevalentemente — anche se non esclusivamente — in situazioni, in immagini sensoriali per lo più visive. Anche in questo gruppo non manca dunque del tutto una specie di trasformazione, che è lecito definire lavoro onirico: un pensiero formulato nel modo ottativo viene sostituito dalla contemplazione di una serie d’immagini date nel tempo presente. [Ibidem, pag. 17, 18]
Vi sono due modi per poter raccontare un sogno: rappresentarlo nel presente o utilizzare l’ottativo. Ma l’ottativo è proprio dell’Io cosciente, non dell’inconscio. Nell’inconscio non si hanno i “vorrei”, ma solo delle pulsioni; non si può pertanto avere l’ottativo, che indica invece la presenza del Super-Io, del “vorrei ma non posso/devo”, nella proposizione.
La proposizione ipotetica può essere di due tipi, della possibilità o della irrealtà. “Se tu venissi io ti darei” è della possibilità, “Se tu fossi venuto io ti avrei dato” è della impossibilità, volendo significare che “tu non sei venuto”.
A questo punto Freud introduce il concetto della condensazione, nel tentativo di definire una legge naturalistica per il sogno.
Quando tali elementi comuni tra i pensieri del sogno [che rientrano nella condensazione] non esistono, il lavoro onirico si sforza di crearli, allo scopo di rendere possibile la raffigurazione comune nel sogno. La via più comoda per ravvicinare due pensieri onirici che non hanno nulla in comune è quella di modificare l’espressione linguistica dell’uno, in modo che anche l’altro corrispondentemente trasformato possa farglisi incontro in un’espressione diversa.
La condensazione linguistica, può anche essere un ossimoro.
È un procedimento analogo a quello della rima, in cui l’identità fonetica sostituisce la comunanza ricercata. Buona parte del lavoro onirico consiste nella creazione di siffatti pensieri di transizione, che appaiono non di rado assai spiritosi, spesso però anche forzati, e che formano un ponte tra le raffigurazioni in comune nel contenuto onirico manifesto, da un lato, e, dall’altro, i pensieri onirici, diversi per forma e natura, provocati dagli spunti reali del sogno. Anche nell’analisi del nostro esempio trovo un caso di questo genere, la trasformazione di un pensiero allo scopo di farlo incontrare con un altro che gli è estraneo. Continuando l’analisi, capito infatti nel pensiero: “Anch’io vorrei avere una volta qualche cosa per niente”; ma questa forma non è utilizzabile dal contenuto onirico. Viene perciò sostituita da una nuova forma: “Mi piacerebbe godere qualche cosa senza subirne il costo (Kosten)”. La parola Kosten, nel suo secondo significato [gustare, assaggiare], s’accorda ora alla cerchia rappresentativa della table d’hôte e può trovare la sua immagine negli spinaci serviti nel sogno. Quando a casa nostra giunge in tavola una pietanza che i bambini rifiutano, la mamma li prende prima con le buone e poi esige: “Soltanto un piccolo assaggio (kosten).”
Un linguista include nel suo gioco tutte le possibili parole; invece l’inconscio opera su quelle che gli interessano, componendole e scomponendole.
Che il lavoro onirico sfrutti senza alcuna esitazione l’ambiguità delle parole sembra strano, è vero, ma l’accrescersi dell’esperienza dimostrerà trattasi di un avvenimento assolutamente abituale.
Il lavoro di condensazione spiega anche certe componenti del contenuto onirico, che gli sono proprie e non si ritrovano nella rappresentazione vigile. Sono queste le persone composite e miste, nonché le strane formazioni miste, paragonabili agli animali composti della fantasia popolare orientale; …
La sfinge, la chimera, animali fantasiosi… Sono figure composte, sono divinità teriomorfe (in forme di animali).
… queste però sono ormai cristallizzate come unità nel nostro pensiero, mentre nuove composizioni oniriche nascono continuamente, con una ricchezza inesauribile. Ognuno conosce tali composizioni dai propri sogni. I loro modi di prodursi sono molteplici.
Posso comporre una persona, dandole i tratti di due persone, oppure dandole la figura di una persona e pensando in sogno al nome di un’altra, oppure posso rappresentare visivamente una data persona, trasferendola però in una situazione che si è verificata con un’altra. In tutti questi casi la contrazione di persone diverse in una sola persona, che le sostituisce nel contenuto onirico, è significativa, sta a significare un “e”, un “così come”, una equiparazione delle persone originali sotto un determinato aspetto, che può essere accennato anche nel sogno stesso.
Per esempio: “Io e Giovanna andavamo ad una festa”: “e” non è una congiunzione ma un elemento unificante, che indica la mia parte femminile. La congiunzione cambia significato, sarebbe io e la Giovanna che è in me.
Di regola però questa comunanza delle persone fuse tra loro è rintracciabile soltanto attraverso l’analisi e viene appunto accennata nel contenuto del sogno soltanto con la formazione della persona composita.
La stessa molteplicità di modi di prodursi e la stessa regola di scomposizione si applicano anche alle formazioni miste del contenuto onirico, che sono straordinariamente ricche e di cui non ho certo bisogno di riferire esempi. La loro singolarità svanisce completamente nel momento in cui decidiamo di non assimilarle agli oggetti della percezione vigile, e ricordiamo invece ch’esse sono frutto della condensazione onirica e pongono in risalto, in un’indovinata abbreviazione, un carattere comune agli oggetti così combinati. [Ibidem, pag. 20, 21]
Altro esempio. Prendevo una macchina ma non quella che possiedo adesso, bensì la vecchia Volvo con la quale mia madre mi portava a scuola. La vecchia Volvo nell’associazione diventa la vulva. Il sogno utilizza questo stratagemma per indicare che in quel momento di intimità con la mamma era presente un’istanza incestuosa, scoperta solo successivamente, dopo aver attribuito alla genitalità un significato nuovo, differente da quello dell’infanzia.
Qui Freud parla della condensazione, un concetto piuttosto complesso. Quando racconto di aver sognato che ero con mia madre e mi sembrava di avere un sentimento positivo intero, nel sogno c’era un cartello con scritto “intero”. Intero nel sogno viene scomposto in ‘in-te-ero’, ed esprime il desiderio di rientrare nel ventre della mamma, ed il rapporto sessuale, usando il pene come “testa di ponte”.
A seguire Freud parlerà poi dello spostamento dell’accento, formulando una legge per poter spiegare il lavoro che viene operato durante il sogno.
Posso descrivere questa situazione nel modo seguente: durante il lavoro onirico l’intensità psichica passa dai pensieri e dalle rappresentazioni cui spetta di diritto ad altri pensieri e rappresentazioni che a mio giudizio non possono pretendere a simile risalto. Nessun altro processo contribuisce tanto a celare il significato del sogno e a rendermi irriconoscibile la connessione esistente tra contenuto e pensieri del sogno.
Nel sogno vengono cambiate le carte in tavola: in tal modo una cosa apparentemente di poco conto viene ad assumere un significato fondamentale. Questo avviene tramite uno spostamento dell’accento. Per fare un paragone, è come quando nei Servizi Segreti si deve comunicare lo spostamento di una postazione e si manda a dire: “Sono cresciuti i fiori nella pianta”: si tratta di una frase apparentemente banale, che però sta a significare un’altra cosa tutt’altro che irrilevante
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Nel corso di questo processo, che chiamerò spostamento onirico, osservo anche la trasformazione dell’intensità psichica, dell’importanza o ella capacità affettiva dei pensieri, in vivacità sensoriale. Ciò che nel contenuto onirico è l’elemento più chiaro mi appare senz’altro il più importante; ma spesso posso riconoscere proprio in un elemento onirico non chiaro il derivato più diretto del pensiero onirico essenziale.
Ciò che ho definito spostamento onirico, potrei pure definirlo “trasmutazione dei valori psichici”. Ma non valuto a fondo il fenomeno se non aggiungo che questo lavoro di spostamento o sovvertimento partecipa ai singoli sogni con un contributo assai variabile. Vi sono sogni che si verificano quasi senza spostamento. Sono quelli sensati e intelligibili nello stesso tempo, e di questo tipo sono, abbiamo visto, i sogni di desiderio non velati. In altri sogni nemmeno una parte dei pensieri onirici conserva il valore psichico che le è proprio, oppure tutto l’essenziale di questi pensieri appare sostituito da elementi secondari, e fra questi estremi è possibile riconoscere la più compiuta serie di passaggi…
Qui Freud enuncia un’altra legge.
… Quanto più il sogno è oscuro e confuso, tanto maggiore è nella sua formazione la parte attribuibile al fattore dello spostamento.
L’esempio scelto per l’analisi mostra, se non altro, quel tanto di spostamento che fa apparire il suo contenuto centrato in modo diverso rispetto ai pensieri onirici. Nel contenuto, si spinge in primo piano una situazione particolare: è come se una donna mi facesse delle avances; nei pensieri onirici il rilievo principale è dato al desiderio di godere per una volta un amore disinteressato, un amore che “non costi nulla”, e quest’idea si cela dietro il modo di dire dei begli occhi e la lontana allusione agli “spinaci” (…)
Freud, qui e poi più sotto, ritorna al sogno della table d’hôte.
(…) Che cosa provoca il sogno nell’esempio scelto per l’analisi? L’episodio, realmente insignificante, di un amico che mi ha procurato un viaggio gratuito in carrozza. La situazione della table d’hôte nel sogno contiene un’allusione a questa circostanza indifferente, poiché nel corso della conversazione avevo fatto un parallelo tra la carrozza a tassametro e la table d’Hôte. Posso però indicare anche l’evento significativo, che può essere sostituito a quello irrilevante. Pochi giorni prima avevo fatto una spesa piuttosto grossa per una persona cara della mia famiglia. Non ci sarebbe da meravigliarsi, è detto nei pensieri del sogno, se questa persona me ne fosse grata; il suo amore non sarebbe “gratuito”. Ma tra i pensieri del sogno, è un amore “gratuito” che si trova in primo piano. Il fatto che non molto tempo prima io abbia compiuto numerosi viaggi in carrozza con questo congiunto, fa sì che il viaggio in carrozza con l’amico mi rammenti il rapporto con l’altra persona. [Ibidem, da pag. 23 a pag. 25]
I sogni hanno molto spesso significati riferibili alla realtà. Soffermiamoci ora sui sogni di scherno.
Ma dove il sogno appare tangibilmente assurdo, dove racchiude nel suo contenuto un palese controsenso, lì esiste un’intenzione e il sogno, nell’apparente negligenza di tutte le regole logiche, esprime una parte del contenuto intellettuale dei pensieri onirici. L’assurdità nel sogno significa contraddizione, scherno e sarcasmo nei pensieri onirici. Poiché questa interpretazione dà luogo all’obiezione più forte nei confronti della concezione che attribuisce il sogno a un’attività mentale dissociata, acritica, la rafforzerò con un esempio.
Il discorso è il seguente: come mai i sogni, che per taluni sarebbero un esempio di “acriticità”, contengono questo profondo senso di scherno?
Un mio conoscente, il signor M., è stato attaccato in un articolo addirittura da Goethe e, secondo il parere di tutti noi, con una violenza ingiustificata. Naturalmente l’attacco ha annientato il signor M. Se ne lamenta amaramente in una riunione a tavola; la sua venerazione per Goethe non ha però risentito della vicenda personale. Tento di chiarirmi un poco i rapporti temporali, che mi sembrano inverosimili. Goethe è morto nel 1832; dato che il suo attacco a M. deve essere naturalmente avvenuto prima, il signor M. in quel tempo doveva essere giovanissimo. Mi sembra attendibile che egli avesse diciott’anni. Ma non so con sicurezza in che anno ci troviamo attualmente e così tutto il calcolo affonda nel buio. Del resto l’attacco è contenuto nel noto saggio di Goethe sulla “Natura”.
L’assurdità di questo sogno risalta più clamorosamente quando si sappia che il signor M. è un giovane uomo d’affari, alieno da qualsiasi interesse poetico o letterario. Ma inoltrandomi nell’analisi riuscirò a dimostrare quanto “metodo” si celi dietro questa assurdità. Il sogno trae il suo materiale da tre fonti:
1 – Il signor M., che ho conosciuto a una “riunione a tavola”, mi pregò un giorno di visitare suo fratello maggiore, che presentava segni di alterazione mentale [di tipo paralitico]. Nel corso della conversazione con l’ammalato, avvenne un fatto penoso: senza che se ne desse alcun motivo questi compromise il fratello con un’allusione alle imprese di gioventù di costui. Avevo chiesto all’ammalato il suo anno di nascita (nel sogno: anno di morte [di Goethe]) e l’avevo indotto a vari calcoli, dai quali sarebbe dovuta risultare la sua debolezza di memoria.
2 – Un periodico medico, che vantava anche il mio nome nel comitato direttivo, aveva accolto la critica, addirittura “annientatrice”, di un libro del mio amico F. [Fliess] di Berlino, opera di un recensore assai giovane. Ne chiesi ragione al redattore, il quale mi espresse, è vero, il suo rammarico, ma non volle permettermi di porvi rimedio. Dopo di che ruppi i miei rapporti con la rivista e nella lettera di rinuncia espressi la speranza che i nostri rapporti personali non dovessero risentire dell’episodio. È questa l’autentica fonte del sogno. L’accoglienza negativa ricevuta dallo scritto del mio amico mi aveva fatto una profonda impressione. Esso racchiudeva una scoperta biologica, a mio parere fondamentale, che soltanto ora, dopo molti anni, comincia a essere apprezzata dai colleghi.
[Fliess era l’‘amore’ di Freud, per il quale stravedeva; qualsiasi cosa Fliess dicesse, per lui era legge]
3 – Una paziente mi aveva raccontato poco tempo prima la storia della malattia di suo fratello, che, esclamando “Natura, natura!” era caduto in stato di frenesia. I medici avevano pensato che quell’esclamazione derivasse dalla lettura dell’omonimo saggio di Goethe e indicasse il sovraffaticamento del malato, dovuto allo studio. Io avevo detto che “mi sembrava attendibile” che il grido “Natura” dovesse intendersi nel significato sessuale che esso ha anche presso le persone meno colte. Il fatto che in seguito l’infelice si mutilasse i genitali sembrò, se non altro, non darmi torto. Quando si manifestò l’accesso, l’ammalato aveva “diciott’anni”.
A quei tempi la mutilazione dei genitali era un fenomeno abbastanza comune, oggi lo è molto meno. Qualcuno ricorderà la novella di Hemingway dei 49 racconti. Siamo al fronte, al Pronto Soccorso Militare arriva un giovane soldato che dice: “castratemi, ho bisogno di essere castrato”; i medici tentano di rassicurarlo. Dopo poco tempo il soldato si castra con la baionetta. Hemingway è uno scrittore che conosce il vissuto dell’autocastrazione. Anche i barbari si castravano, e vi erano alcuni popoli che praticavano l’autocastrazione.
Nel contenuto del sogno, dietro il mio Io si cela in primo luogo il mio amico, tanto bistrattato dalla critica. “Tento di chiarirmi un poco i rapporti temporali”. Il suo libro tratta infatti dei rapporti temporali della vita e riconduce tra l’altro anche la durata della vita di Goethe al multiplo di un numero di giorni significativo dal punto di vista biologico. Questo Io viene però paragonato a un paralitico (“non so con sicurezza in che anno ci troviamo attualmente”). Il sogno raffigura dunque il mio amico che si comporta da paralitico: siamo in piene assurdità. I pensieri del sogno, tuttavia, hanno tono ironico: “Naturalmente, lui [F.] è un matto, un folle, e voi [critici] siete i geni che capiscono meglio le cose. Oppure, non dovrebbe essere l’inverso?” Questa inversione è ora abbondantemente presente nel contenuto onirico, in quanto Goethe ha attaccato il giovane, il che è assurdo, mentre è facile che un giovanissimo possa ancor oggi attaccare il grande Goethe.
Mi sentirei di sostenere che nessun sogno è mosso da altri impulsi che non siano di egoismo. E in realtà l’Io del sogno non sta soltanto per il mio amico, ma anche per me stesso. Io m’identifico con lui, perché la sorte della sua scoperta mi sembra un esempio dell’accoglienza riservata alle mie. Quando mi farò avanti con la mia teoria, che pone in risalto, nell’etiologia dei disturbi psiconevrotici, il momento della sessualità (vedi l’allusione all’ammalato diciottenne: “Natura, natura!”), ritroverò la stessa critica, alla quale oppongo sin d’ora l’identico scherno.
Freud arriva a parlare di angoscia di castrazione attraverso una serie di collegamenti. Nel sogno compare Goethe, il Super-Io, il quale gli dice: “Ma cosa dici?! stupidaggini!!”, e questo lo riporta a “natura, natura!”, alla “pazzia” della sua teoria, al timore che venga criticata e rifiutata, e quindi all’idea di castrazione. Questa associazione viene attuata tramite l’opera “Natura” di Goethe. Goethe era anche un botanico, aveva la curiosità di ricercare la pianta primitiva, originaria, dalla quale erano derivate tutte le altre. Sarà poi però Darwin a dimostrare che tutti gli animali e le piante sono derivati dallo stesso progenitore comune. Noi uomini ci diamo tante arie, ma discendiamo da poche cellule, uguali per tutti!
Continuando a inseguire i pensieri onirici non trovo altro, in correlazione alle assurdità del sogno, che scherno e sarcasmo. È noto che il ritrovamento di un cranio di pecora sbreccato al Lido di Venezia ispirò a Goethe l’dea della cosiddetta teoria vertebrale del cranio. Dunque: il mio amico si vanta di aver scatenato, da studente, un tumulto per allontanare un vecchio professore che, benemerito un tempo (tra l’altro anche in questa parte dell’anatomia comparata), era diventato incapace di insegnare per decadimento senile. L’agitazione promossa dall’amico rimediò in tal modo all’inconveniente delle università tedesche, nelle quali non esiste limite d’età per l’attività accademica.
Freud muove un attacco verso Goethe e verso i vecchi cattedratici.
La vecchiaia infatti non protegge dalla stoltezza. Nell’ospedale della mia città ebbi l’onore di lavorare per anni sotto la direzione di un primario che, da tempo ormai fossile, e da decenni notoriamente rimbecillito, riuscì a mantenere la sua carica piena di responsabilità. – A questo punto mi viene spontaneo il paragone con il ritrovamento del Lido [Schafkopf, “testa di pecora”, vale anche per “imbecille”]. Prendendo di mira quest’uomo, alcuni giovani colleghi dell’ospedale avevano composto una volta una variante della canzonetta allora di moda: “Questo non lo scrisse un Goethe, né lo poetò uno Schiller…” [Ibidem, da pag. 29 a pag. 32]
Si potrebbe affermare: “Ma certo, qui vi è un chiaro riferimento alla castrazione; tu, come Fliess, vieni attaccato da Goethe, vieni ‘castrato’, perché la tua teoria riguarda proprio la natura. Ma forse non riguarda piuttosto la tua natura più personale, più intima, il tuo pene? Non sarà che cerchi la tua femminilizzazione a causa della tua istanza omosessuale? In fondo cerchi quello che poi scriverai nel 1909, nel caso Schreber, il quale si faceva femminilizzare dal padre, per diventare donna, farsi fecondare dal padre, e dare origine ad una nuova generazione di Schreber”.
Questa associazione è per così dire ‘cruciale’, dimostrando come la posizione ironica di Freud sia dovuta alla grande angoscia percepita nei confronti del tema in questione.
Dante scriveva: “Ma chi pensasse il ponderoso tema / e l’omero mortal che se ne carca / nol biasmerebbe se sott’esso trema” (Paradiso, canto XXIII, vv. 64 – 67). E Freud ‘trema’ sotto il peso che gli comporta il fatto di considerare le proprie angosce castratorie, che hanno come pallida espressione le sue angosce di fronte al successo scientifico e sociale. In realtà Freud evidenzia un’angoscia castratoria ben più antica. Ma solo 25-30 anni dopo arriverà a trattare il discorso della femminilizzazione.
Nel 1911 Freud costruisce la sua grande teoria. Discostandosi dal tema dal quale era partito, la terapia delle nevrosi e delle malattie mentali, trattando dell’interpretazione dei sogni inizia a formulare una teoria psicologica più “generale”, che riguarda sia i sogni, sia la patologia mentale, sia i meccanismi di funzionamento della psiche normale. Proprio per questo egli cerca di allargare il campo dei suoi studi ed uscire dal concetto di patologia. Trattando dei sogni, Freud fa riferimento a sogni suoi o dei suoi amici, dei propri pazienti, adulti e bambini, che aveva ascoltato personalmente. Qui è già al di fuori della patologia, si trova in un dominio senza confini. Nel sogno infatti non vi sono più patologia né normalità. È il regno della fantasia e della libertà più assoluta d’espressione; una dimensione completamente svincolata dalle norme di convenienza sociali e relazionali. Freud teme le critiche che potevano muovergli: “Tu non puoi costruire una teoria della mente basandoti sul sogno. Ciò che accade nel sogno non ha alcuna estensibilità sul piano della realtà”. Egli, nel tentativo di estendere le proprie teorie all’ambito della normalità, esamina dunque la vita quotidiana, ricercando gli stessi meccanismi e le stesse modalità operanti nel sogno, giungendo a dimostrare l’esistenza dell’inconscio e la sua presenza nella vita di tutti i giorni. Ma questo alla prossima lezione.