Adesso iniziamo il IX volume, che contiene opere che vanno dal 1917 al 1923, ed è particolarmente importante. Bisogna calarsi nella situazione di allora: il ‘17 è l’ultimo anno della prima guerra mondiale, il ‘18 è il primo anno del dopoguerra. Dopoguerra: periodo tragico per tutti paesi Europei. Tutti furono malamente colpiti, l’Austria in modo particolare.
A Vienna ci fu il caos legato soprattutto a una svalutazione immane. Un piatto di cibo poteva costare un miliardo di scellini in Austria e un miliardo di marchi in Germania. In queste condizioni ogni psicoterapia “salta”, e si verifica quel che è successo in Argentina alcuni anni fa, con una grande emigrazione di psicoanalisti verso l’Europa, i più verso la Spagna, spostandosi in senso inverso rispetto ai loro antenati.


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La grande disoccupazione e la miseria determinarono il crollo di tante cose. Freud rimase senza lavoro, con pochi clienti; si rifugiò pertanto nel lavoro teorico e ne venne fuori una profonda elaborazione concettuale. Ci fu un momento straordinario, quando dopo il ‘18 in Ungheria vi fu la rivoluzione bolscevica. Allora, prima degli anni 20, la rivoluzione sembrava portatrice d’idee grandiose, come la libertà sessuali e le più avanzate innovazioni culturali. Furono fondate due società psicoanalitiche, una a Mosca e una a Odessa. In Ungheria non ce n’era bisogno perché era già il secondo centro per importanza della psicoanalisi dopo Vienna. In Ungheria la prima cattedra universitaria psicoanalitica della storia. (Bisognerà aspettare diversi anni per avere, in America, un’altra cattedra psicoanalitica). Tutto questo entusiasmò Freud, che fu invitato a presentare un’introduzione alla cattedra psicoanalitica.
Con l’accentuazione del carattere autoritario del governo bolscevico di Kun, la contro-rivoluzione di Horthy, la svolta staliniana e la nascita del partito nazional-socialista ci fu una violenta repressione e la cattedra di psicoanalisi fu abolita.
In questo sobbollire sociale e politico di quegli anni, Freud fece come tutti noi quando siamo in difficoltà: lesse i classici e Goethe, scrivendo quindi su quest’ultimo un piccolo lavoro, “Un ricordo d’infanzia tratto da Poesia e verità”. Goethe per i tedeschi era il fondatore della lingua, della letteratura, della cultura germanica; era iniziatore anche della scienza (era un grande botanico, cercava la pianta primitiva che avesse dato origine alle altre piante), ma soprattutto il personaggio che rappresentava l’equilibrio per eccellenza, il consigliere aureo. Era quindi un personaggio straordinario: vediamo cosa succede nella sua infanzia.
“Quando si vuol richiamare alla memoria quel che ci accadde nel primo tempo dell’infanzia, succede spesso di scambiare ciò che abbiamo udito da altri con ciò che realmente possediamo per nostra esperienza e osservazione.” Questa osservazione di Goethe compare in una delle prime pagine dell’autobiografia che egli cominciò a stendere all’età di sessant’anni. Prima di queste righe si leggono soltanto alcune informazioni sulla sua nascita, avvenuta il “28 agosto 1749, al suono delle campane di mezzogiorno”; la costellazione degli astri gli era propizia e può ben essere stata la causa della sua sopravvivenza, giacche, quando venne al mondo, era “come morto” e soltanto con molti sforzi si riuscì a fare in modo che vedesse la luce. All’osservazione citata in apertura, segue una breve descrizione della casa e della stanza nella quale i bambini — egli e la sorellina minore — trascorrevano di preferenza il loro tempo. Tuttavia, subito dopo, Goethe racconta un aneddoto, l’unico in effetti che si può far risalire al “primo tempo dell’infanzia” (fino ai quattro anni?) e del quale egli sembra aver conservato un ricordo diretto.
Il racconto del poeta dice in proposito: “…tre fratelli von Ochsenstein, figli del defunto sindaco, che abitavano di faccia, presero a volermi molto bene; si occupavano e si burlavano di me in tutti i modi.”
“I miei amavano raccontare le molte birichinate a cui mi avevano indotto quei signori, d’altronde così seri e solitari. Menzionerò solo una di queste birbonate. C’era stato il mercato delle stoviglie e non solo si era rifornita la cucina per un certo tempo, ma anche a noi bimbi erano stati comprati, per giocare, analoghi utensili in scala ridotta. Un bel dopopranzo, mentre in casa tutto era tranquillo, mi baloccavo nel Geräms con le mie scodelle e pentolini, e poiché non c’era modo di cavarne altro, gettai un padellino sulla strada, godendomela a vederlo andare in pezzi in modo così buffo. I von Ochsenstein, accorgendosi che ci prendevo gusto e anzi battevo le manine contento, mi gridarono: ‘Ancora!’ E io non indugiai a scaraventar subito sul selciato un pentolino, e dietro reiterati ‘ancora’ uno dopo l’altro tutti gli scodellini, tegamini e brocchette. I miei vicini continuavano a manifestare la loro approvazione e io ero felicissimo di compiacerli. Ma la mia scorta era consumata, e quelli continuavano a gridare: ‘Ancora!’ Allora andai dritto in cucina, presi i piatti di terraglia, che nel rompersi diedero uno spettacolo ancora più divertente; e così continuai, avanti e indietro, portando un piatto alla volta, via via che riuscivo a raggiungerli uno dopo l’altro sulla piattaia, e poiché quelli non erano ancora soddisfatti, precipitai nella medesima rovina tutto il vasellame che mi riuscì di agguantare. Solo più tardi comparve qualcuno a frenarmi. La frittata era fatta, e in compenso di tante stoviglie rotte si ebbe perlomeno una storia buffa, di cui si sbellicarono fino alla fine dei loro giorni specialmente quei birbanti che l’avevano provocata.”
In epoca preanalitica, questo passo poteva essere letto senza trovarvi alcun motivo per rifletterci su, e senza scandalo; ma poi la coscienza analitica si è destata. Ci si è infatti formati, sui ricordi dei primi anni dell’infanzia, determinate opinioni e aspettative, alle quali si è attribuita volentieri validità universale. Non dev’essere un fatto indifferente o privo di significato — si è pensato — che proprio questa e non quella singola circostanza della vita infantile si sia sottratta all’oblio generale che avvolge questa età. Si potrebbe anzi supporre che ciò di cui la memoria ha conservato traccia sia in effetti il fatto più significativo di quell’intera fase dell’esistenza, e cioè che o quel fatto tale importanza l’ha già posseduta a suo tempo, oppure l’ha acquisito a posteriori, per influenza di esperienze successive.
Tuttavia l’alto valore di tali ricordi d’infanzia era palese soltanto in rari casi. Di regola essi sembravano indifferenti e anzi futili, e in un primo tempo non si riuscì a capire perché proprio questi ricordi fossero riusciti a dare scacco all’amnesia.
Freud si pone il problema del perché fra tutti gli altri emerge un ricordo così isolato e preciso; il metodo di indagine psicoanalitica che propone è quello dell’attenzione ai particolari, perché dietro ai particolari ci sono in genere cose molto grosse, come qui.
Anche chi li aveva conservati per lunghi anni come proprio patrimonio mnestico non li apprezzava di più dell’estraneo al quale li raccontava. Per riconoscerne la significatività occorreva un certo lavoro interpretativo, che o dimostrò come bisognasse sostituire il loro contenuto con un contenuto diverso, o ne indicò la connessione con altre esperienze indubitabilmente importanti alle quali erano subentrati come cosiddetti "ricordi di copertura".
In ogni elaborazione psicoanalitica della storia di un’esistenza si riesce a chiarire il tal modo il significato dei primissimi ricordi d’infanzia. Accade anzi di regola che proprio il ricordo che l’analizzato antepone agli altri, quello che cita per primo e col quale dà inizio alla sua confessione biografica, si dimostra il più importante, quello che cela in sé la chiave d’accesso ai comparti segreti della sua vita psichica. Ma nel caso del piccolo episodio infantile che ci viene narrato in Poesia e verità, quel che viene offerto alla nostra aspettativa è troppo poco. I mezzi e le vie che ci guidano all’interpretazione con i nostri pazienti non ci sono naturalmente accessibili in questo caso; e l’evento in sé non sembra in grado di stabilire un rapporto accettabile con impressioni decisive di epoca successiva. Un tiro giocato ai danni dell’economia domestica, su istigazione di altri, non è sicuramente un’intestazione adeguata per tutto ciò che Goethe ha da raccontarci sulla sua ricca esistenza. Un’impressione di totale innocenza e di completa assenza di correlazione si impone nel caso di questo ricordo d’infanzia, e siamo propensi a far nostro il monito di non dilatare eccessivamente le pretese della psicoanalisi o di non tirarle fuori nel momento sbagliato.
Così avevo da tempo allontanato dai miei pensieri questo piccolo problema, quando il caso mi portò un paziente nel quale un analogo ricordo d’infanzia si offriva in un contesto più perspicuo. Si trattava di un uomo di ventisette anni, di eccellente cultura e molto dotato, dominato a quell’epoca da un conflitto con la madre che coinvolgeva praticamente tutti gli interessi della sua esistenza e che aveva pregiudicato gravemente lo sviluppo delle sue capacità d’amare e della sua autonoma condotta di vita. Questo conflitto risaliva a un’epoca remota dell’infanzia: possiamo dire al suo quarto anno d’età. Egli era stato prima un bambino molto delicato, sempre malaticcio; eppure i suoi ricordi avevano trasfigurato quel brutto periodo in un paradiso, perché allora possedeva, senza doverla spartire con nessuno, l’illimitata tenerezza della madre. Quando non aveva ancora quattro anni nacque un fratellino — oggi ancora in vita — ed egli, per reazione a questo evento disturbante, si trasformò in un ragazzino caparbio e insubordinato che provocava di continuo la severità della madre. Non si rimise mai nel giusto binario.
Quando si affidò alle mie cure — non da ultimo perché la madre, che era una bigotta, aveva orrore della psicoanalisi — la gelosia per il fratello minore, che a suo tempo si era manifestata persino in un attentato al lattante ancora in culla, era da tempo dimenticata (…) Questo paziente mi riferì dunque che una volta, circa all’epoca dell’attentato contro il bambino odiato, aveva gettato in strada, dalla finestra della casa di campagna, tutto il vasellame di cui era riuscito a impadronirsi. Lo stesso episodio, quindi, che Goethe ci racconta (…)
Com’è noto, Johann Wolfgang Goethe e la sorella Cornelia erano i figli maggiori sopravvissuti a una schiera più folta di bambini che morirono precocemente. Il dottor Hanns Sachs è stato tanto gentile da fornirci i dati che si riferiscono ai fratelli e alle sorelle di Goethe morti in tenera età.
 
Fratelli e sorelle di Goethe:
Hermann Jakob, battezzato il lunedì 27 novembre 1752, raggiunse l’età di sei anni e sei settimane, e fu sepolto il 13 gennaio 1759.
Katharina Elisabetha, battezzata il lunedì 9 settembre 1754, sepolta il giovedì 22 dicembre 1755 (all’età di un anno e quattro mesi).
Johanna Maria, battezzata il martedì 29 marzo 1757 e sepolta il sabato 11 agosto 1759 (all’età di due anni e quattro mesi). (Era certamente questa la bambina della quale il fratellino vantò la bellezza e la simpatia.)
Gorge Adolph, battezzato la domenica 15 giugno 1760 e sepolto all’età di otto mesi il mercoledì 18 febbraio 1761.
Dietro questa situazione, questo piccolo ricordo d’infanzia di Goethe, stava una “cappa” che in parte era legata all’epoca; una broncopolmonite a quell’epoca era causa di morte, in parte legata anche ad una linea genetica disastrosa.
C’è una fosca storia; come non poteva esserci in uno che ha scritto il Faust, in cui tutto il nucleo della storia è che Faust ottiene bellezza, ricchezza e grandiosità in cambio del patto col demonio?
La sorella più vicina in età a Goethe, Cornelia Friederica Christiana, era nata il 7 dicembre 1750, quando il fratello aveva quindici mesi. Questa piccola differenza d’età esclude praticamente che potesse diventare oggetto di gelosia. Si sa che i bambini, quando le loro passioni si destano, non sviluppano mai reazioni così violente contro i fratelli e le sorelle presenti in quel momento, ma indirizzano la loro ostilità verso i nuovi venuti. E inoltre la scena della cui interpretazione ci occupiamo qui non è compatibile con la tenera età di Goethe al momento della nascita di Cornelia o subito dopo.
Alla nascita del primo fratellino Hermann Jakob, Johann Wolfgang aveva tre anni e tre mesi. Circa due anni dopo, quando egli aveva pressappoco cinque anni, nacque la seconda sorella. Sia l’una che l’altra età entrano in considerazione se tentiamo di datare l’episodio del lancio del vasellame: forse più la prima che la seconda, perché fornirebbe anche maggior concordanza con il caso del mio paziente, che alla nascita del fratello aveva circa tre anni e nove mesi.
Del resto il fratello Hermann Jacob, al quale è rinviato in tal modo il nostro tentativo di interpretazione, non fu affatto un ospite fuggevole nella cameretta dei bambini di casa Goethe, come accadde invece per il fratello e la sorella minori. Potremmo stupirci del fatto che la biografia del grande fratello non contenga neppure una parola che lo ricordi. Egli raggiunse e superò l’età di sei anni, e Johann Wolfgang ne aveva quasi dieci quando egli morì. Il dottor Eduard Hitshmann, che è stato tanto gentile da mettere a mia disposizione le sue note a questo proposito, afferma:
“Anche il piccolo Goethe ha visto morire un fratellino senza troppi rimpianti.” O almeno sua madre così disse, secondo il racconto trasmessoci da Bettina Brentano: ‘Sembrò strano alla madre che, alla morte del fratello minore, ch’era il suo compagno di giuochi, Wolfgang non versasse una lacrima; sembrava anzi nutrire una specie di rabbia per il lamento dei genitori e dei fratelli. Quando, più tardi, la madre chiese al piccolo caparbio se per caso non avesse voluto bene al fratello, egli corse in camera sua, estrasse da sotto il letto una quantità di carte sulle quali erano scritte lezioni e storielle, e le disse che aveva fatto ciò per insegnarlo al fratello.’ [O.S.F., Vol. 9, da pag. 5 a pag. 10]
La letteratura di Goethe nasce, in questa straordinaria visione freudiana, dal tentativo di voler sopperire al fatto che la mamma poteva volere più bene al fratello e che il fratello morto era molto più pericoloso di tutti gli altri, perché finito il confronto, rimangono i fantasmi. Questo tentativo di Goethe di buttare via tutto, contrasta con il tentativo di prendere, di trattenere queste cose che lui aveva amato; questa è l’ambivalenza: i fratelli amati, morti, egli è rimasto vivo, e il timore che la mamma ami i morti e non lui.
Il gesto del piccolo Goethe, confrontato con quello del paziente, esprime il desiderio postumo di non far neppure nascere il fratello rivale, di far abortire la mamma.
Qui, poi, abbiamo due pezzi molto importanti per l’elaborazione di questo periodo. Nel 1909 Freud era stato in America, accolto come un trionfatore, anche se aveva nutrito qualche diffidenza.
Il nostro stimato amico J.J. Putnam, che vive in quell’America che ci è ora così ostile, ci perdonerà se non possiamo accogliere neppure la sua richiesta, in base alla quale la psicoanalisi dovrebbe mettersi al servizio di una determinata concezione filosofica e imporla al malato per nobilitare il suo spirito. Oserei dire che a ben vedere questo sarebbe soltanto un atto di violenza, ancorché dissimulato dalle più nobili intenzioni. [Ibidem, pag. 25]
Non c’entra Putnam, qui c’è l’animosità verso l’America che “ci è ostile”. L’America in quel tempo era veramente ostile: il presidente americano era Wilson, che aveva rifiutato qualsiasi aiuto ai paesi che avevano portato la guerra in Europa e, ponendo delle barriere notevoli, aveva messo alla fame questi paesi.
Qui abbiamo un brano di estrema importanza, un articolo che parla delle vie della psicoanalisi, in cui Freud s’interessa degli aspetti sociali della psicoanalisi, trascinato dall’esperienza ungherese.
E ora per concludere vorrei considerare una situazione che appartiene al futuro, che a molti di voi sembrerà fantastica, e che tuttavia merita, a mio giudizio, che ci si prepari mentalmente ad affrontarla. Voi sapete che la nostra attività terapeutica non è particolarmente intensa. Siamo soltanto un manipolo di uomini, e anche se ciascuno di noi lavora assiduamente, in un anno può dedicarsi solo ad un esiguo numero di malati. Se si considera l’enormità della miseria nevrotica che c’è nel mondo e che forse potrebbe non esserci, quello che noi possiamo fare per eliminarla, da un punto di vista quantitativo, è praticamente irrilevante. Inoltre le necessità della nostra esistenza circoscrivono la nostra possibilità di intervento ai ceti superiori e benestanti della società, i quali sono soliti scegliersi i propri medici e la cui scelta è allontanata dalla psicoanalisi da ogni sorta di pregiudizi. Per il momento non possiamo far nulla per i vasti strati popolari che soffrono di nevrosi estremamente gravi.
Proviamo ora a formulare l’ipotesi che mediante una qualche forma di organizzazione si riesce ad accrescere il numero di noi psicoanalisti tanto che esso possa bastare a prendere in trattamento una più vasta sezione della collettività umana. D’altra parte, è possibile prevedere che un giorno o l’altro la coscienza della società si desti e rammenti agli uomini che il povero ha diritto all’assistenza psicologica né più né meno come ha diritto già ora all’intervento chirurgico che gli salverà la vita; e che le nevrosi minacciano la salute pubblica non meno della tubercolosi, e, al pari di questa, non possono essere lasciate all’impotente sollecitudine dei singoli.
Siamo 1918: Freud aveva un alto livello di coscienza sociale, più elevato della media di allora.
Saranno allora create delle case di cura o degli ambulatori dove lavoreranno un certo numero di medici con preparazione psicoanalitica, che si serviranno dell’analisi per restituire capacità di resistenza e di lavoro a uomini che altrimenti si darebbero all’alcool, a donne che minacciano di crollare sotto il peso delle privazioni, a bambini che hanno di fronte a sé un’unica alternativa: l’inselvatichimento o la nevrosi. Questi trattamenti saranno gratuiti…
Sembrano i nostri Sert, i nostri Servizi di salute mentale; se Freud avesse conosciuto la realtà di oggi, forse gli sarebbe piaciuta.
… Potrà passare molto tempo prima che lo Stato si renda conto di questi suoi doveri e del loro carattere di urgenza. Le condizioni presenti possono allontanare ancora di più questo momento; è probabile che l’avvio a queste istituzioni sarà dato dalla beneficenza privata. Ma è un traguardo a cui prima o poi si dovrà arrivare.
Dovremo allora affrontare il compito di adattare la nostra tecnica alle nuove condizioni che si saranno create. Non dubito che l’esattezza delle nostre ipotesi psicologiche potrà convincere anche coloro che non hanno una cultura specifica, ma dovremo cercare di dare alle nostre concezioni teoriche un’espressione il più possibile semplice e tangibile. Probabilmente dovremo constatare che il povero è disposto a rinunciare alla sua nevrosi ancor meno del ricco, poiché la vita difficile che lo aspetta non lo attrae affatto, mentre l’infermità gli offre una ragione in più per pretendere un aiuto da parte della società. Forse in molti casi potremo raggiungere un risultato positivo solo se riusciremo a combinare l’assistenza psichica con l’appoggio materiale, alla maniera dell’imperatore Giuseppe.
Freud era un filantropo: l’assistenza psichica, l’appoggio materiale, ben pochi avrebbero detto ciò nel 1918, anticipando quanto avviene oggi.
È anche molto probabile che l’applicazione su vasta scala della nostra terapia ci obbligherà a legare in larga misura il puro oro dell’analisi con il bronzo della suggestione diretta; …
Questa lega (oro-bronzo) non esiste nella realtà materiale. Egli voleva dire: la “contaminazione”, con la suggestione diretta; non parlava di psicoterapia: l’oro dovrà essere disposto ad accettare questo degrado.
… anche l’influsso ipnotico potrebbe riacquistare una sua funzione come è accaduto nel trattamento delle nevrosi di guerra. Ma quale che sia la forma che assumerà questa psicoterapia per il popolo, quali che siano gli elementi che la costituiranno, è sicuro che le sue componenti più efficaci e significative resteranno quelle mutuate dalla psicoanalisi rigorosa e aliena da ogni partito preso. [Ibidem, da pag. 25 a pag. 28]
Qui emerge la psicoterapia per il popolo. Quando Goethe aveva scritto il Werther, pensava ad un romanzo per il popolo, come non era certo il Faust. Così come nasce la letteratura popolare, nasce il concetto di psicoterapia per il popolo.
La teoria è questa. Fatene pure quello che volete, ma la teoria resta questa. Un po’ dell’oro della psicoanalisi ci sarà in questa psicoterapia per il popolo, anche se si fa diventare bronzo.
Freud prima parla di Goethe e della sua tragedia, poi parla di problemi sociali e strutturali: è un’epoca di grande transizione.
A questo punto Freud si ritrova in una sorta di collusione: in Ungheria c’è il governo bolscevico, in cui vengono nazionalizzati i mezzi di produzione; i professionisti borghesi, a differenza che in Russia, vengono accettati, qui è istituita una cattedra di psicoanalisi. Ovviamente Freud è chiamato a dire la propria opinione. Non dimentichiamo che l’Imperial regia Università di Vienna aveva sempre tenuto Freud rigorosamente distante.
Il problema se sia consigliabile l’insegnamento della psicoanalisi nelle università può essere preso in considerazione da due punti di vista: quello della psicoanalisi e quello dell’università.

L’includere la psicoanalisi nel curriculum universitario sarebbe senza dubbio visto con soddisfazione da tutti gli psicoanalisti. Allo stesso tempo è chiaro che lo psicoanalista può fare senz’altro a meno dell’università senza perderci nulla. Ciò di cui ha bisogno in tema di teoria può trarlo dalla letteratura su questo o quell’argomento e, andando più in profondità, dai convegni scientifici delle società psicoanalitiche, nonché dai contatti personali con i loro membri più influenti. Per quanto riguarda l’esperienza pratica, prescindendo da ciò che egli impara dalla propria analisi personale, può acquisirla nel corso dei trattamenti, purché riesca a ottenere la supervisione e la consulenza di psicoanalisti riconosciuti. Il fatto che un’organizzazione di questo genere esista è dovuto in effetti all’esclusione della psicoanalisi dalle università. Ed è perciò evidente che tali accomodamenti continueranno a esercitare una funzione incisiva fintantoché persisterà tale esclusione.
Per quanto riguarda le università, la questione dipende dalla loro decisione, e cioè se sono disposte ad attribuire un valore alla psicoanalisi nell’addestramento dei medici e degli scienziati in genere. In caso affermativo, resta il problema di come inserire la psicoanalisi nel normale sistema dell’istruzione. L’importanza della psicoanalisi per l’addestramento medico e accademico nel suo insieme si basa sui seguenti fatti: …

La prima grande preoccupazione di Freud era che la psicoanalisi non diventasse un sotto capitolo nel trattato di psichiatria, esattamente quello che è diventata oggi. Ferenczi, che fu l’ordinario di psicoanalisi per breve tempo, si aspettava che Freud andasse lì e dicesse: “In questa meravigliosa giornata la psicoanalisi è entrata nell’università”, ma non fu così, poiché Freud ragionava in un modo completamente diverso. Freud si domandava: “serve ai medici la psicoanalisi?” Capiva che non poteva dire di no; avrebbe voluto dirlo ma si rendeva conto che dentro la medicina la psicoanalisi poteva esistere, mentre al di fuori la psicoanalisi sarebbe perduta. Nessuno vorrebbe un maestro di vita che insegni come vivere, ne abbiamo già tanti: la madre, la zia, il padre, il confessore, il migliore amico; e soprattutto nessuno pagherebbe i sussiegosi maestri, mentre uno che cura la malattia viene pagato. Freud sa questo, e questo grande conflitto esiste ancora oggi.
a) negli ultimi decenni tale addestramento è stato criticato con piena ragione per il modo unilaterale in cui orienta lo studente nei campi dell’anatomia, della fisica e della chimica, mentre non riesce a chiarirgli il significato dei fattori psichici nelle diverse funzioni vitali, come pure nelle malattie e nel loro trattamento. Questa deficienza nell’istruzione medica si rende più tardi evidente come lacuna clamorosa del medico. E ciò non si mostrerà soltanto nella mancanza d’interesse del medico stesso per i più avvincenti problemi della vita umana, sana o patologica che sia, ma lo renderà altresì maldestro nel trattare con i suoi pazienti, talché perfino i ciarlatani e i “guaritori” avranno su di essi un effetto maggiore del suo.
Sono attuali queste considerazioni. Il medico, in genere, ascolta ma non ha orecchio per cogliere il problema emotivo, e quando arriva il “ciarlatano guaritore” si capisce perché sembra più bravo.
Questa evidente carenza portò qualche tempo fa all’inserimento, nel curriculum universitario, di corsi di lezioni sulla psicologia medica. Ma, giacché tali lezioni erano basate sulla psicologia accademica o sulla psicologia sperimentale (che tratta solo problemi di dettaglio), esse non riusciranno a venire incontro alle esigenze dell’istruzione dello studente, né potranno avvicinarlo ai problemi della vita in genere o a quelli particolari della sua professione.
Per queste ragioni il posto occupato da questo tipo di psicologia medica nel curriculum universitario si è dimostrato vacillante.
Un corso di lezioni sulla psicoanalisi, d’altra parte, risponderebbe certamente a tali esigenze. Prima di giungere alla psicoanalisi vera e propria, sarebbe necessario un corso introduttivo che si occupasse dettagliatamente delle relazioni tra vita psichica e vita fisica – base di ogni tipo di psicoterapia – , che descrivesse i vari tipi di procedimenti suggestivi, e che infine dimostrasse come la psicoanalisi sia l’esito e il coronamento di tutti i metodi precedenti di trattamento psichico. In effetti la psicoanalisi, più di ogni altro sistema, è adatta ad insegnare la psicologia allo studente di medicina
Se oggi Freud fosse qui, in una facoltà di psicologia, inorridirebbe: “Come, un corso senza anatomia, senza fisiologia, senza biochimica. E cosa è questa storia? E il corpo?”
La psicoanalisi fornisce un assetto teorico. Provate a insegnare psicologia a studenti di medicina, ai quali poco importa circa il cognitivismo che dà certe regole; agli studenti di medicina interessa la comprensione generale.
b) Un'altra delle funzioni della psicoanalisi dovrebbe essere quella di dare una preparazione alo studio della psichiatria. Tale studio, nella sua forma attuale, ha carattere esclusivamente descrittivo; tutto quel che fa è insegnare allo studente a riconoscere una serie di entità patologiche, ponendolo in grado di distinguere quali siano incurabili e quali siano pericolose per la collettività. L’unica connessione della psichiatria con le altre branche della scienza medica risiede nell’etiologia organica, vale a dire negli accertamenti anatomici che riesce a compiere; ma essa non offre la benché minima comprensione dei fatti osservati. Una tale comprensione può essere fornita soltanto da una psicologia del profondo
Ancora adesso è vero, la biochimica dà una grande comprensione causale, ma non la comprensione dei vissuti. Quando dico “quel tale ha tante catecolamine”, comprendo magari la causa, ma non comprendo cosa stia pensando di sua zia o di sua madre o della sua amante.
In America, a quanto ne so, si è già provveduto a riconoscere che la psicoanalisi (primo tentativo di una psicologia del profondo) ha fatto irruzione, con successo, in questa inesplorata regione della psichiatria. Infatti, parecchie scuole mediche in quel paese hanno già organizzato corsi di psicoanalisi come introduzione alla psichiatria.
L’insegnamento della psicoanalisi dovrebbe procedere a due livelli: un corso elementare, destinato a tutti gli studenti in medicina, e un corso di lezioni specialistiche per i futuri psichiatri.
c) nell’indagine dei processi psichici e delle funzioni intellettuali, la psicoanalisi segue un suo metodo specifico. L’applicazione di tale metodo non è affatto confinata al campo dei disturbi psicologici, ma si estende anche alla soluzione di alcuni problemi negli ambiti dell’arte, della filosofia e della religione. In tale direzione la psicoanalisi ha già prodotto parecchi punti di vista nuovi e si è rivelata in grado di fornire delucidazioni preziose su temi come la storia letteraria, la mitologia, la storia delle civiltà e la filosofia delle religioni. Un corso psicoanalitico generale dovrebbe quindi essere accessibile anche agli studenti di tutte queste materie di studio.
Attenzione però a non rinchiudere la psicoanalisi nella medicina perché la psicoanalisi è una scienza antropica generale, è una scienza propedeutica che riguarda tutti.
Gli effetti fecondi del pensiero psicoanalitico su queste altre discipline contribuirebbero certamente moltissimo alla costituzione di un più stretto legame, nel senso di una universitas literarum, tra la scienza medica e le materie d’insegnamento appartenenti alla sfera della filosofia e delle arti.
Per riassumere, si può affermare che l’università non avrebbe che da guadagnarci dall’inclusione nel suo curriculum dell’insegnamento della psicoanalisi. Vero è che tale insegnamento può essere impartito soltanto in forma dogmatica e acritica, mediante lezioni teoriche; tali lezioni darebbero infatti scarsissime opportunità di effettuare esperimenti o dimostrazioni pratiche. Ai fini della ricerca, sarebbe sufficiente che i docenti di psicoanalisi avessero accesso a un reparto di pazienti esterni, per poter disporre del materiale necessario in pazienti “nevrotici”. Per la psichiatria psicoanalitica si dovrebbe poter accedere anche a un reparto di pazienti interni affetti da malattie mentali.
Dobbiamo infine considerare l’obiezione che, con questi metodi, lo studente di medicina non imparerà mai la psicoanalisi vera e propria. Questo è vero se pensiamo alla psicoanalisi come è praticata attualmente. Ma per i fini che ci proponiamo basterebbe che lo studente di medicina apprendesse qualcosa circa la psicoanalisi e qualcosa da essa. Dopo tutto, l’istruzione universitaria non fornisce allo studente di medicina una preparazione tale da renderlo un abile chirurgo; e nessuno che scelga la chirurgia come professione può fare a meno di un ulteriore addestramento consistente in parecchi anni di lavoro nel reparto chirurgico di un ospedale.
Freud pone le basi di una concezione precisa, la psicoanalisi aspecifica, che riguarda le basi generali della conoscenza umana e la psicoanalisi specifica, che riguarda i contatti con l’utente. Vedete come sia estremamente concreto e faccia delle proposte possibili, che poi in America sono state la regola fino a 10 anni fa. Adesso la psicoanalisi è fuori contesto, fuori moda, ma queste sono le regole del corso storico.
Questo è ciò che dice Freud pochi mesi dopo la guerra. L’instaurarsi del regime di sinistra avvenne nella primavera del ‘19, e a Natale dello stesso anno era crollato. Le squadre di un partito nazionalista presero potere rovesciando il regime. L’Ungheria fu il primo regime fascista europeo, secondo l’Italia e terzo la Germania. Lì tutto finì.
Freud continuò ad occuparsi di alcuni argomenti fondamentali. Cominciò con l’indagare il perturbante. Lo fece sulla base della novella di Hoffmann “L’uomo della sabbia”.
Subito dopo Freud esaminò un altro problema: si accorse che il masochismo femminile, lungi dal dover essere considerato una perversione, era da intendersi come parte della norma sessuale, e cominciò a studiare questo aspetto; attraverso il masochismo femminile passò al concetto del narcisismo, entrando “nel vivo” degli elementi sessuali, a partire dall’infanzia, con il lavoro “Un bambino venne picchiato”.
Infine produsse tre grandi lavori: “L’Io e l’Es”, “Al di là del principio del piacere”, “Psicologia delle masse e analisi dell’Io”, base e origine di tutta la gruppo-terapia e di tutte le considerazioni sui rapporti psicologici nei gruppi.
Per riassumere: il dopoguerra (gli anni fra il 1918 al 1923) fu un periodo complesso e tormentato. Le condizioni di pace imposta alle potenze centrali, creando un’inflazione immensa, furono un gravissimo errore storico. Un’imposizione vendicativa di danni di guerra (improponibili) agli stati dell’Europa centrale provocò poi una risposta turbolenta, all’interno della Germania, che diede origine al nazismo. L’inflazione finì nel ‘23 e il nazismo ebbe origine poco dopo.
Freud si trovava in questa situazione, e reagì in questo modo:
una fuga nella fantasia: come sempre succede quando la situazione si fa grave, ci si rifugia in un mondo fantastico. C’è chi cerca aiuto nei classici o chi studia l’arte cubista: qualcosa di inconcreto ma gratificante per la vita interiore.
dopo di questo ci fu un bagliore di entusiasmo quando, instauratasi in Ungheria la repubblica socialista sull’onda della rivoluzione bolscevica, la psicoanalisi fu fortemente favorita con la fondazione di due società psicoanalitiche, una ad Odessa e una Mosca.
Quella di Odessa fu fondata dall’“uomo dei lupi”, un russo che era stato un paziente di Freud, e poi ci fu la società psicoanalitica di Mosca, entrambe cancellate dal sopravvento del totalitarismo staliniano. Freud aveva scritto e pronunciato un’introduzione alla psicoanalisi (quella sopra esposta) in tale contesto sociale. L’entusiasmo gli fece dire: “tutti hanno diritto alla psicoanalisi, anche se l’oro psicoanalitico deve essere coniugato con il bronzo della psicoterapia e della suggestione”. Poco dopo, purtroppo, presero il sopravvento i regimi autoritari che cancellarono tutto questo. In Germania la società psicoanalitica continuò, e fu rifondata con l’espulsione di tutti gli Ebrei e con la fondazione del ‘Psychoanalytisches Institut’. Questo fece sì che una società psicoanalitica si salvasse fino a dopo la guerra, quando, nel ricordo di tutti i perseguitati, fu fondata la seconda società psicoanalitica.
A questo punto Freud cosa avrebbe potuto fare? O disperarsi e dire che non si può più far niente, o mettersi a pensare e scrivere.
Scrive quindi alcune opere: quando le cose van bene nel mondo esterno, in genere van male in quello interiore; ma quando succede il contrario, chi è nelle condizioni di farlo, chi ha risorse, fa grandi cose. E così fece Freud, che scrisse “Le basi del masochismo femminile” e “Il perturbante", prendendo spunto, come si diceva più sopra, da un racconto del terrore di T.E. Hoffmann. In quest’epoca introduce il concetto di istinto di morte in “Al di là del principio del piacere” e scrive “Psicologia delle masse e l’analisi dell’Io”, ispirato dai fenomeni collettivi di quel periodo.
Le opere di Freud seguono sempre il periodo storico. Scrive sul movimento delle masse che poi diviene la storia dei gruppi, scrive sulla nevrosi demoniaca del XVI secolo, prendendo spunto da una nevrosi di tal genere di un pittore, e infine scrive “L’Io e l’Es”, la teorizzazione corposa della psicoanalisi dove nasce il concetto di Io e SuperIo. È un periodo ricco di elaborazioni teoriche; siamo lontani dal caso dell’uomo dei lupi, dall’uomo dei topi, dall’interpretazione dei sogni, che sono scritti clinici, in cui Freud parte dalle esperienze di cura e le elabora. Ora si trova di fronte al dilagante problema delle nevrosi da guerra.
Freud cominciò a pensare ad una volontà di morire che derivava da tutto il massacro che vedeva intorno. Fu una guerra che costò milioni di morti alla Germania, record che fu subito battuto nella campagna di Russia della successiva guerra mondiale.
 


 

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