Lezione 22 Un caso di omosessualita' femminile

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Siamo nel 1920, in un momento particolare. È l’anno in cui viene pubblicato il sesto dei casi clinici descritti da Freud: un caso di omosessualità femminile. Questo argomento, in quegli anni, era ancora poco trattato: l’omosessualità era considerata esclusiva degli uomini.
Freud fu interessato da questo caso che gli permetteva di entrare in un mondo così misterioso qual era il mondo femminile. Egli non aveva esperienza personale rilevante di donne. I suoi amori erano sempre stati amori molto raffinati e abbastanza “angelicati”. In questo caso Freud rimane affascinato da un aspetto per lui totalmente nuovo. Negli anni ’20, nell’immediato dopoguerra, si manifestò una serie di fermenti culturali, che si esprimevano nell’arte e nella narrativa. Vienna raccoglieva, in quello strano periodo, tutti questi filoni culturali, liberandosi in un certo senso dal formalismo dell’imperiale regio impero, quello che Musil chiamava “Kakkania”. Come anche in Italia nel ‘900, le poche manifestazioni culturali vivaci comparvero nell’immediato dopoguerra. In questo periodo l’omosessualità femminile inizia gradualmente a divenire un argomento noto.


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Freud si trova di fronte ad un amore tenebroso di una ragazza per una donna più grande; un amore vero, quello che ci voleva per costruire una teoria freudiana. La passione per la donna era l’amore per la mamma, un edipo rovesciato. In esso l’amore per la genitrice era legato all’identificazione della ragazza con suo fratello, allo scopo esclusivo di farsi amare da colei che l’aveva messa al mondo. Questo era il nucleo teorico che comprendeva una identificazione narcisistica e una trasposizione di un edipo rovesciato. È un caso clinico poco conosciuto perché il problema dell’omosessualità femminile aveva avuto sinora poco spazio, e per Freud stesso era una nuova scoperta. Ciò è una novità importante non solo per Freud, ma anche per la cultura psicologica del tempo. Erano, sì, già state descritte donne omosessuali, ma erano famose assassine, che uccidevano i figli dell’amante: un’omosessualità femminile che interessava forse la criminologia più che la psichiatria. Un caso così ‘soft’, così comune, non era mai stato trattato come argomento clinico.
Dopo un’introduzione così prolissa non mi resta che esporre l’evoluzione libidica di questo caso in modo molto conciso e sintetico. Nell’infanzia la ragazza era passata, in modo poco appariscente, attraverso la normale impostazione del complesso edipico femminile e in seguito aveva anche cominciato a sostituire il padre con un fratello di poco maggiore di lei.
La normalità dell’edipo è questo iter: prima il padre, poi il fratello maggiore, poi ci sarà il compagno di scuola: il gap di età che c’è nell’Edipo, si riduce sempre più.
Non ricordava sogni sessuali fatti nella lontana fanciullezza e neppure l’analisi ne palesò alcuno. Il confronto fra i genitali del fratello e i propri, che avvenne più o meno all’inizio dell’epoca di latenza (a cinque anni o un po’ prima) suscitò in lei una forte e duratura impressione e produsse effetti che si protrassero a lungo nel tempo.
Un'altra cosa comune allora era questo spiare, guardare dai buchi della serratura, per vedere come era fatto il fratellino, aspetto che oggi si è attenuato.
Pochissimi erano i segni che rinviavano all’onanismo infantile, o forse l’analisi non andò abbastanza lontano per chiarire questo punto. La nascita di un secondo fratello, quando lei aveva cinque anni e mezzo, non esercitò una particolare influenza sul suo sviluppo.
Notiamo per inciso che molti specialisti non sono oggi adeguatamente informati sulle fantasie erotiche infantili, sulla masturbazione infantile, talché gli elementi individuali sessuali non vengono più rilevati a sufficienza.
 
Negli anni scolastici e prepuberali venne gradualmente a conoscenza dei fatti della vita sessuale, e li apprese con quel misto di lascivia e spaventata ripugnanza che dobbiamo definire normale e che inoltre non si estrinsecò in lei con intensità esagerata. Nell’insieme queste informazioni appaiono davvero molto scarse e neanche posso affermare che in compenso sono complete. Può darsi che la storia di questa giovinetta sia stata ben più ricca; io non lo so... l’analisi fu interrotta dopo breve tempo e quindi fornì un’anamnesi che non è molto più attendibile di altre anamnesi di omosessuali che a buon diritto vengono contestate.
Questa fu un’analisi interrotta, come quelle di Anna O e di Dora. Freud, nota che le analisi interrotte sono analisi di donne; quelle degli uomini sono portate avanti. Questo ha un senso, dato che egli trattava i casi femminili finché poteva trattarli come quelli degli uomini, e quando poi doveva cambiare impostazione, le lasciava o si faceva lasciare.
Inoltre la ragazza non era mai stata nevrotica e non portò in analisi neppure un sintomo isterico; perciò le occasioni per indagare sulla storia della sua infanzia non si presentarono molto presto.
Si vede l’ingenuità di Freud: nessun sintomo isterico. Ma chi dice che il paziente deve portare sintomi isterici, soprattutto l’omosessuale? In una donna a quei tempi poteva essere una tossetta stizzosa, una paralisi...
Fra i tredici e i quattordici anni la ragazza manifestò una tenera predilezione –che tutti considerarono esagerata – per un bimbetto non ancora treenne che aveva occasione di vedere regolarmente in un parco per bambini. Si affezionò al piccolo a un punto tale che ne nacque una durevole amicizia con i suoi genitori. Da questo episodio si può inferire che a quel tempo era dominata da un forte desiderio di essere essa stessa madre e di avere un bambino.
Il principio generale dell’omosessualità, sia femminile che maschile, è per Freud che si verifica un’identificazione narcisistica con l’adulto e l’amore per il sé bambino è quello che l’omosessuale avrebbe voluto, a suo tempo, da parte dell’adulto per lui stesso. Qui c’è il bambino di tre anni incontrato, amato: lei vorrebbe essere la madre che ama il bambino allo stesso modo di come avrebbe voluto da bambina essere amata dalla madre.
Ma poco dopo il maschietto le divenne indifferente, ed essa incominciò invece a mostrare interesse per donne mature, ma ancora giovanili. Le manifestazioni di questo interesse le procurarono ben presto una severa punizione da parte del padre.
Fu accertato al di là di ogni dubbio che questa metamorfosi coincise cronologicamente con un certo evento che si verificò nella famiglia, dal quale, per conseguenza, possiamo attenderci la spiegazione della metamorfosi stessa. Prima di questo evento la libido della ragazza era concentrata in un atteggiamento materno, dopo ella divenne un’omosessuale attratta da donne mature, e tale è rimasta d’allora in poi.
Si vede il rovesciamento e la simmetria, lei fa da mamma al bambino e ama il bambino come la mamma, poi s’interessa alle donne mature che amano lei: diventa lei il bambino amato dalla mamma. Qui c’è la giovane che ama la più attempata signora. Delle due, la più mascolinizzata è la signora più anziana o quella che ha questa parte.
Questo evento così importante per la nostra comprensione del caso fu una nuova gravidanza della madre e la nascita di un terzo fratello: all’epoca la ragazza aveva circa sedici anni.
La situazione che sto per palesare non è un prodotto delle mie elucubrazioni; l’ho derivata da un materiale analitico talmente degno di fede che posso rivendicare per essa un’obiettiva validità.
Freud aveva sempre bisogno di distinguere la verità storica dalla verità narrativa.
Particolarmente decisivi si sono rivelati in proposito una serie di sogni tra loro interconnessi e facilmente interpretabili.
L’analisi consentì di accertare inequivocabilmente che la signora amata dalla ragazza era un sostituto dalla madre. Vero è che la signora non era essa stessa madre, ma neppure era il primo amore della ragazza. I primi oggetti dell’inclinazione di costei a partire dalla nascita dell’ultimo fratello erano stati effettivamente delle madri, donne fra i trenta e i trentacinque anni che essa incontrava con i loro bambini durante le vacanze estive o tra le conoscenze della sua famiglia nella grande città. La condizione della maternità venne in seguito lasciata cadere perché mal si conciliava, nella vita reale, con un'altra condizione che divenne sempre più importante. L’attaccamento particolarmente intenso al suo ultimo amore, alla “signora”, aveva anche un’altra motivazione, che un giorno la ragazza scoprì senza difficoltà. La figura slanciata, la bellezza severa e il carattere scontroso della signora le rammentavano suo fratello, quello che era un po’ più vecchio di lei.
È la dimensione mascolina ricercata dall’omosessuale femminile di questo tipo, che sarebbe il tipo tenero femminile che ama la signora rigida mascolina: c’è la ricerca del mascolino che è l’antico personaggio maschile con cui s’identifica. Nell’omosessualità c’è sempre un’incertezza, dentro o fuori, chi sono io e chi è l’altro; distinguere sé dall’amante è difficile, mentre nell’eterosessualità tale distinzione è più netta; c’è un oggetto esterno, e quando diventa troppo interno, diventa un oggetto narcisistico. Nell’omosessualità questa distinzione è meno evidente: sono io l’uomo che ama l’altro uomo come se questi fosse donna, o sono io ad essere amato dall’altro uomo come se fossi donna?
Chi distingue nettamente l’omosessualità attiva e passiva, non conosce veramente l’omosessuale. Esiste, più che altro, una maggiore o minore identità che si esprime a livello motorio. Ci sono omosessuali maschi che si muovono come le donne, ci sono omosessuali donne che hanno un atteggiamento più mascolinizzato, e questo non è tanto legato al ruolo passivo o attivo, quanto al difetto d’identità. Difetto che, poi, viene superato godendo di entrambe le dimensioni dell’individualità, come negli artisti. Gli artisti omosessuali sono frequenti e s’avvantaggiano di tale duplice identità. Importante è l’incertezza su quanto io sono l’oggetto amato o oggetto amante e viceversa: questo è il punto centrale. In fondo, tutta la sessualità è fatta così: come sarebbe la vita sessuale se uno avesse solo istanze penetrative e non recettive, o viceversa?
Il momento massimo del rapporto sessuale è una compenetrazione in cui non si sa più chi entra e chi contiene. Se la distinzione è marcata, vuol dire che c’è una divisione troppo rigida di oggetti e si ha la caricatura della sessualità. Agli estremi abbiamo il maschio forzuto con la moto e la tuta di pelle con le borchie, e la donnina che si attacca alle tende e sviene. Queste non sono autentiche identità maschili e femminili. A volte la distinzione è difficile, ed è sempre un problema d’identità sessuale, non di genere. L’omosessuale maschio sa che è uomo, l’omosessuale femmina si rende conto che è una donna. Se ha forti dubbi, allora è un transessuale, e lì la differenza del sesso può essere addirittura nel patrimonio genetico, e quindi è la natura che ha sbagliato.
La sua ultima scelta, quindi, non corrispondeva solo al suo ideale femminile, ma anche a quello maschile, conciliava in sé il soddisfacimento dell’aspirazione omosessuale con quello dell’aspirazione eterosessuale.
Qui Freud acutamente anticipa tutti gli studi, perfino quelli biologici: abbiamo delle istanze che non capiamo. Mentre nella transessualità ci sono errori nella trascrizione, nel DNA, nell’omosessualità non ne troviamo. Il problema sul piano sociale non è l’omosessualità in sé, ma il sentimento di struggimento interiore, la mancanza di sistemazione tra l’ideale di un tipo e l’ideale di un altro, tra la rappresentazione di un tipo e quella dell’altro. Uno dei motivi per cui l’omosessuale è infelice, è questa inquietudine, questa incapacità, ed incertezza nel situarsi da una parte o dall’altra. “Sodoma e Gomorra” di Proust può considerarsi, a questo proposito, un trattato esauriente. Freud individua l’incertezza dell’identità come il punto centrale dell’omosessualità.
Com’è noto, l’analisi di uomini omosessuali ha messo in risalto più volte questa stessa coincidenza, il che dovrebbe esserci di stimolo a non concepire la natura e la genesi dell’inversione in maniera troppo semplicistica e a non perdere di vista l’universale bisessualità degli esseri umani.
Siamo nel 1920, Freud afferma, anticipando tutti, che gli esseri umani sono bisessuali. Gli embriologi affermano che se si riuscisse a individuare il momento esatto in cui scatta l’elemento che indirizza da una parte o dall’altra questo tronco iniziale, saremmo capaci di decidere se essere maschio o femmina.
Freud individua gli aspetti principali di quest’argomento che poi tratterà in modo esaustivo nel ‘36, prima di morire, in “Analisi terminabile e interminabile”. Qui troviamo il famoso passo su Empedocle di Agrigento, dove si afferma che l’essere umano è bisessuale: perché l’uomo deve rinunciare a una delle grandi possibilità di soddisfazione? Perché l’uomo deve andare solo con le donne e la donna solo con gli uomini? Si limita con le sue mani perché si toglie via metà del piacere di cui ha la possibilità di godere.
Freud dice che noi siamo tutti così: l’identità sessuale dominante è una questione quantitativa, non qualitativa. Egli parla di omosessualità femminile perché sa che per gli uomini abbracciarsi o condividere la cabina ai bagni, è molto più difficile che per le donne, che anzi lo fanno normalmente, soddisfacendo impulsi omosessuali che, essendo così accettati, non devono essere rimossi.
Ma come si può spiegare il fatto che la ragazza, proprio dalla nascita di un bambino che venne al mondo tardi, quando lei era già grande e aveva forti desideri propri, fu indotta a indirizzare la propria appassionata tenerezza sulla genitrice di questo bambino, sulla propria madre, e a esprimere questo sentimento nei confronti di una persona che della madre faceva le veci? Dopo tutto quello che abbiamo imparato dovremmo aspettarci proprio l’opposto. In questi frangenti le madri, di solito, sono imbarazzate di fronte alle figlie che hanno quasi raggiunto l’età da marito, mentre queste ultime nutrono nei loro confronti un sentimento misto di compassione, disprezzo e invidia che non contribuisce ad aumentare la loro tenerezza per la madre.
È frequente che il rapporto tra madre e figlia ad una certa età diventi di una difficoltà praticamente ingestibile.
In ogni modo la ragazza di cui ci stiamo occupando aveva ben pochi motivi per essere tenera con la madre. Ancora giovanile, la madre vedeva in questa figlia rapidamente sbocciata una scomoda rivale, …
Nell’Elettra di Euripide, la protagonista odia la madre ed è lei la matricida di Clitennestra. È vero che la mano che porta il pugnale è quella di Oreste, il fratello, ma sappiamo tutti che è Elettra ad istigare quest’assassinio. La madre, che condivide il regno con l’amante Egisto, dopo aver ammazzato il padre Agamennone, non solo ha cacciato via la figlia, ma ha fatto sì che sposasse un povero contadino, per eliminare ogni possibilità di generazione regale che potesse usurparle il regno. Infatti l’Elettra di Euripide si apre con questa meravigliosa scena della capanna di un contadino, che dice: “Io ho sposato questa donna, che è figlia di re e discende da Giove, che ho sempre visto attraverso una nebbia di grandiosità”, e lui, che non la tocca sessualmente, non oserebbe, cerca di farle fare la vita più comoda, più sicura, facendole da schiavo; e lei intanto cova la rabbia contro la madre, che non solo le ha tolto il padre, ma anche la possibilità di essere donna come la genitrice, Clitennestra, lo è stata a dismisura. In realtà questa dimensione della gelosia, dell’odio nei rapporti tra madre e figlia che sta al di sotto delle apparenze, è stata colta non solo da Freud ma già da Euripide, che di psicoanalisi non poteva saperne nulla, ma conosceva l’animo umano.
… mostrava di prediligere i fratelli, limitava quanto più possibile l’autonomia della ragazza ed esercitava una sorveglianza particolarmente assidua per tenerla lontana dal padre. Che la figlia avvertisse da tempo il bisogno di una madre più affettuosa è quindi comprensibile; ma perché questo bisogno fosse esploso proprio allora e avesse assunto la forma di una divorante passione è difficile da comprendere.
L’odio che la donna omosessuale ha verso la madre è rilevante; quando ne è cosciente va bene, ma quando non lo è o, peggio ancora, quando implode, è devastante. Lo stesso è l’odio furibondo, pieno di disprezzo, che l’omosessuale maschio ha verso il padre; odio che poi diventa reciproco per l’impossibilità di tollerare che il figlio non rappresenti la continuità della propria fantasia.
La spiegazione è la seguente. La ragazza si trovava nella fase della reviviscenza puberale del complesso edipico infantile quando ebbe la sua grande delusione. Il desiderio di avere un bambino, e un bambino maschio, le divenne limpidamente consapevole; di desiderare un figlio dal proprio padre, e che fosse il ritratto di quest’ultimo, era invece qualcosa che la sua coscienza non poteva accettare.
Ama il padre ed è consapevole di questo amore. Ricordo un caso clinico di una signora che a quattordici-quindici anni, continuava a stendere pannolini per bambini, e la madre le dava un sacco di schiaffi, ma lei persisteva nel farlo per comunicare che aspettava un bambino. Qual è il contenuto inconscio? È quello di volere un bambino dal padre.
Ma poi accadde che non fu lei stessa ad avere il bambino, bensì la rivale inconsciamente odiata, la madre. Risentita e amareggiata, la ragazza voltò le spalle al padre e agli uomini in genere. In seguito a questo primo grande scacco ripudiò la sua femminilità e andò in cerca di un’altra collocazione per la propria libido.
Così facendo la ragazza si comportò in modo assai simile a molti uomini che dopo una prima dolorosa esperienza rompono definitivamente ogni rapporto con l’infido sesso femminile e diventano misogini. Si dice che un giovane di sangue reale — uno dei più affascinanti e infelici del nostro tempo — sia diventato omosessuale perché la sua promessa sposa lo aveva ingannato con un altro uomo. Non so se questa voce corrisponda alla verità storica, ma certamente essa cela un elemento di verità psicologica. In tutti noi la libido oscilla normalmente, per tutta la vita, tra l’oggetto maschile e quello femminile; lo scapolo rinuncia alle sue amicizie quando si sposa, e ritorna alle vecchie abitudini quando il suo matrimonio è diventato insipido. Ovviamente, quando la variazione è assolutamente radicale e definitiva, sospettiamo la presenza di un fattore particolare che favorisce decisamente una parte piuttosto che l'altra, e che forse ha solo atteso il momento opportuno per determinare secondo la propria direzione la scelta dell’oggetto.
Nella seconda parte del lavoro vi è la sistematizzazione della teoria.
Dopo quella delusione la nostra ragazza aveva dunque ripudiato il desiderio del bambino, l’amore per l’uomo e il ruolo femminile in genere. È evidente che a questo punto sarebbero potute accadere le cose più svariate; quello che effettivamente accadde fu il caso estremo.
Basta uomini, basta bambini, la paziente diventa una di quelle ragazze che rifiutano di truccarsi, che si comprimono il seno; è il rifiuto degli elementi di femminilità, che ad una certa età tendono ad essere invasivi. Il corpo s’impone per acquistare in femminilità, e loro hanno un atteggiamento contro-esibizionistico, innaturale per la natura femminile, che tende invece a farsi notare.
La ragazza si trasformò in un uomo e prese la madre al posto del padre come proprio oggetto d’amore.
Quello che vuole dire Freud è che c’è quasi sempre nelle ragazze un momento in cui si oscilla tra l’eccessiva esibizione e l’inibizione del mostrarsi. Un momento in cui prende il sopravvento la volontà d’esprimersi, anche se ciò le viene negato dalla madre; e, per contro, un altro momento in cui prevale la formazione reattiva: il volere limitare, soffocare queste forme d’espressione. In questo equilibrio nasce la norma: la ragazzina senza trucco vestita normalmente che, tuttavia, ha un’attrattiva sessuale intensa. Nell’uomo questo corrisponde all’orgoglio fallico e all’angoscia di castrazione.
Giacché il suo atteggiamento verso la madre era stato certamente ambivalente fin dall’inizio, fu facile far rivivere il suo amore di un tempo per la madre e di questo avvalersi per sovracompensare la sua attuale ostilità verso di lei. Poiché con la madre c’era ben poco da fare, questa metamorfosi emotiva diede luogo alla ricerca di un sostituto materno a cui potersi attaccare con appassionata tenerezza.
A tutto ciò bisognava aggiungere un altro motivo di ordine pratico derivante dai suoi reali rapporti con la madre, motivo che rappresentava un “tornaconto” [secondario] della sua malattia. La madre stessa attribuiva ancora molto valore al fatto di essere corteggiata e ammirata dagli uomini. Diventando omosessuale, lasciando gli uomini a sua madre (per così dire “cedendole il passo”) la ragazza avrebbe tolto di mezzo un ostacolo che era stato fino allora responsabile della cattiva disposizione della madre nei propri confronti.
Ebbene, l’impostazione libidica in tal modo acquisita si rafforzò allorché la ragazza si rese conto di quanto essa fosse sgradita al padre. Dopo quella prima punizione determinata da un suo atteggiamento troppo affettuoso verso una donna, ella sapeva come fare per offendere il padre e vendicarsi di lui.
Qui c’è poi una serie di problemi “secondari”: la madre che è lasciata più libera di correre dietro gli uomini perché lei ha altro da fare, il padre che viene punito. La psichiatria di oggi perde di vista la sessualità, eppure di tutto quello che è nella psiche, almeno per il 50% è sesso.
A questo punto rimase omosessuale in sfida a suo padre. E neppure si fece alcuno scrupolo di ingannarlo e mentirgli in tutti i modi. Verso la madre era insincera solo quel tanto che era necessario a che il padre non venisse a sapere quel che faceva. Avevo l’impressione che il suo comportamento seguisse la legge del taglione: “Giacché mi hai ingannata, devi acconciarti a che t’inganni anch’io”. Anche le clamorose imprudenze commesse da questa ragazza, peraltro estremamente accorta e intelligente, non potevano essere spiegati altrimenti. [O.S.F., Vol. 9, da pag. 149 a pag. 154]
L’omosessualità era legata a questo legame con la madre, legame frustrato e ricondotto da Freud alla nascita del fratello, e con la tendenza a rifiutare il padre per i motivi che ci ha raccontato. Il rapporto con la madre, per lei impossibile, poteva essere elicitato soltanto tramite l’identificazione con il fratello, quindi un’identificazione maschile per cui l’omosessualità emergeva dalla formula: “io identificata con la mamma, amo me identificata con il fratello, allo stesso modo in cui la mamma amava il fratello e come avrei voluto che la mamma amasse me”. Questa formula non è nuova: dieci anni prima Freud, nel suo saggio su Leonardo da Vinci, aveva formulato quest’ipotesi di identificazione con la madre, che comportava questa formula: “Io Leonardo mamma, amo me figlio adolescente, così come avrei voluto che la mamma mi avesse amato”. Così il quadro diventa convergente tra l’omosessualità maschile e femminile, che sul piano psicologico sono la stessa cosa.
Tutti i grandi pionieri della psicoanalisi furono persone tormentate (non pochi si suicidarono) e ciò perché, mancando una teoria di riferimento precedente, erano costretti a trovare l’elemento profondo dentro di loro senza la guida esperta di un didatta. Uno dei motivi per cui la maggior parte degli psicanalisti di quell’epoca erano Ebrei era legata a questa particolarità dell’animo ebraico: la speciale capacità di introspezione. Quindi Freud usava come parametro sé stesso, anche per la donna.
In seguito iniziò a costituirsi un apparato istituzionale psicoanalitico, con la nascita della società psicoanalitica britannica, americana, viennese, berlinese – Non esistevano ancora quella francese né quella italiana. Questa fu fondata da Levi Bianchini e da Rieti intorno ad una iniziativa editoriale del 1907, che fu quella della pubblicazione in italiano della Gradiva di Jensen. Fu una società scientifica senza ipotesi formativa, mai riconosciuta da Freud. – Si cominciarono a formare gruppi di seguaci del Maestro viennese, con amicizie altisonanti, anche femminili. Marie Bonaparte fu analizzata da Freud. Era una donna ricchissima, proprietaria del Casinò di Montecarlo, nipote di Napoleone III, moglie del fratello del re di Grecia, madre del re di Svezia. Aveva una serie di passaporti diplomatici che furono fondamentali nel consentire l’espatrio degli Ebrei europei ai tempi della persecuzione, e fu lei che riuscì a far passare le frontiere a Freud stesso. Marie Bonaparte fu una di quelle donne clitoridectomizzate perché frigide, un uso derivato dalla ginecologia tedesca, e Freud si adirò per questa operazione che la signora si fece fare. Un’altra era L.A. Salomè, un’altra ancora Virginia Woolf, e nel gruppo degli intellettuali inglesi degli anni ‘20, c’era anche Strachey, raffinato stilista e grande scrittore, che ha tradotto tutta l’opera di Freud. Cominciarono, quindi, i grandi ingressi femminili: Paola Neumann, Melania Klein, ed altre, ma tutte rimasero sull’orma freudiana. Furono chiamate le “maschiette di Freud”.
Freud fu il primo a cercare di vedere le storie cliniche da un nuovo punto di vista.
Torno alla discussione precedentemente interrotta del mio caso. Ci siamo fatti un’idea generale delle forze che hanno distolto la libido della ragazza dalla normale impostazione edipica per trasferirla su quella omosessuale, nonché delle vie psichiche che in questo processo sono state percorse. Tra queste forze è particolarmente importante l’impressione suscitata nella ragazza dalla nascita del fratello più piccolo; pertanto potremmo essere indotti a classificare questo caso tra le inversioni acquisite tardivamente.
Tuttavia a questo punto la nostra attenzione è attirata da una circostanza che si presenta anche in molto altri casi di dilucidazione psicoanalitica di un processo psichico. Fintantoché seguiamo lo sviluppo del caso a ritroso, a partire dal suo esito finale, la catena degli eventi ci appare continua e pensiamo di aver raggiunto una visione delle cose del tutto soddisfacente e fors’anche completa.
Ma se percorriamo la via opposta, se partiamo dalle premesse a cui siamo risaliti mediante l’analisi, e cerchiamo di seguirle fino al risultato, l’impressione di una concatenazione necessaria e non altrimenti determinabile viene completamente meno. Ci accorgiamo immediatamente che l’esito avrebbe potuto essere diverso e che questo diverso esito avremmo potuto capirlo e spiegarlo ugualmente bene. La sintesi non è dunque altrettanto soddisfacente dell’analisi; in altre parole, la conoscenza delle premesse non ci permetterebbe di prevedere la natura del risultato.
Questo è un momento d’isolamento di Freud, isolamento culturale dovuto alla guerra. Nel ‘19 Freud riprende a parlare come in precedenza, ma in realtà pressoché da solo, con uno o due interlocutori e in un modo diverso, meno assiomatico.
Qui sopra dice: “Quello che abbiamo visto clinicamente è questo: la madre, il fratello… però poi noi applichiamo una base teorica che in qualche modo forziamo, a indicare che questa essa rientri nell’iter dell’omosessualità”. Non avrebbe parlato in questo modo qualche anno prima; avrebbe detto: “questa è la teoria”. Si sente invece qui la tipica incertezza che caratterizza il ricercatore. La scienza passa sempre per due momenti, un momento fortemente innovativo e uno che consiste nella revisione di concetti accreditati. Oggi siamo nell’epoca della revisione, della scienza non innovativa. Freud prima era in una fase di riaccreditamento, qui è di nuovo innovativo; abbiamo in questo periodo la grande stagione degli anni ’20, successiva alla fine della guerra mondiale, che tante innovazioni ha portato in tutti i campi.
È molto facile riportare questa spiacevole situazione alle sue cause. Pur supponendo di avere una conoscenza completa dei fattori etiologici che sono determinanti per un dato risultato, ciò che noi conosciamo di essi è soltanto la loro peculiarità qualitativa e non la loro forza relativa. Alcuni di questi fattori, troppo deboli, saranno repressi da altri e quindi non entreranno in gioco ai fini dell’esito finale.
Freud fornisce lo stesso schema dei migliori neurobiologi di oggi, affermando che il funzionamento del cervello umano è molto complicato: un fattore eccitatore può stimolarne uno inibitore, che a sua volta inibisce l’eccitatore; la rete che si crea non è secondo un rapporto diretto. Freud intravvede questa specie di rete dove agiscono forze e controforze anticipando il concetto moderno.
Ma noi non sappiamo mai in anticipo quali dei fattori determinanti si riveleranno i più deboli e quali i più forti. Solo alla fine possiamo dire che quelli che si sono affermati erano i più forti. Pertanto la concatenazione causale può essere sempre individuata con certezza se si segue la direzione dell’analisi, mentre viceversa la sua previsione nella direzione della sintesi è impossibile.
Non intendiamo quindi affermare che ogni ragazza, il cui desiderio di amore derivante dall’impostazione edipica degli anni puberali subisca una delusione come questa, è per ciò stesso e necessariamente destinata all’omosessualità.
Qui risponde alla critica che gli viene mossa, che riguarda l’eccessiva generalizzazione.
Al contrario, altri tipi di reazione a questo trauma sono certamente più frequenti. Ma allora nella ragazza di cui ci stiamo occupando altri fattori particolari devono aver avviato il processo, fattori estrinseci rispetto al trauma, probabilmente di natura interna. E in effetti non è difficile indicarli.
Com’è noto anche nella persona normale bisogna che trascorra un certo periodo di tempo prima che abbia luogo la decisione definitiva riguardo al sesso dell’oggetto d’amore.
Una annotazione molto interessante sullo sviluppo adolescenziale, che comporta sempre tratti più o meno spiccati di omosessualità, senza i quali non ci sarebbe la formazione dell’identità. Bisogna essere in rapporto con la madre perché la ragazza diventi donna, bisogna esserlo con il padre affinché il ragazzo diventi uomo. Bisogna che la ragazza s’innamori dell’amica o del personaggio di riferimento, e il ragazzo di un amico o di una persona che rappresenti il modello.
Infatuazioni omosessuali, amicizie esageratamente intense e con un’impronta sessuale sono normalissime per entrambi i sessi nei primi anni dopo la pubertà.
Sul piano psichiatrico sono novità enormi, ma non sul piano letterario: basti pensare a Marcel Proust, Thomas Mann e moltissimi altri.
Questo fu anche il caso della nostra ragazza, nella quale, però, queste inclinazioni si rivelarono indubbiamente più forti e durevoli che in altri adolescenti. A ciò si aggiunga il fatto che queste premonizioni della successiva omosessualità avevano sempre occupato la sua vita cosciente, mentre l’atteggiamento scaturito dal complesso edipico era rimasto inconscio e si era annunciato solo per certi segni particolari, come il tenero comportamento di cui abbiamo parlato verso quel suo piccolo amico.
Inconscio era l’edipo, cosciente era invece l’omosessualità che sostituiva l’edipo, e lo sostituiva perché era per lei più accettabile. In generale, il problema della sofferenza mentale è che la guarigione in campo clinico, in termini di raggiungimento di livelli di maggiore consapevolezza, è un procedimento costoso. Il passaggio dal corpo alla psiche è costosissimo: il passaggio dalla mancanza di erezione al riconoscimento del proprio non poter amare o essere amato, è costosissimo; è molto più tollerabile non avere l’erezione che sapere di non essere amato.
A scuola era stata innamorata per un lungo periodo di un’insegnante severa e inavvicinabile, che era per lei un evidente sostituto della madre. Aveva mostrato un interesse particolarmente vivo per un certo numero di giovani madri ben prima della nascita del fratello, e dunque in un’epoca assai precedente a quella cui risale il primo rimprovero da parte del padre. Dunque la sua libido si era suddivisa assai per tempo in due correnti, di cui la più superficiale può essere chiamata tranquillamente omosessuale. Tale corrente rappresentava probabilmente la continuazione diretta e immutata di una fissazione infantile sulla madre. È possibile che la nostra analisi non abbia scoperto null’altro che il processo mediante il quale, approfittando di un’occasione propizia, anche la corrente libidica più profonda, quella eterosessuale, confluì nella corrente manifestamente omosessuale. [Ibidem, da pag. 161 a pag. 163]
Freud qui ha in mente il fattore costituzionale. Egli fu il più grande oppositore del concetto di destino, sosteneva che esso non esiste né come forza interna, né esterna, ma ognuno si crea la propria sorte con le sue mani. Eppure qui sopra è come se dicesse: “state attenti, c’è qualcosa che ci scappa di mano”. Oggi il “destino” lo chiameremmo DNA. Non è destino che l’arginina stia davanti alla lisina invece di stare dopo? Freud sente questo problema. A questo punto fa una conclusione di ordine generale.
Di solito nella letteratura scientifica sull’omosessualità non si trova una demarcazione sufficientemente netta tra i problemi della scelta oggettuale da un lato e il carattere sessuale e l’impostazione sessuale dall’altro, quasi che la soluzione di uno di questi punti fosse necessariamente connessa con la soluzione dell’altro.

Qui c’è una nozione che precede di settant’anni la precisazione dell’odierna psichiatria riguardo alla scelta dell’oggetto sessuale e al vissuto della propria sessualità interna. Il disturbo dell’identità di genere non equivale all’omosessualità: per essere omosessuale maschile uno deve sapere che è un uomo; per essere omosessuale femmina una deve sapere che è una donna, altrimenti sarebbe un transessuale. Tutto questo è emerso nel 1992: ha senso “curare” l’omosessuale con il testosterone? Egli diventerebbe sempre più omosessuale, aumenterebbe il desiderio verso gli uomini; il problema è la scelta dell’oggetto sessuale. Non è castrandosi che si diventa donna, ma è la scelta interna che conta, è il vissuto interno per cui ci si sente cavitario o protrudente, soltanto nella genitalità adulta.
 
Eppure l’esperienza dimostra proprio il contrario: un uomo che ha caratteristiche prevalentemente maschili e che si comporta anche secondo il tipo maschile di vita amorosa, può essere tuttavia invertito, rispetto all’oggetto, amare cioè solo uomini anziché donne. Ci si potrebbe aspettare che un uomo nel cui carattere le peculiarità femminili siano vistosamente prevalenti e che per di più nell’amore si comporti come una donna, sia portato, proprio per questa sua impostazione femminile, a scegliere un uomo come oggetto d’amore. E invece, nonostante tutto, egli può essere eterosessuale e nella scelta del suo oggetto dimostrare un grado di inversione non superiore a quello medio degli uomini normali.
I più grandi amatori sono persone a istanza emotiva fortemente femminile: Casanova conquistava tutte le donne del mondo con la tenerezza, con la comprensione dei loro problemi, con la vicinanza, con teneri abbracci, non certamente mostrando le sue grandi capacità virili.
Lo stesso vale per le donne, anche per loro le caratteristiche sessuali psichiche e la scelta oggettuale non sono indissolubilmente connesse. Il segreto dell’omosessualità non è dunque per nulla così semplice come si è propensi a illustrarlo a uso del popolo: “Un’anima femminile, destinata quindi ad amare gli uomini, è disgraziatamente finita in un corpo maschile; un’anima maschile, irresistibilmente attratta dalle donne, è purtroppo imprigionata in un corpo femminile.” Si ha invece a che fare con i seguenti tre ordini di fattori:
Caratteristiche sessuali fisiche (ermafroditismo somatico)
Caratteristiche sessuali psichiche (impostazioni maschili o femminili)
Tipo di scelta oggettuale
I quali, oltre certi limiti, variano l’uno indipendentemente dall’altro, e, a seconda degli individui, si manifestano in molteplici permutazioni. Una letteratura tendenziosa ha reso più difficile la nostra comprensione di questi rapporti, giacché, per motivi pratici, mette in primo piano il terzo elemento (la scelta oggettuale), che è l’unico che colpisce il profano, esagerando inoltre la stabilità del rapporto fra questo elemento e il primo. Questa letteratura si preclude comunque la possibilità di una più profonda comprensione di tutto ciò che è uniformemente indicato come omosessualità … [Ibidem, pag. 164, 165]
I casi di omosessualità maschile che Steinach ha curato con successo soddisfacevano alla condizione, che non sempre si verifica, di uno spiccatissimo “ermafroditismo” somatico. Per il momento non riusciamo a vedere bene come l’omosessualità femminile potrebbe essere curata in maniera analoga. Se il trattamento dovesse consistere nella asportazione delle ovaie che sono presumibilmente ermafroditiche e nell’innesto di altre ovaie che si sperano unisessuali, esso avrebbe scarse possibilità di essere effettivamente applicato. Una donna che si sente un uomo e che ama in modo maschile difficilmente si lascerà imporre il ruolo femminile se deve pagare questa trasformazione, che non è vantaggiosa sotto ogni riguardo, con la rinuncia ad ogni prospettiva di maternità. [Ibidem, pag. 166]
Noi sappiamo oggi le problematiche della maternità nelle coppie omosessuali: la donna omosessuale non ha rinunciato alla maternità. Anche ammesso che desiderasse acquisire un orientamento eterosessuale con mezzi biologici, non accetterebbe mai l’innesto di ovaie che non le appartengono e che, probabilmente, risulterebbero sterili.


 


 

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