Il gruppo osservato è stato condotto dalla Dott.ssa Monica Dondoni ed era costituito da15 partecipanti. Il gruppo si è interrogato sugli strumenti messi in atto e sui potenziali fruitori; la prima cosa da chiarire è il linguaggio, una partecipante diceva: "vorrei capire il linguaggio", perché diceva che in otto anni di frequenza nei servizi ha avuto dieci diagnosi diverse; e ancora, un collega che lavora in un servizio di Padova e collabora con la regione Veneto diceva: "quando noi abbiamo fatto la prima rilevazione dei dati su un paziente c’erano 4 cartelle, 4 diagnosi diverse e 4 profili terapeutici diversi. Il gruppo, quindi, si è chiesto perché è importante creare un sistema di valutazione e di raccolta dei dati; il primo rischio è la distanza tra la diagnosi e la cura della persona.

Un’altra cosa che sottolineava il nostro gruppo: "con quali dati possiamo valutare le differenze che ci sono in Italia tra i diritti di cittadinanza alla salute se una persona nasce in un posto piuttosto che in un altro". Un sistema informativo unico può fornire agli amministratori dei dati certi.

Dopo queste prime riflessioni il gruppo ha continuato ad interrogarsi anche su delle questioni specifiche, per esempio sulla diffidenza degli operatori rispetto ai sistemi di valutazione. Le risposte che il gruppo ha cercato di elaborare sono le seguenti: "forse gli strumenti dovrebbero essere agili e tecnici per poter essere replicati". Nello stesso tempo, però, è emerso che l’applicazione va posta in maniera critica e attualizzata rispetto alla popolazione; nelle esperienze che sono state riportate, questo modello ha funzionato dove c’è stato un forte coinvolgimento e partecipazione degli operatori, ma ci vorrebbe anche il coinvolgimento degli utenti e dei familiari anche alla conclusione del progetto di valutazione e di monitoraggio e di costruzione del sistema informativo.

Il gruppo è ritornato spesso sulla parola solitudine, più che sulla etichetta diagnostica di psicosi schizofrenica, domandandosi come costruiamo politiche di salute mentale. A cosa possono servire i dati? I dati possono servire a dimostrare la disomogeneità degli interventi in diverse aree dell’Italia, a dimostrare, per esempio (questo è stato più volte ripreso ma dovrebbe essere verificata con dati), che le zone più povere sono più danneggiate rispetto alla risposte che ricevono, e quindi i dati servono almeno a capire queste differenze. Secondo i rappresentanti dei gruppi di auto-aiuto i servizi servono alle persone, ma il servizio non è soltanto quello di salute mentale; allora, la questione posta dai gruppi di auto-aiuto è la seguente: forse noi avremmo dovuto scrivere di più avremmo dovuto documentare di più perché forse questo avrebbe dato identità a qualcosa che in Italia va emergendo, va crescendo al punto che qualcuno cominci a fare i primi censimenti, e un altro collega, un operatore, diceva: forse dovremmo anche intraprendere delle ricerche per vedere effettivamente che cosa è utile ed efficace, che cosa funziona dei gruppi di auto-aiuto.

A questo punto il gruppo si è posto anche la domanda: siccome le risorse sono finite dovremmo fare un ragionamento rispetto a cosa è prioritario e cosa non è prioritario? Una partecipante diceva, per esempio: noi abbiamo bisogno di una stanza dove riunirci perché non abbiamo una stanza. Il comitato ci potrebbe dimostrare che in un servizio, in una stanza si fanno delle cose che apparentemente potrebbero essere molto interessanti se fatte da uno psichiatra, ma i dati potrebbero dimostrare che per un gruppo di auto-aiuto potrebbe essere efficace anche all’interno delle pratiche utili e prioritarie rispetto a quello che si pone il servizio.

In quest’ultimo seminario mi è sembrato che il gruppo abbia ripreso delle questioni passate, i servizi sono oberati di nuove istanze, c’è un aumento della richiesta dei servizi e quindi i servizi stessi si devono fare carico delle contraddizioni di contesto. Il gruppo ha concluso riflettendo, riprendendo i temi passati, riprendendo il rapporto che c’è tra Università, ricerca e come fare valutazione in una comunità terapeutica; una cosa che è stata affermata era che una buona ricerca equivale ad una buona supervisione. La raccolta dei dati è fondamentale per valutare quali sono gli interventi utili e questo presuppone poi le scelte dei servizi stessi e l’influenza della programmazione politica degli interventi.

Per finire, il gruppo si è interrogato sulla comunità. Il gruppo ha concluso con questa battuta: come può la valutazione (e questa è la domanda che possiamo riportare ai relatori), entrare nella pratica quotidiana del lavoro di salute mentale per costruire o attivare i servizi utili e ragionevoli?

Rispetto al tema della ricerca, il gruppo ha iniziato citando un economista che è anche un antropologo (Serge Latouche) e quindi forse una riflessione sugli aspetti economici dobbiamo porcela soprattutto se parliamo della ricerca che spesso è finanziata da chi ha interesse a dimostrare l’efficacia di un farmaco. Una ricerca che tenga conto di più punti di vista può essere, molto probabilmente, più utile ed efficace.

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Calensario seminari progetto salute mentale